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Cinema

La forma del triangolo. Il sesso e l’amore secondo Bertrand Blier

Bertrand BlierCi ha schiaffeggiato con sana e ribalda aggressività cinematografica. Ha dileggiato ogni aspettativa dello spettatore medio di soluzioni coerenti, verosimili e riappacificanti, con estrosità e sornionerie delle più efferate. Ci ha condotto all’esplorazione di territori umani in cui lo sconcertante affluisce nell’ordinario, il trucido nel sentimentale. Ha raccontato con provocatoria franchezza casi limite, devianze e deviati, turbamenti e stramberie. E debosciati, delinquenti, prostituti e prostitute. Adolescenti eccentrici e adulti spiantati, bambini mai cresciuti. La violenza e il sadismo, sì, ma anche la tenerezza e il calore delle relazioni umane. Il sesso più laido e sbrigativo e l’amore con la a maiuscola. Mesdames et Messieurs, Bertrand Blier.

La sua ultima creatura, Le bruit des glaçons, non ha ancora attraccato alle italiche sponde, se non quelle del Lido di Venezia, dove è stata presentata ormai parecchio tempo fa (correva l’anno 2010…): confidiamo nella provvidenza distributiva (ma basterebbe la più modesta intelligenza). Nell’attesa, non è uno spreco di materia grigia soffermarsi un istante sull’apporto che il cineasta (e scrittore, sceneggiatore, nonché figlio del mitico caratterista Bernard) ha finora reso. Alla settima arte, alla cultura e all’umore di noi tutti. E perché non scegliere, come porta d’accesso, il tema per antomasia di ogni film o romanzo che si rispetti?

La carnalità più affamata e l’eros più candido, si diceva. Il tutto, in Blier come nella vita, dannatamente complicato. Ai garbugli affettivi più impensati il regista ci ha educato con (in)disciplina, sbattendoci addosso situazioni sceniche ed emotive di pazza e struggente animosità e vitalità e, forse, oscenità. Certo il numero due, quando si parla d’amore, e quindi la coppia, sono riduttivi, costipanti. La coppia, in Blier, scoppia. E si allarga, irresistibilmente. Il triangolo, più o meno praticato, più o meno intimo, è figura che ricorre spesso nei suoi film e, altrettanto spesso, si espande a sua volta in poligoni di dimensioni maggiori. Nel dolcissimo Beau-père (1981), divenuto, in Italia, Ormai sono una donna, una liliale Ariel Besse conquistava il patrigno Patrick Dewaere dopo la morte della madre, per ritrovarsi scalzata dalla matura pianista Nathalie Baye. In Le femme de mon pote (1983), Isabelle Huppert accendeva i desideri dell’amico più caro del suo compagno. In Trop beau par toi (1989), ossia Troppo bella per te!, Gérard Depardieu si divideva tra Carole Bouquet e Josiane Balasko. Sono tre, tuttavia, le pellicole nelle quali meglio si affina e si fissa la fondamentale concezione antropologica di Blier in merito al negotium tra i sessi e nelle quali il ménage à trois assume connotati caratteristici. Pellicole che, avanzando una tesi pressoché analoga e raccontando, in fondo, storie somiglianti, s’imparentano in un’ideale trilogia (o triangolo?) sull’amicizia e l’amore. Rispondono all’appello: Les valseuses, Préparez vos mouchoirs e Tenue de soirée.

