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Fumetto

Mauro Boselli

Cavalcando con Tex Willer

Mauro BoselliIl nome Bonelli era scritto nel suo destino fin da quando, ancora ragazzino, fu compagno di classe di Giorgio Bonelli, fratello di Sergio e figlio di Gian Luigi, il creatore di Tex Willer e fondatore della più prestigiosa casa editrice italiana che pubblica fumetti. Mauro Boselli ha sempre avuto il talento del narratore ma solo dopo aver conosciuto Gian Luigi si orientò verso i fumetti. Quando poi lo frequentò assiduamente svolgendo per due anni l’attività di “segretario factotum” presso il suo studio, capì allora quale fosse la vera essenza di Tex: ne aveva davanti la personificazione! Dopo aver sceneggiato molte avventure del Ranger più famoso del mondo dei fumetti, alcune delle quali sono ormai diventate dei classici, oggi Boselli è anche il curatore della testata portabandiera della Sergio Bonelli Editore: un incarico che farebbe tremare i polsi a molti. Non pago di questa responsabilità, da molti anni scrive storie per Zagor, altro personaggio storico della Bonelli, e per Dampyr, la sua creatura horror, diventata col tempo una delle serie più interessanti che la casa editrice milanese propone mensilmente nelle edicole. Boselli è così diventato uno dei più prolifici sceneggiatori nella storia della Bonelli e le sue avventure si distinguono sempre per una raffinata costruzione psicologica dei personaggi, sia protagonisti che comprimari.

Alessandro Olivo (AO): Mauro, tu hai conosciuto sia Gian Luigi che Sergio Bonelli: puoi dirci quali sono le principali differenze fra padre e figlio e, soprattutto, quanto di queste è finito nei personaggi da loro creati: Tex da una parte e Zagor e Mister No dall’altra?

Mauro Boselli (MB): Per chi li ha conosciuti, ma anche per chi semplicemente li vede nel bellissimo film di Giancarlo Soldi Come Tex nessuno mai, è evidente che padre e figlio erano alquanto diversi fra loro. Di Gian Luigi si sa che era Tex Willer in persona, che si vestiva come Tex, che agiva e parlava come Tex: era un uomo molto complesso, in realtà, ma apparentemente semplice e diretto e che sicuramente non la mandava a dire, proprio come Tex. Il figlio Sergio, per vari motivi, aveva una psicologia molto diversa. Anche lui era molto complesso ma lo si vedeva a prima vista. Aveva dubbi, si metteva in discussione, si può anche dire che, pur avendo le idee chiare, non era così assertivo della sua posizione ma ascoltava gli altri e poteva cambiare idea anche da un giorno all’altro e lo diceva tranquillamente. Anche nelle storie che loro hanno scritto si vede questa differenza, i loro personaggi sono molto diversi. Si sa che Zagor e Mister No sono personaggi tormentati e, in particolare Mister No, quasi anti-eroici. Le storie di Sergio molto spesso non hanno buoni e cattivi, ma personaggi che si trovano di fronte a un bivio e che fanno delle scelte. Mentre nelle storie di Tex il bianco e il nero sono sempre molto chiari e netti. Ciò non toglie che padre e figlio erano entrambi garndi amanti dei fumetti ed entrambi erano in grado di collaborare tra loro, perché Sergio scrisse molte storie di Tex e Gian Luigi le approvò, anche se sapeva che il Tex del figlio era diverso dal suo, era pieno di dubbi e tormentato. Di sicuro Gian Luigi, che fu editore negli anni Trenta, fece bene a limitarsi alla sola scrittura, perché alla fine quello in grado di essere un grande editore, così vario nelle scelte e capace di far lavorare anche persone e autori che non condivideva completamente, non poteva essere che Sergio, uomo più moderno e complesso.

Almanacco dell'Avventura 2014AO: L’ultimo Almanacco dell’Avventura uscito in settembre è dedicato alla figura di due grandi personaggi del fumetto italiano, entrambi scomparsi di recente: Sergio Toppi e Decio Canzio. Quest’ultimo è stato molto importante, se non fondamentale, per il tuo lavoro, così come per quello di molti altri dentro la Bonelli. Ci puoi spiegare perché?

MB: Ho un ricordo vivissimo di Canzio fin dal primo giorno in cui mi accolse in Bonelli e rammento le volte che mi sedevo davanti a lui a discutere su una sceneggiatura. Ebbene, Decio Canzio è stato per tutti noi, per Tiziano Sclavi, per tutti quelli che hanno lavorato come redattori sotto di lui, un grande maestro di editing, un grande maestro di come si scrive, si edita, di come si corregge una bozza o una storia. Era anche abilissimo nel trovare i buchi narrativi di una sceneggiatura. Aveva un metodo, che tutti noi ora cerchiamo di imitare, che era a prova di bomba. Certamente bisogna avere un talento nel cogliere l’errore narrativo, l’imprecisione, e lui lo sapeva fare, essendo un grande lettore di gialli e di polizieschi e dotato di una mente molto logica. Per cui è stato un grandissimo direttore, un grandissimo maestro. La Bonelli è conosciuta per la sua precisione e per le sceneggiature a prova di bomba e questo è dovuto essenzialmente alla personalità di Canzio. Per cui da una parte c’era la fantasia di Sergio e dall’altra il rigore di Canzio e questa alchimia faceva la casa editrice. Molti di noi, cresciuti a questa scuola, cercano di assommare entrambe le qualità e credo che Tiziano Sclavi, Mauro Marcheselli e io stesso siamo in grado di scrivere e anche di fare i redattori di noi stessi (cosa che non è facile) perché abbiamo seguito questi due grandi esempi. Consiglio a tutti di leggere l’Almanacco dedicato a Canzio perché era una persona molto complicata e interessante.

