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Cinema

Alla ricerca dell’idea migliore (V)

Discutendo di cinema e di come scriverlo

Ciò che non si scrive

Qui diventa molto importante la regia, il linguaggio. In questo punto come vedete non c’è scritto a quale distanza siamo, se inquadriamo da vicino o da lontano, ecc. Ma è chiaro che ci sono certe battute che necessariamente vanno dette in primo piano, in piano ravvicinato o che comunque vanno sottolineate in qualche modo. Ogni regista ha i suoi modi di sottolineare. Per esempio c’è una scena in Bianca, che avete visto ieri, in cui Michele comincia a innamorarsi di Bianca, quando stanno sul terrazzo della casa. Lei sta correggendo i compiti, lui a un certo punto le va vicino e dice: — A me piace la matematica, a me piacciono le cose ordinate… A me…- quindi le guarda il collo come se volesse baciarla, poi si volta e resta un attimo fermo. La macchina avvicina lentamente lui, che è di spalle. Quello è un movimento che Nanni Moretti fa abbastanza spesso, questa cosa di andare dietro… Per esempio, lo fa anche quando in classe è in difficoltà di fronte al quadrato magico e non sa come risolvere il problema che gli hanno posto i ragazzi. Michele è di spalle, lo vediamo in difficoltà, la macchina si avvicina lentamente… poi la campanella suona e lo salva. è un modo in cui un regista sottolinea una difficoltà, un momento intenso. Mi ricordo che in proiezione Nanni era molto arrabbiato perché, nella scena del terrazzo con Laura Morante, si vedeva la macchina che si avvicinava e si sentiva ad un certo punto, sul girato, lui che diceva -Stop!- e la macchina si fermava. Nel film è lungo al punto massimo che poteva tenerlo, poi diceva stop e ha dovuto tagliare, e invece avrebbe voluto tenerlo più a lungo.

Insomma, se non avete un regista capace di lavorare su queste piccole cose siete finiti. Se io stesso dovessi girare un mio copione non lo girerei come è scritto. Perché il regista ha centomila suggestioni: il posto in cui gira, gli attori in gioco, le loro reazioni, le facce delle comparse… Ad esempio: abbiamo alcuni personaggi in scena… sono quattro, sono cinque, sono seduti a un tavolo. Indico il personaggio che parla e scrivo la sua battuta. Del personaggio sul quale questa battuta ‘arriva’ posso dire che arriva in maniera ‘forte’, ‘debole’, ‘indifferente’. Uno sta parlando, non so, di una cosa terribile e c’è un altro personaggio che si sente male, abbassa la testa, e io lo indico. Ma se sono cinque personaggi, il regista deve lavorare anche sugli altri. Cioè: che reazioni hanno gli altri? Deve girare delle cose che si chiamano ‘piani d’ascolto’, cioè attori che in quel momento non dicono la battuta ma la ascoltano. C’è una specie di ricamo continuo della situazione, per cui una volta che il regista ha in mano il copione definitivo, deve poi elaborare una sorta di “copione di regia”. Si mette sulla sceneggiatura e innanzitutto comincia a tagliarla ‘dentro le scene, perché lui gira a pezzetti. Un’unica scena nel suo lavoro sono magari sette o dieci inquadrature e ogni inquadratura è un certo tipo di lavoro. E per girarla va via un’ora, due ore, tre ore. Poi fa un’altra inquadratura e vanno via altre due ore. E alla fine della giornata ha fatto otto inquadrature che quando saranno montate ricostruiranno questa scena qui. Considerate che più o meno si riesce a girare una o due scene al giorno; pensate perciò all’enorme lavoro che sta dietro a quello che poi vedete.

Il problema delle informazioni: il “servizio”

