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Palcoscenico

Tratti comuni e distintivi nella vita e opere di Labiche e Feydeau (I)

Paris Theatre de l'OperaTra i vaudevillisti del XIX secolo che si sono contraddistinti per la qualità delle loro opere e per la diffusione che queste hanno avuto nei principali paesi del mondo, Eugène Labiche (1815-1888) e Georges Feydeau (1862-1921) occupano un posto di primo piano.

Benché sia evidente che le opere del primo hanno in qualche modo influenzato la produzione teatrale del secondo, altrettanto evidenti sono le differenze che caratterizzano il lavoro di questi due grandi autori. Innanzitutto, Labiche e Feydeau possiedono personalità molto diverse che hanno inciso non poco sulla loro produzione e che hanno determinato il loro modo di rapportarsi con la società dell’epoca; in secondo luogo, anche se supera di gran lunga Feydeau per numero di opere realizzate – centosettantaquattro contro circa una quarantina – Labiche si è trovato a dover superare non pochi ostacoli per trovare una sua collocazione all’interno della società francese.

Per capire come le diverse situazioni socio-politiche con le quali si sono dovuti scontrare e le due opposte reazioni di fronte a determinate accuse abbiano comportato notevoli conseguenze per il loro destino, occorre innanzitutto confrontare le vite degli autori.

Vita e scelte politiche di Eugène Labiche

L’infanzia di Eugène Labiche è stata tutt’altro che sfortunata: figlio di due commercianti parigini, proprietari di un emporio di spezie in rue de la Verrerie, l’autore cresce immerso nell’agiatezza grazie all’intuizione del padre, che approfitta del ritorno di Napoleone dall’Isola d’Elba per fare scorta di zucchero a prezzo stracciato e poi rivenderlo al quadruplo del suo valore quando il blocco commerciale imposto alla Francia fa salire i prezzi[1]. La riuscita dell’affare permetterà all’uomo di aprire uno stabilimento per la produzione di sciroppi e di glucosio.
Nel 1834, dopo la morte della madre, Eugène parte con alcuni amici per un viaggio che lo porterà nella Francia meridionale, in Svizzera e in Italia, paese che fa emergere tutto il suo spirito rivoluzionario:

“Oggi sul gazzettino di Firenze ho appreso una notizia molto deplorevole: la pena di morte applicata in ambito politico, la deportazione per un uomo trovato in armi durante una sommossa. Queste persone non hanno idea di che cosa significhi la deportazione. Non sanno cosa significhi l’esilio. Non sanno che respirare l’aria di un paese diverso dalla tua patria è soffocante. Il nostro Re supportato dalla Camera si muove in modo arbitrario. Le sue leggi sono di una rigidità dispotica. Incatenano il popolo che dorme con un sistema legislativo iniquo, ma il popolo si risveglierà, terribile e ruggente come il leone e stritolerà con le sue mani possenti le leggi e i legislatori. Coraggio, Re di luglio, che rinneghi la libertà che ti è madre! Costruisci la tua roccaforte, la tua Bastiglia! Un bel giorno, la ribalteremo con un calcio[2].

La collaborazione con alcuni giornali francesi, tra i quali l’Essor, la Revue de France, Chérubin e La Gazette des Théâtre, permetterà al drammaturgo di continuare ad affrontare queste tematiche in una serie di racconti brevi come Dans la vallée de Lauterbrunnen (Nella valle di Lauterbrunnen, 1834) e L’eau qui bruit (L’acqua che mormora, 1835). In quest’ultima opera, l’accusa nei confronti dello Stato che approfitta della miseria della povera gente è ancora più forte:

“In verità, il matrimonio non è fatto per la povera gente; essa muore di fame e mette al mondo dei bambini. Il fatto è che, essendo privata di tutte le gioie della vita, le resta solo una voluttà, una voluttà istintiva che la società non può portarle via, quella della carne, e la povera gente si abbandona a essa con tutta la forza della disperazione. Ma lo Stato ha il proprio tornaconto in questa fecondità pullulante del giaciglio della miseria. Si serve del povero come di uno stallone per rinforzare le fila dei suoi reggimenti; tutto quello che viene generato nello strame gli appartiene non appena viene al mondo […][3].

Eugène Labiche, ritratto da Félix NadarLa passione per la letteratura lo porta a pubblicare, nel 1839, il suo primo e unico romanzo, La Clef des champs (metaforicamente “prendere il volo”), in cui narra la storia di un giovane dall’ educazione molto rigida che si lascia tentare da una donna di facili costumi, ma che poi riesce a ritrovare la retta via grazie a un matrimonio di convenienza; visto, però, l’insuccesso dell’opera, sarà l’autore stesso a ritirare dal mercato le copie rimaste invendute e a distruggerle. Nel frattempo, continuerà a spostarsi tra la Francia, l’Italia e l’Olanda, intrecciando numerose relazioni con giovani attrici e cortigiane. Pone fine una volta per tutte a queste avventure nel 1842, quando si sposa per convenienza con Adèle Hubert, figlia del proprietario del castello della Grange-Le-Roi a Coubert; questo matrimonio porta i coniugi a possedere un patrimonio complessivo di centocinquanta mila franchi, senza contare due case e tredici ettari di terreno arabile nei pressi di Parigi.