AO: Paolo Bacilieri ha dichiarato che Emilio Salgari (cui ha dedicato l’affettuosa biografia a fumetti Sweet Salgari) è come se fosse il bisnonno dei fumettisti, cioè di tutti quelli che fanno questo lavoro sospeso a metà fra realtà e fantasia. Sei d’accordo? Pensi inoltre che la Bonelli abbia raccolto l’eredità della letteratura d’avventura in Italia dopo la morte di Salgari?

MB: Condivido assolutamente l’opinione di Bacilieri. Io stesso, quando mi rivolgo a uno sceneggiatore in erba o che aspira a scrivere per noi, gli chiedo sempre se conosce Salgari (io lo chiamo ancora Sàlgari con la pronuncia sdrucciola, quella dei vecchi aficionados) e se lui risponde di no, allora perde già la metà dei punti e mi mette in sospetto, soprattutto se pretende di raccontare l’Avventura. In effetti gli eredi italiani di Salgari, secondo me e altri, siamo noi della Bonelli. È stato sicuramente Gian Luigi Bonelli il suo primo vero erede. Dal romanzo popolare salgariano si è passati direttamente al fumetto. In Italia non c’è mai stata una grande tradizione del romanzo popolare d’avventura e credo che gli albi Bonelli l’abbiano in un certo modo sostituito. Sono molto contento anche della dedica che Bacilieri mi ha fatto, quando mi ha regalato Sweet Salgari, perché c’è un disegnino raffigurante Emilio Salgari che dice “Ciao Mauro, collega”. E questo è molto simpatico e divertente.

Tex WillerAO: Quali sono i canoni di Gian Luigi Bonelli che ogni sceneggiatore di Tex deve rispettare quando si accinge a scriverne un’avventura?

MB: La domanda che mi fai richiederebbe una risposta chilometrica. In realtà è molto difficile da spiegare per chi non ci è nato dentro. Per capire bene bisognerebbe assimilarlo dall’interno. A volte, anche con sceneggiatori molto bravi che collaborano con me attualmente, mi tocca spiegare quello che può accadere e che non può accadere in una storia di Tex. Per esempio: se Tex guarda una persona negli occhi, già capisce da che parte sta. Poi assolutamente non può indietreggiare davanti al pericolo, non può evitare di difendere una persona in pericolo anche se corre pericolo lui stesso. Ci sono diverse problematiche, quando si scrive una storia di Tex, perché è un eroe tutto d’un pezzo e non deve mai essere messo in una posizione in cui perde per sua incapacità o per sua stupidità. Quindi è molto difficile metterlo nei guai, anche se va comunque fatto, perché le storie sono fatte delle difficoltà che l’eroe incontra. Queste regole non scritte dovrebbero ridursi a una, in realtà: Tex non sbaglia mai. E quindi, per fargli avere delle avventure e delle peripezie, bisogna veramente sforzarsi per metterlo in difficoltà contro nemici formidabili oppure numerosi e bisogna usare anche un po’ la mano del destino. Ma anche in questo caso si deve stare attenti, perché la casualità va usata fino a un certo punto.

Per cui diciamo che, per riuscire a scrivere Tex senza sbagliare, visto che lui non sbaglia, bisogna immedesimarsi molto in questo personaggio dotato di qualità più che umane. Per me, devo dire, è stato abbastanza facile, perché ero praticamente a scuola dall’alter ego umano di Tex, ossia Gian Luigi Bonelli, dunque so benissimo cosa Tex pensa e fa in una determinata situazione. Nelle numerosissime storie che abbiamo pubblicato ci sono anche eccezioni a questa regola, non lo nego, ma io gli errori li vedo, e li vedono anche molti lettori, quindi bisogna stare attenti a non cambiare il personaggio, tradendo queste poche regole di cui ti ho detto. Chiaramente, poi, lui è assolutamente leale, ma non al livello di diventare un boy scout. È ovvio che non spara, teoricamente, nella schiena, ma se deve salvare qualcuno, lo fa! Quindi attenzione a non pensare che Tex sia un eroe romantico: è assolutamente un uomo giusto, ma violento.

AO: Una volta hai detto che se Tex fosse una persona reale, bisognerebbe diffidare di lui. Perché?

MB: Ti ho quasi risposto con la risposta precedente, perché essendo un uomo che ti legge dentro e che agisce in modo estremamente violento, se tu hai qualcosa sulla coscienza, sei fregato! Per affrontare Tex, infatti, bisogna avere due “cosiddetti” così! Se invece hai la coscienza a posto, stai tranquillo. Anzi, probabilmente ti salva la pelle se sei in pericolo. Quindi, in questo caso, non sarebbe male avere Tex al proprio fianco nel pericolo. Ma, in realtà, non ricordo esattamente quando ho fatto questa affermazione…

AO: L’hai fatta in un dibattito intitolato Fumetti: le ragioni del nuovo eroe, moderato da Luca Raffaelli, con ospiti Mauro Marcheselli, Michele Masiero e te, nell’ambito della manifestazione La Repubblica delle Idee, organizzata dal quotidiano La Repubblica a Bologna nel giugno 2012.

MB: Ora ricordo il senso della mia affermazione. Nella realtà un uomo come Tex non può esistere.. Bisogna coltivare il dubbio, nella realtà, si sa, per cui tra la filosofia di Gian Luigi e quella di Sergio, probabilmente ha ragione Sergio, anzi io lo credo. Però qui stiamo parlando di un uomo al di sopra del vero. È un personaggio che esprime una funzione carismatica e catartica per i lettori. Effettivamente è un eroe e, quindi, gli eroi sono al di sopra sia della legge sia dei giudizi umani, perciò loro non devono sbagliare. Ma un uomo che si comportasse così nella realtà, sarebbe effettivamente uno di cui diffidare: pero non sarebbe Tex, sarebbe uno che finge di esserlo.

Color Tex: Lo sciamano biancoAO: Oltre a te, che ne sei anche curatore, gli sceneggiatori di Tex sono Gianfranco Manfredi, Tito Faraci e Pasquale Ruju. Pur nell’osservanza dei canoni di bonelliani da parte di ciascuno di voi, quali sono le differenze nel vostro stile di proporre le avventure del Ranger?

