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Fumetto

Ray Collins e le altre vite di Eugenio Zappietro (II)

Rassegna(ta) stampa

Non sopporto i fumetti di Collins, trovo i suoi soggetti completamente slegati, con i personaggi tutti simili fra loro, le cose accadono senza spiegazione, insomma mi pare infranga tutte le regole che dai tu a chi ti chiede consigli per scrivere un soggetto.

Così, su Lanciostory 41 del 1991, il lettore Paolo di Roma esprime il suo scarso gradimento per le storie dello sceneggiatore, che già negli ultimi cinque anni avevano cominciato a rarefarsi. Si tratta di un’eccezione: a Collins, infatti, non viene di solito contestata tanto la presunta “confusione” delle sue storie, quanto una certa ripetitività delle stesse, oltre che un diffuso patetismo. E queste critiche compaiono con una certa frequenza. Solo un paio di numeri prima, nella rubrica della posta del numero 39, il direttore di Lanciostory aveva dovuto difenderlo rispondendo al lettore ‘Marco di Torino’ che Collins “tra l’altro, ha scritto lo straordinario Yor e il meraviglioso Canada Joe“. Se andiamo a spulciare le classifiche dei lettori che, ultime vestigia degli anni Ottanta, ancora venivano ospitate sui settimanali, troviamo conferma di quanto poco fosse apprezzato Collins senza che i lettori dovessero argomentare più approfonditamente le loro motivazioni: su Lanciostory 22, sempre del 1991, l’unica serie dell’anno precedente che un lettore definisce discreta, cioè il giudizio più basso, è L’Eretico (disegnata da Lalia e per cui Collins ricorse allo pseudonimo Turnelli); Los Angeles P. D. viene inserita tra le buone, termine piuttosto generoso che, in questa classifica, indicava quelle che appena si salvavano. I voti più bassi per la produzione ancora in corso vanno ad altre due serie, le uniche, sempre di Collins: Tragicomix e Il Corso.

lorenzon-01Volendoci basare solo sulla corrispondenza che veniva pubblicata dai settimanali dell’Eura (che già era frutto di una scelta redazionale e che ovviamente non poteva essere l’espressione fedele del pensiero di ogni lettore, men che meno di quello che apparteneva alla “maggioranza silenziosa”), rileviamo come il trend rimanga invariato anche l’anno successivo: su Lanciostory 14 del 1992 le uniche due serie giudicate appena modeste sono sempre Tragicomix e Il Corso.

Leggere i nomi delle altre serie di quegli anni può mettere in prospettiva questi giudizi: inevitabilmente di fronte alla dirompente novità di Bruno Bianco o di Mark Kane, oppure alla conferma della solidità dell’impianto e del lirismo ispirato di Dago, Nippur e Mojado, le proposte più classiche saranno sembrate meno valide; in realtà già dieci anni prima Ray Collins era stato oggetto di qualche critica, o – meglio – la sua serie più rappresentativa, Larry Mannino, iniziava a venire contestata.

Certo, Stefania Penta di Salerno su Lanciostory 5 del 1980 affermava addirittura che “Generalmente io rifiuto tutto quello che mi porta a guardare la realtà, proprio perché se ne parla troppo, e il fumetto rappresenta per me solo un modo di evadere. Eppure quando leggo Larry Mannino non sento mai questo moto di repulsione, proprio perché mi presenta la realtà in modo più vero e schietto, e giunge subito al sodo senza fare giri di parole”, ma era un’eccezione. A poche settimane di distanza si leggono commenti come “Larry Mannino, alla lunga, è precipitato” e “vecchio Larry, o ti decidi a fare qualcosa di nuovo o è  meglio che te ne vai”.