Parliamo della scena in cui Marco Terzi/Placido, il professore, viene ricevuto dal direttore del carcere. Questa è una lunga scena, che a me non piace tanto. Non mi è piaciuta quando l’abbiamo scritta né quando poi l’ho vista girata.
Noi volevamo fare una scena in cui il professore non ha voglia di parlare, insomma non ha voglia di voglia di raccontare i cavoli suoi a questo direttore spiritoso, brillante. Noi lo pensavamo un po’ craxiano. Leggendo il libro di Grimaldi, il direttore con cui aveva avuto a che fare era un direttore repressivo, terribile. Noi invece abbiamo pensato che era meglio fare uno che aveva un’aria moderna, efficiente, e anche morale. La cosa che mi piace di più, in questa scena, è il bambino che porta il caffè; cioè, il direttore sta facendo il moderno, dice che lui ha avuto la vocazione a occuparsi dei ragazzi, dei diseredati, poi invece lo vediamo che si fa portare il caffè da uno dei ragazzini detenuti. Dice: -Farà il barista.-, come se questo, per il ragazzino, fosse chissà che. Questa piccola cosa, che era un’idea di Marco Risi, ci piaceva, e mi piace ancora. Tutto il resto sono informazioni. Cioè: la scena ci deve dire che lui è il direttore, ci deve dire che è un po’ antipatico e che non si fa gli affari suoi, ci deve dire che è brillante… Insomma, sono quelle scene che uno cerca di fare al meglio ma… non so… non sono piacevoli. Sono più piacevoli le scene che rimangono sospese, che non spiegano tutto, che ti dicono delle mezze cose che poi capirai più avanti. E magari le capirai nel corso di un’azione, di qualcosa che accade. Non in maniera così diretta come in questa scena qui, con un faccia a faccia. Anche perché lì il regista non può far altro che girare dei campi e controcampi, non può che fare questo gioco… piccoli movimenti…

Mentre adesso vi faccio vedere che cosa intendo quando parlo di una scena che racconta le cose facendo lavorare molto il cinema. È la scena successiva. Siamo nel carcere minorile, nel cortile grande, e qui lavoriamo, come dire, “a rosario”. Presentiamo, con la macchina da presa, gli altri personaggi che saranno i protagonisti del film. Allora, questa è descritta così…

Carere minorile. Cortile grande. Esterno giorno. Dario, un ragazzetto minuto, se ne sta nella posizione tipica del portiere pronto a parare un rigore. Il Il pallone arriva come un missile, lo supera e si schianta con un terribile rimbombo contro una saracinesca alle sue spalle. Siamo nel cortile del carcere. Il ragazzo che ha tirato, Natale, si avventa di nuovo sulla palla e la calcia ancora contro la saracinesca. Una, due, tre volte. L’agente Turris, che sta leggendo un giornale sportivo seduto all’ombra di un piccolo albero ancora verde di foglie, si alza vistosamente infastidito. -Datemi la palla-. Natale dice: -Ma perché? Adesso nemmeno più i tiri in porta si possono fare?-. Agente Turris: -No. Non si possono fare-. Si fa avanti un ragazzo piuttosto piccolo di statura, un viso non bello, un fascio di nervi, Carmelo: -Si può sapere perché ci scassi sempre la minchia a noi?-. Turris, senza rispondere, fa per impadronirsi del pallone: -Questo è requisito!-. Natale gli ride in faccia e con un dribbling secco lo supera e si allontana palla al piede verso il fondo del cortile. Turris comincia a gridare: Forza, continuate a fare gli stronzi e quel cazzo di palla la rivedrete a Capodanno-. La palla è tornata a Natale che palleggia un po’, quindi con un colpo di tacco fa arrivare la palla all’agente. Però non si ferma. Continua a correre come se lo driblasse dagli altri due fingendo un passaggio a Giovanni. Natale grida indicando Carmelo — Vai Giovanni, all’ala! All’ala!-. Giovanni mima il gesto di passare la sfera a Carmelo che controlla con uno stop di petto la palla immaginaria, poi si guarda attorno. -Centrala, centrala subito!-. Carmelo simula un lancio lungo verso Natale. L’agente con la palla in mano assiste disorientato e impotente alla partita che prosegue in assenza del pallone vero. Proprio in quel momento sul fondo del cortile, sotto un porticato che costeggia le aule, entrano camminando Marco e un educatore. Attraverso i vetri delle finestre vediamo una sala dove una vecchia maestra sta correggendo dei compiti, una piccola classe dove un giovane insegnante sta discutendo con una collega più anziana e infine un’aula deserta. -La tua classe è questa qui- dice l’educatore a Marco-. E le camerate dove sono?-. -Dall’altra parte del cortile, però gli insegnanti non ci possono andare, è vietato-. -Ci sono altri posti in cui non posso andare?-. -I bagni dei ragazzi, le celle d’isolamento, il parlatorio, il laboratorio, la lavanderia, l’accettazione…-. -Insomma dappertutto-. Be’, quasi. Puoi frequentare solo gli uffici matricole e eventualmente il cortile. Qui è un po’ come in fabbrica. Nella catena di montaggio ognuno deve restare al posto suo se si vuole produrre meglio e di più-. -Ma perché? Che si produce?-. Il collega fa per rispondergli, quando un violento fragore fa voltare tutti e due. Natale ha mollato a Dario uno spintone terribile scaraventandolo contro la saracinesca. Non lo fa per fargli male ma semplicemente per irritare l’agente Turris che infatti mostra evidenti segni di nervosismo. Poi Natale si mette a correre facendo segni a Carmelo di accelerare il passaggio. Quindi questi continuano a giocare senza palla e a fare casino.