MB: È chiaro che solo Gian Luigi Bonelli scriveva il Tex classico, perché lui ne era l’autore, e tuttavia anche lui nel corso della sua carriera ha subito un’ evoluzione. Dalle prime avventure serratissime, nei primi numeri, con Tex abbastanza in difficoltà, romantico e spericolato, che commetteva molti errori, è passato al ranger canonico che non sbaglia mai, imperturbabile, e però sorridente, ironico, del periodo centrale della sua carriera. E c’è stata perfino un’involuzione verso la fine delle sue avventure: anche se era un grande sceneggiatore, data l’età avanzata, come è naturale, le storie diventavano un po’ ripetitive, prive del suo leggendario mordente, a volte un po’ confuse. Per esempio la sua ultima storia, Il medaglione spagnolo, fu in parte riscritta da Tiziano Sclavi, il cuoi stile è riconoscibilissimo in certi dialoghi. Per cui non c’è un solo Tex di Gian Luigi Bonelli, ce ne sono diversi. A maggior ragione ci sono diversi Tex di Nizzi, cioè è diverso il Tex delle origini di Nizzi dal Tex del suo ultimo periodo.Probabilmente anche io ho avuto un’evoluzione che non sono bene in grado di discernere, ma le mie storie attuali sono diverse da quelle di vent’anni fa e così via. Quindi all’interno perfino dello stile di uno stesso autore ci sono dei cambiamenti.

È normale che autori diversi che scrivono lo stesso personaggio lo approccino in una maniera differente. Si sa, per esempio, che Manfredi ha una grande fantasia e volontà nel ricercare gli angoli reconditi anche della Storia ed è attratto dalle situazioni bizzarre. Ruju ha un retroterra noir (lo aveva anche Gian Luigi Bonelli, che amava i romanzi di Spillane) per cui le sue storie sono sempre piuttosto dure, dense di personaggi con un passato, ci sono dei momenti di pathos e perfino di melodramma, detto nel senso buono, nel senso del romanzo noir. Le storie di Faraci sono invece abbastanza di azione pura, per il momento. Gli sto chiedendo di complicare qualcosa perché, sinceramente, acquisterebbero più spessore e, non essendo nessuno di noi Gian Luigi Bonelli, non possiamo reggere una storia in cui succede poco; noi abbiamo bisogno di metterci qualche peripezia originale. Però Faraci sinora si è mosso nell’azione pura, a volte con Tex in solitaria.

Io cerco di variare molto e spero che le mie storie siano diverse l’una dall’altra e molto spesso lo sono. All’inizio usavo di più anche dei personaggi collaterali, delle sottotrame, per cercare di dare più pathos alle storie, nel senso che un personaggio secondario avrebbe potuto anche lasciarci la pelle. Quindi questo rendeva più interessante la storia perché, visto che Tex e i suoi pards non muoiono mai, almeno dei personaggi secondari come il ribelle irlandese Shane della storia Gli invincibili o il sergente disertore nella storia Cercatori di piste potevano morire… e infatti muoiono! Questo era un modo di dare più pathos alle storie che in quel periodo funzionò. Più tardi ho cercato di fare anche io il mio Tex più classico in stile bonelliano, con storie come I colpevoli o Intrigo nel Klondike. In alri casi ho introdotto, anche se non sempre, degli episodi basati sulla Storia, e questo su richiesta di Sergio Bonelli che aveva un pallino per le storie storiche. Per cui le storie Missouri!, I ribelli di Cuba, Buffalo soldiers sono tutte nate da suggerimenti di Sergio Bonelli. Io personalmente prediligo di più le storie fantastiche, in cui mi son cimentato di rado, anche se uscirà, fra due o tre anni (dipende da quando finiremo) l’attesa storia del ritorno di Yama, con Civitelli. Per quanto riguarda il western puro, preferisco le storie epiche, che son difficili da fare, in cui ogni tanto cerco di cimentarmi. Tipo Sulla pista di Fort Apache, per intenderci. O Nei territori del Nordovest.

E quindi ognuno di noi, come vedi, ha il suo sguardo particolare, il suo modo particolare di porsi, tenendo però presente che Tex è quello che si è detto prima, quindi non può cambiare il personaggio centrale, pena il crollo della struttura.

Caccia all'uomoAOCaccia all’uomo, la prima storia scritta da Sergio Bonelli/Guido Nolitta per Tex e pubblicata nel gennaio 1976, fu considerata dal suo autore una storia sbagliata, perché in effetti Tex prende un granchio nel considerare colpevole un uomo che non lo è, e, quando se ne ravvede, è troppo tardi per salvargli la vita. Sei d’accordo col giudizio di Nolitta? È una storia da dimenticare o invece da considerare per l’umanità che è stata aggiunta alla figura di Tex?

MB: Le tue domande permettono di fare un discorso coerente e concatenato perché tu mi proponi adesso una domanda su una storia molto controversa. La prima storia di Tex scritta da Sergio Bonelli, cioé da Guido Nolitta, fin dal suo apparire, a me stesso che ero un cultore di Tex e un appassionato e anche un amico della famiglia, sembrò veramente fuori linea, perché il Tex di quell’avventura è effettivamente nelle prime pagine uno sbirro, perfino uno sbirro che sbaglia: per cui sembra visto da un sessantottino. È come se Sergio si fosse messo nei panni di un ragazzo dell’epoca, di sinistra addirittura, (fra le numerosissime sfaccettature di Sergio c’era anche questa) che vedeva Tex come uno sbirro e che dava violetemente la caccia all’uomo, in quel caso un ragazzo, sbagliato. Certamente è così. L’idea bellissima della storia è che Tex poi vendica il ragazzo in maniera feroce, perché deve anche redimere se stesso da questo errore. La storia è accettabile sotto il punto di vista che perfino Tex, diamine!, può fare un errore nel corso della sua vita, l’importante è che non li faccia tutti i mesi! E quindi la storia, nonostante questo, è diventata un classico. E tra l’altro è bellissima e commovente. Veramente, dopo, pur mantenendo questo approccio, che si vede soprattutto in certe situazioni singole oppure nel suo modo stilistico di raccontare, Sergio si adeguò di più al personaggio e tirò fuori dei veri capolavori che si possono equiparare a quelli di Bonelli padre, come El Muerto o Cheyenne Club, capolavori sì, ma non più tanto discutibili come era la pur bella Caccia all’uomo.