Data l’esperienza negativa in ambito letterario, Labiche inizia a dedicarsi esclusivamente al teatro, che saprà dargli grandi soddisfazioni e profonde delusioni. Tra il 1837 e il 1878, anno in cui si ritira a vita privata per ragioni di salute, scrive centosettantaquattro testi, praticamente uno per trimestre, per lo più di genere vaudeville. La sua produzione teatrale, tuttavia, è oggetto di ampie critiche per quanto riguarda il contributo delle collaborazioni nella stesura delle opere; in effetti, i testi attribuibili al solo Labiche sono presumibilmente quattro, tutti atti unici e di successo non eccezionale –Un jeune homme pressé (Un giovane frettoloso, 1848), Un garçon de chez Véry (Un cameriere di chez Véry, 1850), Le petit voyage (Il viaggetto, 1868) e 29 degrés à l’ombre (29 gradi all’ombra, 1873); le altre opere sarebbero state invece scritte assieme a uno o più autori teatrali dell’epoca.
L’idea che non sia Labiche il vero responsabile del successo delle sue commedie era talmente diffusa che, quando venne fatto il suo nome per una possibile candidatura all’Académie-Française, Ferdinand Brunètiere, membro della stessa, rispose che “non si fa sedere una ragione sociale su una poltrona accademica”[4].

A favore della teoria secondo cui il merito per la riuscita delle commedie sia invece di Labiche, e non dei collaboratori, depone il fatto che nessuno di questi abbia mai reclamato di essere un “coautore” delle opere, ruolo che all’epoca era molto diffuso; va, inoltre, aggiunto che nessuno dei cosiddetti collaboratori è mai riuscito a eguagliare da solo il successo ottenuto partecipando alla realizzazione delle opere di Labiche, il che risulta alquanto strano se a possedere il vero talento non fosse stato lui[5].

Un altro elemento importante da prendere in considerazione quando si analizza la vita e l’opera di Labiche è il ruolo della censura. L’articolo 14 del decreto dell’8 giugno 1806 rende benissimo l’idea sul funzionamento di questo dispositivo di controllo: “Nessuna commedia potrà essere messa in scena senza l’autorizzazione del ministro di pubblica sicurezza”[6], il che si traduceva, in pratica, nell’accurato esame di due censori, che convocavano l’autore e gli comunicavano le modifiche da apportare. In realtà la percentuale di commedie la cui rappresentazione veniva completamente vietata si limitava all’1%, ma tutte le altre subivano delle modifiche e dei tagli atti ad eliminare qualsiasi riferimento politico, religioso o morale che potesse risultare ambiguo. Ed è proprio l’ambiguità delle parole utilizzate in molte sue commedie a creare a Labiche il maggior numero di problemi: alcune scene in cui l’autore fa esplicito riferimento all’atto fisico di consumare il matrimonio vengono  interamente eliminate, mentre battute basate su doppi sensi come la parola “rammollimento” sono sostituite da frasi in cui si dice chiaramente che si sta parlando di “rammollimento cerebrale”, e non di qualcosa di sessuale[7]. Il ruolo della censura all’epoca del Secondo Impero era tale che i testi di Labiche ancora oggi rappresentati e pubblicati nelle raccolte delle sue commedie sono quelli modificati in base alle richieste dell’autorità competente dell’epoca. Non è possibile, dunque, sapere se alcuni di questi avessero contenuti particolarmente sovversivi, anche se bisogna riconoscere che Labiche era molto abile nell’aggirare la censura e riusciva a evitare che le sue opere subissero tagli pesanti. Nel 1858, ad esempio, riuscirà a mettere in scena Le Grain de café (Il chicco di caffè) nonostante la commedia trattasse l’argomento scabroso e realistico di un bordello camuffato da ufficio di collocamento, la cui dirigente offre “nutrici” di varia nazionalità a ricchi borghesi dissoluti[8]. Il testo si rivela un insuccesso, ma Labiche non perde la sua voglia di andare controcorrente.

A. Meunier: Paris, Comédie-Française

Un’altra critica mossa al commediografo riguarda le sue tendenze politiche. Inizialmente l’autore dichiara di essere un fervente repubblicano e si presenta addirittura alle elezioni legislative del 1848 con questo discorso:

“Sono sempre stato di fede repubblicana, sono una di quelle rare eccezioni cosiddette: repubblicani della vecchia scuola; […] non aspiro in alcun modo al sapere politico, non sono né economista, né pubblicista, né giurista; […] voterò secondo quanto mi dice la coscienza; […] Nessuno può prevedere che tipo di lotte le nostre assemblee saranno costrette ad affrontare […][9]

Quando vede fallire le sue aspirazioni, però, cambia repentinamente opinione e diventa un altrettanto fervente conservatore, dichiarando fedeltà a Napoleone III e approvando il colpo di Stato del 1851, quando Parigi si sveglia sotto stato d’assedio:

“[…] plaudo all’atto energico del presidente. La legalità ci stava uccidendo: lui ha ucciso la legalità. Ecco quello che sfortunatamente non tutti sono disposti a riconoscere. Parigi è sbalordita. Parigi esita a pronunciarsi, ma come te spero che il buon senso ritorni nel cervello dei nostri borghesi […] È una situazione eccellente. Se Napoleone non tornasse al potere, chi ci toccherebbe? È questo che bisogna dire a tutti […][10].

Questo suo continuo oscillare da un fronte all’altro, benché fosse lui stesso ad ammettere la sua incostanza politica, non gli valse certo il favore dell’opinione pubblica, né tantomeno di quella accademica. Eppure, Labiche manterrà sempre vivo il desiderio di vedere i suoi testi rappresentati nel Tempio per eccellenza del teatro di Molière, ovvero la Comédie-Française. Il suo desiderio sarà forte al punto da indurlo a scendere a compromessi e ad accettare di scrivere due commedie secondo i canoni richiesti dal comitato di lettura dell’istituzione stessa. La prima commedia, intitolata Moi (Io), è una pièce in tre atti incentrata sulla tematica dell’egoismo, il cui manoscritto sarà rimaneggiato più volte prima di essere definitivamente accettato e messo in scena alla Comédie-Française nel 1864; il secondo testo, invece, è La Cigale chez les Fourmis (Una cicala in casa di formiche), inizialmente rifiutato e poi rappresentato nel 1876 dopo che Labiche ne riequilibra la struttura aggiungendo due personaggi e dando maggiore profondità psicologica a quelli già presenti. Per la cronaca, entrambi i testi riceveranno un’accoglienza piuttosto fredda da parte del pubblico, mentre la critica lamenterà la mancanza di quella tipica verve e di quella voglia di giocare con i doppi sensi presente nei testi di maggior successo dell’autore.

