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Percorsi

Federica Moro

I Balcani con parole sue

Conversazione con Federica Moro (e Chiara Boscarol)

In concomitanza e collaborazione con il Trieste Film Festival, l’associazione culturale Bottega Errante organizza nel capoluogo giuliano un corso di lingua e cultura serbo-croata, curato e tenuto da Federica Moro.

Federica Moro a Banja Luka (così giura)

No, non l’ex Miss Italia resa immortale dal fiore all’occhiello della cinematografia italiana, College; un’altra “Federica Moro”, una che nel 1982, quando la più popolare omonima veniva incoronata reginetta, aveva attorno, sì, una fascia, ma da neonata.

Nel comunque-molto-breve – lo dico per noi freschissime fanciulle venute alla luce all’alba degli anni Ottanta – tempo trascorso da allora, la “nostra” Federica Moro ha avuto il buongusto di smettere di convivere con mio marito e trasferirsi per diversi anni nei Balcani, dove ha messo a frutto i suoi studi e sviluppato un bagaglio di esperienze che la rende, ora, la persona migliore per trasmettere in poche lezioni (il corso si articola su sei incontri settimanali, maggiori dettagli in calce all’articolo)  una competenza esatta della lingua e un’immagine veritiera della cultura dei paesi che, finché noi freschissime fanciulle venute alla luce all’alba degli anni Ottanta sedevamo fra i banchi di scuola, formavano la Jugoslavia.

Lorenza Pravato (LP): Questo ha l’aria di essere un corso un po’ particolare di “serbo-croato per viaggiare”. Il programma, infatti, specifica che oltre agli insegnamenti di lingua, le dispense e le lezioni affronteranno aspetti della cultura dei paesi balcanici. È così? Perché questa scelta?

Federica Moro (FM): Esatto! L’idea che sta dietro a Viaggia con parole tue è di dare al viaggiatore una sorta di ingresso privilegiato nel territorio che ha deciso di esplorare.
Nei Balcani, un’infarinatura linguistica – per quanto di base – può davvero aprire molte porte, trasformando una vacanza in un’esperienza molto più intensa e significativa. Riuscire a interagire, anche solo minimamente, nella lingua locale è un segno di rispetto per la terra che ci ospita e di solito suscita immediata simpatia.
Per quanto riguarda gli aspetti culturali, diciamo che partire con un bagaglio di base aiuta sicuramente a direzionare lo sguardo, a suscitare curiosità specifiche e a dare al viaggio un taglio più personale. Durante il laboratorio cercheremo appunto di concentrarci su quegli aspetti pratici, quotidiani che il viaggiatore si troverà ad affrontare e che fanno dei Balcani una terra peculiare ed affascinante.

LP: È vero, conoscere una lingua significa conoscere chi la parla e presentarsi spiccicando due parole dimostra senz’altro interesse per l’interlocutore.
Com’è stato il tuo primo impatto con i parlanti serbo-croato, e in che circostanze è avvenuto?

FM: Subito dopo aver cominciato a studiare serbo-croato all’università, qui a Trieste, sono partita con un’amica per un viaggetto primaverile in Croazia: il primo impatto pratico con la lingua è avvenuto in autostazione a Trieste, al momento di salire sull’autobus che da lì a quindici ore ci avrebbe lasciate a Dubrovnik. Ricordo grandi entusiasmi nel capire piccoli stralci delle conversazione delle nostre vicine di posto e, soprattutto, l’esclamazione “Boli me glava!” dell’autista (vuol dire “Ho mal di testa!”).
Da lì in poi, tutto in discesa: un mese a Zagabria e poi la Bosnia, che è stata una gran “botta”, dal punto di vista linguistico: un tuffo di testa, un’immersione totale, un posto dove il lessico quotidiano continua a stupirti anche dopo anni di permanenza.
È stato meraviglioso il momento in cui è diventata finalmente la lingua del mio quotidiano.

La cattedrale serbo-ortodossa di Podgorica, in Montenegro

LP: A parte quando hai capito “boli me glava“, c’è qualche momento, in particolare, che ricordi di queste tue prime esperienze?

