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Cinema

Last cop, l’ultimo sbirro della TV tedesca

Il commissario Mick Brisgau fra Ostalgie e postmoderno


Un fotogramma della sigla di Last Cop - L'ultimo sbirroGià da qualche anno va in onda su Rai Uno – e su una pletora di altri canali digital-satellitari che chi scrive ignora per raggiunti limiti di età – il telefilm poliziesco Last Cop – l’ultimo sbirro, il cui titolo è la soddisfacente traduzione[1] di Der letzte Bulle: si tratta, infatti, di una produzione tedesca.

Il nome originale della serie non include il sottotitolo in inglese, che, una volta tanto, si rivela un felice escamotage dell’edizione italiana per suggerire allo spettatore a quale genere appartenga il telefilm, distinguendolo subito dai due antitetici archetipi del poliziesco targato Germania: l’introspettivo e rigoroso Ispettore Derrick e il cartoonesco e superficiale Kobra 11.

Last Cop, infatti, è molto più simile ai telefilm di indagine e azione prodotti negli Stati Uniti, in cui l’investigazione che porta alla risoluzione del mistero e alla rassicurante cattura del criminale è inframmezzata da digressioni leggere – spesso comiche – relative alle peripezie personali dei personaggi principali. Una sorta, insomma, di Magnum P.I. in euro.

Il paragone con l’aitante investigatore delle Hawaii non è casuale, poiché molta dell’estetica di Mick Brisgau comunica l’appartenenza del personaggio agli anni Ottanta proprio in virtù di una subliminale somiglianza – imperfetta quanto immediata – con uno dei più celebri personaggi televisivi di quel periodo.
Su un fisico inverosimilmente prestante per uno che ha trascorso gli ultimi vent’anni allettato, fanno bella mostra di sé camicie dalle fantasie vistose, stivali texani e giubbotti di jeans, dalle cui tasche escono sigarette in pacchetto morbido che vengono accese – specie dove è vietato – con lo Zippo.

Il vizio del fumo è un altro tratto distintivo del protagonista di Last Cop: entrato in coma ai tempi in cui il tabagismo era già stato identificato come causa di gravi patologie, ma non apertamente stigmatizzato, e in cui la sigaretta ancora conferiva al personaggio una più marcata “aria da duro”, il commissario Brisgau non si rassegna ai numerosi divieti, fumando regolarmente in commissariato e praticamente su tutte le scene del crimine, anche quando queste sono luoghi pubblici.

Interessante è anche il rapporto con il fumo degli altri personaggi.
Il giovane collega di Mick, Andreas Kringge, che appartiene alla generazione successiva, tanto da avere una relazione sentimentale con la figlia di Brisgau nella prima serie, non tocca mai sigaretta.
I coetanei del protagonista, invece, non sono fumatori regolari, ma non disdegnano di indulgere alla “cicca” nei momenti privati, magari in un periodo di confusione sentimentale o in occasione di uno scambio di confidenze. Soprattutto la psicologa Tanja, con la quale Brisgau ha una relazione altalenante, che causa a entrambi evidenti scompensi emotivi anche dopo essere terminata, viene vista fumare mentre si confida con Uschi, la barista e amica di lunga data di Mick, e mentre dialoga con il partner (o l’ex-partner, a seconda dei momenti) sulla loro relazione.

La sigaretta è, dunque, usata dagli sceneggiatori come solco fra Mick, figura del passato, Andreas, personaggio moderno, e coloro che, pur appartenendo alla generazione di Mick, hanno avuto modo di evolversi e cambiare la propria visuale e la propria condotta con il passare degli anni, adeguandosi ai tempi, ma senza perdere completamente alcuni comportamenti, compiendo un’evoluzione che a Mick è stata negata dal lungo coma.

Lo iato fra il protagonista e il tempo in cui si muove è sottolineato dal personaggio del commissario Kringge.
Egli incarna la mentalità e i costumi attuali in tutti gli aspetti della vita, non solamente nelle procedure investigative. Attraverso la figura di Andreas, la fiction ironizza anche sulle esagerazioni dei tempi moderni, come l’eccesso di politically correct e la maniacale conformità a norme e protocolli burocratici.
Fra i due si instaurano i tipici meccanismi della coppia comica, anche se non di rado si assiste a un ribaltamento di ruoli. In genere, i deprecabili modi sbrigativi di Brisgau sono più rapidi ed efficaci della rigida osservanza delle procedure di Kringge, la cui formazione scrupolosa, però, è spesso cruciale per il procedere delle indagini.Henning Baum (a destra) e Maximilian Grill nei ruoli di Mick Brisgau e Andreas Kringge

Sul piano privato, i due compensano le reciproche manchevolezze, non senza esiti divertenti. Tocca ad Andreas aggiornare Brisgau sui progressi della tecnologia e sulle potenzialità dei nuovi strumenti, che Mick fa velocemente suoi, destreggiandosi presto in Internet e con il cellulare, la cui suoneria, però, è – per un felice guizzo degli sceneggiatori – la sigla di Bonanza.
Brisgau, invece, dispensa al giovane collega preziosi suggerimenti per trattare le donne, anch’essi fortemente influenzati dall’ideale del maschio in voga prima del crollo del Muro, il “duro dal cuore tenero”, capace di gesti eclatanti e altrettanto solide manifestazioni d’orgoglio, che al giorno d’oggi non sempre sortiscono l’effetto auspicato. Memorabile, a tal proposito, il consiglio di esprimere il proprio amore a Isabelle con un grande cuore sotto la finestra della sua stanza, da realizzare bruciando opportunamente una porzione di prato; naturalmente Andreas si rifiuta, così Mick – certo che il gesto avrebbe conquistato la ragazza – agisce per l’amico, suscitando le ire della figlia e del patrigno.

