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Musica

Breve excursus estetico sulla forma concerto

Concertino per xilofono e orchestra di Toshiro Mayuzumi

Toshiro MayuzumiLa letteratura inerente agli strumenti a percussione è ricca e completa e, certamente, non è meno importante dei repertori degli altri strumenti musicali.

Brani per strumento solista e orchestra, composizioni cameristiche, spartiti per soli strumenti a percussione, pezzi solistici, libri didattici e teorici: si deduce che, sulle percussioni, molti hanno scritto e dimostrato e altri lo stanno facendo.

L’opera che tratteremo è un concerto per xilofono e orchestra, pubblicato nel 1965. Concertino di Toshiro Mayuzumi, nato a Yokohama il 20 febbraio 1929, deceduto a Kawasaki il 10 aprile 1997, compositore giapponese. Studiò presso la scuola musicale di Tokyo, in seguito presso il conservatorio di Parigi Conservatoire National Supérieur de Musique e ai Ferienkurse presso la scuola estiva di Darmstadt.

Inizialmente era entusiasta della musica occidentale dell’avanguardia, in particolare quella di Edgard Varèse, tanto da divenire esponente in Giappone. Dal 1957 rivolse il suo pensiero al Panasianismo o Panasiatismo, da intendere, nel contesto musicale, come un ritorno alle proprie origini.

Compose lavori orchestrali come Nehan kokyokyoku e Sinfonia del Nirvana. Un balletto dal titolo Bugaku. Brani cameristici quali Kinkakuji. Il brano X.Y.Z, per il repertorio di musica concreta, e i brani Shusaku I e “Studio I” per quello di musica elettronica. Fu un compositore prolifico per il cinema: ha composto numerosa musica per film tra cui citiamo Waga ya wa tanoshi, nel 1951, e Jo no mai, nel 1984.

Prima di presentare l’analisi del brano procederemo con un breve excursus sulla forma del concerto sia dal punto di vista dell’estetica, sia dal punto di vista tecnico formale, volendo dimostrare che la letteratura delle percussioni rientra esattamente nei canoni costruttivi della forma concerto.

Breve excursus

Con il termine concerto si designa, generalmente, una composizione per un complesso di strumentisti, uno o alcuni dei quali interviene come solista mentre tutti gli altri agiscono come gruppo collettivo[1].

Antonio VivaldiIn origine l’insieme poteva anche comportare le voci, e il termine poteva non implicare una distinzione fra parti solistiche e parti eseguite collettivamente; in quest’accezione originaria il termine è stato di nuovo adottato in epoca contemporanea. Durante il XVII secolo, tuttavia, il termine concerto venne sempre più a significare una composizione puramente strumentale con più di un suonatore per ogni parte polifonica (orchestrale); questo tipo di concerto, senza parti solistiche rilevanti, fu chiamato concerto di gruppo o di ripieno e rimase in uso come sopravvivenza arcaica sino ad Antonio Vivaldi. Un altro tipo di concerto fu definito concerto grosso, in rapporto al numero dei suonatori partecipanti; poiché alcuni suonatori erano generalmente più esperti dei loro colleghi, si sviluppò la pratica di isolarli di quando in quando, nel corso della composizione, dal corpo dell’orchestra per ottenere un contrasto sonoro fra l’esecuzione dei solisti, il cui gruppo fu detto concertino, e quella di tutta l’orchestra, detto ripieno o a sua volta concerto grosso (indicata cioè con la medesima espressione usata per l’intera composizione). Durante il XVIII secolo la forma di sonata, basata su un contrasto di tonalità e di temi, si combinò nel concerto con il più vecchio principio del ritornello. L’elaborazione della cadenza finale da parte del cantante nell’aria dell’opera fu trasferita nel concerto, dove prese la forma d’improvvisazione estemporanea. Nel corso del XIX secolo furono ancora composti concerti per più di uno strumento e si tracciò via via la tendenza a scrivere proprie cadenze. Né la cadenza conservò sempre il suo posto tradizionale alla conclusione del brano. In tutti i concerti, dai tempi di Wolfgang Amadeus Mozart in poi, all’orchestra fu data generalmente importanza pari a quella del solista, in modo che i due elementi s’integrassero a vicenda. Nel XX secolo con il termine concerto s’identificarono composizioni prettamente orchestrali, ripristinando così l’antica concezione di una forma puramente orchestrale che richiedeva il virtuosismo di più esecutori. Nell’ambito dell’avanguardia del secondo dopoguerra il termine concerto divenne d’uso più raro, tuttavia rimase ben vivo, e anzi intensificato nelle sue intrinseche possibilità drammatiche, il concetto della contrapposizione dialettica tra un solista e un gruppo strumentale. Più recentemente il concerto solistico è tornato di moda, con il suo nome e spesso nella sua forma tradizionale, ed è presente nella produzione della maggior parte dei compositori da metà anni Ottanta[2].