Il riproporsi di alcuni schemi evidentemente percepiti come “vecchi” viene sarcasticamente sottolineato da Alberto Melloncelli (o chiunque fosse a firmarsi «Melo») su Fumo di China 18 del maggio 1983:

Il 1983 non è stato, fin’ora, uno degli anni più attivi per L. S. Le serie portanti (Savarese e Helena) hanno visto la luce all’inizio dell’82 e sempre dello stesso anno sono serie di qualità inferiore come […] il pessimo John Smith (che col nome di Dennis Martin appare anche su Skorpio; o forse è là che si chiama Larry Mannino… non ricordo bene)

lorenzon-02Collins, addirittura, non fa quasi in tempo a comparire su L’Eternauta di Zerboni che viene criticato pochi numeri dopo: “Che dire poi di Moran apparso sul vostro numero 16?” si interroga ‘Anna di Bari’ “Che il figlio di un poliziotto, divenuto anche egli poliziotto quasi per vendicare la morte del padre, quando scopre che questi era anch’egli corrotto, non può fare altro (proprio secondo certi luoghi comuni) che fare razzia dei corruttori del padre ed impiccarsi.”

Con ogni probabilità il giudizio che più riesce a riassumere le ragioni per cui lo stile di Collins non viene apprezzato in quelli che già stavano diventando gli anni dell’edonismo reaganiano è quello che tal ‘T. A. di Napoli’ si vede pubblicato su Skorpio 49 del 1983:

Parlo […] di serie attuali ed estinte, come John Smith, il non compianto Larry Mannino, il purtroppo giovane Dennis Martin, Dan Flynn ed altre sullo stesso genere. Tutti questi personaggi hanno in comune diverse cose: sono superuomini infallibili ed immortali e sono superschifati del loro lavoro, che però non smettono mai… Sono eroi deprimenti, perchè per loro il mondo è una fetenzia e tale resterò anche (e soprattutto) dopo il loro intervento. Non crediate a questo punto che io veda la vita tutta in rosa, però sarà perchè sono un inguaribile ottimista, sarà per altri motivi, sono sempre convinto, e fermamente, che anche dietro il temporale peggiore brilli il sole…

E per fortuna poche righe sopra aveva definito Mandy Riley più che buono!

Ciliegina sulla torta, su Fumo di China 26, il famoso speciale su Robin Wood datato settembre 1986, si arriva addirittura a un errore da ipercodifica, attribuendo la colpa di alcuni presunti difetti della serie Big Norman a un inesistente intervento di Collins: “Parte dei testi è dovuta anche a Eugenio Zappietro (in arte Ray Collins) di cui si avverte qua e là il dolciastro ed il melodrammatico ad ogni costo”. Rogelio Costa in realtà sarebbe intervenuto solo dopo il periodo Robert O’Neill, e non più con i disegni di Haupt…

lorenzon-03Se tante persone differenti hanno contestato a Collins più o meno gli stessi difetti in periodi diversi e in ambiti differenti, evidentemente qualche ragione ci sarà. Basta dare un’occhiata ai titoli originali di alcuni episodi delle sue serie per rendersi conto dell’atmosfera cupa e pessimista che aleggia in molti suoi fumetti: Solo, hacia el final e Bésame antes de morir sono i titoli di due episodi di El Cobra, La soledad y su sombra e Balada del adiós di Alan Braddock, No se detiene el viento ni se corre tras él di Jackaroe, Mi hermoso y pobre amor di Nekradamus, anche se sono le storie del pugile Rocky Keegan a detenere la palma dei titoli più ispirati: La soledad como una de las bellas artes, Nadie escapa a su destino e addirittura Se nace para morir!

Di certo, rifiutarlo in blocco e a priori non è l’atteggiamento giusto per approcciarsi alla sua produzione, che come vedremo è talmente vasta e variegata che Collins avrebbe meritato un premio, se fosse veramente riuscito a ripetersi in ogni singolo fumetto che ha scritto. C’è, poi, da dire che, pur essendosi anche dedicato a produzioni più personali e “autoriali”, queste sono più uniche che rare (e forse nemmeno tanto riuscite), e praticamente tutta la produzione di Collins parte da generi estremamente codificati e standardizzati, ovvero il western, il poliziesco e il genere bellico. In ciascuno di questi ambiti ha saputo dare la sua impronta concentrandosi come vedremo sia sugli aspetti più tecnici e realistici che approfondendo le psicologie dei personaggi, ma rivolgendosi a un vasto (all’epoca lo era) pubblico di cui già si conoscevano i gusti, e dai quali gusti non ci si poteva discostare.