AOOklahoma!, scritta da Giancarlo Berardi, è un’altra storia sui generis di Tex. Sergio Bonelli la destinò in un numero fuori serie (poi diventato l’antesignano dei Maxi Tex) per non infastidire i lettori più conservatori di Aquila della Notte. Cosa pensi della storia e della scelta di Sergio?

MB: Sergio si sentiva abbastanza libero quando si trattava di scrivere le sue storie, perché lui era un autore e quindi si concedeva giustamente delle libertà. Anche io stesso, infatti, nonostante sia il curatore da un anno di Tex e quindi sappia benissimo come lo si dovrebbe scrivere, ogni tanto quando scrivo mi lascio la briglia sciolta per tirar fuori gli effetti buoni. Questo deve fare l’autore, non può reprimersi e tarparsi continuamente, sennò si rischia l’implosione, come è successo in altri casi in passato. Quando invece si trattava di essere curatore (a quell’epoca era Sergio il primo curatore di Tex insieme a Decio Canzio), era molto severo e infatti vide in Oklahoma! di Berardi qualcosa di anomalo, di troppo moderno che io personalmente ora non noto più.

Oklahoma! di Berardi è stata una delle storie che ho giudicato tipiche di un nuovo modo di interpretare Tex pur alla luce del Tex classico, e che mi hanno permesso di scrivere storie come Il passato di Carson e Gli invincibili, mi hanno permesso cioè di liberarmi un po’. Berardi, infatti, ha scritto Oklahoma! rispettando perfettamente il personaggio, rispettando la tradizione e il dialogo, che anzi è molto brillante, ma usando però certi suoi meccanismi, certi suoi cosiddetti siparietti, che siparietti poi non sono, cioè delle sottotrame, degli approfondimenti psicologici, dei passaggi narrativi moderni che rendono questa storia un capolavoro pur trattandosi in fondo di una vicenda semplice e classica, ma epica. All’epoca la prudenza di Sergio l’aveva messa fuori dalla serie regolare, ma qualche anno dopo probabilmente non l’avrebbe fatto, altrimenti non avrebbe accettato la nascita di certe mie storie! Questo, però, permise di creare la collana dei Maxi. Allo stesso modo la storia Tex il grande!, di Buzzelli, che all’epoca lui giudicava anomala, gli permise di creare la collana dei Texoni. Quindi alla fine questi dubbi si son rivelati scelte editoriali vincenti. Però la sua prudenza come editore era superiore al suo coraggio come autore.

PatagoniaAO: Quali sono i motivi, secondo te, per i quali il fumetto western ha attecchito molto di più in Europa (oltre agli italiani Tex, Ken Parker, Storia del West, Il Piccolo Ranger, Magico Vento, penso ai franco-belgi Blueberry e Comanche) piuttosto che nella sua patria, gli Stati Uniti?

MB: Rispondere al perché il fumetto western abbia avuto più successo in Europa che negli Stati Uniti è sempre opinabile perché si possono avere varie teorie a proposito. Gli Stati Uniti hanno avuto una grandissima tradizione di romanzi western, i dime novels alla fine dell’Ottocento e poi i romanzi ai primi del Novecento, con dei grandi autori come Zane Gray, Willa Cather, Curwood, Owen Wister. Poi sono arrivati gli autori pulp degli anni Trenta, come Max Brand, Ernest Haycox, Alan LeMay. Quindi c’è una grandissima tradizione di romanzi western da cui gli sceneggiatori cinematografici già negli anni Dieci e Venti tiravano fuori centinaia di film, per non dire delle serie televisive che, dagli anni Quaranta in poi, hanno saturato il mercato dei western. Il western era una cosa un po’ del cortile di casa loro. Facevano dei romanzi anche molto approfonditi in cui si vede un western a volte romantico, a volte vero. Si son fatti western cinematografici di tutti i tipi, dal film di serie B col bandito dal cappello nero fino ai western psicologici e approfonditi di John Ford, di Anthony Mann,di Arthur Penn, eccetera.

Quando invece realizzavano comics gli americani andavano nei luoghi esotici, andavano a cercare la fiamma della Regina Loana o il pianeta Mongo o la Camelot di Valiant. Secondo me non c’era spazio per il fumetto western, perché passava in secondo piano rispetto alla grandissima tradizione letteraria e cinematografica che loro avevano, perché parlava della storia del loro Paese. Tu mi potresti far notare che il fumetto noir e quello poliziesco hanno avuto più successo e che ci son stati capolavori come Rip Kirby, eccetera. Questo è anche vero, però bisogna sempre tener conto che il vero genere americano per eccellenza è il western. Il fumetto era visto allora come una cosa di fantasia, e lo è visto tuttora, con la saga dei Supereroi, attivi da più di sessant’anni!. Quindi è una cosa comica, oppure supereroistica o esotica. Evidentemente il western non era adatto a questo, a parte qualche raro autore di successo come Warren Tufts, non ci sono stati altri fumettisti western considerevoli, proprio per questo motivo. Cioè il western era già inflazionato a livello incredibile nella letteratura e nel cinema. Il fumetto dunque doveva battere altre strade. Per noi europei, invece, il western è un mito, è solo un mito, non è anche storia, e il fumetto quindi vi si adattava benissimo. E da qui i grandi fumetti francesi e italiani di genere western.