Il concerto normalmente presenta soli tre tempi, nei movimenti: Allegro, Adagio, Allegro che, contrapponendo uno strumento solista all’orchestra, rende varia e complessa la forma e offre la possibilità di “monologhi” del solista, di “dialoghi” fra il solista e l’orchestra, e infine di riassunto “corale” quando tutto il “complesso” partecipa al discorso musicale inquadrato sempre entro i termini architettonici della costruttività sonatistica. A differenza della sonata, poi, l’esposizione del primo tempo del concerto è “doppia” e viene perciò realizzata prima dall’orchestra e poi dal solista. Infine, particolare caratteristica dei concerti è la cadenza, affidata al solista, che musicalmente è una fantasia sui temi dei singoli tempi (di solito le cadenze si riferiscono ai tempi allegri); fantasia che ha pure (e talvolta soprattutto) lo scopo di mostrare le caratteristiche sonore dello strumento e la bravura dello strumentista[3].

Il Concertino si presenta nei canonici tre tempi, ma di andamento non tradizionale per stesura scolastica: Allegro, Adagietto, Presto, può essere eseguito anche con orchestra di fiati e vi è la riduzione orchestrale per pianoforte, quest’ultima, sarà trattata da noi.

 Suonatore di xilofono

Analisi del brano

Il primo tempo, Allegro, si presenta in “forma sonata”, centoventitré battute, ritmo iniziale tetico, ritmo finale tronco.

L’Allegro inizia in 4/4, lo xilofono per le prime otto battute, esegue un intervallo di 2° maggiore. Con un disegno ritmico ben preciso, dato dall’alternanza di croma puntata e semicroma, pausa di croma e croma, croma puntata e semicroma, pausa di croma e croma, seguito da croma con due semicrome, pausa di croma, semicroma e croma, sincope di semicroma croma e semicroma, pausa di croma e croma. Questa è la pulsione dello xilofono, fino al numero I dello spartito, che si presenta in questo punto e dopo un crescendo, con un altro intervallo di 2° maggiore, ripetendo lo stesso disegno ritmico delle battute precedenti con alcune variazioni, cioè l’accento sul primo movimento in battere (tesi) e l’alternarsi di due misure con lo stesso disegno ritmico (battute dieci, undici). Da battuta quattordici, fino al numero II, lo xilofono eseguirà una successione di biscrome (32), contenute in battute di 4/4, con chiusura abbellita nel finale.

La riduzione orchestrale pianistica presenta un tessuto sonoro uguale a quello dello xilofono, quindi intervallo di 2° maggiore in biscrome, ma, essendo una riduzione, vi è la presenza di alcune caratteristiche importanti per la comprensione e l’analisi del brano.

Sull’ultimo movimento della seconda battuta troviamo un intervallo di 5°, dato da due semicrome; questo stesso intervallo in stato di rivolto si troverà con lo stesso disegno ritmico a fine della terza battuta. In seguito, questo gioco d’intervalli si presenterà sempre in modo ridotto fino a introdurre, cromaticamente, il nuovo intervallo di 2°maggiore, dove avremo sempre questa sorta di canone con lo stesso intervallo e conseguente rivolto, che porta a una nuova successione di suoni ascendenti. Una scala, questa, con una presenza strutturale di toni che sarà presente nell’arco della composizione in altra tonalità per arrivare melodicamente a presentare uno stesso disegno, ripetuto per quattro battute, di semiminime a distanza di 2° e 3°; una progressione che conduce a un primo cambiamento di metrica.

Al numero II, quindi, si ha una battuta di 3/4 dove la riduzione orchestrale presenta una successione ritmica/melodica/armonica, che sarà presentata in seguito anche dallo xilofono (battute ventuno).

Fino al numero III, in una successione di battute di diversa metrica (4/4, 2/4, 3/4, 4/4, 3/4, 2/4), lo xilofono con parte dell’orchestra procedono in modo omofono, presentando ciò che noi abbiamo definito primo gruppo tematico.

L’accompagnamento vedrà la combinazione di crome e pause di croma.

Note musicali

Al numero III, con dinamiche di mf, si avrà un breve momento di apparente “stasi” dato dal disegno ripetitivo dello xilofono, mentre la riduzione orchestrale, se pur ripetitiva, inizia a introdurre una successione ritmica (croma, due semicrome, quattro semicrome ecc.) che si ritroverà a battuta trentuno, come momento solistico caratterizzante.