Inoltre, un aspetto determinante della carriera di Collins è stato quello di essersi prestato con molta umiltà a svolgere le funzioni di “vice” per altri sceneggiatori, continuandone alcune serie (in Italia sono famosi i casi di Dennis Martin, Nekradamus e Laggiù nell’Ovest ma in Argentina ha anche dato vita, tra gli altri, a un nuovo corso di Jackaroe e ha contribuito alla serie gauchesca Martín Toro), e dovendo, cioè, per forza di cose adattarsi al loro stile e alle loro atmosfere, nel rispetto dei solchi che avevano già tracciato Oesterheld e Wood.

Tutto, insomma, concorre a non rendere facilmente identificabile uno stile preciso di Ray Collins, ma alcuni elementi ricorrenti si possono comunque individuare senza troppi sforzi interpretativi.

Lo stile di Collins 

C’è un episodio illuminante sulle atmosfere che caratterizzano le storie di Collins, che risale all’inizio della sua carriera. Un giorno Hugo Pratt gli chiese perchè l’episodio che aveva scritto per il western Garrett (disegnato nientemeno che da Arturo Perez Del Castillo) fosse tanto triste. “Perché la vita è triste” rispose lui.

Le segnalazioni di Fumo di China e dei lettori di Lanciostory e Skorpio non sono proprio prive di fondamento. Ray Collins ama le situazioni di forte tensione, i personaggi tagliati con l’accetta, le atmosfere cariche di pathos e la prosa disperata e malinconica (su cui, però, egli stesso ironizzerà in un episodio di Larry Mannino e in molti altri fumetti).

Parlando più propriamente del suo stile e non solo delle sue tematiche, è spesso evidente come Collins (dopo un inizio solitamente ex abrupto che dice tutto dei protagonisti e della situazione di partenza senza mediazioni) voglia far partecipare il lettore alla creazione e all’evoluzione delle sue storie, storie in cui, infatti, lo sceneggiatore raramente rimane “sul pezzo”, bensì si dedica sovente a divagazioni concentrate su elementi o personaggi secondari, che occasionalmente sarà il lettore a dovere collegare. Da qui, il senso di frammentarietà che alcuni suoi fumetti possono indurre nel lettore, ma nemmeno questa è una regola: bisogna considerare, infatti, anche altri fattori.

lorenzon-04In Italia, l’opera di Ray Collins è conosciuta in maniera spezzettata e incompleta. Come abbiamo visto, Ray Collins tornò a lavorare con continuità nel settore dei fumetti nel 1974, quando un amico lo introdusse ad Alfredo Scutti e a Skorpio. Stando alla testimonianza di Carlos Trillo, non si limitava a fare lo sceneggiatore dei personaggi di punta dell’editore, ma aveva anche mansioni redazionali, fungeva un po’ da capo redattore che distribuiva le sceneggiature ai disegnatori e intratteneva i contatti con gli altri colleghi. Non stupisce affatto che dormisse solo quattro ore per notte, considerando la sua carriera parallela di poliziotto e le altre attività a cui si dedicava in quegli stessi anni.

È quello dello Skorpio argentino dal ’74 in poi il Collins che in Italia conosciamo meglio. Se l’Eura nei primi anni non ha pubblicato tutti i suoi lavori, veramente pochissimi mancheranno all’appello. Dal 1985, poi, questa produzione verrà realizzata direttamente per l’Italia e possiamo ragionevolmente immaginare che non ne sia stato sprecato nulla, nemmeno il “libero” più strambo saltato fuori dai cassetti della redazione romana uno o due decenni dopo. Il resto della sua produzione, purtroppo, non è altrettanto visibile. E anche su quanto visto sui settimanali dell’Eura aleggia il dubbio di adattamenti assai pesanti, come si può sospettare da una comparazione tra la versione “ufficiale” di un episodio di Larry Mannino e quella affidata alle matite di Martinez che possiamo vedere su L’Eternauta 38.