Tenue de soirée

Circolato da noi come I santissimi, Les valseuses, che Blier ricavò da un suo romanzo di successo, fu bagnato, nel 1974, da un’improvvisa popolarità, dovuta, senz’altro, ai contenuti scabrosi e ad alcune scene assai esplicite. Rappresentò, per un Blier non esattamente imberbe (l’autore è nato nel 1939), la prima affermazione in campo cinematografico dopo anni di tentativi ingloriosi; e funzionò, contemporaneamente, da carta d’espatrio, data la risonanza fuor di Francia. L’attenzione che il pubblico gli dedicò è tutta meritata. Perché I santissimi è un’opera che folgora e cattura fin dal prologo, in cui una terrorizzata signora di mezz’età è inseguita, nel cortile di un agglomerato di caseggiati periferici, dai due scavezzacolli che ci accompagnano per tutto il film: Pierrot spinge il carrello nel quale è accucciato Jean-Claude, che, a sua volta, tenta di pizzicare il posteriore della vittima. Vivono così, i due amici, allo stato brado, tra ruberie, burle di pessimo gusto, occupazioni d’interni negletti, fughe rocambolesche e promiscuità sessuale, attraversando una provincia smorta e indolente. Inseparabili come e più di due fratelli, vanno anche al bagno insieme. Commilitoni di una quotidiana guerra per la sopravvivenza e unica reciproca certezza in un’esistenza lubrica e pericolosa. Fenomeni umani davanti ai quali anche la distinzione di Kierkegaard tra vita estetica, basata sul frivolo dongiovannismo e il disimpegno, e vita etica, fondata sulla proba responsabilità e propria del buon marito, perde di significato. Perché se, com’è ovvio, ceffi simili mai attueranno la scelta etica, non si può dire che conducano un’esistenza estetica: tutt’al più antiestetica, genitale, impulsiva, sporca e bestiale, retta da una voluntas schopenaueriana che impone la soddisfazione immediata di bisogni primari. A distinguerli dalla ghenga di Alex in Arancia meccanica, è l’assenza di qualsivoglia vezzo dandistico. Oltre, naturalmente, a un cinismo assai meno ferale e sanguinario. Jean-Claude, impersonato da un giovane, ruvido Depardieu è, forse, il più prepotente dei due: non si fa scrupoli, in mancanza di selvaggina femminile, di abusare fisicamente dell’amico. Pierrot, il seducente Dewaere, che troppo presto ha deciso di privarci del suo talento per consegnarci l’irreversibile referto del suo suicidio, si adombra ma perdona subito. Che sarà mai, per due come loro? Loro che, su di un treno preso in velocità e diretto chissà dove, si appagano suggendo il latte dai capezzoli turgidi di una madre (niente poco di meno che Brigitte Fossey) che sta raggiungendo, con il figlio neonato, il marito lontano… Non è superfluo insistere sull’indistricabilità del connubio tra Jean-Claude e Pierrot, perché proprio nel soggetto di Les valseuses Blier enuncia uno dei parametri determinanti la sua visione dei rapporti umani, come attesteranno i film successivi: la complicità virile, così stretta, inevitabile e indispensabile, da prevaricare anche l’interesse per la donna.

Gérard Depardieu

È giunta l’ora di introdurre l’ultimo vertice del triangolo. Perché, durante una delle loro scorribande, i protagonisti incappano nella letargica e impassibile Marie-Ange, shampista e, forse, prostituta, al servizio di un principale e, forse, lenone, dispotico e soffocante. L’ermetismo della ragazza è tradotto in tutta la sua insondabilità da Miou-Miou, una silloge di sguardi vacui e battute smozzicate. I due amici liberano Marie-Ange dall’odioso padrone e la coinvolgono in un legame duraturo, se nel finale (sospeso e incocludente) vediamo i tre sfrecciare su un’auto rigorosamente rubata a caccia di nuove avventure. Marie-Ange diventa la loro donna. E, senza rivalità o sotterfugi, la condivideranno. Certo, non è inedita l’idea di due uomini che spartiscono la stessa compagna senza compromettere la loro amicizia. È l’asse tematico di Jules e Jim, ma nulla è più lontano, da I santissimi, delle atmosfere eleganti del romanzo di Henri-Pierre Roché o della lettura sontuosamente romantica che ne offrì, sullo schermo, François Truffaut. Il triangolo di Blier è qualcosa di spiccio, naturale e mai troppo meditato o sofferto o idealizzato dai personaggi. Un altro pianeta sia dalla passione logorante e dal cupio dissolvi degli amanti di Louis Malle, sia dalle altere geometrie di Eric Rohmer, imbevuto lui sì di Kiergaard, e dei Contes moreaux, dove, comunque, il triangolo rimane sempre potenziale.