-Dammela verticale… Dammela profonda…-Eccetera… Carmelo finge un piatto destro ben calibrato. Natale si avventa sull’invisibile pallone e calcia in corsa di potenza col collo del piede. Dario, che è sempre davanti alla saracinesca, reagisce come se la palla, colpendolo in pieno stomaco, lo travolgesse. Barcolla, gira su se stesso, perde l’equilibrio, crolla sulla saracinesca che manda di nuovo il suo fragore infernale. L’agente Turris li guarda con odio mentre i ragazzi ridono a crepapelle.

Tutto questo avviene mentre loro parlano. Anche qui abbiamo dovuto descrivere, spiegare, ma le spiegazioni sono, diciamo, “coperte”: le due azioni avvengono insieme. Eravamo arrivati a:

-Perché? Qui che si produce?-. L’educatore indica i ragazzi e dice… Li chiama… E noi qui li vediamo con la macchina da scrivere. -Giovanni Sbarra. Tre anni da scontare. Furto con scasso. Recidivo.- Poi un altro. Dario Baldo: rapina a mano armata. In attesa di giudizio-.

E infine vediamo Natale, che è uno dei grandi protagonisti del film.

-Natale Pizzarro. Un capo. Nove anni-.

Qui Marco è molto colpito…

-Nove anni? E che ha fatto?-. ‘educatore: -Omicidio-. Intanto vediamo Natale braccia al cielo come un goleador, che riceve i complimenti e gli abbracci dei compagni.

Una volta scritta questa scena abbiamo detto a Marco Risi: -Vedi un po’ tu… perché è talmente complicata…- Avete visto che è molto dettagliata, ma non nel senso che poi Marco dovesse seguire al dettaglio tutto, però bisognava vedere l’ambiente, le cose… insomma, l’idea era: diciamo delle informazioni, le diciamo nel corso di un’azione. E le diciamo nel corso di qualche cosa che è cinema, che è movimento, e che è anche racconto: prima lo scontro dei ragazzi con l’agente, poi l’agente che è duro, poi loro che lo prendono in giro e poi lui che leva loro la palla, e infine i ragazzi che cercano di giocare lo stesso, anche senza pallone… E nello stesso tempo però, abbiamo aggiunto un piccolo tassello al tipo di lavoro che farà il professore. Stiamo spiegando che molte cose non le potrà fare, e che ha in classe delle persone di cui uno ha tre anni di condanna uno sei mesi, ma c’è addirittura uno che ne ha nove anni da scontare… E di nuovo, qui, un piccolo mistero: Marco Terzi non dice: -Omicidio di chi? Perché? Quando? Che è successo?-. Ci fermiamo qui su “omicidio”, e vediamo Natale. Questo procedimento ad anelli che via via si congiungono, continua ad andare avanti, ma sempre con delle cose che restano sospese. Anche sul professore sappiamo qualche cosa, ma non sappiamo tutto. Certamente sappiamo che non è un uomo felice, che ha qualche cosa dentro, ma che cosa?

Come siete arrivati a questa soluzione di unire queste informazioni? Prima avevate delle idee, dei pezzi separati e a poco a poco li avete uniti?

No, questa scena è nata subito così. Diciamo che all’interno di un film tuhai delle cose che non puoi non dire. Cioè, una volta che hai stabilito che racconterai la storia di un professore che va ad insegnare in un istituto minorile, cominci a farti delle domande, come vi ho raccontato ieri a proposito dei personaggi de Il ladro di bambini.

Considera che noi per questo personaggio non volevamo fare Aurelio Grimaldi, che è una persona che ha fatto questa scelta di vita con forti motivazioni politiche, ideologiche. A noi questo tipo di personaggio, che fa le grandi scelte per via ‘politica’, non piace tanto. Come vi dicevo ieri per il carabiniere interpretato da Lo Verso, ci interessano delle motivazioni più concrete. Allora abbiamo cominciato a pensare come potevamo fare questo professore e più o meno ci siamo raccontati una storia di questo genere: Marco Terzi è un insegnante di liceo, ha insegnato a Milano, si è separato dalla moglie, ha alle spalle un matrimonio che non è andato bene. A questo punto ha deciso: me ne torno a Palermo, a casa dei miei genitori, mi faccio trasferire in un liceo di lì. È arrivato a Palermo ma deve aspettare sei mesi una risposta dal Ministero. È da solo, in una casa deserta, con la possibilità di stare sei mesi a non far niente e a rimuginare sulla sua vita andata male. Allora si dice: va bene, qualunque cosa mi danno da fare, fosse pure il bidello, la vado a fare, pur di fare qualcosa.