Dei primi lavori di Collins, quelli degli anni di Misterix, si è visto in Italia solo Precinto 56 sull’effimero Asso di Picche di Ivaldi e su qualche numero del suo Sgt. Kirk. Possiamo anche illuderci che alcuni episodi di Garrett, sempre ospitati da Sgt. Kirk, fossero opera sua, ma lo scempio che ne fece Ivaldi (facendoli spesso diventare racconti illustrati dai fumetti che erano in origine) non permette di capire come fossero in realtà, e comunque sono troppo pochi per potersene fare un’idea precisa.

lorenzon-05Dai primi anni Ottanta, Collins lavora per Columba, ma, nonostante la pubblicazione di alcune serie sui nostrani Lanciostory e Skorpio, la quota di tavole realizzate per El Tony, D’Artagnan, ecc. che arriva in Italia è irrisoria. Come ricordato sopra, in Argentina fu “vice” di Wood persino su Jackaroe, che in Italia vedremo appena nel 2002 e limitatamente agli episodi dello stesso Wood, destino inverso rispetto al suo lavoro su Dennis Martin e Grace Henrichsen.

A metà anni Novanta c’è la svolta pornografica di Ray Collins, che possiamo leggere su Bronx, forse frammentariamente, mentre, nei primissimi anni Duemila, Collins inizia a produrre materiale indirizzato all’infanzia che, a causa del tracollo economico argentino, non farà in tempo a sbocciare.

Gli elementi stilistici che possiamo analizzare con sicurezza di Ray Collins sono, insomma, solo quelli di Yor, Larry Mannino, Skorpio e delle altre serie Record. Probabilmente troppo poco per trarre delle considerazioni assolute e definitive sulle sue tematiche e sul suo stile, mancando la possibilità di confrontarli con il resto della sua opera. Si tratterebbe, tra l’altro, di un’operazione assai improbabile, vista la mole di storie che andrebbero ricercate e lette. Proprio a causa della ipertrofica produzione di questo autore, si può dire che ci siano tanti Collins diversi, e si contano parecchie eccezioni a quello che possiamo identificare come il suo stile e i suoi temi ricorrenti. Martan, per fare un esempio, sembra essere una canonica serie di fantascienza di buon livello, che non denuncia nessun pessimismo cosmico né particolare attenzione al lato sentimentale dei protagonisti. In Mafia a luci rosse ci sono, verso la fine, quegli abissi di sentimento che alcuni contestavano a Collins, ma per il resto la serie è un thriller estremamente serrato ed efficace. L’Eretico è una validissima serie d’avventura storica, nobilitata oltretutto da un contesto e un protagonista originali. E l’elenco potrebbe continuare.

All’interno della vasta produzione di Collins, tuttavia, possiamo trovare qualche punto fermo, anche se per sommi capi:

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Partiamo dal western: in un genere estremamente codificato e in cui i luoghi comuni sono elementi costitutivi irrinunciabili, Collins dimostra una forte personalità introducendo occasionalmente elementi originali (e ciò pur scrivendo in contemporanea il classicissimo Il Cobra, ennesima figura di pistolero che arriva nel paese/saloon/fattoria, fa giustizia e riparte verso l’orizzonte, lasciandosi alle spalle sguardi ammirati e cuori infranti). In Conrack, ad esempio, assistiamo alla presentazione del protagonista come un umile contadino tramutato dalle circostanze in giustiziere. Irrealistico quanto si voglia, ma almeno dotato di un elemento di novità, così come in Larrigan il protagonista passa da medico a pistolero.

Nel 2008 Lanciostory ripescò (solo parzialmente, pubblicando fino a oggi un terzo degli episodi originali) una serie western di Collins che ancora una volta utilizzò lo stesso spunto di partenza di Conrack e Larrigan: il protagonista di Shannon, però, non è un contadino né un medico, bensì il rampollo di una famiglia di armaioli che parte alla ricerca di vendetta.