Anche il rapporto di Brisgau con le donne è un espediente volto a sottolineare l’anacronismo del personaggio (e a fidelizzare gli spettatori, naturalmente).
Egli si pone come il maschio forte, sicuro e conquistatore che la società di qualche decennio fa richiedeva di essere, nascondendo le incertezze e le fragilità sdoganate nel frattempo, anzi facendosene talvolta beffe. Allo stesso tempo, Brisgau è sincero e fiero dei suoi sentimenti, che non teme di esternare in modo plateale. Man mano che il tempo passa (la serie si è da poco conclusa con la quinta stagione), i suoi modi da cow-boy lasciano spazio a espressioni più sincere e composte, pur senza discostarsi dal codice cavalleresco cui l’investigatore è votato; nella terza stagione, lo vediamo irrompere con l’auto in un vivaio per inondare di fiori il letto d’ospedale di Tanja, mentre nella quarta abbandona con una scusa l’uscio della nuova fiamma, quando ad aprirgli la porta è la figlia di lei, della quale (e del cui padre) non sapeva nulla.

Il successo di Last Cop è probabilmente dovuto a trame semplici, ma non sempre banali, in equilibrio fra il desiderio dello spettatore di essere stupito con un colpo di scena e quello di risolvere l’enigma prima dell’investigatore; a un registro leggero e complessivamente scanzonato (nell’edizione italiana sono state tagliate le immagini più violente o esplicite), che stempera le lugubri atmosfere dei delitti; a qualche buono spunto nei dialoghi; a comprimari misurati, niente affatto complessi, cui è facile affezionarsi.
Una menzione particolare va alla colonna sonora, rockettara al limite del “tamarro” (quale – sotto certi aspetti – il buon Brisgau, con le sue magliette dei Kreator[2], è), che include i brani più evocativi e in voga nel decennio precedente la caduta del muro.

Tutto questo non basterebbe, se non ci fosse il personaggio di Mick Brisgau, che allo stesso tempo canzona e celebra l'”io” che siamo stati.
Le vicissitudini del commissario arrivato dal passato suscitano nello spettatore gli stessi sentimenti di malinconia e divertimento che si provano guardando le vecchie fotografie (per tacer delle diapositive), quelle che non ci fanno capacitare di come potessimo andare in giro con certi maglioni e certe pettinature, pur ricordando distintamente che c’è stato un tempo in cui ci sembrava normale farlo, e forse ne eravamo addirittura fieri.

Mick Brisgau, con le sue spacconate e il suo maschilismo soffocato, ma mai veramente estirpabile, è l’istantanea di un’epoca passata da poco, eppure già antitetica al presente per quanto riguarda la maggior parte dei costumi e delle abitudini.
La forza del personaggio – e della serie – consiste proprio nel permettere allo spettatore di mettere a fuoco un periodo altrimenti ancora troppo vicino per essere visto distintamente, di riconoscere i progressi e di ricordare gli errori, e di riuscire – grazie al confronto – a guardare anche il presente con il distacco che meriterebbe, per apprezzarne le conquiste senza scadere negli eccessi opposti.

 

Note

[1] Il sostantivo tedesco Bulle (lett.: “toro”) è usato sia come dispregiativo di “poliziotto”, sia per indicare l’uomo un po’ spaccone, che ostenta virilità e rudezza. Calza, dunque, perfettamente al personaggio di Mick Brisgau e trova nel termine “sbirro” un traducente efficace, sebbene circoscritto a una sola area semantica. In questo caso, l’apparente incongruenza di tradurre in inglese un titolo tedesco destinato al mercato italiano trova spiegazione, oltre che nel voler rendere l’idea del genere del telefilm, nella necessità di tratteggiare immediatamente il personaggio, fermo all’epoca in cui sembrava che tutto ciò che proveniva dagli Stati Uniti dovesse assurgere a modello.

[2] I Kreator sono un gruppo thrash metal di Essen, la città in cui Last Cop è ambientato, in attività dagli anni Ottanta. Chi scrive lo ha appreso da Wikipedia.  

Le immagini di Mick Brisgau e Andreas Kringge sono tratte dal sito ufficiale della serie, sul portale dell’emittente produttrice Sat 1. Il fotogramma della sigla di Rai Uno è tratto dalla pagina Wikipedia di Last Cop. L’immagine di sommario è tratta dalla pagina facebook ufficiale del telefilm.

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