È importante far notare che, a sua volta, l’orchestra ridotta inizia a introdurre una cellula ritmica (croma puntata, semicroma legata a croma, croma, croma puntata semicroma legata a croma, croma) che si ritroverà in seguito nel brano.

A battuta trentasei, l’orchestra ridotta cessa questa sua ripetizione, questa sorta di ostinato, variato dalla diversa disposizione degli accenti, e lo xilofono esegue una scala cromatica che dal DO naturale ci porta al RE; questa per noi la tonalità caratterizzante.

Al numero IV si ripresenta quel disegno melodico che facilmente ci porta a pensare a una nuova forma di canone dove l’apparato orchestrale introduce e lo xilofono segue a distanza di due quarti.

Da battuta trentotto si ripresenta, in forma ridotta, l’alternarsi della metrica (3/4, 2/4, 4/4). Dal terzo movimento di battuta trentotto, fino a battuta quaranta, gli strumenti si presentano in omoritmia, quindi ciò che cambia sono le voci che si susseguono per terze.

Da battuta quarantuno ha inizio il ponte modulante. Lo xilofono ripete lo stesso disegno, mentre l’orchestrazione varia e introduce altre combinazioni ritmiche (pausa di croma, due semicrome, quattro semicrome) che saranno ripetute e saranno riprese anche dallo xilofono nella parte del brano che noi definiremo sviluppo.

Dal numero V al VI è presente solo l’orchestra, alla quale è affidato il compito di ripresentare ritmicamente elementi caratterizzanti delle battute precedenti.

In queste dodici battute sono presenti più voci (tre) con carattere diverso; evidente il cromatismo presente da battuta cinquantasei che termina a battuta sessantuno.

Il numero VI corrisponde a ciò che noi abbiamo definito secondo gruppo tematico. La metrica si presenta con una battuta di 5/4, alla quale segue il ritorno del 4/4.

Dal mf iniziale si procede con un graduale crescendo. A differenza del primo gruppo tematico, che si presentava in omofonia, qui il “motivo” è presentato solo dallo xilofono. La voce si presenta ”fitta” e arricchita da accenti, che evidenziano il carattere del motivo, mentre l’orchestrazione crea un tessuto variegato dove lo xilofono emerge.

Dal numero VII si ha lo sviluppo, ed è evidente rivedere materiali in precedenza esposti che sono riproposti e sviluppati.

Xilofono

Ciò che si evidenzia è la povertà di suoni affidati allo xilofono, e a questo punto è doveroso citare il minimalismo, in quanto questi pochi suoni presenti e ripetitivi sono modificati ritmicamente, risultando non monotoni e particolari.

Nella riduzione orchestrale si sviluppano i due gruppi tematici, ricordandoli.

Dal numero VIII le voci proseguono in omoritmia per due battute, per poi separarsi a battuta ottantatré, dove in pieno sviluppo emerge lo xilofono, prima melodicamente, con una successione di suoni, i quali prima ascendono e poi discendono fino a presentare un glissando che abbellisce il brano.

Caratteristici gli accenti del glissando, che evidenziano un motivo chiaro e preciso.

Al numero IX, definito da noi codette, si ha una serie di progressioni, riconoscibili le tonalità di RE maggiore, MI bemolle maggiore, MI maggiore, FA maggiore, FA diesis maggiore, che finisce su un cluster che riporta i seguenti suoni: LA bemolle, SOL, DO, RE, MI.

Nella cadenza, corrispondente al numero X, ovviamente emerge il virtuosismo del percussionista.

Varietà di dinamiche, cambiamenti di metrica (4/4, 5/4; 4/4) e dal numero XI, mentre lo xilofono si ripete, ritmicamente, ma non melodicamente, rientra l’orchestra con evidenti due voci che s’incastrano tra loro, per giungere a battuta centosedici che per noi corrisponde alla ripresa in omoritmia, che persisterà per quattro battute. In seguito, a battuta centoventi e fino alla fine, le voci si presenteranno in omofonia, con alternanza metrica (3/4, 4/4, 2/4, 4/4). L’unica differenza è riscontrabile nell’ultima battuta, dove lo xilofono eseguirà un glissando.

Il secondo tempo del concerto

Il secondo tempo del concerto, Adagietto, è un tema variato.

Cinquantasette battute, ritmo iniziale tetico, ritmo finale tronco.

Il tema principale si fonda su una scala pentatonica, nello specifico di RE maggiore (RE, MI, FA diesis, LA, SI) e in questo tempo vi è l’indicazione del compositore sulle bacchette dello xilofono da adoperare (bacchette morbide).