La sua disponibilità a scendere a patti con le istituzioni dell’epoca lo porta, nel 1880, a essere eletto, prendendo il posto di Silvestre de Sacy, tra i membri dell’Académie-Française, dove peraltro ammette esplicitamente la sua inferiorità intellettuale:

“Per tutta la vita ho scritto dei dialoghi, ed ecco che d’improvviso mi trovo a dover affrontare un terribile monologo. Non sono ancora abituato al vostro linguaggio. Entro nel vostro gruppo un po’ come quei Galli, semibarbari, entravano a Roma per impararvi l’eloquenza e per respirare il profumo delle belle lettere”[11].

Muore a Parigi nel 1888 per una congestione polmonare.

Il carattere combattivo di Georges Feydeau

Georges FeydeauPur essendo, come Labiche, cresciuto in una famiglia agiata, fin da bambino Georges Feydeau è costretto a confrontarsi con le maldicenze verso di lui e sua madre, la polacca Lodzia Boguslawa Zelewska, ripetutamente accusata di averlo concepito con Napoleone III o con il Duca di Morny e di soffrire di cleptomania, viste le numerose volte in cui è stata sorpresa a rubare nei grandi magazzini. Il padre, Ernest Feydeau, è un celebre scrittore e la sua casa è frequentata dalle più alte personalità letterarie dell’epoca. Georges cresce quindi sotto l’influenza dei maggiori scrittori di quel periodo, sviluppando in età molto precoce un vivo interesse per il teatro, che lo porterà a scegliere la professione di attore e commediografo anche contro il parere della madre.

Nel 1870, il crollo del Secondo Impero, dovuto alla sconfitta dei francesi nella battaglia di Sedan, riduce in miseria anche la famiglia di Feydeau, già economicamente provata a causa della semiparalisi che ha colpito il padre dopo l’ennesimo attacco dei giornali alla moglie. Il nucleo familiare è dunque costretto a trasferirsi, dapprima a Boulogne-sur-Mer e in seguito a Homburg, dove sarà oggetto di scherno da parte dei soldati tedeschi sia per le condizioni di salute del capofamiglia sia per l’estrema povertà in cui sono costretti a vivere.

Rientrato finalmente a Parigi, Georges si trova a dover affrontare altri problemi: la morte improvvisa del padre per aneurisma cerebrale, l’essere allontanato da casa e mandato in collegio e la nuova relazione della madre con Henry Fouquier, che sfocerà in un secondo matrimonio. Impegnato a realizzare i suoi sogni teatrali, Georges Feydeau riduce sempre di più i contatti con la madre, ignorando anche le lettere in cui questa gli chiede di tornare sui suoi passi. Tutti questi elementi contribuiranno alla formazione di una personalità tormentata, benché profondamente ironica.

Il mistero che aleggia intorno al carattere di Georges Feydeau, uomo molto estroverso con colleghi e collaboratori, ma chiuso e distaccato quando deve parlare dei propri sentimenti, non sarà risolto nemmeno dopo la sua morte. Le poche lettere autografe di cui dispongono gli eredi non lasciano trapelare nulla riguardo ai suoi veri sentimenti nei confronti della moglie Marianne Carolus-Duran, di cui parla senza mai citare la parola “amore”, né sulla possibilità che abbia avuto altre relazioni sentimentali, a differenza della consorte, cui all’epoca ne furono attribuite molte. Inoltre, l’ironia avrà per lui un ruolo dominante non solo in ambito teatrale, ma anche nel suo modo di rapportarsi agli altri. Feydeau, infatti, cercherà sempre di proteggere se stesso dalle domande sulla sua vita privata rispondendo con boutades divenute ormai celebri:

“Un signore annoiato che racconta a un altro signore le proprie noie – fanno due signori annoiati!”[12].

Egli si dimostra tanto meticoloso e instancabile nel mettere in scena i suoi testi quanto schivo e distante nei rapporti umani. Quando assiste alle prove delle sue commedie, da ogni attore pretende il massimo, perché niente deve rovinare il perfetto meccanismo da lui creato. Così, durante le prove della Dame de Chez Maxim (La signora di chez Maxim, 1899) fa notare quanto segue:

“Essendomi accorto che molte interpreti tendono a cantare la romanza piuttosto rivolte verso il pubblico che rivolte verso gli invitati, farò loro notare che così facendo commettono una vera e propria incongruenza a discapito della situazione. La Môme Crevette, in quel momento, si presume stia cantando per gli invitati del Generale, e di conseguenza deve essere rivolta verso di loro e non avanzare fino al proscenio come indica il buonsenso. Faccio affidamento sulle artiste che si troveranno a interpretare il ruolo perché tengano conto di questa osservazione. Quando avrò a che fare con un’attrice da strapazzo è beninteso che l’autorizzo a comportarsi come meglio crede”[13].

