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Arte

Il ritratto in letteratura: Edgar Allan Poe e Oscar Wilde

Se mai mortale dipinse un’idea, quel mortale fu Roderick Usher. […] si trattava d’un quadretto rappresentante l’interno d’un sotterraneo, o d’una galleria rettangolare lunghissima, dai muri bassi, lisci, bianchi, senza interruzioni, né ornamenti. Certi indizi accessori del disegno rendevano efficacemente l’idea che il sotterraneo giaceva ad un’enorme profondità sotto la superficie terrestre. In nessuna parte della sua vasta estensione era visibile uscita alcuna […]

(Edgar Allan Poe, La caduta della casa Usher, 1839, traduzione di Fernanda Pivano per Sansoni Editore, 1965)

Edgar Allan PoeTra il 1839 e il 1846 Edgar Allan Poe compose alcuni dei suoi racconti più interessanti ed originali, contribuendo significativamente allo sviluppo di varie forme di narrativa gotica e introducendo tematiche per l’epoca ancora sconosciute. Solo per citare qualche esempio[1], il suo William Wilson (1839) è incentrato sullo stesso argomento dello sdoppiamento di personalità che quasi cinquant’anni dopo si ritroverà ne Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Signor Hyde (1886) di Robert Louis Stevenson; I delitti della Rue Morgue (1841), Il mistero di Marie Roget (1842-1843) e La lettera rubata (1845), trilogia di racconti aventi per protagonista Auguste Dupin, sono alla base del thriller investigativo reso celebre in seguito da Sir Arthur Conan Doyle; La lettera rubata ha ispirato studiosi quali Sigmund Freud e Jacques Derrida, e nel 1860 Victorien Sardou ne ha tratto la commedia in tre atti Les pattes de mouche (letteralmente Le zampe di gallina, riferito ad una brutta grafia); Lo scarabeo d’oro (1843), oltre ad aver influenzato molti romanzieri, ha introdotto l’uso della crittografia e dell’inchiostro simpatico; La caduta della casa Usher (1839), riprendendo le atmosfere e le suggestioni di Ann Radcliffe (nello specifico del romanzo I misteri di Udolpho, 1794), ha anticipato l’opera di Bram Stoker, mentre Il barile di Amontillado (1846) è tuttora considerato “il più terribile e il più perfettamente ‘eseguito’ fra tutti i racconti di Poe”[2] (da notare che executed, in inglese, significa sia eseguito che giustiziato, e quindi l’affermazione risulta ancora più calzante).

Al lungo elenco si aggiunge anche un racconto breve, da alcuni ritenuto minore, la cui struttura si rivelò determinante per un altro celebre autore che conobbe Poe per vie traverse: Oscar Wilde. Il racconto in questione è Il ritratto ovale, pubblicato per la prima volta nel 1842 con il titolo Life and Death (Vita e morte) che ben sintetizzava il contenuto della storia. La trama narra di un misterioso viaggiatore che, in stato febbricitante e accompagnato da un servo non molto sveglio, penetra durante la notte in un castello abbandonato, nel mezzo di una regione degli Appennini, nel tentativo di trovare riparo e conforto alla sua sofferenza fisica. Poiché il dolore non si placa, il personaggio decide di ricorrere all’oppio, ignorandone però la quantità giusta di assunzione:

[…] Io non avevo, al momento, il più lontano sospetto che ciò ch’io consideravo una dose eccessivamente piccola d’oppio solido poteva, in realtà, essere una dose eccessivamente grande; al contrario, lo ricordo bene, giudicavo fiduciosamente della quantità da prendere, riferendomi all’intera quantità del pezzo che possedevo. In conclusione, la porzione che ne ingoiai, e ingoiai senza timore, era, senza dubbio, una porzione piccolissima del pezzo ch’era fra le mie mani. […][3]

Poe raccontiQuesta affermazione sembra una sorta di avvertimento nei confronti del lettore; è come se il narratore dicesse: non so se quanto sto per descrivere io lo abbia visto davvero o sia solo il frutto del delirio generato dall’assunzione della droga. In seguito, l’attenzione del personaggio viene attratta da un quadro appeso alla parete, che inizialmente risultava nascosto al suo sguardo. È “il ritratto di una fanciulla, dalla cui bellezza in boccio stava per fiorire la donna”, ma non è tanto lo stile del quadro o il fascino della modella a creargli profondo turbamento quanto “l’apparenza vitale dell’espressione”. Il personaggio ha la sensazione di trovarsi di fronte a una vera dama intrappolata in una cornice ovale; e in effetti, quando egli legge il volume che descrive i dipinti presenti nella dimora, scopre che la giovane fu ritratta da un pittore, suo sposo, la cui passione per l’arte si convertì in una tale ossessione da trasferire nel dipinto l’essenza stessa della fanciulla determinandone la morte.