Nelle prime undici battute in 3/4 è presente il solo tessuto orchestrale, che esegue accordi e un disegno ritmico ripetitivo (pausa di semiminima, acciaccatura semplice e quattro semicrome, croma, pausa di semicroma puntata e biscroma legata a una croma, pausa di semicroma puntata biscroma legata a croma, croma e pausa di semiminima) che però si modifica in alcuni dettagli, nello specifico le pause all’interno delle battute man mano si modificano in suono e, ovviamente, si modifica anche melodicamente.

Al numero XII si ha un primo cambiamento di metrica in 4/4, e questo punto rappresenta anche l’ingresso dello xilofono che esegue il tema su scala pentatonica.

Dal numero XIII lo xilofono eseguirà il tema variandolo, in altre parole suonandolo in ottava, e sarà in omofonia con parte dell’orchestra.

A battuta ventiquattro, dopo un cambiamento di metrica (4/4, 2/4, 3/4, 4/4), gli strumenti non eseguiranno più in omofonia; in queste battute avviene una sorta di canone dove l’orchestra segue lo xilofono a distanza di 2/4.

Particolare interessante è il numero XIV: mentre lo xilofono esegue bicordi in terzine, l’orchestra propone un secondo tema in SOL maggiore pentatonico che modulerà a battuta trentacinque, e dal numero XV si ritornerà in RE maggiore pentatonico; in questo punto, gli strumenti suoneranno in omofonia.

Da battuta trentotto a battuta quarantasette, mentre lo xilofono esegue biscrome in ottava, che dal SI bemolle scendono al LA e infine al bicordo FA diesis SOL diesis, l’orchestra ripeterà uno stesso disegno ritmico (pausa di semiminima, acciaccatura semplice su quattro semicrome, croma, pausa di semicroma e semicroma, due crome, pausa di semiminima, settimina) che sarà modificato solo melodicamente.

Al numero XVI ritorna il 4/4, nuovamente si ripresentano il tema in RE maggiore pentatonico e il canone tra xilofono e parte dell’orchestra.

Il terzo tempo del concerto

Chiave di violinoIl terzo tempo del concerto, Presto, è in forma di rondò sonata.

S’identifica un primo gruppo tematico, o ritornello, che da battuta uno termina a battuta quaranta.

A battuta dieci dal secondo ottavo, gli strumenti sono omofoni, in seguito, mentre l’orchestra esegue una successione di bicordi modulanti, lo xilofono tace per poi riprendere al numero XVIII presentando un piccolo episodio (A) di quattro battute che armonicamente lo riportano al tema iniziale, il quale propone, però, alcune modifiche.

Al numero XIX si ha un nuovo episodio caratterizzante (B), il quale si ritroverà nell’arco dell’esecuzione.

Dal numero XX al numero XXII si ha la presenza di un secondo gruppo tematico o ritornello.

Il numero XXIV è stato definito da noi svolgimento o intermezzo e, in effetti, sono riconoscibili materiali già adoperati in precedenza e adesso rielaborati.

Al numero XXV riappare l’episodio caratterizzante (B), e dal numero XXVI si ripresenta il secondo gruppo tematico o ritornello, che però sarà modificato.

Al numero XXVIII si ha il primo cambiamento di metrica in 4/4 e si riprende l’esposizione del primo tempo, nella sua interezza.

A battuta centocinquantotto si ritorna al 2/4 iniziale e l’indicazione agogica cambia.

Ritorna l’episodio caratterizzante (B) modificato e da battuta centosessantasette ha inizio una progressione che ci riporta alla tonalità di RE maggiore, con un finale “sentito” che richiama la tradizione Europea.

Conclusioni

Questo concerto, essendo stato pubblicato nel 1965, potrebbe essere considerato obsoleto. Quello che più dispiace è lo scarso livello conoscitivo che si ha attualmente nei confronti della letteratura sulle percussioni, i percussionisti e i gruppi di sole percussioni. Manca una storia della percussione; da un lato probabilmente a causa di scarsa volontà e media conoscenza, dall’altro in quanto l’“universo percussione” è tuttora in evoluzione.

Al compositore Toshiro Mayuzumi possiamo riconoscere il merito di aver donato un concerto che coordina il mondo musicale Occidentale con quello Orientale, dimostrando che almeno nell’ambito musicale non esistono barriere.

Qui è possibile vedere un’esecuzione del concertino:

Note:
[1] AA.VV., L’Universale, la grande enciclopedia tematica, Vol. 13, Milano, pag. 184.
[2] AA.VV., L’Universale, la grande enciclopedia tematica, Vol. 13, Milano, da pag. 184 a pag. 186.
[3] Renato Dionisi, Appunti di analisi formale, Edizioni Curci Milano, XV edizione, pag.35.

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