La profonda angoscia che sembra tormentare l’autore si traduce nelle lunghissime passeggiate notturne che egli si concede, e che sfrutta per osservare tutta quell’umanità di cui si popola Parigi mentre la città è addormentata. Osservatore arguto di un mondo che sta rinascendo dalle ceneri del Secondo Impero, Georges Feydeau manifesterà apertamente la sofferenza provata per il mancato riconoscimento del valore della sua opera teatrale, e difenderà strenuamente il proprio lavoro, soprattutto dagli attacchi di chi definirà il vaudeville e il melodramma due generi “ormai morti”:

“Che sciocchezza! Morto il vaudeville? Morto il melodramma? Ah! Questa poi! Non fatevi ingannare dalle idee di quel piccolo cenacolo di giovani autori che, nel tentativo di uccidere questi due generi fiorenti che li infastidiscono, non hanno trovato nessun sistema migliore che decretare semplicemente la loro morte! Ma suvvia, miei cari, se fossero morti, ci si darebbe tanto da fare per urlarlo ai quattro venti? Quando una cosa non esiste più, si sente forse il bisogno di parlarne? Insomma, se il vaudeville e il melodramma fossero morti, si farebbero forse quattrocento o cinquecento repliche di fila, quando, a parità di successo, una commedia, appartenente al COSIDDETTO genere superiore (come se esistesse una classificazione dei generi!), viene rappresentata si e no un centinaio di volte? Come si spiega questa maggior durata che va tutta a vantaggio di un genere defunto? Forse con il detto «Quando si è morti, lo si è a lungo!». In questo caso, viva la morte![14].

Edouard Léon Cortès, Place du Theatre de la Comédie Français

Risulta quindi evidente la ragione per la quale Georges Feydeau non accettò mai, a differenza di Labiche, di scrivere una commedia secondo i canoni richiesti dalla Comédie-Française: perché questo per lui avrebbe significato rinnegare il suo stesso teatro e quello per cui aveva lavorato tutta una vita. Rispetto a Labiche, è interessante notare che Feydeau, considerata la diversa situazione politica, non si scontrò mai con la censura; ricevette qualche critica per alcune scene ritenute un po’ troppo osé all’epoca, ma nulla gli impedì di rappresentare i suoi testi secondo i suoi desideri. Allo stesso modo, si può sostenere che l’autore non manifestò mai apertamente un suo interesse politico verso uno schieramento piuttosto che un altro, quando voleva attaccare la società e la mentalità dell’epoca lo faceva attraverso le sue opere e i suoi monologhi, denunciando con ironia o con spietato cinismo questo o quel comportamento.

Morirà nel 1921 a Rueil-Malmaison, dove i figli lo avranno ricoverato dopo essere stato colpito da una grave malattia mentale. Il teatro della Comédie-Française accetterà, non senza critiche, di mettere in scena per la prima volta una sua commedia in tre atti solo nel 1951.

Il confronto tra le opere dei due autori

Prendendo in esame le opere realizzate dai due autori, un ruolo fondamentale lo svolge l’argomento in esse trattato. Infatti, se la relazione tra uomo e donna è al centro della produzione teatrale sia di Labiche che di Feydeau, diverso è il modo in cui viene presentata.

Nel teatro di Eugène Labiche la maggior parte degli intrighi è fondata sul concetto stesso di matrimonio come viene visto nel XIX secolo. Le famiglie protagoniste delle sue pièces sono disposte a ricorrere a tutte le strategie possibili pur di riuscire a combinare il matrimonio della figlia o del figlio con un ottimo partito, e il fatto che tra i due giovani esista o meno un sentimento d’amore non ha alcuna importanza: quello che conta è concludere l’affare. Esemplare in questo senso è il dialogo contenuto nella scena XI dell’atto terzo della commedia Les vivacités du capitaine Tic (Le intense passioni del capitano Tic, 1861):

Désambois (Haut.) Voulez-vous, en attendant le notaire, que nous causions un peu du contrat… des affaires d’intérêt?
Madame de Guy Est-ce bien nécessaire?
Horace Il n’y a pas de difficultés possibles.
Désambois Je le pense comme vous… mais, enfin, les affaires sont les affaires!… Veuillez prendre la peine de vous asseoir. (Lucile et madame de Guy sont assises près du guéridon. Horace se tient debout près de la cheminée.)
Désambois (est assis à droite de la table placée au milieu. Tirant des papiers de sa poche, à part) Il ne s’agit plus que de le faire mettre en colère… ça ne sera pas long! (Haut.) Voici quelques notes que j’avais jetées pour le contrat de M. Magis… Nous avions pensé, M. le notaire et moi, que le régime de la communauté était le plus convenable…
Madame de Guy C’est aussi mon avis…
Désambois Ce régime, en effet, écarte toutes méfiances, prévient les soupçons blessants… les époux mettent en commun leurs biens meubles et immeubles; le mari, chef suprême… mais tendre, conserve seul l’administration… Il peut vendre, aliéner, hypothéquer sans le concours de la femme, article 1421… Ce régime est celui de l’abandon, de la confiance mutuelle et affectueuse.

Désambois (Ad alta voce) Mentre aspettiamo il notaio, volete che parliamo un po’ del contratto… di questioni d’affari?
La signora de Guy È proprio necessario?
Horace Non vi sono difficoltà di sorta.
Désambois Ne sono convinto anch’io… ma, dopotutto, gli affari sono affari!… Vogliate accomodarvi, prego. (Lucile e la signora de Guy sono sedute accanto al guéridon. Horace resta in piedi vicino al caminetto.)
Désambois (è seduto a destra del tavolo sistemato al centro del palco. Tirando fuori dei fogli dalla tasca, a parte.) Devo solo farlo arrabbiare… non ci vorrà poi molto! (Ad alta voce.) Mi sono permesso di buttare giù qualche appunto per il contratto del signor Magis… Avevamo pensato, il notaio e io, che il regime della comunità dei beni fosse il più appropriato…
La signora de Guy È quello che penso anch’io…
Désambois In effetti, questo tipo di regime dissipa ogni diffidenza, previene i sospetti offensivi… gli sposi mettono in comune tutti i loro beni mobili e immobili; il marito, autorità suprema… ma amorevole, mantiene la sola amministrazione… Può vendere, alienare, ipotecare senza il concorso della moglie, articolo 1421… Il regime è quello della rinuncia, della fiducia reciproca e amorosa.