Senza andare a cercare altre bizzarrie tra i cowboy, notiamo come nel riuscitissimo Bannister il protagonista sia, sì, un gunslinger, secondo i canoni del genere, ma abbia per spalla e voce narrante un bambino di cui la serie (incompleta in Italia, dove subì oltretutto una pausa di alcuni anni) mostra la progressiva maturazione.

lorenzon-07In Dan Flynn c’è una soluzione meno evidente per uscire dai canoni del genere, ovvero una rappresentazione meno consueta del protagonista, che qui è un nobile soldato sudista. Nell’immaginario popolare, ignaro degli interessi Nordisti di annettersi le ricche terre di Dixieland (altro che abolizione della schiavitù!), i Sudisti sono i “cattivi” o al massimo degli aristocratici che disertano e rinnegano le loro origini schiaviste. Pur senza approfondire questi temi e rimanendo sempre nell’alveo della tradizione, Dan Flynn mette comunque sotto i riflettori un protagonista un po’ più originale e articolato del solito, senza che la Storia si faccia sentire.

Come Dan Flynn, anche Canada Joe non si discosta troppo dagli elementi più classici del genere, ma beneficia di una ambientazione poco sfruttata, essendo il protagonista una giubba rossa. Canada Joe era realizzato graficamente da un Carlos Vogt non sempre a suo agio con le tre strisce per tavola della Record, abituato alle quattro della Columba e, forse, nonostante i buoni risultati di Doc Carson e Killroy, nemmeno a suo agio con il genere western.

Più in generale, è molto apprezzabile l’attenzione per i dettagli tecnici che Collins profonde in molti suoi lavori di carattere western, come d’altra parte fa anche in quelli bellici: ad esempio l’individuazione del colpevole in un episodio di Larrigan avviene perché questi sparava dall’alto in basso come un inesperto, cosa che non sfugge al protagonista dall’occhio clinico (non solo in senso figurato visto che esercitava la professione di medico).

A proposito di questo ultimo esempio, va rilevato che una certa corrente di western di Collins è caratterizzata da una struttura alla whodunnit: più che concentrarsi sul duello dei cow-boy, sugli assalti alla diligenza e sugli altri aspetti tipici del genere, Collins preferisce scrivere dei “gialli” in cui spesso la rivelazione del colpevole è una sorpresa. Il che ci porta a un altro genere frequentato con costanza (e probabilmente anche con molto piacere) dallo sceneggiatore…

lorenzon-08Il poliziesco è l’altro genere in cui Collins può dare libero sfogo alla sua natura crepuscolare, e l’esempio più celebre di questo settore specifico è ovviamente il leggendario Precinto 56 in entrambe le sue versioni. Caso fortunatissimo, in Italia abbiamo potuto leggere qualche episodio della serie originale scritta per Misterix, e disegnata da un giovane José Muñoz.

Il carattere di Larry Mannino, cui Collins dedicherà anche qualche esperimento letterario di successo, è uno stampo che (complice il disegnatore Angel Alberto “Lito” Fernandez che darà uniformità anche estetica alle varie serie) ricorrerà spesso nella produzione di Collins, in una forma o nell’altra: in Dan Loggan assistiamo addirittura a una deriva metafumettistica, col protagonista (che si finge corrotto per una buona causa) che vuole imitare il suo eroe dei fumetti. Precinto 56 avrebbe dovuto avere un’ulteriore incarnazione per mano del disegnatore Andres Paez ma la disfatta della Columba impedì che vedesse la luce.

È probabile (lo stesso Collins lo ha parzialmente ammesso) che molto del vissuto nella polizia e delle vicissitudini cui ha assistito siano servite da base per alcune di queste storie. Inquietante, a tal proposito, il tasso di corruzione nella polizia che si percepisce in più di un’occasione. Ma a incrementare il tasso di realismo nei “gialli” di Collins ci sono anche elementi come la ricostruzione delle procedure in Los Angeles P.D., la descrizione della trasferta romana di Larry Mannino, la durezza dei primi approcci alla professione in Sergente a New York (che in realtà è un prequel di Precinto 56 commissionato dall’Eura, che lo pubblicò solo anni dopo con un altro titolo celandone la vera natura).

