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Cinema

Abbiamo vinto, ma continuiamo a perdere

Non volevo scrivere niente sul premio a Sorrentino. Sono già stati versati fiumi di parole, l’argomento è ormai consumato, recensioni vecchie e nuove abbondano, ma alla luce di quanto successo e di alcune considerazioni, merita ancora delle riflessioni per il suo portato. Mi spiego.

Qualche anno fa, mentre seguivo un corso di sceneggiatura con una scrittrice americana, mi ritrovai a proporle un soggetto per un film da realizzare a basso budget. L’ambientazione era un’Italia distopica, in cui crisi economica e culturale si erano talmente radicate da sradicare il rispetto di se stessi e dell’altro; i sogni e le speranze avevano lasciato posto a un individualismo sfrenato, motore di una pazza rincorsa verso la sopravvivenza nella consapevolezza sbiadita che non poteva essere quello il proprio destino.

Sorrentino agli Oscar

Devo dire, con il passare degli anni, che sono stato abbastanza profetico, ma ammetto anche che non fosse poi così difficile centrare la previsione. Questo era il luogo fisico e mentale da cui si dipanavano le vicende, e con un po’ di fantasia non è poi così difficile immaginarle. Quello dell’orgoglio umiliato, della perdita d’identità e aspettative, è stato l’inizio di un percorso che nel passato ha portato popoli ai peggiori abomini, alla riconquista con la forza di un proprio ruolo nel mondo, alla caccia alle streghe contro altre etnie colpevoli delle proprie sorti. Individuato il nemico all’esterno, si ha un obiettivo e sembra tutto più facile. Nel mio caso, dopo aver instillato l’ideale del successo, della carriera, della visibilità a tutti i costi, la frustrazione di certi principi indotti era il terreno fertile su cui sviluppare tragiche vicende. La sceneggiatura funzionava, aveva la sua buona dose di azione e una filosofia di fondo che legava le storie, fino a un esito che lasciava una luce di speranza. Le piacque, ma a suo dire era “troppo poco italiana”. Diceva che per intrigare gli americani dovevo sottolineare le caratteristiche tipiche dell’italianità: l’attaccamento alla famiglia, il romanticismo sopra le righe e un po’ coatto, il sesso visto come valore sopra ogni altra cosa, gli intrallazzi di politici e imprenditori, la voglia di divertirsi come unico scopo nella vita. Le risposi che sì, forse aveva ragione che eravamo così, ma era anche vero che non tutti siamo uguali e comunque era ora di uscire da certi canoni letterari e filmici che ci avevano incasellato. Quell’Italia era già stata descritta benissimo in passato dai nostri maestri e per me aveva poco senso continuare proporre e perpetuare una certa visione, oltre che imbarazzante. Insomma, probabilmente una storia quasi cyberpunk, cinica e nera, non era considerata adatta a un italiano e soprattutto doveva reggere di fronte a quelle classiche americane, ma lei non mi rispose che era un problema di soggetto e trama, potremmo dire piuttosto di costume. Mi disse una cosa che è poi uno dei motivi per cui scrivo questo pezzo:

 “Non è importante come voi veramente siete, ma come noi pensiamo che voi siate”.

Completò il consiglio con un’indicazione sull’abbigliamento consono a un’eventuale presentazione: niente Converse o scarpe da ginnastica, quelle le usano loro, per essere credibili e colpire l’attenzione sarebbe stato meglio un mocassino. Ecco, io credo che quel concetto di italianità sia alla base della scelta hollywoodiana di premiare Sorrentino per “La grande bellezza”. Intendiamoci, è un gran film e l’Oscar dell’Academy è meritato, ma alla luce di quest’esperienza con il loro modo di pensare, ho motivo di credere che in quel ritratto volutamente grottesco, gli americani abbiano visto la nostra vera natura, quello che si aspettano da noi, oltre che una riedizione moderna della Dolce Vita dell’amato maestro Fellini. Di là dall’amara considerazione che una volta eravamo culla della cultura agli occhi del mondo mentre ora, a quanto pare, quasi ridotti alla pantomima di un popolo buffo e curioso, la vittoria del nostro regista mi ha confermato anche i presupposti su cui era basata la mia storia: l’egoismo, l’individualismo, l’invidia data dalla frustrazione. In questo triste periodo del paese, anziché gioire semplicemente della vittoria mondiale di un nostro prodotto artistico, leggo commenti retorici di giornali che travisano il significato del film per veicolare un proprio messaggio, o critiche, dietrologie politiche, insulti da parte dei lettori.

Servillo in una scena del film

Si è riusciti persino a vedere del marcio nel ringraziamento a Maradona per via delle sue vicende con il fisco, quando le premesse di Sorrentino, napoletano, erano quelle di ricordare coloro che gli avevano fatto capire cosa fosse lo spettacolo. Insieme a Maradona, emblema calcistico di genio e quasi più un dio che un idolo per un napoletano, il regista ha ringraziato Scorsese, Fellini e i Talking Heads. In definitiva, i suoi miti sportivi, cinematografici e musicali. Gusti peraltro condivisibili, vista la grandezza oggettiva di quegli artisti. La sua è semplice ammirazione, stupore che si prova di fronte a un’opera creativa, al gesto di un genio. E invece no, noi ci abbiamo l’evasione fiscale. Nei titoli dei giornali si è letto spesso “Sorrentino ringrazia Maradona”, quasi a voler applicare un’ombra a quel successo, a instillare rabbia nel lettore che finisce persino a vederci un insulto al paese. Nel momento in cui la nostra vera bellezza crolla come i muri di Pompei o non si ha lo spirito di tirarla fuori dal sottosuolo per mancanza di fondi e volontà, si dovrebbe meditare su tutto questo piuttosto che andare alla ricerca di complotti politici o pecche stilistiche, di appigli per tranquillizzarci o affossarci ancora di più. Forse sarebbe meglio vincere un Oscar in meno e dare un’impressione diversa, o magari continuare a vincere ma farlo insieme, ritrovare quell’unità che sembra esserci soltanto sotto i mondiali di calcio. La bellezza salverà il mondo, diceva il principe Miškin ne “L’idiota” di Dostoevskij. Che “La grande bellezza” salvi l’Italia o perlomeno la faccia riflettere.

Commenti

Un commento a “Abbiamo vinto, ma continuiamo a perdere”

  1. FINALMENTE DUE VALIDE CONSIDERAZIONI FUORI DEL CORO DEI SOLI ELOGI ANCHE SE MERITATI

    Di GIBI | 30 Maggio 2014, 09:38

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