Così, quando si trova in quella situazione in cui gli offrono il Malaspina, lui tira su la mano e dice: ci vado io. Questo era il profilo del personaggio. Ora, una volta detto questo, abbiamo pensato che questa cosa andava raccontata ‘al contrario’, non in maniera così piana. Certo, potevamo pure vederlo a Milano, che si separa dalla moglie, che fa le valige. eccetera. Ma c’era il fatto che per noi i veri protagonisti erano i ragazzi. E c’era il fatto di essere partiti subito dai ragazzi, dal furto, da Palermo. Era brutto poi aprire improvvisamente su Milano, e da Milano raccontare uno che fa le valige, etc… Ci siamo detti: -Avremo tempo nel film per far capire queste cose-. Questa necessità di raccontare la vita del professore fa parte di quello che si chiama “il servizio” del film. Voi vedrete come abbiamo risolto più avanti il problema di raccontare la vita del professore. C’è un momento in cui lui va in cella a parlare con Pietro, e Pietro gli dice -Tua moglie t’ ha fregato a te…- Cioè andiamo al contrario di come dovrebbe essere. Lui è costretto a dire delle cose perché gliele strappano i ragazzi, ‘a pezzetti’. Così come ricostruiamo a pezzetti anche le vite dei ragazzi, facendo una specie di puzzle e non mettendo tutto in ordine.

Puoi spiegarti meglio, puoi fare un esempio?

Dunque, avevamo una classe di sei persone, e un professore. Come li raccontiamo? A Pietro, che è questo ‘principe’ dello Zen, dedichiamo una scena sua. Lo vediamo che esce dal carcere, che va con una prostituta, che è un capo naturale, un leader. Al professore dedichiamo il momento in cui gli assegnano l’incarico. Claudio l’abbiamo visto perché è iniziamo con lui, col furto dei giubbotti. Adesso però dobbiamo essere un po’ veloci… allora abbiamo pensato a una partita di pallone. C’è venuta prima l’idea della partita vera, poi abbiamo pensato che metà della partita giocano, e metà non gliela fanno giocare, la giocano finta. Certo, avremmo potuto presentarli anche in classe. Però noi in classe volevamo fare la prima lezione, e farla in maniera molto ‘forte’. Per cui avevamo deciso di scaricare le informazioni prima, in modo tale da avere una prima lezione molto particolare… perché tutta questa presentazione dei personaggi è una premessa alla prima lezione. Uno la aspetta, credo. Marco Terzi ha scelto questo incarico, non è un esperto, né un assistente sociale, né un educatore, quindi come se la caverà? Stiamo aspettando il momento in cui i personaggi si incroceranno. Vedete che a poco a poco le informazioni — e le emozioni, spero — stanno crescendo, si stanno mettendo insieme. Anche quando facciamo delle storie meno corali di questa, abbiamo lo stesso il bisogno di ‘dare informazioni’. lì problema è di non darle in maniera… noiosa… come se si stesse facendo una presentazione, come se si stesse dando una scheda o compilando un foglio in cui sappiamo tutto di un personaggio… ma bensì di diluirle nel corso del film. Insomma, dire quelle che sono strettamente necessarie al momento in cui siamo, al punto in cui siamo.