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Nel genere poliziesco possiamo anche inserire Chinatown, un’originale serie in dodici episodi disegnata da Enio, che si distingue ovviamente per la sua ambientazione e che è anch’essa caratterizzata da un certo realismo (Collins in realtà scrisse due Chinatown, l’altra era disegnata da Savid per Columba ed è inedita in Italia).

Così come nel western di Collins non ci sono solo cavalieri solitari e pistoleri infallibili, così anche nel “suo” genere poliziesco assistiamo a derive più particolari. Skorpio, ad esempio, è ambientato tra gangster e poliziotti, ma ha per protagonista nientemeno che un vigilante di colore. La genesi di Skorpio, inedita in Italia, è oltretutto assai originale: diede il nome alla testata argentina omonima, ma in realtà vi esordì come comparsa di Kiling, adattamento a fumetti di Garcia Seijas del “nero” erotico italiano a cui Scutti e Zerboni avevano dedicato alcune riviste e su cui evidentemente puntavano per accaparrarsi qualche lettore malizioso in più. Questa sorta di prologo al “vero” Skorpio sarà poi affidata per i suoi pochi episodi a Oswal (che occasionalmente ne curò anche i testi) e il personaggio come lo conosciamo anche in Italia farà capolino nella sua testata appena nel maggio del 1978, a quattro anni dalla nascita della rivista.

In aggiunta alla curiosa nascita di Skorpio va detto che le storie poliziesche più realistiche e meno consolanti vengono realizzate per la Record, mentre la produzione Columba di Ray Collins si inserisce in un canone più classico e accomodante con le figure autoritarie (anche se nemmeno su El Tony, Nippur, ecc. mancarono detective disillusi, l’Alan Braddock di Collins e Canelo è un classico esempio di poliziesco “normale”).

Molto più che con il western, il poliziesco ha offerto a Collins la possibilità di trattare argomenti a lui cari, e criticati da alcuni lettori, come i bambini perduti, le ragazze traviate, gli scontri generazionali, le ingiustizie assortite del mondo marcio in cui i suoi protagonisti agiscono.

Poco rilevante ma estremamente notevole nella sua produzione, è comunque anche il genere umoristico, di cui può venire considerata una declinazione anche l’avventuroso brillante. Per Collins la vita è triste, ma a leggere Overland Trail e Rio Bray non sembra proprio. Si tratta – appunto – di serie brillanti, commedie (così come lo è in fondo anche Fantasmi dell’Artico) che rielaborano i filoni western e “piratesco”. Ray Collins non è Carlos Trillo né Robin Wood (che nelle loro incursioni umoristiche si sono dedicati a una comicità di situazione o alla satira di costume), ancor meno Carlos Albiac: l’ironia pare proprio non sapere dove stia di casa. Anche lui però fa ricorso occasionalmente (come ne Il Corso, ancor più in Justiniano) a battute salaci o, più raramente, a situazioni surreali con cui dare l’avvio a una storia o creare un anticlimax.

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Per godere di una produzione propriamente comica di Collins dobbiamo spulciare Lanciostory e Skorpio in cerca di alcune rarissime storie autoconclusive, disegnate spesso da Angel Alberto Lito Fernandez. In particolare, la coppia si dedicò alla realizzazione di una “criptoserie”, cioè una sequenza di liberi sganciati da un appuntamento fisso ma che presentavano situazioni e personaggi comuni tanto da diventare quasi una serie: quella dedicata al cosacco di madre argentina (!) Igor Pantaleon Danielevitch Gardel. Salvo sviste o dimenticanze, questa saga è cominciata con La Ballata del Cosacco triste su Lanciostory 23/1987 ed è proseguita fino a tempi relativamente recenti, magari relegata nei supplementi Più in quelle occasioni in cui l’Eura ha setacciato i cassetti in cui riposava materiale che aveva già acquistato.