Con l’invadenza voyeristica della camera fissa, Blier c’inchioda a consumare, insieme ai tre attori, impudicamente e integralmente nudi, la prima notte di Jean-Claude, Pierrot e Marie-Ange, tra l’indifferenza di lei e la regolare alternanza dei partner maschili. L’equilibrio parrebbe raggiunto fin da subito, anzi lo è; ma c’è un problema. Marie-Ange è anorgasmica: da nessun uomo è mai riuscita a trarre il piacere desiderato. Questo non è un dettaglio gratuito. Spesso la femminilità, in Blier, lo constateremo negli altri film, è una dimensione sfuggente, avulsa dalle logiche e dalla comprensione maschili. Nella donna vi è qualcosa d’inafferrabile, che il maschio stenta a decifrare e che lo divide, volente o nolente, da lei. Per rafforzare, guarda caso, la complicità con gli esponenti del suo stesso genere. Con l’amico, appunto. La soluzione alla freddezza di Marie-Ange sopraggiunge dall’esterno, da un agente allogeno, indipendente dall’asse Depardieu-Dewaere. Un giovane giunto a loro per vie traverse. Si annoti quest’altro elemento, un aspetto che, almeno in Préparez vos mouchoirs, riaffiorerà. È necessario, tuttavia, un passo indietro per identificare il nuovo personaggio e un passo che merita di essere compiuto, dato che il premio è Jeanne Moreau in una delle sue interpretazioni più torve e disperate. L’attrice incarna, infatti, un’ex galeotta inetta a rieducare se stessa alla libertà. Derelitta, recriminante, soffocata da un passato di ricordi tormentosi. Jean-Claude e Pierrot la incontrano, trascorrono una giornata con lei tra confidenze e vaneggiamenti e, nella camera di una squallida pensione, le regalano un ultimo, sofferente amplesso. La donna, infatti, si spara, mentre i due amici dormono, costringendoli alla fuga. Dimostrando, per la prima volta, un germe di umanità e compassione, Jean-Claude e Pierrot si recano dal figlio di lei, un bambinone senz’arte né parte, e gli nascondono la verità, inventando che la madre, finalmente felice, se n’è andata con una nuova fiamma. Accolgono anche il ragazzo nella catapecchia di campagna dove si sono provvisoriamente accasati insieme a Marie-Ange, e qui accade ciò che prima non era mai avvenuto. L’inesperienza e l’ingenuità dell’ospite seducono Marie-Ange e la congiunzione carnale che ne deriva sarà latrice dell’orgasmo a lungo agognato. Com’è stato possibile? Mistero. Non possiamo non ridere, tuttavia, davanti a una Miou-Miou sgambettante e ipercinetica che corre a comunicare la lieta novella ai due spasimanti, intenti a pescare sulla riva del fiume. Perché con loro no e con l’insipido sconosciuto sì? Jean-Claude e Pierrot non possono che piegarsi, con un po’ di risentimento, al nebbioso enigma della femminilità e constatare che l’unica reciproca sicurezza è la loro amicizia. E infatti essa continuerà a dominare, con il suo corteo di bischerate e maschia animalità. Si veda la ragazzina sottratta ai genitori e al barboso campeggio familiare e deflorata su di un prato. Da entrambi, naturalmente! La faccia della pestifera pulzella non diceva molto, nel 1974; a chi riveda il film oggi, invece, sì. Era Isabelle Huppert, in una delle prime apparizioni sul grande schermo. Eppure, già bravissima e carismatica.

Bertrand Blier

Les valseuses rimane un titolo epocale, un autentico cult movie. La veste da film indipendente, il ritmo dinoccolato, la spregiudicatezza prossima alla sbruffoneria, la stessa dei due protagonisti, si lasciano addentare con godimento ancor oggi. Depardiau, Dewaere e Miou-Miou, emanazioni del frequentatissimo Café de la Gare di Parigi e delle sue facezie, vennero investiti da una subitanea celebrità e patentati come attori-feticcio di Blier. Per giunta, finzione e realtà si mescolano in proporzione stuzzicante, perché, all’epoca, Dewaere e Miou-Miou erano fidanzati. Depardieau, dal canto suo, si dimostrò così capace nel cozzare contro l’invalicabile parete psicofisica della sua sua partner finzionale che, di lì a poco, Marco Ferreri, nell’Ultima donna e in Ciao maschio, lo imporrà, sempre molto spogliato, come emblema stesso della crisi della virilità, covata nella distanza siderale dagli orizzonti femminili. Ciò che importa, tuttavia, al di là delle diverse considerazioni che I santissimi può suscitare, è il nitido profilarsi di configurazioni concettuali che lo spettatore ritroverà. Tanto per cominciare, nel film del 1978.

