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Palcoscenico

Un ballo in maschera

Recensione della rappresentazione al teatro Comunale di Bologna del 14 gennaio 2015

mir-01Un ballo in maschera è definita dai più il passaggio di Giuseppe Verdi dall’antico al moderno, con una conseguente leggerezza musicale (almeno per i primi due quadri) che, forse, lasciò attoniti i presenti alle prime rappresentazioni dell’opera da cui Johann Strauss trasse i temi per le sue quadriglie.

Tra le varie opere del compositore, “Il ballo” è quella più ricca in assoluto di arie e di importanti passi solistici, che si trasformarono e formarono col tempo. Da qui dovremmo cominciare a narrare tutta la sua odissea: basti sapere che il soggetto iniziale di Verdi e del librettista Antonio Somma era Gustavo III, re di Svezia, che realmente venne assassinato durante un ballo in maschera, “vittima di una cospirazione aristocratica”. Gustavo III venne, però, censurato per motivi di costume (gli stessi che vietavano, ad esempio, l’uccisione in scena di un monarca e la flagranza d’adulterio), ma l’anno dopo ritornò, seppur in forma talmente diversa da prender le sembianze di un’altra opera. L’ambientazione divenne l’America, in modo che nessuno potesse più contestare nulla, e anche la musica mutò in grandissima parte, così come i personaggi; le attitudini di questi, forse, sono le sole sopravvissute allo “smantellamento”.

È il 14 gennaio 2015, e l’ingresso del Teatro Comunale di Bologna ci porta nel pieno di un importante ufficio di partito – come un segno di una già riuscita vittoria – nel quale la nuova preparazione alla campagna elettorale di Riccardo è agli sgoccioli: c’è un grande viavai di dipendenti, addetti e impiegati, orchestrati da Oscar.
In origine, per volere di Verdi, il personaggio di Oscar era un paggetto, che solo per questa sera si trasforma in una donna, la fida assistente del “boss”, che in certi casi sembra avere più voce in capitolo del migliore amico (e bodyguard) Renato; a questo proposito, molti attribuirono ed attribuiscono al rapporto tra Riccardo e Oscar un’accezione omosessuale.

In mezzo a questa folla troviamo, però, anche coloro che complottano contro l’uomo, in particolare Samuel e Tom, che infatti esordiscono cantando: “E sta l’odio, che prepara il fio, ripensando ai caduti per te”.
Già dal primo atto Riccardo parla dell’amore per Amelia, consorte di Renato, e questo affetto vela tutto il quadro, che si sviluppa tra la decisione di toccare con mano gli “incantesimi” della maga Ulrica (che per decisione della regia viene tramutata in una santona prettamente americana) – che egli vede trasmessi su di un televisore fatto installare all’interno del suo ufficio dalla zelante assistente, che prenderà poi le difese di queste pratiche stregonesche – e un discorso “tra uomini” col quale Renato cerca di mettere in guardia l’amico, invano.

Il destino che la santona vestita di bianco predice a Riccardo è infausto, ma l’uomo si dimostra molto scettico e, del resto, si concentra solo sulla sua amata, anche lei  recatasi segretamente da Ulrica per chiedere alla donna un metodo per dimenticare le sue pene e forse, al contempo, espiare i suoi peccati.
È così che il Conte decide di seguire Amelia al campo solitario – per l’occasione trasformatosi in un cantiere – nei pressi del cimitero indicatole dalla maga e, una volta lì, le dichiara il suo amore che, alla fine del dialogo tra i due, si rivelerà ricambiato.
Sarà l’arrivo del marito della donna, giunto al fine di salvare Riccardo dai nemici che hanno intenzione di tendergli un agguato, a guastare il clima amoroso, che da timido e romantico si fa feroce di gelosia. Egli stringe un patto con Sam e Tom e uccide, poi, Riccardo al ballo in maschera in casa sua – per questa produzione dato come party conclusivo della campagna elettorale, nel quale tutti hanno come maschera il volto dello sfortunato.mir-02