AO: In Patagonia, il Texone da te scritto e magnificamente disegnato da Pasquale Frisenda, Tex e il figlio Kit sparano apertamente contro i soldati dell’esercito regolare argentino, schierandosi al fianco degli indios locali. Considerando tutte le avventure precedenti nelle quali Tex aveva condotto azioni di guerriglia contro alcuni reparti dell’esercito statunitense, cercando di versare il minor sangue possibile, in Patagonia assistiamo ad una rottura di questo schema. Come nasce quest’idea?

MB: Patagonia, esattamente come le altre storie storiche di cui ti ho detto, nasce da un suggerimento di Sergio. Lui aveva avuto dei libri sulla Patagonia da un nostro collega e amico, che purtroppo è morto, Mario Fagella, autore di due storie per Dampyr (I massacratori delle Ande e Danza con la morte), persona molto colta e grande conoscitore dell’Argentina. Per una volta Tex non era nel suo ambiente, dove dovevamo invece usare prudenza per una tradizione GL-bonelliana, secondo la quale Tex deve sempre stare un po’ in mezzo al guado per ovvi problemi di sopravvivenza (essendo agente indiano potrebbero licenziarlo o arrestarlo e giudicarlo in tribunale). Non può fare la scelta estrema del Sergente Kirk di Oesterheld e Pratt. Lo stesso Gian Luigi, d’altronde, nemmeno in Sangue navajo permette a Tex di sparare all’esercito regolare. Allora io e Sergio decidemmo che invece lì, in Patagonia, era lecito schierarsi, perché quello era un luogo selvaggio e lontano da casa e quindi Tex sceglie di stare con gli indiani. Questa era una scelta che aveva fatto anche Zagor in diverse storie. Era la decisione giusta da prendere in quel caso. Sergio stesso mi disse: “quando la crisi avviene, può sparare sui soldati e ucciderli”. Era una scelta indubbiamente forte.

ZagorAO: A proposito di cambio di schema, anche in una tua recente storia di Zagor, ambientata nel nord-est brasiliano con i mitici fuorilegge Cangaceiros, lo Spirito con la Scure scopre che i cosiddetti banditi difendono la giustizia, mentre la legge e l’esercito stanno dalla parte dei ricchi fazenderos. Si può dire, in altre parole, che Zagor impara che esistono luoghi dove c’è una distanza fra la giustizia e la legge e che, in tali scenari, una banda ben organizzata di resistenti è più efficace di un eroe solitario?

MB: Ma che cos’è: un manuale di guerriglia? In realtà anche nel Nord America di Zagor non c’è legge, per cui spesso Zagor deve farsi giustizia da sé. Semplicemente la storia dei Cangaceiros è ambientata in un altro universo narrativo-avventuroso con regole differenti. E si sa che i Cangaceiros erano banditi storicamente esistiti, quindi con le contraddizioni delle persone reali: erano sanguinari, spietati e facevano spesso i loro interessi, e non solo quelli del popolo. Zagor, come personaggio di fantasia e come eroe senza macchia né paura, si trova quindi a confrontarsi con personaggi reali. È solo da questo che nasce lo strano contrasto di cui tu parli: è il contrasto tra un personaggio di fantasia con dei personaggi basati sulla realtà.

AO: Tu e Moreno Burattini, attuale curatore di Zagor, siete considerati i fautori della cosiddetta rinascita zagoriana, ovvero del rilancio dato alla testata negli anni 90 dopo un periodo considerato un po’ opaco dai lettori dello Spirito con la Scure. Quali furono allora i perni narrativi e stilistici su cui si basarono le vostre storie? Un ritorno alla nolittianità, dopo un periodo in cui questa si era un po’ smarrita anche forse in seguito all’abbandono della direzione della testata da parte del creatore Guido Nolitta?

MB: Io e Moreno, in realtà, abbiamo seguito percorsi in origine diversi. Lui si era presentato come scrittore di soggetti, avendo alle spalle una ben nota militanza di appassionato zagoriano e bonelliano, e Decio Canzio e Renato Queriolo, che in quel periodo era il curatore di Zagor, li avevano approvati e pubblicati. Contemporaneamente io avevo cominciato le mie prime prove su Zagor con gli speciali La fiamma nera e con La congiura degli dei su disegni di Marcello e, d’accordo con Queirolo, avevo pensato di proporre a Canzio una lunga odissea, tipo L’odissea americana classica di Nolitta, che avrebbe portato Zagor e Cico lungo tutto il Nord America attraverso varie tappe. Naturalmente, essendo Burattini tra i nuovi sceneggiatori l’unico che giustamente a noi sembrava aver recuperato, data la sua grande conoscenza del personaggio, lo spirito dello Zagor di Nolitta, eravamo già d’accordo che lui avrebbe fatto la parte del leone come sceneggiatore, anche se poi io in quel periodo avevo deciso di collaborare attivamente alle sceneggiature di Zagor. Quindi scrissi molte storie di quel ciclo, anzi scrissi quelle che secondo me erano le principali perché dovevo decidere io come muovere Zagor attraverso il Nord America. Quindi la prima, L’esploratore scomparso disegnata da Marcello, doveva essere il leit motiv della nuova rinascita zagoriana e, per me, doveva rappresentare l’epos, la riscoperta del sense of wonder, il ritorno ad una certa avventura ariosa con tutti gli elementi della grande narrativa avventurosa tradizionale, da quella de L’Uomo mascherato a quella di Robert Louis Stevenson, da quella di Salgari a quella di Verne. Quindi il recupero dell’avventura e del senso del meraviglioso che, secondo me e Queirolo, si erano un po’ persi con l’era Toninelli, perché Zagor in quel periodo era confinato a Darkwood e viveva delle avventure, a nostro parere, un po’ monotone (anche se Toninelli scrisse storie bellissime come Viaggio nella paura che portava in effetti Zagor attraverso il Nord America). Quindi, da una parte Moreno cercava di recuperare la comicità di Cico e gli atteggiamenti dello Zagor di Nolitta, dall’altra parte io ho inserito nella serie questo spirito avventuroso rinnovato. Questa alchimia, insieme alle storie che, per fortuna, ci sono venute bene, e ai nuovi disegnatori come Chiarolla, Laurenti, Andreucci e lo stesso Marcello, sono gli elementi di questa cosiddetta rinascita.