Préparez vos mouchoirs, o Preparate i fazzoletti, segue, infatti, di quattro anni I santissimi e se ne differenzia sensibilmente. Molto più levigato nella confezione, molto meno ardito nelle immagini, Preparate i fazzoletti è un melodramma dell’amour fou abbigliato da commedia grottesca. Un piccolo capolavoro, insignito dell’Oscar al miglior film straniero.

L’esilarante sequenza d’apertura ci cala immediatamente in medias res. Marito e moglie, in un ristorante affollato, consumano un pasto contrito e sospiroso. Raoul non riesce a comprendere che cosa passi per la testa di Solange, sempre così apatica, spenta e distratta. Alt! In una manciata di battute, le domande insistenti di lui, i monosillabi svogliati di lei, Blier ha già confermato se stesso e una componente imprescindibile della sua poetica. Aggiungiamo che Raoul è Depardieu. Solange, invece, è Carole Laure, un’intensa attrice canadese che non ha riscosso, a livello internazionale, la notorietà meritata. Il suggerimento che l’uomo dà alla consorte, piuttosto restia ad accettarlo, è di farsi un amante: chissà che una scappatella extraconiugale non le doni un po’ di carica. Anzi, perché non proprio il bel signore seduto al tavolo accanto? Bello come lo era Dewaere, con la barba incolta e i capelli arruffati. In uno spassoso crescendo dialogico ed emotivo, Raoul riuscirà ad attirare al loro tavolo Stéphane, questo il nome dello sconosciuto, e a metterlo a parte del “progetto”. Il divertimento si amplifica quando al terzetto si aggiunge una passante che prende a consigliare Solange sull’opportunità ricevuta. Stéphane, seppur con ritrosia, accetta e Solange, come al solito, subisce l’iniziativa altrui. Il triangolo è costituito. Stéphane è un educatore e una persona di cultura. Conduce una vita ordinata come i volumi tascabili che dispone in ordine alfabetico e numera puntigliosamente. Adora Wolfgang Amadeus Mozart e cerca di coinvolgere nella sua passione anche Solange, della quale si sta progressivamente innamorando, decantando le virtù del magnifico Andante del concerto per pianoforte e orchestra n. 21 in do maggiore, il K 467, le cui note incantatrici si levano sulla pellicola. Lei, però, non sembra mutare. Attaccata ai ferri come a una protesi, lavora nervosamente a maglia, bandendo dal suo regno di silenzio e imperscrutabilità l’amante come il marito. E ciò non può che accomunare, ergo avvicinare, i due uomini. Ci risiamo: un’altra coalizione maschile nata sul terreno dell’indifferenza muliebre. A Mozart pare appassionarsi molto più Raoul di Solange. La lunga scena in cui, una notte, a casa di Stéphane, il concerto per clarinetto e orchestra in la maggiore K 622 la fa da padrone è una chicca squisita. Perché la musica indispone un vicino di casa (l’ottimo e perennemente stralunato Michel Serrault) che, infuriato, sale a protestare, trovando Raoul e Stéphane in preda a un rapimento orfico: finiranno per sbronzarsi tutti e tre, fra sproloqui musicali e proteste esistenziali, mentre Solange, intangibile, sferruzza.

Bertrand Blier

Anche Solange, tuttavia, come Marie-Ange prima di lei, uscirà dal guscio dell’accidia. Ma chi poteva supporre che ciò sarebbe accaduto grazie a un tredicenne? I due sposi accompagnano Stéphane e la sua ciurma di ragazzini in una colonia montana. Raoul e Stéphane trascorrono con la donna una notte per uno e, qualora la memoria non li aiuti ad assegnare il turno, non litigano certo, né sono gelosi l’uno dell’altro. Ormai, il loro affiatamento è direttamente proporzionale alla spiazzante melanconia di Solange. Un ordigno sta, però, per esplodere. Christian, poverino, è lo zimbello della comitiva, deriso e bistrattato vuoi per invidia vuoi per incorreggibile crudeltà adolescenziale. D’altronde, con un quoziente intellettivo di 158 e un’erudizione che spazia dalle scienze, alla politica, alla musica… Christian, interpretato dal prodigio Riton (poi divenuto attore professionista, accreditato come Riton Liebman), dà filo da torcere agli adulti con la sua preparazione e, particolare che indispone Stèphane, predilige Franz Schubert a Mozart. Inizialmente è la pena che si prova per gli esclusi a spingere Solange verso Christian, a risvegliare in lei una sorta di istinto materno, di vocazione protettiva. Ma l’abitudine di accoglierlo nel letto si rivelerà scellerata. Il pivello s’innamora, infatti, di lei. Prevedibile, in fondo. Parrebbe assurdo il viceversa. Anzi, lo è. Ma parliamo di Blier, che sull’assurdo ci marcia. E regalmente. Solange viene travolta da un sentimento mai sperimentato prima. Raoul e Stéphane sono stati sconfitti. Ammesso e non concesso (non concesso!) che mai si fossero potuti definire vincitori.