FM: Cavolo, sì… beh, diciamo che il primo giorno del mio mese a Zagabria non è stato esattamente una passeggiata di salute: sono arrivata di sera, sotto una pioggia battente, nonostante fosse il primo giugno. Subito mi si è rotta l’impugnatura della valigia, che ovviamente era zeppa di libri, e che da quel momento in poi ho un po’ trascinato e un po’ abbracciato. Una volta salita sul tram giusto, ho rivolto all’autista la domanda che mi ero a lungo preparata sulla fermata per la casa dello studente. Che gioia, mi ha capita! Non posso dire lo stesso di me, che probabilmente confidavo in una risposta semplice, tipo “è questa”. Invece, dopo delle indicazioni cortesissime quanto incomprensibili, mi sono ritrovata di nuovo sotto la pioggia, con la mia valigia rotta, sul marciapiede di una strada a quattro corsie. Evviva.
Per fortuna ho trovato un posto aperto, la redazione del Večerni list, (“che culo!” ho pensato). Sono entrata lasciando chiazze umide sul tappeto e ho chiesto indicazioni. Questa volta la risposta è stata chiara: “Que-sta non è la ca-sa del-lo stu-den-te, que-sta è la re-dazio-ne di un gior-na-le”. Fantastico.

Alla fine però ce l’ho fatta. Ho raggiunto la casa dello studente. Dobro. Ho trovato la portineria che, inspiegabilmente, stava sul retro. Sjajno. Ho capito che il tizio all’ingresso voleva il mio passaporto in cambio della chiave. Fantastično. E ho capito anche che – porco cane – la mia stanza stava al quarto piano senza ascensore. E pa super! Miracolo: uno sconosciuto mi guarda, mi dice ‘non ce la puoi fare da sola’ e trascina la mia valigia su per le scale fino alla porta della mia stanza. Sono salva! E non ho più paura di nulla.

LP: Dunque, tu hai soggiornato abbastanza a lungo nei Balcani e in luoghi diversi, quindi sei adattissima a curare questo corso. Ogni sera, però, presenterai le peculiarità culturali dei diversi stati e delle diverse aree. Quali sono le differenze più evidenti che hai esperito durante il tuo soggiorno nei diversi luoghi?

FM: Beh, per prima cosa bisogna ricordare che questo è un corso di lingua, oltre che di cultura, per cui come tale è strutturato.
I singoli incontri sono organizzati coniugando i vari aspetti grammaticali e lessicali con situazioni concrete, legate ai diversi Paesi della ex-Jugoslavia – quelli in cui si parla serbo-croato, naturalmente. Il laboratorio è strutturato come una sorta di viaggio da nord a sud, dalla Croazia fino al Montenegro, passando dalla Bosnia Erzegovina e dalla Serbia: nel corso di questo viaggio si cerca di imparare i rudimenti della lingua attraverso la cultura e di penetrare gli aspetti culturali attraverso il filtro della lingua. Per quanto riguarda la mia esperienza, il Paese che sento più mio e che conosco meglio è senza dubbio la Bosnia Erzegovina, anche se ho avuto la fortuna di viaggiare parecchio anche nei Paesi limitrofi. Posso dire che in un quadro dominato da molteplici somiglianze e affinità culturali, emergono delle differenze più o meno profonde. I paesaggi cambiano e cambiano velocemente: al di là di quelli geografici ed ambientali, già estremamente vari, l’architettura, ad esempio, è ricchissima di elementi che provengono dalle influenze più disparate. Questo diventa evidente nell’architettura religiosa, ma si ritrova ovunque. La mentalità cambia dal mare alla montagna, dal villaggio alla capitale: così come dappertutto, ciò che in un posto è ordinario poco lontano è considerato scandaloso, o quantomeno bizzarro. Ciò che mi ha colpito fin da subito e che non ha mai cessato di affascinarmi, però, è sicuramente l’incredibile ricchezza linguistica di queste terre: per ogni parola, per ogni espressione esiste un sorprendente numero di sinonimi e varianti più o meno usati a seconda della zona geografica, delle influenze linguistiche delle altre popolazioni e, naturalmente, delle abitudini culturali. Nella vita pratica, all’inizio questa peculiarità non è certo d’aiuto: spostandosi di pochi chilometri si rischia di andare al mercato e di non capire metà dei nomi della frutta e della verdura! D’altro canto, situazioni del genere mi son successe anche facendo la spesa a Mostar con i colleghi toscani: tu lo sai che cos’è un popone?

LP: No. Cos’è? È una cosa che ha a che fare con la spropositata circonferenza delle mie gonne?

FM: Il popone potrebbe avere a che fare con le tue gonne più che altro per via della tua predilezione per l’arancione: è il melone! Ti assicuro che è molto buffo sentire l’interprete mostarino usare il termine “popone” e dover chiedere delucidazioni agli agricoltori erzegovesi.

