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Percorsi

A croato con Pravato

Reportage dal corso di serbo-croato di Federica Moro per Bottega Errante e Trieste Film Festival (četvrta lekcija)

Il quarto incontro con la lingua serbo-croata va via facile come bere un bicchier d’acqua, anzi di rakija. Nel senso che lì per lì va tutto bene, la botta arriva dopo.

L’argomento grammaticale affrontato è il caso genitivo, ossia il secondo caso della declinazione, corrispondente grossomodo al nostro complemento di specificazione.
In serbo-croato viene usato anche nella formazione di costrutti di uso molto comune, ad esempio dopo la locuzione evo (ecco).
La declinazione del nome al genitivo non sembra insidiosa come quella all’accusativo. La desinenza del femminile singolare, infatti, è -e, mentre la desinenza del maschile e del neutro – sempre singolare – è -a. Questo significa che non dobbiamo preoccuparci di parlare di un oggetto animato o meno; “ecco l’accendino” si forma esattamente come “ecco Nedim”: evo upaljača e evo Nedima.

La faccenda inizia a complicarsi quando dobbiamo usare i pronomi personali, i quali – in modo davvero poco sorprendente – hanno una propria declinazione, a mio avviso del tutto imprevedibile:
Genitivo dei pronomi personali in croato

Un’altra espressione nella quale è indispensabile padroneggiare il genitivo è quella usata per indicare la presenza o l’assenza di qualcosa.

Si costruisce con la terza persona singolare del verbo avere, in forma affermativa o negativa, a seconda della necessità, e il genitivo, per l’appunto. A livello logico, può essere utile, per memorizzare il costrutto, una traduzione quasi letterale della frase con il partitivo: “(si) ha/non (si) ha di…”, ma il corrispondente italiano è il semplice ed efficace “c’è/non c’è”.
“C’è dell’acqua” si dirà, allora ima vode, mentre nema vode significherà “non c’è acqua”. È questa, dunque, la struttura grammaticale alla base dell’usatissima locuzione nema problema.

Il quarto incontro è dedicato alla Bosnia, che è lo stato dell’ex-Jugoslavia in cui la nostra Federica ha soggiornato più a lungo.
Ora, magari non è proprio il primo Paese che a uno venga in mente quando pensa alle più rinomate cucine del mondo, ma la nostra  insegnante ci assicura che i più succulenti manicaretti balcanici provengono da questa terra. Io, che non sono proprio uno stomaco delicato, né un’inappetente, ascolto con un misto di interesse e sospetto la descrizione delle usanze alimentari di queste zone.

Le pietanze tradizionali devono molto alla cucina turca ed è forse per questo che non devo meravigliarmi se si ritrovano, un po’ alleggerite, nella cucina ligure (che di per sé non è famosa per essere “dietetica”).
Il piatto nazionale sono i čevapi (guai a chiamarli čevapčiči, come altrove nei Balcani e a Trieste sono detti), che – lo dico per i nostri lettori a ovest di Monfalcone – sono polpettine di carne mista dalla forma allungata, un po’ più corti e un po’ più tozzi di un indice. Non sono vere e proprie salsicce, perché non sono insaccati. Nei paesi non musulmani vengono preparati con un misto di carne di manzo e maiale, e il loro sapore è una specie di via di mezzo tra la luganega e l’hamburger. Danno dipendenza. Si mettono di traverso interi nell’aorta, ma danno dipendenza. La versione bosniaca è fatta con carne mista di manzo e montone (o agnello). Per ragioni a me del tutto ignote, la piastra su cui si fanno arrostire i čevapi viene abbondantemente irrorata di olio. Lo so per certo perché anni fa mio marito ed io andammo a Mostar, a far visita proprio a Federica; in quell’occasione, andammo a cena in una čevapcinica (non si mangiano i čevapi al ristorante: così come per la pizza si va in pizzeria, per i čevapi si va in “cevaperia”) e, quando finalmente assaggiai i veri čevapi, l’idea platonica del čevapo stesso, ebbi la netta impressione che fossero fritti. Federica, che si era già assuefatta alla cucina locale, mi assicurò che non lo fossero, ma ammise che la piastra poteva essere “spennellata con un velo d’olio”.

Cevapi nella pita con kajmak e cipolla

Il modo più tipico di gustare i čevapi è nella pita, che altro non è che un panino. Attenzione, però: non bisogna afferrare la pita e cercare di mangiarla mordendola insieme a tutto il suo contenuto, come fosse un innocuo panino imbottito. Facendolo, si rischia di far partire proiettili di čevapi in ogni dove. Vanno mangiati a uno a uno con le dita, sbocconcellando il pane man mano, e già così non garantisco che non ne perdiate qualcuno per strada.
È frequente, comunque, che i čevapi vengano serviti nel piatto. In questo caso sono solitamente accompagnati da sottili fette di cipolla cruda e, talvolta, dal kajmak, un latticino tipico ottenuto dalla prima cagliata del latte, che mi pare di capire sia assimilabile alla prescisêua. Più spesso, però, il kajmak è servito come accompagnamento della pleskavica, che altro non è che la medesima miscela di carne utilizzata per fare i čevapi, in foggia di disco: praticamente, un hamburger di carne mista.

Altre pietanze tipiche sono i ražnići (spiedini di carne), la kobasica, spesso dimljena (affumicata), la jetra (fegato), la mućkalica (uno stufato di carne e verdure reso piccante dall’abbondante impiego di pepe) e le famose sarme, involtini di carne di manzo e riso racchiusi in una foglia di cavolo (a Genova li facciamo con la foglia di lattuga, e il riso è facoltativo), di cui esiste una versione in foglia di vite, chiamata japrak.

Se i vegetariani hanno vita dura, i vegani, nei Balcani, sembrano essere spacciati, poiché anche i dolci contengono ingredienti di derivazione animale. Il più famoso è senz’altro la baklava, una sorta di pasta sfoglia (ma molto più “burrosa”) impregnata di miele e farcita di frutta secca, generalmente noci e/o pistacchi. È praticamente cibo per astronauti, ma è deliziosa. Anche alla frutta cotta, da queste parti, bisogna accostarsi con rispetto. La tufahija, infatti, si presenta come un’innocua mela cotta, guarnita con un ciuffetto di panna montata; magari non proprio un alimento da ospedale, ma neppure nulla di cui avere timore; affondando il cucchiaio, però, si scopre che essa cela un ripieno di frutta secca, capace di sistemarvi per settimane.

Baklava con pistacchi

… In compenso, se siete onnivori, potrebbe rivelarsi il viaggio più bello della vostra vita.

Le immagini dei cibi sono tratte da Wikipedia; l’impareggiabile schema dei pronomi è tutta opera mia.

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