Eugène Labiche, Marcelin Gilbert DesboutinCome afferma il personaggio di Désambois gli affari sono affari, ed è appunto di questo che si tratta, un matrimonio ben combinato è lo scopo di una vita. Nella seconda metà del XIX secolo in Francia un uomo viveva mediamente fino all’età di trentotto anni, mentre la donna poteva arrivare a quarantuno, di conseguenza riuscire a creare un legame sociale solido, che permettesse la prosecuzione del ciclo vitale nonché di fornire ai futuri figli un’educazione adeguata, si rivelava essenziale[15].

Nelle opere di Labiche gli esempi di questo tipo sono numerosi. Un altro testo rivelatore della mentalità dell’epoca è La poudre aux yeux (La polvere negli occhi, 1861), in cui si narra la storia di due famiglie che, cercando di combinare il matrimonio dei figli, finiscono per litigare sulla parte di dote che devono rispettivamente apportare, mandando così all’aria i preparativi, salvo poi rappacificarsi grazie all’intervento di uno zio. Nella scena V dell’atto secondo, a discutere del futuro economico dei figli sono le consuocere:

Madame Ratinois Ah! que Frédéric va être heureux!
Madame Malingear Entre nous, je crois qu’il ne déplaît pas à ma fille.
Madame Ratinois Chère enfant! Je vous promets de l’aimer comme une mère!
Madame Malingear Voulez-vous que nous causions un peu de leur petite installation?…
Madame Ratinois Oh! bien volontiers.
Madame Malingear Dès demain, nous leur chercherons un appartement.
Madame Ratinois Un entresol?
Madame Malingear Oh! c’est bien bas, un entresol… Un second.
Madame Ratinois C’est bien haut, un second.
Madame Malingear Alors un premier?… C’est une affaire de cinq à six mille francs.
Elles s’asseyent.
Madame Ratinois Mettons six mille francs.
Madame Malingear (prenant une carte dans un petit portefeuille.) Attendez, je vais écrire sur cette carte… (Ecrivant.) Loyer, six mille francs.

La signora Ratinois Ah! Frédéric sarà tanto felice!
La signora Malingear Detto tra noi, credo non dispiaccia affatto a mia figlia.
La signora Ratinois Cara ragazza! Vi prometto di amarla come una madre!
La signora Malingear Volete che parliamo un po’ della loro sistemazioncina?…
La signora Ratinois Oh! con molto piacere.
La signora Malingear Domani stesso, inizieremo a cercargli un appartamento.
La signora Ratinois Un ammezzato?
La signora Malingear Oh! è molto basso, un ammezzato… Almeno un secondo piano.
La signora Ratinois È molto alto, un secondo piano.
La signora Malingear Allora un primo piano?… Ci vorranno dai cinque ai seimila franchi.
Si siedono.
La signora Ratinois Facciamo seimila.
La signora Malingear (prendendo un pezzo di carta da un piccolo portafoglio.) Aspettate, lo metto per iscritto su questo foglio… (Scrivendo.) Affitto, seimila franchi.

Il “confabulare” delle due donne toglie al matrimonio qualsiasi sentimentalismo e lo svela per quello che è in realtà: un contratto da concludere a beneficio di entrambe le parti. Il fatto che i due sposi si piacciano può essere un vantaggio, ma non è essenziale: l’importante è che il futuro genero e la sua famiglia siano di indubbia moralità e soprattutto che egli eserciti un mestiere o abbia almeno una rendita. Un giovane ozioso non è assolutamente ben visto dalla società dell’epoca, e il padre di una ragazza in età da matrimonio non può correre il rischio di mettere sua figlia nelle mani di un nullafacente, né tantomeno di un uomo sospettato di avere un’ amante. Un esempio di questo tipo lo si trova nella scena XI dell’atto secondo della commedia La Station Champbaudet (La stazione Champbaudet, 1862), dove un padre promette di dare il suo consenso al matrimonio solo dopo aver avuto la prova che l’amante del futuro genero ha contratto matrimonio a sua volta:

Letrinquier Je conclus!… il nous faut une garantie sérieuse… Or donc, vous n’épouserez ma fille que lorsque madame veuve Champbaudet sera mariée elle-même…
Tacarel Elle?
Letrinquier On la dit belle encore!…
Tacarel Mais c’est impossible! si vous la voyiez… d’abord elle a quarante-deux ans…
Mademoiselle Nina (vivement et aigrement.) Eh bien, après?… quarante-deux ans… il me semble que ce n’est pas un âge…
Tacarel Oh! pardon! mais elle perd ses cheveux… elle porte de fausses nattes.
Mademoiselle Nina (de même.) Mais, monsieur…
Letrinquier (toussant pour l’avertir.) Hum! hum! hum!
Tacarel (à Nina.) Ah! oui!… pardon!
Letrinquier Ces détails ne nous regardent pas!… mais ne vous représentez ici qu’avec l’acte de mariage de madame Champbaudet.
Tacarel Autant m’imposer la tâche de trouver un mari à la tour Saint-Jacques!
Letrinquier Voilà notre ultimatum!

Letrinquier In conclusione!… vogliamo una garanzia seria… Quindi, sposerete mia figlia solo quando la vedova Champbaudet avrà a sua volta contratto matrimonio…
Tacarel Lei?
Letrinquier Dicono sia ancora una bella donna!…
Tacarel Ma è impossibile! se la vedeste… innanzitutto ha quarantadue anni…
La signorina Nina (in tono brusco e severo.) Beh, e allora?… quarantadue anni… non mi sembra sia un’età…
Tacarel Oh! permettete! ma perde i capelli… e porta le trecce finte.
La signorina Nina (come sopra.) Ma, signore…
Letrinquier (tossendo per avvertirlo.) Ehm! ehm! ehm!
Tacarel (a Nina.) Ah! sì!… scusate!
Letrinquier Questo per noi è irrilevante!… ma non osate ripresentarvi qui senza l’atto di matrimonio della signora Champbaudet.
Tacarel Tanto valeva obbligarmi a trovare un marito alla torre Saint-Jacques!
Letrinquier Questo è il nostro ultimatum!