Veduta di Mostar, Bosnia-Erzegovina (foto di Federica Moro)

LP: Tornando a quanto dicevi a proposito delle numerose sfumature linguistiche e culturali che si alternano in un territorio relativamente piccolo: non è anacronistico parlare di “serbo-croato”, a vent’anni dalla fine della Jugoslavia? Certo, la lingua viene, ovviamente, ancora parlata nelle diverse nuove nazioni, ma mi sembra che lo sforzo sia quello di “personalizzarla”, prediligendo, magari, un lessico – se si può dire così – autoctono, a scapito della lingua standard. Come stanno le cose, in realtà?

FM: La questione della lingua è molto delicata, perché è legata a doppio filo ai conflitti degli anni Novanta e alla loro problematica risoluzione. Non è mia intenzione addentrarmi troppo in questo campo durante il laboratorio, anche perché in sette incontri si potrebbe a malapena cominciare a capire da che parte cercare il bandolo per districare la matassa… A questo proposito lascio volentieri la parola alla giornalista Azra Nuhefendić, che avremo l’onore e il piacere di ospitare durante uno degli incontri, che tratterà – appunto – dell’uso della lingua come arma. Per quanto mi riguarda, la mia posizione è questa: ho studiato serbo-croato all’università, perplessa dal fatto che nella mia facoltà si potesse scegliere tra croato e serbo-croato. Ho preparato la tesi a Zagabria. Ho vissuto e lavorato in Bosnia Erzegovina. Ho viaggiato in Croazia, Bosnia, Serbia e Montenegro senza avere difficoltà specifiche di comprensione legate ad alcun luogo particolare. Mi è capitato di fare traduzioni o interpretariato per parlanti di tutte queste nazioni: certo, si possono incontrare diverse varianti e anche due diversi alfabeti, ma la sostanza non cambia. Il mio dizionario di riferimento – probabilmente desueto, ne convengo – è di Serbo-Croato / Italiano e viceversa. Quello che voglio dire è che possiamo chiamare questa lingua croato, serbo, montenegrino, bosniaco o inventarci anche dei nomi che non offendano la sensibilità di nessuno (in Bosnia si usa dire “la lingua locale”, ad esempio), non importa; quello che mi interessa è con chi possiamo comunicare utilizzando questa lingua. Facciamo un laboratorio pratico: il primo giorno cerchiamo di capire dove vivono le persone che molto probabilmente ci risponderanno quando li saluteremo con un dobar dan. Sul resto si può discutere all’infinito. E sì, io continuo a chiamarla “serbo-croato”. Per abitudine, per affetto, non lo so. Perché mi pare un nome logico. Perché dire “la vostra lingua” o “la lingua locale” mi pare come dire “buone feste” a Natale. Un inutile giro di parole. E perché trovo che dire ogni volta croato, bosniaco, serbo, montenegrino sia estremamente noioso. L’unica cosa che mi interessa, e che cerco il più possibile di trasmettere durante il laboratorio, è la varietà lessicale di cui parlavo prima: in questo caso amo soffermarmi sulle differenze lessicali, sul fatto che a Zagabria il caffè è kava e a Sarajevo kafa, che in molte parti della costa croata il latte è mliko mentre a Belgrado è mleko, che a Mostar est il pane è hljeb e a Mostar ovest è kruh. Mi interessa la pratica, insomma. 

LP: Io sono molto affascinata da questi aspetti, perché molte volte ci sono delle ragioni storiche dietro all’uso di un vocabolo anziché di un altro,  da parte di un gruppo di parlanti… c’è un esempio che ti piace fare, a riguardo?

FM: Ragioni storiche, esatto, legate ad esempio alle influenze dei popoli e delle culture confinanti o, magari, dei vecchi invasori. Da italiana mi sono divertita un sacco a parlare con un’amica di Spalato, che utilizza moltissime parole italiane “storpiate”, derivanti appunto dagli antichi legami con Venezia e ormai interiorizzate dai parlanti locali. E allora ho scoperto che per dire “sporco” non si utilizza tanto il canonico prljav quanto il buffissimo šporco; l’asciugamano diventa šugaman e non più peškir, e via dicendo.