La sospensione e il mistero

Il contrario di un buon copione è un copione che elenca continuamente, che dice tutto, espone tutto, che spiega tutto. Noi abbiamo solo un’ora e mezza a disposizione, dobbiamo, come dire, giocare sui pieni e sui vuoti, dare spazio ora a una cosa, ora a un’altra. Anche nei film che non hanno dentro di sé… un mistero… bè, nei film c’è sempre un mistero, cioè un elemento di sospensione, di non-chiusura del personaggio in una sfera perfetta. Se si dice molto, diventa prevedibile tutto quello che il personaggio farà da quel punto in poi. Cioè se tu l’ hai esposto in maniera molto chiara, date quelle premesse ti aspetti poi delle conseguenze. Invece occorre lasciarsi libertà. Vorrei dire ancora che nella presentazione di Pietro/Amendola una cosa che ci interessava era che questo personaggio fosse “molto maschile”, una esasperazione dell’essere uomini, dell’essere maschi, che diventa un elemento importante nel film, soprattutto perché stiamo preparando questa corte di giovani uomini, molto reazionari in fondo, con una mentalità molto piccolo borghese. Addirittura vedremo che Pietro va a dar fastidio a una psicologa che è venuta in carcere, perché tutto questo prepara il momento in cui nel carcere arriva Mery. Cioè arriva nel carcere un giovane uomo che però sostiene di essere, dice di essere, e ‘sì sente’ una donna. Abbiamo esasperato e fatto sentire questo clima molto maschile, anche nella partita di pallone, con Natale e quel suo modo aggressivo di dire -goal!-. E alla fine tutto questo è una specie di rete lenta che prepara lo Scontro tra professori e alunni e lo scontro tra gli alunni e Mery.

In ‘Mery per sempre’ vi è venuto il dubbio che questi personaggi, queste singole storie, potevano avere bisogno di più tempo, di più spazio, di più narrazione?

No. In Mery per sempre la scommessa era di fare un film veloce. Noi in una primissima scaletta avevamo dato più spazio alla presentazione dei personaggi, poi fu Marco Risi a dire: presentiamoli tutti in dieci minuti. Allora abbiamo riframmentato tutto, più o meno come lo vedete adesso. Una storia di questo genere, con tanti personaggi, aveva bisogno di uno stile incalzante di racconto, per poi stare comodi quando ad esempio facciamo la lezione in classe. Perché poi, per gran parte del film c’è un ambiente piccolo, chiuso, dei banchi, della gente seduta e uno che spiega. E lì è stato molto complicato farsi venire delle idee. Così, ogni volta abbiamo tentato di fare una lezione che in realtà era un “inizio di lezione”, che poi veniva regolarmente “disturbato”…


Due scene unite in fase di ripresa e una spostata al montaggio

Con la prima lezione in classe e la lettura del brano di Belli, abbiamo messo in scena il primo scontro con i ragazzi, e tra Natale e il professore. Per la scena prima di questa, noi avevamo scritto due scene separate che invece sono state unite. Nella prima, Pietro, uscito di galera, andava dalla ragazza e la agganciava in un cinema. Vi dicevo che in una scena più avanti si vedevano i due in uno stabilimento balneare, una scena che poi avevamo tagliato. In realtà non è proprio stata tagliata, ma abbiamo unito in una sola scena — tutta nella sala cinematografica — queste scene che erano due. Io nella sceneggiatura, come vedete, ce le ho ancora divise. Dopo la prima lezione c’è una scena in cui Mery ha un alterco con il cliente che non la vuole pagare. Scena che termina con Mery che crede di averlo ammazzato e scappa. Questa scena in sceneggiatura era dopo la scena della lezione, e invece è stata spostata. La decisione di metterla prima è stata presa in montaggio. Noi l’avevamo messa dopo, perché subito dopo questa scena Mery veniva arrestata e poi veniva portata in carcere. Questa è una cosa che capita. Cioè, può accadere che in montaggio si decida che è meglio uno spostamento. Siccome qui ogni storia cammina per un binario e poi vanno tutte a incrociarsi più avanti — ma Mery comunque doveva entrare in classe dopo gli altri- si è pensato che potesse stare bene qui. E infatti ci sta bene.

I fili tessuti si incrociano

A questo punto del film abbiamo in scena tutti i personaggi: siamo sui venti minuti, e abbiamo finito una prima parte del film, che ha “piazzato i pezzi” e che già fa intuire delle dinamiche. Ora incomincia la zona centrale, dove questi fili che sono stati appena tessuti, devono incrociarsi tra di loro e in qualche modo esplodere, insomma, dar luogo a dei conflitti, a dei problemi. Problemi per il professore, problemi per i ragazzi, problemi con l’istituzione… Spero che voi abbiate capito che la presentazione non è semplicemente fare una specie di santino di ognuno, o una piccola scheda per ognuno. È una presentazione dinamica. Ogni personaggio viene portato dentro il film con un suo piccolo problema. Avete visto anche che tipo di ingresso ha Mery. Andando direttamente al punto cruciale dello scontro col cliente, lei è presa nel momento in cui ha un problema. Uno viene preso nel momento in cui viene arrestato, uno quando esce dal carcere, uno è arrestato nel momento del matrimonio. Un altro è un omicida e lo vediamo come un ‘capo’ che in maniera prepotente si impone al professore. Quando parla lui, gli altri stanno zitti, quando lui li chiama a ridere gli altri ridono, quando invece non vuole che ridano gli altri smettono di ridere, eccetera… Una volta piazzate tutte queste cose, dobbiamo vedere come confliggono tra di loro nella parte centrale del film. E poi entreremo nella terza parte, che è quella in cui i vari nodi che si saranno aggrovigliati, si devono sciogliere.