DampyrAO: Cosa rappresenta per te Dampyr, la serie da te creata con Maurizio Colombo? Uno strumento attraverso il quale fai sbizzarrire la tua fantasia, senza i vincoli che personaggi creati da altri, come Zagor e Tex, ti impongono?

MB: Ovviamente Dampyr è soprattutto un personaggio mio (e di Colombo, naturalmente): io e Colombo lo ideammo assieme a partire da uno spunto che avevo trovato in una mia ricerca sui vampiri, su quella misteriosa figura della mitologia e del folklore balcanico che è il dampyr, figlio di un vampiro e di una femmina umana. Da lì siamo partiti con la fantasia verso altre sponde dell’immaginario. E chiaramente, per quanto mi riguarda, ho inserito in Dampyr tutto quell’archivio mentale horror, storico e folkloristico che non potevo, se non marginalmente, mettere nelle storie di Tex e di Zagor. Oltretutto, come mio personaggio, Dampyr mi permette una totale libertà, e quindi posso spaziare ovunque attraverso le mie preferenze, che sono vaste, nella letteratura e nel cinema, nell’immaginario, nella storia e appunto nella cultura popolare. Quindi una storia sulla Guerra dei Trent’anni intitolata I lupi mannari (che ti consiglio), o la storia islandese o Il conte Magnus, che si rifà al maestro della ghost story Montague Rhodes James, o Le Terminatrici, che recupera una rara tradizione popolare abbastanza macabra della Sardegna e che ha avuto un grande successo tra i sardi stessi: tutte queste cose non potevano essere usate per una storia di Tex, naturalmente. Quindi Dampyr mi concede di avere maggior libertà narrativa e tematica. Al punto in cui siamo, la serie ha una contnuity talmente stretta e complicata che io mi ci diverto a perdermi, però temo che i lettori non si raccapezzino più.

AO: Ti trovi sempre a tuo agio nello scrivere sceneggiature da inquadrare nella cosiddetta gabbia bonelliana o magari, a volte, ti senti vincolato?

MB: Credo che a sentirsi vincolati, forse, sono soltanto alcuni disegnatori, perché, per quanto riguarda gli sceneggiatori e i lettori, la gabbia bonelliana è molto semplice da usare, pratica e anche di buona leggibilità. Temo che non ci siano veramente alternative, anche perché i miei fumetti preferiti, oltre a quelli italiani, sono quelli americani che, come sai, erano fatti con le strips: non mi riferisco ai supereroi, ma ai classici dell’epoca d’oro, come Valiant, Rip Kirby. Li’l Abner, Terry e i pirati… Tutti capolavori che usavano un’assoluta economia narrativa portando avanti la storia in poche vignette. Gli albi a striscia bonelliani degli anni Cinquanta derivano certamente dalle strips americane, di Foster, Raymond, Caniff e compagnia… Per quei maestri la striscia non era un limite! E dunque non lo è il format bonelliano di tre strisce sovrapposte (questo di base, poi ci sono variazioni), anzi, offre una leggibilità e una scorrevolezza narrativa impossibile da raggiungere in altro modo.

AO: Alcuni dei valori più importanti che hanno caratterizzato lo sforzo di Sergio Bonelli teso a proporre pubblicazioni di alta qualità sono stati serietà, onestà e rispetto per il lettore. Secondo te quale è stato il contributo maggiore che l’autore ed editore milanese ha dato al fumetto italiano? E come è cambiato il vostro lavoro in casa editrice dopo la sua scomparsa?

MB: Dire quale contributo abbia dato Sergio al fumetto esigerebbe un libro. Basti solo pensare che in un momento di crisi come il nostro in cui sembra estremamente, e in gran parte è vero, che tutti gli italiani, dal più stipendiato dei politici all’ultimo degli impiegati, siano incapaci, confusi e nullafacenti, in questo momento in cui molte imprese storicamente italiane vengono comprate dai capitali esteri, e ci si dibatte nel caos, beh, la realtà della Bonelli è che è ancora una grande tradizione imprenditoriale, prima che culturale, che continua dentro la stessa famiglia da ormai settant’anni. Bonelli ha saputo sempre circondarsi di validi collaboratori che hanno rinnovato di continuo (e tuttora lo fanno, ora che lui manca, seguendo il suo esempio) i contenuti, pur restando fedeli ai principi originari. Devo dire che già come realtà imprenditoriale questo è un piccolo miracolo e non è tanto ripetibile, forse rispecchia alcuni miracoli italiani di una volta. Chiaramente questi vecchi e solidi valori della metà del secolo scorso la Bonelli li possiede ancora e noi cerchiamo di portarli avanti anche se Sergio non c’è più.

Per quanto riguarda il contributo al fumetto in sé come mezzo narrativo, basti solo pensare al modo in cui Sergio ha curato e mantenuto in vita Tex, che è un personaggio fondamentale del fumetto italiano. Ci sono poi le sue creazioni personali che hanno avuto spettacolari successi commerciali come Zagor e Mister No ma anche le sue serie minori indimenticabili come Il ragazzo del Far West e Il giudice Bean. Per cui Sergio era un gran editore e un grande sceneggiatore di fumetti, un grande narratore: lo dimostrava anche quando semplicemente raccontava una delle sue divertenti storielle a tavola. Dopo la sua scomparsa, ribadisco, noi cerchiamo di fare come se lui fosse ancora lì a guidarci e certamente non dimentichiamo mai quello che è stato il suo esempio, quelli che sono stati i suoi consigli. Le cose non sono cambiate perché praticamente siamo gli stessi di prima. L’unica cosa che ci manca molto è la sua pacca sulle spalle.