Christian, dal canto suo, non è affatto l’agnellino che sembrava tra i compagni irruenti. E, infatti, lo lasciamo mentre, imposta Solange come domestica nella villa di famiglia, sta attuando un diabolico piano di eliminazione graduale del padre malato, così da ereditarne gli averi e coronare il suo sogno d’amore con Solange. E poiché Blier non ci priva di nulla, ricordiamo pure che lei è in evidente stato di gravidanza.

Nella scena conclusiva, davanti al cancello della villa, Raoul e Stéphane scrutano le finestre illuminate, sospirando per la perduta Solange. Quindi si allontano, insieme, a piedi, certi, ormai, solo della solidarietà e del supporto che possono recarsi vicendevolmente, traditi da una donna che concentra, in sé, i rebus di ogni creatura femminile. Nell’aria, risuonano le note della Melodia ungherese: Schubert ha prevalso su Mozart. Christian ha battuto Stéphane (e Raoul). È lecito assegnare ulteriori accezioni simboliche agli inserti musicali? Ad esempio, ravvisare, oltre all’affermazione, questa sì palese, di Christian, anche la vittoria del Romanticismo, con le sue ugge e i suoi struggenti trasporti sentimentali, sul classicismo viennese? Appare un po’ forzato. Di sicuro, ciò che accomuna il discepolo di Antonio Salieri al destinatario per antonomasia dell’invidia del compositore veneto è l’essere periti entrambi a poco più di trent’anni, in condizioni di precarietà e disagio. Un monito per Christian?

Tenue de soirée

Tenue de soirée, presentato a Cannes nel 1986, divenne un best seller nelle biglietterie francesi. Merito, soprattutto, della farsa en travesti in cui il soggetto evolve, ciò che ha determinato l’adattamento del titolo in Lui portava i tacchi a spillo. Il film, un astuto incastro di comica licenziosità e azione pseudo-poliziesca, accoglie le suggestioni già presenti in Les valseuses e Préparez vos mouchoirs e le manipola fino a estremizzarle. Vediamo come.

Antoine e Monique sono una coppia di sbandati che sopravvive alla meno peggio di espedienti. Saranno le ristrettezze economiche o le preoccupazioni d’ogni giorno, ma i due non vanno d’accordo. Monique è scostante, tormentata. Antoine nutre una certa tenerezza nei suoi confronti, ma non riesce a decriptarne le più recondite insofferenze. Blier torna sul luogo del delitto. È sempre la stessa storia: il maschio, la femmina e una comunicazione difettosa. E lei rimane appartata nel suo mistero, dove lui è uno straniero malvisto. Mentre litigano in un bistrot, Antoine e Monique vengono accostati da Bob, un individuo dal fascino magnetico. Se Bob non fosse un delinquente e Antoine e Monique una coppia assai meno rispettabile di Raoul e Solange, la situazione ricorderebbe molto la sequenza del ristorante di Preparate i fazzoletti. Quanto meno, non manca Depardieau, che presta il viso a Bob. Miou-Miou, non più bionda ma bruna, interpreta con rabbia Monique, mentre lo smunto Michel Blanc, premiato a Cannes come migliore attore, si sobbarca il personaggio di Antoine.