La scena della corsa in vespa e della cattura di Pietro

In questa prima parte del film c’è la fuga in vespa di Pietro, che tiene tra le gambe il disco di Nino D’Angelo e lo scatolone dello stereo che ha rubato per la sua fidanzata. Perché quella corsa non è girata col sonoro reale? La corsa, la caduta, l’inseguimento a piedi al mercato e l’arresto, quando lo strattonano per i capelli, tutto è accompagnato da un commento musicale. Lì non si cercava il suono della realtà vera, ma si cercava di dire: il povero Pietro, che è appena uscito e che sembra così duro, è poi uno che per amore è andato a fare uno stupido furto, si è fatto stupidamente beccare, viene inseguito e sta per tornare dentro. E non c’era bisogno di insistere sul fatto che i poliziotti lo massacrano di botte: non gli fanno niente. Però ci fa dolore che torni dentro. E quindi, secondo me giustamente, la regia ha fatto questa specie di ansa, di mini racconto senza il suono della realtà.

Perché cosa succede se noi autori non siamo mossi né all’indignazione, né alla pena, né alla pietà per gli individui che raccontiamo? Se non c’è questo… che c’è nel migliore cinema realistico — pensate per esempio a Ken Loach, ma anche al grande cinema documentaristico che non si limita a fotografare, a ‘vedere’ con un occhio imparziale quello che c’è davanti alla macchina da presa, ma in qualche modo lo interpreta, ci scava dentro- …ecco, scavarci dentro significa mettere in gioco l’autore, mettersi in gioco, scoprirsi, prendere parte, prendere posizione. Quando in un film voi non sentite la posizione dell’autore, io credo che dovreste insospettirvi. Cioè penso che in qualche modo è troppo comodo, stando in una comoda casa, facendo la comoda professione del regista o dello scrittore, semplicemente dire: -Vabbe’, io un giorno ho deciso di andare dagli eschimesi…- Quindi trattare, non so, le borgate romane, o la cintura periferica di Milano, o lo Zen di Palermo, come se fossero abitate da insetti da studiare al microscopio, con un atteggiamento da entomologo, come gli scienziati dell’800 che andavano a scoprire, non so, le popolazioni dell’Africa, e le descrivevano in diari molto precisi, in cui facevano anche i disegnini. Noi non siamo degli scienziati, non possiamo essere asettici E non dobbiamo.

Raccontare una mentalità: Pietro e il professore

Dopo la scena della fuga di Pietro abbiamo di nuovo una scena di realismo quotidiano forte. Cioè Mery la domenica va a mangiare a casa dai suoi e si ritrova quel padre lì, coi quattro fratelli che non aiutano la madre, ecc… e al centro di questa piccola tragedia familiare, per cui a un certo punto gli vogliono tagliare i capelli, arriva la polizia e lo arresta. Tutto è pronto per andare su ‘temoni’ ancora più incrociati e ingarbugliati: abbiamo visto anche la scena in cui il professore è andato a casa di Natale a chiedere perché nessuno li va mai a trovare. E incontra il fratello di Natale, che gli dice che loro padre è stato ammazzato là, davanti a casa, e che Natale ha preso una pistola ed ha ucciso l’omicida del papà. Vedrete che una serie di battute che vengono ‘lanciate’ in questa prima parte, torneranno più avanti. Il fratello dice: -A me Natale mi chiama “Settecarati”, perché dice che io non sono l’oro vero, sono quello che non vale niente… perché io sono uno che sa solo lavorare, “sa travagghiare”. Se mi dice di tirare su un muro come quello, io glielo tiro su in quattro e quattr’otto. Però se lei mi mette una pistola in mano io tremo, e Natale dice per questo che io non sono un uomo vero-. Ora, questa parola, ‘Settecarati’, buttata lì nel dialogo, tornerà quando ci sarà lo scontro frontale, la scena tra Natale e il professore, quella in cui il ragazzo gli dipinge la faccia mentre lui fa lezione. Anche se guardiamo il film a pezzetti per cui non è molto emozionante, credo che stiate vedendo come in questa zona c’è adesso una specie di cambio di passo, tutte le situazioni si stanno tendendo e alcune cose che sono state messe prima, tornano qui con un segno diverso.