LP: Va bene, abbiamo capito che, anche se non sei mai stata Miss Italia, sei qualificata per tenere questo corso. A Chiara Boscarol di Bottega Errante – l’associazione che organizza il corso – vorrei invece chiedere da dove nasce l’idea di corsi come questo, dato che non è il solo, con questa impostazione, che la Bottega organizza… 

Veduta di Sarajevo, Bosnia-Erzegovina (foto di Nicola Tiezzi)

Chiara Boscarol: L’idea di un corso per scoprire lingue e paesi affascinanti è uno dei temi cari a Bottega Errante. Già il nome dell’associazione lo svela: una bottega è il luogo per imparare, dove l’esperienze dell’uno diventa preziosa per gli altri, ed è errante, nella doppia accezione della parola: sbagliare, ma soprattutto girovagare. Viaggiare per scoprire, conoscere e assaporare lo spirito di un luogo. Conoscere la lingua vuol dire, proprio come dice Federica, essere liberi di andare al mercato e farsi capire, poter parlare con le persone che si incontrano e ascoltare le loro storie. Questo è un po’ lo spirito di tutti i corsi della Bottega, siano essi di scrittura, di lettura, di fotografia e di teatro, e delle iniziative, anche di diverso carattere, che organizziamo.
Un aspetto che mi piace molto, di questi corsi, è che l’apprendimento diventa esperienza condivisa fra gli “alunni” e, in questo modo, si formano nuovi gruppi di amici, che si ritrovano anche dopo la fine del corso per continuare quanto fatto fino a quel momento, o per vedere assieme una mostra, o ancor meglio per andare a mangiare qualcosa in compagnia di persone divertenti e con interessi simili. L’arricchimento personale non finisce con la fine del corso.

LP: Federica, conoscendo la tua passione e la tua competenza, sono sicura che saprai trasmettere bene il fascino dei Balcani ai tuoi allievi, ma secondo te perché andrebbero visitati? Cioè: cosa mi perdo se non ci vado?  

FM: Beh, ti posso dire cosa mi sarei persa io se avessi scelto altri percorsi. Innanzitutto, avrei perso una faccia di Trieste, che per me è diventata una sorta di zona di decompressione per quando passo troppo tempo di qua o di là. E poi avrei perso il profumo del pane appena sfornato nelle sere del Ramadan, i litri di rakija al miele ai matrimoni, il blu-verde della Neretva, le notti di musica e danze, il suono delle parole che piano piano diventano le tue, l’umorismo sferzante che scioglie la tensione, ma soprattutto le voci delle persone e il senso degli incontri. E avrei perso un formidabile punto vista sulla nostra storia e sul nostro essere, comunque, un popolo di confine. È incredibile come cambi la prospettiva facendo solo un paio di passi di lato. Questo avrei perso. Non ti pare abbastanza?

Federica Moro è laureata in interculturalità all’Università di Trieste con una tesi sulle fiabe di Ivana Brlić Mažuranić. Successivamente ha soggiornato e vissuto per alcuni anni in diversi paesi della ex-Jugoslavia, dapprima come volontaria in un progetto europeo, quindi come cooperante per il Ministero degli Affari Esteri, e come lettrice all’Università di Banja Luka.
Sprezzante della mia disapprovazione, non ha un blog, e tramanda le esperienze delle sue disavventure balcaniche solo oralmente. 

Bottega Errante è un’associazione culturale con sede a Udine, ma mobile per definizione, che organizza, oltre a corsi di lingua di impostazione simile a questo, laboratori di scrittura creativa, reading, camminate nella natura e… tutto il resto.

Il corso si articola su sette incontri, a partire da venerdì 18 gennaio (dalle 19:30 alle 21:30) e, successivamente, ogni martedì, dalle 20:30 alle 22:30. 

È possibile iscriversi presso la sede della Cappella Underground (piazza Duca degli Abruzzi, 3), dove il corso avrà luogo, fino al 17 gennaio.
Contatti e maggiori dettagli sono disponibili sul modulo pdf scaricabile alla pagina relativa corso

L’immagine di Podgorica è tratta da Wikipedia, quella di Sarajevo è di Nicola Tiezzi, quella di Mostar è di Federica Moro. Resta per il momento anonimo l’artista che, a Banja Luka, ha colto Federica Moro in un’espressione così rappresentativa.

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  1. […] Nella mediateca della Cappella Underground – un posto bellissimo, a due passi da casa mia, dove ovviamente non ero mai stata,  pieno di riviste sul cinema e DVD disponibili per prestito e consultazione – sono raccolte già alcune persone, fra cui la curatrice del corso, Federica Moro, e la responsabile dell’organizzazione, Chiara Boscarol, che abbiamo già conosciuto. […]

  2. […] affrontati, per fugare eventuali dubbi dalla testa degli allievi. L’ultimo incontro con Federica Moro e il suo corso di serbo-croato pratico tenuto per Bottega Errante non ha fatto eccezione, ma lo ha […]

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