Gregory Kunde si dimostra ancora una volta capace di monopolizzare la scena, con un’interpretazione di Riccardo ricca di sfumature – vediamo un Conte fiero, poi egoista ed infantile, e poi ancora capace di dimenticare tutto il suo potere in cambio di una dichiarazione sincera della sua musa.
I fortunati presenti godono così di legati sicuri e limpidi e di un fraseggio ammirevole che sicuramente non verrà dimenticato.
Nei panni di Amelia troviamo invece Maria José Siri, che riesce a commuovere e a trasportare il pubblico attraverso le sue pene e i suoi dolori in una maniera sempre diversa; dolcissimi i piani e strazianti i legati, la Siri riesce così a plasmare un personaggio completo e a tenere completamente testa al suo tenore.

La Ulrica di Elena Manistina è forse l’unico personaggio non riuscito all’interno della produzione: il suono gutturale è rigido e un’intonazione non sempre perfetta suggeriscono una scomodità della cantante all’interno del ruolo che non le rende onore.
Luca Salsi è un Renato indubbiamente verdiano, dai fraseggi sicuri e dal notevole spessore psicologico, che si assicura tantissimi complimenti ad opera conclusa, a partire dalla platea. Oscar viene interpretato da Beatriz Díaz, dal timbro interessante e dalla voce squillante, cosa che rende il tutto fresco e vivace. Unica pecca: nelle volate, che purtroppo non risultano così sciolte come dovrebbero essere per mantenersi in linea con tutta l’interpretazione; ciò nonostante, nel complesso fornisce un’interpretazione assolutamente positiva.
Convincenti Fabrizio Beggi e Simon Lim nei ruoli di Samuel e Tom e gradevole la prova di Paolo Orecchia in Silvano.

Certamente degna di nota la brillante regia di Damiano Michieletto, che ci riporta nel mondo moderno, reso nei minimi particolari e senza volgarità; il regista restituisce ai suoi personaggi la loro psicologia a trecentosessanta gradi, senza alcuna riserva o dimenticanza, donando loro anche una quotidianità – che vediamo, ad esempio, con l’ingresso della baby-sitter durante il litigio tra Renato e sua moglie, o con la consumazione del pranzo nel già citato “discorso tra uomini” di Riccardo e Renato.
Ad una buona regia si unisce l’impeccabile Michele Mariotti, che dirige un Giuseppe Verdi in maniera pura, per quello che è, senza sovrastare i cantanti, ma – anzi – offrendo loro un commovente accompagnamento, cui partecipa in tutto e per tutto – come un ottimo narratore.
Provocanti e ironici i costumi di Carla Teti, coinvolgenti e complici del dramma le luci di Alessandro Carletti. Ottimo lavoro il coro.mir-03

In conclusione, sembra convincere tutti questo primo titolo in cartellone, con ovazioni e lunghissimi applausi e “bravi” (soprattutto per Kunde, Siri, Salsi e Mariotti) che non si limitano all’interno del teatro, ma continuano anche per le strade attigue.

Giuseppe Verdi UN BALLO IN MASCHERA

Teatro Comunale di Bologna, 11-18 gennaio 2015

Direttore: Michele Mariotti

Regia: Damiano Michieletto

Scene: Paolo Fantin

Costumi: Carla Teti

Luci: Alessandro Carletti

Maestro del coro: Andrea Faidutti

 

Interpreti nello spettacolo recensito:

Riccardo: GREGORY KUNDE

Renato: LUCA SALSI

Amelia: MARIA JOSÈ SIRI

Ulrica: ELENA MANISTINA

Oscar: BEATRIZ DIAZ

Silvano: PAOLO ORECCHIA

Samuel: FABRIZIO BEGGI

Tom: SIMON LIM

 

Le immagini a corredo dell’articolo sono tratte dal sito ufficiale dedicato a Giuseppe Verdi (l’ultima) e dalla pagina culturale del sito del Comune di Bologna

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