In queste storie umoristiche, Collins rivela una natura diametralmente opposta a quella austera e compassata, e quasi sempre malinconica, che caratterizza gli altri suoi lavori: queste schegge sono tanti Hellzapopping scatenati, in cui la situazione di partenza è solo un pretesto per far detonare sequenze goliardiche e surreali, inanellate in una maniera e con un ritmo tali che, alla fine, il lettore, ubriacato da suore che praticano il kung fu, strambi saggi orientali, parodie di soldati e conigliette di Playboy, stenta a ritrovare il bandolo della matassa senza il supporto delle vignette finali, in cui spesso viene riassunto quanto successo.

È curioso notare come l’unica serie programmaticamente umoristica scritta da Collins (in collaborazione con Roger King/Rogelio Galicchio che poi ne scriverà da solo gli ultimi episodi) abbia un sottofondo amaro: il protagonista di Tragicomix, oltretutto un fumettista d’invenzione, si vede costretto a crearsi un mondo di fantasia per meglio tollerare le delusioni e le brutture della società che di volta in volta deve affrontare.

Nonostante sia assolutamente marginale all’interno della sua produzione, vale la pena segnalare come curiosità l’incursione di Ray Collins nella pornografia. Sulla rivista Bronx, una delle tante che nei primi anni Novanta cercarono di trovare un posticino al sole sulla scia di Blue, comparvero diverse sue serie che spaziavano dal soft di Larker alle orge improbabili di Taxi Boy. All’epoca faceva un certo effetto pensare che lo sceneggiatore era lo stesso di cui nemmeno molti anni prima leggevamo storie “rosa” tout-court o, almeno, pervase da un forte romanticismo. Ma d’altronde, ripensandoci, pure Figlio del Sole (incursione nel fantasy disegnata da Lucho Olivera) aveva come lieto fine un’orgia.

lorenzon-11Ovviamente, quando deve parlare di donne vogliose, stupri e uomini superdotati, Collins lo fa a modo suo: tralasciando Larker, un poliziesco disegnato da Silvestre “Frank” Szilagyi in cui il sesso è poco invasivo e mai esplicito, le altre serie mostrano tutta la sua personalità.

Nell’episodio di Honey (tassista sexy che poi scopriremo avere poteri teleciniteci) ospitato in Bronx 15, il personaggio principale ingaggia la protagonista per godere delle sue grazie, ma, al momento di consumare, la allontana per mettere in scena una sua fantasticheria: tornare indietro nel tempo al momento in cui, lui povero ragazzo dell’Oklahoma, si vide rifiutato dal suo amore adolescenziale per un riccastro del posto. E così stavolta sarà lui ad allontanare il simulacro della sua passione insoddisfatta lasciando nella protagonista una sensazione di pietà.

Nello stesso numero, il gigolò Roly protagonista di Taxi Boy, che nell’episodio successivo non si farà problemi a punire una donna malvagia lacerandole la vagina con un enorme soprammobile, riflette sconsolato sulla sua ultima peripezia: “addio, mia piccola bambina cieca… mi daresti il tuo corpo ora che io vorrei il tuo cuore… ma tu forse il cuore non l’hai avuto mai…”

Insomma, neanche qui mancano sentimenti e malinconico pessimismo, forse un po’ troppi per un genere che non ne ha affatto bisogno. Ma anche la vena grottesca di Collins fa capolino nelle sue storie osè: in Morbo-Town assistiamo a una storia pazzesca in cui un’astronauta, scelta per sperimentare gli effetti del sesso nello spazio (che la renderà una ninfomane dotata di superforza), precipita nella cittadina del titolo, un luogo in cui per tenere a bada la criminalità si permette ogni nefandezza il sabato sera, sotto osservazione dello sceriffo, che è una donna stupenda assistita da un giovane superdotato che si finge storpio, e che da solo mette sotto scacco una banda di rapinatori che agiscono travestiti da cow-boys. E questo è solo il primo episodio.

Concludendo questa panoramica proprio con la pornografia, possiamo vedere anche in questo genere così particolare una cartina di tornasole dello stile di Collins, che sicuramente ha i suoi punti cardine (che, va da sé, possono non piacere a tutti) ma che presenta al contempo una grande varietà di situazioni e ambientazioni diverse a cui possono venire applicati.

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