Alcune cose vengono ora quasi ribaltate e noi, qui in questa zona centrale, raccontiamo una mentalità che nei quartieri di Palermo e nella Sicilia in generale è molto diffusa. E raccontiamo anche quella mentalità più specifica del carcere, del posto chiuso dove bisogna rispettare certe regole. Il ragazzo a cui viene chiesto di fare l’amore dal compagno, cerca di sfuggire ma è preso in una specie di trappola, non ce la fa a stare zitto e va a denunciarlo. A questo punto l’universo carcerario si scatena contro di lui e quindi c’è la scena della mensa in cui il ragazzo viene insultato: -Spia, spia, spione. T’ammazziamo-. Gli tirano le cose addosso, tanto che devono metterlo in isolamento. Di notte, nella cella, sente queste voci: -Ti facciamo la cassa da morto. T’ammazziamo. Ti facciamo fare la fine del sorcio.- Insomma, non c’è modo d’uscire dalle regole del carcere.

L’altro elemento col quale raccontiamo una mentalità è Pietro. Lui ha molestato la psicologa del carcere ed è stato picchiato dalle guardie. Eppure, quando il professore gli chiede di sporgere denuncia dicendo che gli farà da testimone, Pietro è talmente ‘dentro’ le regole del gioco, che non è affatto disponibile a questa cosa, e dice: -Io ho fatto una cosa che non dovevo fare qua dentro. Loro mi hanno picchiato, ma io al loro posto avrei fatto lo stesso-. Il professore non capisce, questi gli sfuggono da tutte le parti, lui non riesce ad ‘entrare’, per ora, in quella mentalità lì. La scena è importante perché mette a confronto due modi di guardare il mondo. Uno è, diciamo, quello borghese o se volete illuministico, di una persona che crede che con la forza della ragione, della buona volontà, della propria disponibilità (probabilmente come molti di noi che sono qui) il mondo possa essere migliorato. E l’altro è il modo di vedere il mondo di una persona come Pietro, che non si pone per niente il problema del futuro e non pensa che il mondo sia migliorabile. Pietro gli fa un discorso abbastanza semplice, cioè gli dice: -Come mai tu non hai mai usato le mani? Probabilmente perché vivevi in mezzo a della gente che usava più le parole che le mani — E poi, gli fa capire che ci sono dei casi in cui sarebbe meglio usare le mani. Gli dice: -Adesso non saresti così triste se con quello che t’ ha rubato la moglie avessi usato le mani invece che le parole-. Fate attenzione: questo è uno scontro fra due concezioni del mondo in qualche modo ‘elaborate’. Perché Pietro è capace di elaborazione, mentre Natale, il leader, non è capace di elaborazione, è uno completamente e direttamente negativo verso il mondo. Pietro invece è uno, come vedrete anche in una successiva scena, che con il professore misura due mondi. Dice: -Chi nasce quadrato non può morire rotondo-, oppure dice: -Sei tu, professore, quello che crede di cambiare il mondo con le parole, il mondo non si cambia con le parole-.

L’idea di raccontare la Sicilia sovrastata da una specie di muro, di cielo basso, grigio, ci era venuta anche da alcune cose che ha scritto Sciascia. Mentre lavoravamo al film avevamo avuto, per così dire, due contatti con Sciascia, anche se nessuno dei due è stato diretto. Da una parte, in una sua intervista, avevamo letto una cosa in cui lui faceva un’analisi del modo in cui i siciliani usano i verbi. Diceva: -In Sicilia quasi non esiste il ‘tempo futuro’. Qui nessuno dice mai “domani andrò in un posto”, si dice “domani vaiu”-. Cioè è questa una società che vive soltanto il presente… che vive alla giornata… sanno che oggi ci stanno, domani non ci staranno. Sanno che tutto è precario, che ci sono molte probabilità che le cose domani andranno anche peggio di come vanno oggi.
Allora… noi abbiamo pensato un po’ tutto il film in questo modo. Cioè nessuno dei ragazzi sogna di uscire di li, di mettersi a lavorare, aprire un bar, andare a fare l’operaio… C’è la sensazione che si sta lì, che si deve tener duro, resistere là dentro, e poi, una volta fuori, si vedrà. Questo era il segno che volevamo dominasse tutto il film. In una prima fase c’era venuta l’idea di dire che qualcuno di loro ha un progetto. Poi, nella fase della preparazione del copione, abbiamo letto questa cosa di Sciascia e ci siamo detti che era meglio tenere tutto basso, concreto,materiale.