Sergio BonelliAO: Berardi, nella rubrica della posta di un numero passato di Julia, ha sottolineato «l’operazione culturale senza precedenti», grazie alla quale Tex, Zagor, Mister No, Ken Parker e tutti gli altri “eroi di carta” bonelliani hanno contribuito a formare la personalità di intere generazioni di ragazzi attraverso il fumetto, e quindi attraverso il divertimento. Cosa ne pensi?

MB: Certamente Berardi è una di quelle personalità di cui ti dicevo prima, uno di quei collaboratori eccezionali che Bonelli ha saputo rintracciare ed arruolare. Un altro imprenditore, e ce ne sono tanti che hanno dato questo esempio negativo, sarebbe magari stato geloso della personalità di un artista come Berardi, o come D’Antonio, come Sclavi e altri. Invece Sergio Bonelli, che era un autore anche lui, ha saputo avvalersi della personalità di questi grandi autori, sia sceneggiatori che disegnatori, ha saputo offrire loro delle opportunità, sfruttare il loro talento e dare anche dei consigli essenziali. Berardi e Sclavi, infatti, hanno spesso riconosciuto che nella creazione di Ken Parker, di Julia, di Dylan Dog c’è stato l’apporto essenziale di Bonelli. Questo è avvenuto anche nelle ultime serie pubblicate. Per cui l’apporto di Sergio c’era sempre. Arrivo al punto della tua domanda: tutti noi, mi ci metto anch’io, non solo professionalmente ma anche umanamente e culturalmente, siamo in fondo simili ai Bonelli, quindi a Gian Luigi e a Sergio, in quello che vogliamo trasmettere scrivendo. Quindi non solo nell’amore per l’avventura, per la narrazione e per il fumetto, ma anche in certi contenuti può essere che in fondo la pensiamo allo stesso modo. I nostri eroi non sono mai negativi, anche quando hanno dei grossi problemi, e cercano sempre di risolvere la situazione, di vedere la vita nel modo giusto. Insomma sono dei “giusti”. E spero che i lettori e i ragazzi italiani che hanno letto i fumetti Bonelli siano stati in un certo senso culturalmente e anche moralmente migliorati da questa loro esperienza.

 AO: Se, da una parte, l’eroe bonelliano si è evoluto nel corso dei decenni, seguendo inevitabilmente i tempi (vedi Mister No e Ken Parker negli anni 70), dall’altra conserva delle caratteristiche immutabili al di là dello scorrere del tempo. Quali sono i tratti che deve possedere sempre, secondo te, ogni eroe bonelliano?

MB: Mi ricollego a quello che dicevo prima. L’eroe bonelliano deve essere un giusto, non può avere delle meschinità, anche se ovviamente può avere delle debolezze: Mister No è sempre dedito all’alcol e alle donne, Martin Mystère è un topo di biblioteca, Dylan Dog un seduttore seriale, Tex è violento… Però sicuramente davanti a una scelta morale l’eroe bonelliano prende sempre la decisione giusta: se l’eroe bonelliano, uno qualsiasi da Ken Parker a Tex a Mister No a Zagor, fosse vissuto nell’epoca del nazismo e avesse dovuto difendere gli ebrei, beh, lo avrebbe fatto sicuramente e adesso il suo posto sarebbe quello fra i Giusti che Gerusalemme commemora. In questo senso gli eroi bonelliani fanno sempre la scelta giusta e non egoista e il coraggio e la dirittura morale è ciò che li unisce tutti. Può sembrare banale, ma è così.

AO: Cosa pensi della graduale introduzione del colore sulle pagine Bonelli? Penso al tuo Color Tex, al Color Zagor ed alla prima miniserie tutta a colori Gli Orfani della coppia Recchioni-Mammuccari. È una scelta figlia dell’enorme successo riscontrato prima da Tex e poi da Zagor nelle ristampe a colori di La Repubblica-L’Espresso?

MB: Per molti anni la Bonelli è rimasta fedele a una visione classica del fumetto, ovvero il fumetto in bianco e nero che, tra l’altro, permette di vedere meglio il tratto degli autori e quindi, da un certo punto di vista, si tratta anche di una scelta culturale e intellettuale. Però, data l’evoluzione rapida della società, dato il passaggio di molti lettori al formato digitale, bisogna cercare di non restare indietro. Quindi il passaggio al colore per alcune pubblicazioni può essere una scelta per trovare dei lettori in più, senza tuttavia abbandonare il bianco e nero, che resterà sempre. E’ solo un’altra maniera per fare fumetti, una diversa scelta artistica. Gli Orfani ha dei colori strepitosi, il colore lì è veramente una parte della narrazione e non soltanto un abbellimento superficiale. A colori sono le storie brevi di Dylan Dog e tra poco anche le storie brevi di Tex, che stanno per uscire. Tex a colori e in racconti brevi, un doppio esperimento. Il colore richiede, questo è chiaro, molto più lavoro e uno sforzo produttivo ed economico maggiore.

PilotAO: Hai iniziato in Bonelli come redattore delle riviste Pilot e Orient Express. Quali sono stati, secondo te, i pregi della formula “rivista a fumetti” e poi i motivi che ne hanno decretato, ahimè, il tramonto?

MB: In realtà ho esordito in Bonelli come tuttofare e mi occupavo quindi anche delle riviste nella sede distaccata di via Ferruccio 15, che era l’originaria redazione, per cui ero anche orgoglioso di trovarmi lì. Ho collaborato con Sclavi a Pilot, con Bernardi su Orient Express. Per un po’, verso la fine, ho fatto il redattore unico di entrambe le riviste, anche perché entrambe le riviste, si sa, non hanno avuto un successo duraturo. Era già il periodo in cui le riviste a fumetti erano in declino, anche se le nostre presentavano spesso delle storie complete e non a puntate. Credo che siano state importanti per aver dato spazio a tutta una nuova serie di autori, di narrazioni e di stili che altrimenti sarebbe stato impossibile pubblicare. Forse le riviste erano costose e i lettori preferivano le storie complete. Bonelli, dopo aver resistito qualche anno, ha deciso di porre fine all’esperimento e probabilmente anche in questo caso ha visto giusto.