Marie-Anne Feydeau et ses enfants, Carolus-DuranSe Labiche focalizza la sua attenzione sugli accordi prematrimoniali, le discussioni tra futuri suoceri e le lotte di classe per permettere ai propri figli di accaparrarsi il miglior partito, Feydeau mette in evidenza quello che succede dopo la celebrazione del matrimonio, ovvero il rapporto di coppia tra marito e moglie, la tentazione dell’adulterio (ancora più favorito dalla legge sul divorzio del 1884), il desiderio di mantenere una certa rispettabilità sociale anche se la si è già perduta da tempo, e, soprattutto, l’attrazione per quel mondo delle cocotte che nel suo teatro svolge un ruolo tutt’altro che marginale. La maggior parte dei personaggi di Feydeau, come afferma lo studioso Leonard C. Pronko, non solo non si preoccupano di combinare matrimoni per i loro figli, ma non li hanno nemmeno, i figli, preoccupati come sono a soddisfare la loro voglia di divertimento[16]. All’autore interessa soprattutto sovvertire le regole sociali che disciplinano il rapporto matrimoniale, e lo fa introducendo quei personaggi stranieri, da lui tanto amati, che finiscono per sconvolgere la rigida mentalità della borghesia francese. Un buon esempio di questo concetto lo si trova nella scena X dell’atto secondo della commedia Je ne trompe pas mon mari (Non tradisco mio marito, 1914), dove l’americana Dotty, appena diciottenne, chiede senza pudore la mano di un uomo di cui si è invaghita, e questi solleva come obiezione al matrimonio il fatto che lei è troppo ricca per lui:

Dotty […] Je trouve un homme qui m’est confortable, alors je dis à lui: “Monsieur, voulez-vous me donner la main de vous?” Et voilà!
Saint-Franquet Oh! évidemment, mademoiselle… si je n’écoutais que mon égoïsme… Vous êtes délicieuse!
Dotty Yes, je sais.
Saint-Franquet Mais je dois songer à vous! En ce moment, vous suivez une impulsion de votre cœur; mais qui vous dit que, plus tard, vous ne regretterez pas…
Dotty Ce que je fais, jamais je regrette.
Saint-Franquet Vous ne me connaissez pas!
Dotty Eh bien, comme ça, je vous connaîtra.
Saint-Franquet Et puis, enfin, vous avez dix-huit ans.
Dotty Et demi.
Saint-Franquet Et moi, j’en ai trente-six…
Dotty Trente-six! Oh! comme c’est jeune!
Saint-Franquet Vous trouvez?
Dotty A cet âge, un homme est encore presque un enfant.
Saint-Franquet Un enfant!… (à part.) Un enfant qui pourrait être son père!
Dotty Et… C’est tout?
Saint-Franquet C’est tout quoi?
Dotty Les objections.
Saint-Franquet Non, non! Il y a la plus grande de toutes… Vous êtes trop riche!
Dotty Ah! oui, ça, j’attendais! Et c’est pour ça que vous n’auriez pas demandé la main de moi.
Saint-Franquet Evidemment.
Dotty Ah! là! Vous voyez bien que le jeune fille il doit demander la main du jeune homme; sans cela, elle n’a plus pour marier que les jeunes gens qui veulent marier elle pour son argent…
Saint-Franquet C’est certain, c’est certain!… Mais, tout de même… pour moi, vous êtes trop riche…

Dotty […] Trovo un uomo che mi fa comodo, e poi dico a lui: “Signore, volete darmi la mano vostra?” Ed ecco fatto!
Saint-Franquet Oh! certo, signorina… se dessi retta solo al mio egoismo… Siete deliziosa!
Dotty Yes, lo so.
Saint-Franquet Ma devo pensare a voi! Adesso state seguendo un impulso dettatovi dal cuore; ma chi vi dice che, in seguito, non rimpiangerete…
Dotty Quello che faccio, mai rimpiango.
Saint-Franquet Voi non mi conoscete!
Dotty Ebbene, in questo modo, io vi conoscerà.
Saint-Franquet E poi, insomma, avete solo diciotto anni.
Dotty E mezzo.
Saint-Franquet E io, ne ho trentasei…
Dotty Trentasei! Oh! che giovane!
Saint-Franquet Trovate?
Dotty A quell’età, un uomo è ancora quasi un bambino.
Saint-Franquet Un bambino!… (a parte.) Un bambino che potrebbe avere una bambina della sua età!
Dotty E… È tutto qui?
Saint-Franquet Tutto qui cosa?
Dotty Le obiezioni.
Saint-Franquet No, no! C’è ancora l’obiezione più grande… Siete troppo ricca!
Dotty Ah! sì, questo mi aspettavo! Ed è per questo che non avreste chiesto la mano di me.
Saint-Franquet Naturalmente.
Dotty Ah! là! Vedete dunque che è il ragazza che deve chiedere la mano del ragazzo; altrimenti, non resta lei che sposare i giovani che volere sposare lei per soldi…
Saint-Franquet Sicuro, sicuro!… Ma, comunque… per me, siete troppo ricca…

Il personaggio di Saint-Franquet non viene messo a disagio tanto dalle storpiature linguistiche di Dotty quanto dal suo modo emancipato di intendere il rapporto uomo/donna e, quando si accorge che nemmeno la grande differenza di età induce la giovane a desistere dai suoi propositi, adduce come scusa il fatto che Dotty è troppo ricca. Questo andare contro le convenzioni sociali dell’epoca per ironizzare sulla chiusura mentale che caratterizza la borghesia di fine Ottocento e dei primi del Novecento non è nuovo nel teatro di Feydeau.

