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Cinema

Trieste Science+Fiction 2016

Trieste Science+Fiction 2016La sedicesima edizione del Trieste Science+Fiction Festival, appena conclusasi, ha portato all’attenzione degli spettatori numerose pellicole di cineasti contemporanei inserite in un programma caratterizzato anche dalla presenza di film di epoche passate, di difficile reperibilità, restaurate o cadute nel dimenticatoio, diventate veri e propri cult per appassionati del genere.

La giornata di apertura si è contraddistinta per un perfetto equilibrio tra antico e moderno con la proiezione di Ikarie XB 1 (1963), del cecoslovacco Jindřich Polák, e di Morgan (2016), dell’inglese Luke Scott. Ikarie XB 1 è da considerarsi a giusto titolo il punto di origine e la fonte di ispirazione del successivo, e più noto, 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, e l’antesignano anche di quella che poi diventerà la serie televisiva di genere fantascientifico per eccellenza: Star Trek.
L’interesse della pellicola consiste nel suo esporre tutte quelle tematiche che poi saranno ulteriormente sviluppate nell’ambito della science fiction – l’isolamento nello spazio; il dover affrontare pericoli sconosciuti; l’instabilità emotiva di coloro che si trovano ad affrontare questa situazione; la nascita di una nuova vita che rappresenta la speranza di un futuro; la rotta verso l’ignoto – e nel suo essere stata oggetto, nella versione americana, di un adattamento che ne ha stravolto il finale trasformandolo nell’atterraggio nella baia di Manhattan di esseri alieni, con tanto di inserimento della Statua della Libertà. Una modifica di questo tipo, probabilmente dovuta all’esigenza di creare un maggior coinvolgimento nel pubblico ricevente, rende ancora più importante, al fine di comprenderne meglio gli obiettivi, la visione del film originale.

Di fattura completamente diversa è invece Morgan che dipinge un’umanità destinata a confrontarsi, in perfetto stile Frankenstein ma con conseguenze ben peggiori, con la creatura a cui ha dato vita, dal nome maschile ma dalle fattezze femminili, e a chiedersi da quale parte stia la vera malvagità. Il problema di fondo, che induce i vari personaggi a sottovalutare il pericolo, consiste nel considerare la creatura non come tale ma come un essere umano con le sue esigenze le cui azioni possono essere giustificate.

Sullo stesso principio si basano alcune delle pellicole più interessanti presentate nelle giornate successive. Realive (Proyecto Lázaro (2016)) dello sceneggiatore spagnolo, qui alla sua prima regia, Mateo Gil, distintosi per la sua collaborazione con Alejandro Amenábar a film quali Tesis (1996), Apri gli occhi (1997), Mare dentro (2004) e Agora (2009), introduce lo spettatore nella vita di Marc Jervis, uomo di successo il cui mondo perfetto va in frantumi quando scopre di essere affetto da una malattia incurabile. Convinto e desideroso di vivere quel futuro sereno che ritiene gli spetti, accetta di suicidarsi per essere sottoposto a ibernazione e risvegliarsi così in un’epoca in cui la scienza sarà in grado di garantirgli una rinascita. Il risveglio finalmente avviene, nel 2083, ma l’uomo, oltre a dover affrontare i problemi legati a un coma durato sessant’anni, non sa di essere l’unico esperimento riuscito fino a quel momento. Mateo Gil analizza il tema dell’immortalità realizzando un dramma, con risvolti horror, che mira a sottolineare l’importanza di vivere il presente, così come ci viene dato, e di non farsi mai illusioni sul futuro.

Sum of Histories (2015), del belga Lukas Bossuyt, a cui è stato attribuito alla fine della rassegna il meritato Méliès, non parla di immortalità ma della possibilità di alterare il passato per garantirsi un presente migliore. Lo scienziato Viktor, legato fin dall’infanzia a Lena, rimasta invalida in seguito a un incidente, nutre un amore profondo per la donna ma soffre nel vederla umiliata a causa della sua condizione. Quando scopre un sistema per inviare mail nel passato, ed evitare quindi l’incidente alla sua compagna, decide di utilizzarlo nella speranza di darle un presente più sereno. Le cose, ovviamente, sfuggiranno di mano e Viktor rischierà di perdere per sempre anche quella felicità che, seppur non perfetta, comunque aveva. La pellicola è strutturata secondo il meccanismo del salto temporale, per cui lo spettatore, con il procedere del film, osserva i mutamenti che l’invio delle mail causa nel passato per poi essere nuovamente catapultato nel presente e scoprire qual è il risultato di quel mutamento.
La morale è abbastanza logica: spesso, nella vita, si presta più attenzione a un minimo dettaglio di imperfezione che a quanto già si possiede e in questo modo si rischia di perdere tutto.

Creative Control (2015), dell’americano Benjamin Dickinson, si focalizza sull’amore virtuale e sulla scelta di rifiutare una realtà deludente a favore di un rapporto immaginario che sembra soddisfare meglio le nostre aspirazioni. Il protagonista, David, crea un avatar della fidanzata del suo migliore amico per instaurare con lei quella relazione che, nella realtà, esiste solo nella sua testa. Per la complessità della storia d’amore, le numerose implicazioni che comporta e il ruolo dominante delle nuove tecnologie, la pellicola è stata definita da Variety: “Apple incontra Antonioni”. Non me la sento, in questo contesto, di scomodare Michelangelo Antonioni, ma l’idea di partenza è indubbiamente molto meglio sviluppata, anche dal punto di vista psicologico, di tanti altri film sulla realtà virtuale visti in passato.

Il Festival ha anche riproposto una serie di film che hanno fatto la storia del cinema horror italiano tra i quali Il gatto a nove code, di Dario Argento, e La casa dalle finestre che ridono, di Pupi Avati. In chiusura, è stata presentata la versione restaurata del celebre Zombi di George A. Romero. Il premio Urania d’argento è stato conferito a Rutger Hauer, mentre il premio Asteroide è andato a Embers di Claire Carré ambientato in un contesto post-apocalittico.

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