Il secondo contatto con Sciascia l’ ha avuto Marco Risi, che lo ha incontrato in Sicilia durante i sopralluoghi. Sciascia gli aveva detto: -Dovreste parlare del problema dei pozzi d’acqua-. Lì per li abbiamo detto: -Non abbiamo la possibilità. Non c’entra niente col film, non sappiamo come mettercelo…-. Poi c’è venuta in mente la lunga scena del conflitto tra Natale e il professore, che inizia con i ragazzi che non vogliono accogliere Claudio in classe perché è una spia. Il professore dice: -Che doveva fare? Cercate di capire…- E si scontra con Natale che gli risponde: -Si doveva fare rispettare- Poi Natale comincia a gridare -Mafia, mafia!- seguito dal coro di tutti gli altri. Noi avevamo un elemento solo per costruire la scena, una cosa che ci aveva raccontato Aurelio Grimaldi: una volta, mentre teneva una lezione, un ragazzo aveva cominciato a dipingergli la faccia col pennarello, e lui, invece di indignarsi, l’aveva lasciato fare e aveva continuato a tenere la sua lezione. Noi abbiamo pensato a lungo a come poter mettere in scena questa cosa.

Avevamo fatto un paio di prove che però non ci convincevano molto, perché detta così…il professore diventava una specie di Ghandi di provincia, uno buono con la B maiuscola. insomma non ci funzionava. Poi non ci funzionava anche pensando all’attore che avevamo. Alla fine abbiamo pensato che potevamo cercare di unire il tema della mafia, cioè dell’omertà. con il tema dei pozzi d’acqua, e dare così un momento di ribellione al professore, che a un certo punto, dopo che il ragazzo gli ha disegnato tutta la faccia, afferra un polso a Natale e gli dice: -Tu ti credi più forte di me, ma non sei più forte di me- e qui viene recuperata anche quella battuta che aveva detto il fratello sui ‘sette carati’… Ecco, siamo nella zona centrale, diciamo nella “polpa” del film. E qui andiamo ancora a capovolgere, perché qui vedrete che Claudio, il ragazzo aggredito, che è il più debole di tutti, fa invece la cosa più atroce di tutti, picchiando violentemente l’altro ragazzo. E vedremo Pietro che decide di fuggire dal carcere e così ricomincia il dentro-fuori. Inoltre, in questa parte, si sviluppa il problema di Mery. Si tratta del personaggio fino a adesso meno raccontato, ma che ora si prende un grande spazio.

(fine quinta parte)

Questa che vi presentiamo è una trascrizione del seminario di sceneggiatura tenuto a Trieste da Sandro Petraglia presso il Servizio di Cineteca Regionale del Friuli Venezia-Giulia, nel marzo del 1995. “Queste cose ci piace farle, ma purtroppo poi va a finire che non le facciamo quasi mai”, ci aveva detto Petraglia accettando il nostro invito, e questo scritto è nato anche per la volontà di aumentare i fruitori di un’occasione rara e, ci sembra, preziosa. Il testo e un po’ un copione di due intensi giorni di discussione su quell’arte/mestiere della sceneggiatura, con uno scrittore per il cinema tra i più attivi del panorama nazionale, un professionista e un autore che è passato attraverso le esperienze più diverse: dall’attività di studioso e critico al cinema autoprodotto e collettivo (con Agosti, Bellocchio e I’inseparabile compagno di scrittura Stefano Rulli), dalla serialità televisiva alla collaborazione con alcuni dei migliori registi del nostro cinema come Moretti, Amelio, Risi, Del Monte, Luchetti, Mazzacurati. Le scelte sui progetti forse basterebbero già a delineare una forte identità d’autore, e lasciamo a migliori esegeti il compito di analizzare a fondo l’abilità di narratori per lo schermo di Petraglia e dei suoi collaboratori, la loro costante ricerca di storie, personaggi e modi di raccontare interessanti, non facili, non carini.
Alla trascrizione completa sono stati apportati alcuni tagli e alcune modifiche per rendere più agevole la lettura, ma abbiamo anche cercato di conservare il più possibile la forma di queste lezioni che erano anche incontro tra persone, dialogo, digressioni, aneddoti. L’analisi del film Mery per sempre, che in classe si avvaleva dell’immediata visione dei brani analizzati, era forse la parte più difficile da rendere sulla pagina, ma siamo certi che alcuni piccoli problemi di comprensione saranno riscattati dal valore del materiale.

Stefano Dongetti
curatore della pubblicazione

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