Secondo David Punter: “Edgar Allan Poe non si ritiene differente di natura dalle sue creazioni, ma riconosce che i poteri nascosti della mente che ‘corrompono’ i suoi personaggi fanno presa anche su di lui. È questa la fonte dell’ironia molteplice di Poe. Come hanno detto i critici, le sue storie sono ironiche anche verso il gotico, ma non perché il gotico sia un metodo non valido di manifestare delle forze nascoste, quanto piuttosto perché la conclusione a cui esso giunge è riflessiva: è rivelatrice tanto del pubblico che dello scrittore o dei personaggi” (2006: 182-183).

Sono state avanzate numerose ipotesi su come Oscar Wilde sia entrato in contatto con l’opera di Poe; la più verosimile è quella riguardante l’attività traduttiva di Charles Baudelaire. I contemporanei dello scrittore americano, infatti, non riuscendo a inquadrare i suoi scritti in un genere letterario definito stentavano a riconoscerne il talento, cosa che il poeta francese non ebbe alcun problema a fare: “con quel puntiglio quasi filologico che metteva nelle cose della poesia, nell’esasperato ossequio delle leggi, delle ragioni metriche, tecniche e formali, rispettoso della grande tradizione retorica, Baudelaire si dedicò a tradurre, in mezzo a inenarrabili difficoltà, le opere dello scrittore americano. Lo vide come la vittima di una società votata alla religione dell’utile, e insieme come uno splendido e freddo creatore che, forse per la prima volta, aveva sottratto all’ombra le ragioni oscure della psiche umana, e si era spinto ai confini della follia, nelle vertiginose concezioni dell’oppio, e ancora, come il teorico del principio della poesia fondata sulla più rigorosa distinzione tra estetica e morale”[4]. Nel 1852 la Revue de Paris pubblicò il saggio baudelairiano Edgar Allan Poe, sa vie et ses ouvrages, mentre nel 1854, su Le Pays, uscirono a puntate i primi Racconti straordinari; nel 1859, in compenso, La Revue française divulgò La genèse d’un poème tratta dalla Philosophy of composition dove Poe esponeva la sua teoria della poesia pura. In questo modo, Charles Baudelaire contribuì significativamente alla diffusione dei testi dell’autore nel continente europeo, permettendo anche ad altri scrittori di scoprire il suo stile innovativo e le sue idee.

Dorian Gray

Confrontando Il ritratto ovale (1842) di Poe con Il ritratto di Dorian Gray (1891) di Wilde, si possono rilevare alcune similitudini riguardanti il modo di concepire il rapporto con l’arte e, soprattutto, il legame tra artista-soggetto-quadro. Il disperato tentativo del pittore, del racconto di Poe, di riprodurre su tela la bellezza dell’amata, lo spinge inconsapevolmente a privarla della vita trasferendo il suo ideale in un oggetto e perdendo, così, la possibilità di apprezzare la vicinanza di una persona in carne e ossa. In egual misura, Dorian Gray, traviato dalle parole di Lord Henry Wotton, inizia a dare più importanza all’esteriorità dell’essere, nella sua rappresentazione artistica, che al proprio io interiore: “Che cosa triste! […] Che cosa triste! Io diverrò vecchio, brutto, ignobile, e questa pittura rimarrà sempre giovane: giovane qual è in questa giornata di giugno… Oh, se potesse avvenire il contrario! Se potessi, io, restar sempre giovane e invecchiasse invece la pittura! Per questo sarei pronto a dare qualsiasi cosa, sì, non vi è nulla al mondo che non darei! Darei la mia stessa anima!”[5].