Un fil à la patte diretto da Jérôme Deschamps

E se Saint-Franquet, pur di liberarsi della corteggiatrice, finge di considerare la ricchezza un difetto, nella scena IV dell’atto primo di Un fil à la patte (La palla al piede, 1894) Bois-d’Enghien escogita ogni stratagemma possibile pur di nascondere all’amante il suo matrimonio con una ricca borghese:

Bois-d’Enghien (qui pendant ce qui précède parcourt Le Figaro qu’il a près de lui sur la table, bondissant tout à coup et à part.) Sapristi ! mon mariage qui est annoncé dans Le Figaro ! (Il froisse le journal, le met en boule et le fourre contre sa poitrine par l’entre-baîllement de son peignoir.)
Lucette (qui a vu le jeu de scène ainsi que tout le monde, courant à lui.) Eh bien ! qu’est-ce qui te prend?
Bois-d’Enghien Rien ! rien ! c’est nerveux !
Lucette Mon pauvre Fernand, tu ne vas pas encore être malade !
Bois-d’Enghien Non ! non ! (À part, pendant que Lucette rassurée retourne à la place qu’elle vient de quitter et raconte à mi-voix à Nini que Bois-d’Enghien a été malade.) Merci ! lui flanquer comme ça mon mariage dans l’estomac, sans l’avoir préparée.
De Chenneviette Ah ! à propos de journal, tu as vu l’aimable article que l’on a fait sur toi dans Le Figaro de ce matin.
Lucette Non.
De Chenneviette Oh ! excellent ! Justement j’ai pensé à te l’apporter ! (Il tire de sa poche un Figaro, qu’il déploie tout grand.)
Bois-d’Enghien (anxieux.) Hein !
De Chenneviette Tiens, si tu veux le lire.
Bois-d’Enghien (se précipitant sur le journal et l’arrachant des mains de Chenneviette.) Non, pas maintenant, pas maintenant ! (Il fait subir au journal le même sort qu’au premier.)
Tous Comment ?
Bois-d’Enghien Non, on va déjeuner ; maintenant, ce n’est pas le moment de lire les journaux.
De Chenneviette Mais qu’est-ce qu’il a ?

Bois-d’Enghien (che durante quanto sopra scorre Le Figaro appoggiato accanto a lui sul tavolo, sussultando all’improvviso e a parte.) – Diamine! il mio matrimonio è annunciato su Le Figaro! (Stropiccia il giornale, lo appallottola e se lo caccia nel petto attraverso lo spiraglio della vestaglia.)
Lucette (che ha visto come tutti il gioco scenico, andandogli incontro.) Ebbene! che ti prende?
Bois-d’Enghien Niente! niente! è un problema nervoso!
Lucette Mio povero Fernand, non ti ammalerai mica di nuovo!
Bois-d’Enghien No! no! (A parte, mentre Lucette rassicurata torna a occupare la posizione di prima e racconta sottovoce a Nini che Bois-d’Enghien è stato malato.) Non se ne parla! sbatterle in faccia in questo modo il mio matrimonio, senza nemmeno avvertirla.
De Chenneviette Ah! a proposito di giornali, hai visto che bell’articolo ti hanno dedicato su Le Figaro di oggi.
Lucette No.
De Chenneviette Oh! straordinario! Ho giusto pensato di portartelo! (Estrae dalla tasca una copia di Le Figaro, che dispiega completamente.)
Bois-d’Enghien (ansioso.) Eh!
De Chenneviette Tieni, se vuoi leggerlo.
Bois-d’Enghien (lanciandosi sul giornale e strappandolo di mano a Chenneviette.) No, non ora, non ora! (Fa fare al giornale la stessa fine di quello di prima.)
Tutti Come?
Bois-d’Enghien No, stiamo per pranzare; ora non è il momento di leggere i giornali.
De Chenneviette Ma che gli prende?

Molière et les caractéres de ses comédies, Edmond Geffroy

Se Labiche fonda dunque la sua comicità sull’ironica rappresentazione delle convenzioni sociali stesse, Feydeau va oltre, stravolgendo le situazioni e avvalendosi di colorite metafore che di volta in volta trasmettono un’idea diversa di matrimonio a seconda del personaggio coinvolto. Prendendo, ad esempio, in esame La main passe! (Passa la mano!) del 1904, ci si imbatte nel personaggio di Chanal, che si diverte a paragonare il matrimonio a una partita a baccarà, lasciando sbigottito il suo interlocutore:

Chanal (avec bonhomie.) Mais non, il faut être comme ça!… (La main sur le dossier du fauteuil de sa femme.) J’estime que le mariage est comme une partie de baccara! Tant que vous avez la veine, vous gardez la main… Après une série plus ou moins heureuse, arrive un monsieur plus veinard qui prend les cartes contre vous; il gagne le coup?… La main passe!… Eh bien, c’est ainsi que j’entends qu’il en soit: J’ai perdu le coup; il y a une suite: à toi les cartes! LA MAIN PASSE!
Massenay (qui a écouté toute cette profession de foi en ponctuant chaque phrase d’une approbation de la têteaprès un petit temps, frappé tout à coup par le dernier mot de Chanal.) La main?… Quelle main?
Chanal (du ton le plus naturel.) Eh bien, celle de ma femme, parbleu! (Tout en parlant, il a sorti la main de Francine de son manchon, et la lui présentant en la tenant par le poignet.) Elle est à toi… Je te la donne!
Sur chacune de ces deux phrases il agite la main de sa femme, qui ballotte chaque fois inerte et molle.
Massenay (bondissant en arrière.) Hein?
Chanal Eh! bien quoi? évidemment! puisque tu l’épouses!
Même jeu avec la main de sa femme.
Massenay Moi! Moi! Epouser ta femme! Tu es fou? Tu plaisantes?
Chanal (de l’air le plus naïf.) Pourquoi ça?
Massenay Mais est-ce que je peux, voyons? Mais je suis marié, moi!
Il repousse la main de Francine que Chanal laisse retomber.