AO: Quando senti parlare di graphic novel per definire un fumetto che viene venduto in libreria, in contrapposizione ai fumetti popolari da edicola, viene l’orticaria anche a te, oppure ci passi sopra?

MB: L’orticaria viene anche a me, perché ho l’impressione che la gente che ne parla non sappia nemmeno cosa voglia dire veramente graphic novel. Molti dei fumetti che noi pubblichiamo (anche quelli seriali) a partire da alcuni albi di Ken Parker e Dylan,ma ci metto anche alcuni episodi di Dampyr, Martin Mystère, Julia eccetera, sono nient’altro che graphic novels, romanzi popolari. E che dire degli albi di Bacilieri? Quindi non c’è assolutamente differenza: tra l’altro gli autori grafici che lavorano con noi sono i più grandi. Certe cosiddette graphic novels, invece, possono risultare non del tutto riuscite. Poi ci sono eccezioni straordinarie, che apprezzo anch’io, tipo Mazzucchelli o Tomine. Però, essendo legato per cultura e per tradizione al fumetto popolare, da Buck Rogers fino a Nathan Never, non sono la persona più adatta per fare un discorso sulla graphic novel contemporanea.

In ogni epoca ci sono i format preferiti. Il format Bonelli è sempre stato considerato popolare: anche i francesi, che hanno l’album a colori di 48 pagine, giudicano generalmente il fumetto italiano come un fumetto di grado inferiore. In realtà attualmente il fumetto franco-belga, che io ho sempre amato molto, attraversa una crisi di mediocrità totale, sia a livello di disegni che di sceneggiature. Mentre il nostro fumetto è sempre di alto livello. Bisognerebbe esaminare ogni fumetto nella giusta prospettiva, a prescindere dalla sua origine e collocazione editoriale.

Mauro Boselli nasce a Milano il 30 agosto 1953. Dopo aver cercato la sua strada con molteplici esperienze lavorative (traduttore e riscrittore di romanzi rosa, venditore porta a porta di enciclopedie, insegnante, sceneggiatore e regista di “fumetti in TV”, bibliotecario rionale per il Comune di Milano, segretario-assistente di Gianluigi Bonelli nel suo studio di via Mac Mahon), entra alla Sergio Bonelli Editore nel 1984 e divide il suo tempo tra la Redazione di via Buonarroti 38 e quella storica di via Ferruccio 15, allora sede della Bonelli-Dargaud e dell’Isola Trovata, come redattore della rivista Pilot, diretta da Tiziano Sclavi. Diventa anche redattore di Orient Express, traduce vari fumetti francesi per Pilot e la serie americana Indiana Jones della Marvel. Chiusa l’esperienza dell’Isola Trovata, diventa redattore factotum alla Bonelli, occupandosi della revisione e riscrittura degli albi a fumetti, della stesura dei testi redazionali di Mister No, Zagor, Mister Mystère, eccetera, dei librini allegati agli Speciali estivi e della Collana Almanacchi. Suoi sono i testi, per esempio, della collana TuttoWest, dove escono le sue prime storie firmate, per la miniserie River Bill, creata da Guido Nolitta. Il suo primo fumetto di Tex, scritto anni addietro, esce anonimamente: La minaccia invisibile, sceneggiata con Gianluigi Bonelli in persona. Con l’albo speciale La fiamma nera, entra, nel 1991, nello staff di Zagor, di cui, un paio d’anni dopo, assume la cura in contemporanea con l’inizio della “seconda odissea americana” e della storia scritta per i disegni di Marcello L’esploratore scomparso. Nel 1994, con Il passato di Carson, entra ufficialmente nella serie di Tex, della quale, a partire dal 2012, è anche il curatore. Ha realizzato anche avventure di Mister No, del Piccolo Ranger e di Dylan Dog. Dampyr, il personaggio ideato insieme a Maurizio Colombo, è il protagonista della serie che esce con successo nelle edicole italiane da aprile del 2000, e di cui è curatore e principale sceneggiatore. Nell’aprile 2011 esce nelle librerie, pubblicato dalla Arnoldo Mondadori Editore, un suo romanzo intitolato Tex Willer – Il romanzo della mia vita, nel quale ripercorre le principali vicende avventurose di Tex già narrate negli albi.

Commenti

10 commenti a “Cavalcando con Tex Willer”

  1. bellissima intervista, complimenti! 🙂

    Di alessandro oresti | 11 Ottobre 2013, 12:27
  2. Complimenti per questa bellissima e grandissima intervista. Come al solito… grande intervista! Complimenti sinceri! É sempre bello leggere le interviste di Mauro Boselli.

    Di José Carlos Francisco | 12 Ottobre 2013, 22:02
  3. Complimenti! Sono brasiliano e Mauro Boselli, secondo me, é collona fondamentale della SBE. Sono grande apreciatore di suo lavoro sul Tex, Zagor e Dampyr.

    Di Lucio Andrade | 18 Ottobre 2013, 16:24
  4. Proprio un’ intervista molto bella ed interessante! ^^

    Di Fra X | 8 Novembre 2014, 15:14
  5. Mauro Boselli é um gigante e o garante da continuidade de uma grande casa editorial. Bravo!!!

    Di Rui Silveira | 1 Agosto 2017, 01:49

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  2. […] l’ho detto prima: rispettare la storia, i personaggi, i lettori, tutto il resto viene da solo. Mauro Boselli mi ha lasciato la giusta libertà vegliando a distanza sull’avanzamento del […]

  3. […] e disegnato da Paolo Eleuteri Serpieri, la casa editrice milanese ha incaricato il curatore di Tex, Mauro Boselli, di scrivere una sceneggiatura che si adattasse alla penna di Mario Alberti. Il disegnatore […]

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