Tenue de soirée - locandinaL’effetto che Bob sortisce sugli equilibri della coppia è perturbante. Oltre a implicarli nei furti che va organizzando, risveglia, con la sua prestanza luciferina, pulsioni pericolose. La prima a venir sedotta è Monique, la quale, sotto gli occhi di un compagno sopraffatto, si concede al bandito senza nascondere l’adulterio. Ma l’orientamento sessuale di Bob è piuttosto equivoco, come possente la sua fame sessuale. E così, approfittando della fiducia di cui gode presso Monique, attira nella sua rete anche Antoine. Lo venderà a clienti vogliosi, come un Bruno Crémer al top dell’autoironia, ma saprà anche trasformarsi, per Antoine, in un tenero amante. Anzi, la crescente affinità elettiva tra i due uomini finisce per obnubilare il terzo polo del ménage, Monique. Blier non si accontenta, stavolta, di raccontarci la genesi di un’amicizia maschile che sopperisce all’allontanamento (spirituale o fisico) della donna. Giunge addirittura a presentarci due uomini che preferiscono sbrigare anche le faccende erotiche tra loro, anziché smarrirsi nei malumori e nell’inaccontentabilità della comune ragazza. Il regista non è stato graziato, nel corso degli anni, dall’accusa di misoginia. Ma questo è un aspetto, in fondo, secondario, davanti alla sostanziale coerenza del discorso che l’autore ha sviluppato. Lui portava i tacchi a spillo ne è l’apoteosi, anche perché il meglio arriva ora.

L’irrequietezza spinge Monique a piantare Antoine e Bob e ad andarsene. Finirà tra le grinfie di un protettore manesco che la costringe al meretricio, ma questo lo apprenderemo solo in seguito, e non è così fondamentale. Ciò che importa è cosa accade tra Antoine e Bob, perché è proprio nella piega che assumono i fatti che la poetica di Blier scala il suo grattacielo. Bob rimane il membro dominante, il capo clan. E Antoine diventa… la sua donna. Cammuffato con abiti femminili, truccato e imparruccato, Antoine è la più devota delle concubine. Innamorata, premurosa, solerte: il sex appeal di una donna e il vantaggio di essere un uomo. La soluzione, quindi, al regime di incomprensione che aggioga i legami eterosessuali.

L’intreccio si complica ulteriormente, forse fin troppo, perché, a un certo punto, Blanc e Depardieu ritroveranno Miou-Miou e, obbligati dalla necessità, divideranno con lei il marciapiede. Stavolta, anche Bob, per campare, è costretto a mettere la gonna. In ogni caso, i contrasti con lei si riaffacciano e un litigio furioso spezza il rinnovato “sodalizio”.

Gli uomini rimangono uomini, anche se travestiti, e la donna rimane donna. Due realtà incociliabili.

Les valseuses

Titolo italiano: I santissimi
Regia: Bertrand Blier
Soggetto: dal romanzo Les valseuses di Bertrand Blier
Sceneggiatura: Bertrand Blier, Philippe Dumarçay
Fotografia: Bruno Nuyten
Montaggio: Kénout Peltier
Scenografia: Raymond Lemoigne
Musiche: Stéphane Grapelli
Origine: Francia, 1974
Interpreti: Gérard Depardieu (Jean-Claude), Patrick Dewaere (Pierrot), Miou-Miou (Marie-Ange), Jean Moreau (Jeanne), Jacques Chailleux (Jacques), Brigitte Fossey (la madre sul treno), Isabelle Huppert (Jacqueline)

Préparez vos mouchoirs

Titolo italiano: Preparate i fazzoletti
Regia: Bertrand Blier
Soggetto: Bertrand Blier
Sceneggiatura: Bertrand Blier
Fotografia: Jean Penzer
Montaggio: Claudine Merlin
Scenografia: Gérard James
Musiche: Georges Delerue
Origine: Francia/Belgio, 1978
Interpreti: Gérard Depardieu (Raoul), Patrick Dewaere (Stéphane), Carole Laure (Solange), Riton (Christian), Michel Serrault (il vicino di casa), Eléonore Hirt (madre di Christian), Jean Rougerie (padre di Christian)

Tenue de soirée

Titolo italiano: Lui portava i tacchi a spillo
Regia: Bertrand Blier
Soggetto: Bertrand Blier
Sceneggiatura: Bertrand Blier
Fotografia: Jean Penzer
Montaggio: Claudine Merlin
Scenografia: Jean-François Cousson, Michel Grimaud
Musiche: Serge Gainsbourg
Origine: Francia, 1986
Interpreti: Gérard Depardieu (Bob), Michel Blanc (Antoine), Miou-Miou (Monique), Bruno Crémer (il cliente)

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