Chanal (bonariamente.) Ma no, è questo lo spirito giusto!… (Con la mano appoggiata sullo schienale della poltrona della moglie.) Per me il matrimonio è come una partita a baccarà! Finché uno ha la sorte dalla sua parte, la mano è sua… Dopo una serie più o meno fortunata, arriva un signore più favorito che scommette contro di lui; vince la puntata?… Passa la mano!… Ebbene, è così che la intendo io: Ho perso la puntata; si va avanti: a te le carte! PASSA LA MANO!
Massenay (che ha ascoltato l’intera professione di fede sottolineando ogni frase con un cenno di approvazione del capodopo un po’, colpito improvvisamente dall’ultima parola detta da Chanal.) La mano?… Quale mano?
Chanal (in tutta spontaneità.) Ebbene, quella di mia moglie, perbacco! (Mentre parla, estrae dal manicotto la mano di Francine, e gliela porge tenendola per il polso.) È tua… Te la cedo!
Su ognuna delle due frasi agita la mano della moglie, che ballonzola inerte e molle.
Massenay (sobbalzando all’indietro.) Eh?
Chanal Come sarebbe a dire, eh? ovvio! visto che la sposi!
Stesso gioco con la mano della moglie.
Massenay Io! Io! Sposare tua moglie! Ma sei matto? Stai scherzando?
Chanal (candidamente.) Perché mai?
Massenay Ma non posso mica, suvvia? Sono sposato, io!
Respinge la mano di Francine che Chanal lascia ricadere.

Allo stesso modo Pontagnac nella scena I dell’atto primo di Le Dindon (Il Tacchino, 1896) parla di matrimonio e di tradimento come se si trattasse di capitali e di rendite, cosa che fa andare su tutte le furie Lucienne:

Pontagnac Enfin, quand Rothschild…
Lucienne Oui ! d’abord, vous n’êtes pas Rothschild… ou si vous l’avez été, vous devez commencer à ne plus l’être.
Pontagnac Qu’est-ce que vous en savez !
Vatelin (debout près de Lucienne.) Elle est dure pour vous.
Lucienne Et quand vous le seriez encore ! Il s’agit de fonds qui ne vous appartiennent plus ! Vous les avez reconnus à votre femme. Vous n’avez pas le droit de disposer d’un capital que vous avez aliéné.
Pontagnac Mais permettez, le capital, je n’y touche pas ! le voilà ! il est intact ! Vous me permettrez bien de toucher un peu aux rentes. Notez que, par contrat, j’ai la gestion des biens ! Eh bien ! pourvu que j’aie la plus grande partie en fonds d’Etat, vous ne pouvez pas trouver mauvais que je fasse quelques placements en valeurs étrangères.
Lucienne Quand on est marié, on ne doit faire que des placements de père de famille !
Pontagnac Vous parlez comme un notaire.

Pontagnac Insomma, quando Rothschild…
Lucienne Sì! innanzitutto, voi non siete Rothschild… o se lo siete stato, dovete cominciare a non esserlo più.
Pontagnac Ma voi che ne sapete!
Vatelin (in piedi accanto a Lucienne.) Si mette male per voi.
Lucienne E anche se lo foste! Si tratta di fondi che non vi appartengono più! Li avete riconosciuti a vostra moglie. Non avete il diritto di disporre di un capitale che avete alienato.
Pontagnac Permettete, ma il capitale, io lo lascio inalterato! eccolo! è intatto! Ma mi consentirete almeno di attingere un po’ alle rendite. Vi faccio notare che, per contratto, la gestione dei beni spetta a me! Ebbene! se la maggior parte del capitale è in titoli di stato, non potete biasimare che faccia qualche investimento all’estero.
Lucienne Quando si è sposati, gli unici investimenti consentiti sono quelli del padre di famiglia!
Pontagnac Parlate come un notaio.

[Fine prima parte]

Note

[1] Cfr. François Cavaignac, Eugène Labiche ou la gaieté critique, L’Harmattan, Parigi, 2003, p. 13.
[2] Emmanuel Haymann, Labiche ou l’esprit du Second Empire, Olivier Orban, 1988, p. 111.
[3] Emmanuel Haymann, op. cit., p. 56-57.
[4] François Cavaignac, op. cit., p. 29.
[5] Cfr. François Cavaignac, op. cit., p. 30.
[6] Claude-Albert Colliard, Libertés publiques, Précis Dalloz, 1995, quinta edizione, p. 545-546.
[7] Cfr. François Cavaignac, op. cit., p. 35.
[8] Cfr. Jacqueline Autrusseau, Labiche et son théâtre, pp. 89-90, L’Arche, Parigi 1971.
[9] François Cavaignac, op. cit., p. 24.
[10] François Cavaignac, op. cit., p. 25.
[11] François Cavaignac, op. cit., p. 18.
[12] Cfr. Jacques Lorcey, Du mariage au divorce, Biarritz, Atlantica-Séguier, 2004, p. 58.
[13] Jacques Lorcey, L’homme de Chez Maxim’s, Biarritz, Atlantica-Séguier 2004, p. 196.
[14] Jacques Lorcey, op.cit., Biarritz, Atlantica-Séguier 2004, p. 79.
[15] Cfr. François Cavaignac, op. cit., pp. 130-135.
[16] Leonard C. Pronko, Eugène Labiche and Georges Feydeau, McMillan Modern Dramatists, London 1982, p. 95.

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