Nel testo di Poe, inoltre, il pittore è talmente ossessionato dal raggiungere la perfezione artistica che finisce per perdere il senno, mentre la moglie, soggetto del quadro, pur manifestando un’evidente repulsione verso l’arte, accetta per amore di sottostare al desiderio del marito fino a finire “inghiottita” nella tela che la rappresenta. Ne Il ritratto di Dorian Gray Basil Hallward, creatore dell’opera, è affascinato a tal punto dal soggetto da lui raffigurato da considerare inconcepibili le nefandezze di cui viene accusato Dorian; questa sua “cecità” finisce per portarlo alla morte nel momento in cui, vedendo lo stato di decomposizione del quadro (raffigurante l’anima di Dorian), si rende conto che la realtà è ben diversa dal suo ideale. Vi è dunque, in entrambi i casi, un tentativo di aspirare alla bellezza estetica dell’arte; tentativo destinato miseramente a fallire.

Dorian GrayPer quanto concerne l’uso dell’oppio, va detto che tale droga compare sia nel racconto di Poe che nel romanzo di Wilde, ma con funzioni diverse. Ne Il ritratto ovale, il personaggio anonimo assume una dose di oppio per porre fine al dolore fisico che lo tormenta: ha la febbre alta, vorrebbe che il suo servo gli praticasse un salasso, ma quest’ultimo non è in grado di assolvere il compito. Ne Il ritratto di Dorian Gray, invece, Dorian cerca di procurarsi l’oppio poco tempo dopo aver brutalmente assassinato l’amico Basil, ponendosi l’obiettivo di obliare il terribile gesto. Si passa dunque da un consumo di droga a scopo curativo, a un utilizzo della stessa per annullare un tormento psicologico.

Rispetto ad Edgar Allan Poe, che non cerca mai di fornire una spiegazione razionale agli eventi di cui sono protagonisti i suoi personaggi, Oscar Wilde concepisce il testo in modo che nulla lasci presagire una mancanza di logicità in quanto sta accadendo. Ne consegue che mentre Il ritratto ovale consente una libera interpretazione, può darsi che il personaggio stia avendo un’allucinazione provocata dalla febbre o dalla droga, come può darsi che in realtà sia tutto vero o che l’intero racconto sia, di per sé, un incubo del narratore onnisciente, l’esperienza vissuta da Dorian, dall’istante in cui anela all’eterna giovinezza fino alla distruzione del quadro per sua mano, non prevede la partecipazione di elementi soprannaturali, o riti magici o fattori che lascino intuire si tratti di un sogno o un’allucinazione. Al contrario, perfino la “mutazione” del dipinto trova un’apparente giustificazione nell’istante in cui Basil, vedendolo dopo molto tempo, asserisce che forse la tela ammuffita, l’umidità dell’ambiente e qualche sostanza velenosa contenuta nei colori ha deformato il tutto.

Indubbiamente Oscar Wilde compie un tentativo di sperimentazione che supera gli incubi personali di Edgar Allan Poe, in quanto quest’ultimo sviluppa una variante del terrore simbolista mentre il primo inventa due personaggi, Dorian e Lord Wotton, che mirano a plasmare artificialmente la mente. Come giustamente affermato da David Punter:

Forse la parola chiave è artificio: fino a che punto, se è così, le scoperte scientifiche e psicologiche ci aiutano a modellare noi stessi e costituiscono le eventuali forme, necessariamente più che desiderabili, entro cui proiettano la vita umana. È caratteristico del tardo romanticismo wildiano che il mezzo per plasmare non dovrebbe essere la scienza bensì l’arte della pittura, ma il tenore della metafora non cambia: c’è qualcosa che noi possiamo fare grazie a questa conoscenza, da un lato della nostra pluralità interiore e dall’altro della nostra prossimità alle bestie, che non debba per forza tornare a nostro danno? Intorno al 1890 la risposta unanime era: no (2006: 221)

Note:

[1] Cfr. David Punter, Storia della letteratura del terrore, Editori Riuniti, Roma 2006, p. 175.
[2] Cfr. Edith Birkhead, The Tale of Terror: A Study of the Gothic Romance, London 1921, p. 217.
[3] Edgar Allan Poe, Il ritratto ovale, in Racconti straordinari, traduzione di Fernanda Pivano, Sansoni Editore, Firenze 1965, p. 312.
[4] Cfr. Giovanni Macchia, Ritratto di Baudelaire in Charles Baudelaire, I fiori del male, Edizioni Bur, Milano 2001, pp. 9-10.
[5] Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, traduzione di Ugo Dettore, RCS Editori, Milano 2001, p. 68.

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