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Fumetto

Lo sguardo di Claire

Pastelli. Mi sono accorto che i primi pastelli che si vedono di Claire possono in un primo momento lasciare disorientati, quasi delusi. Eppure, solitamente, quest’incertezza si tramuta in un punto interrogativo per diventare successivamente piacere. Credo che si possa attribuire tale ribaltamento proprio al motivo di sorpresa suscitato da questi pastelli: chi ben conosce il tratto fumettistico, e che sa quindi riconoscere Bretécher, si smarrisce in questi fogli di Claire, carichi di colori, tradizionalmente rappresentativi, quasi accademici. Tuttavia, passando dal “carnet” al fumetto, si avverte un fortissimo dislivello che consente di percepire meglio il significato stesso del suo lavoro, oltre che cogliere il motivo per il quale lei piaccia così tanto. Come dire? Per semplificare e distinguere una volta per tutte i disegni personali dal disegno del fumetto, chiameremo Claire l’autore del “carnet”, mentre Bretécher sarà l’autore dei fumetti. Mi accorgo allora che certi disegni del “carnet” sono firmati Bretécher, con la sua firma pubblica; per quale motivo? Si tratta ad ogni modo del sintomo di un passaggio da una sfera ad un’altra, dell’implicita coerenza delle varie ispirazioni. Bisognerà quindi cercare di mettere in risalto le evidenti differenze esistenti nell’ambito di questa complessa unità.

Disegno/colore. I disegni in cui il colore crea effetti di spazio in superficie, mentre il tratto affilato, con l’inchiostro nero, provoca la morsura, possono dirsi particolarmente riusciti. Si rimane colpiti, oltre che incantati. In altri, il tratto racchiude il colore, lo sottomette, chiedendogli soltanto di rafforzare i vari effetti.

Classicismo. Il colore non viene praticamente utilizzato da Claire per creare effetti piacevoli, ma solo per rafforzare ora l’acuità dell’osservazione ora l’interpretazione di ciò che è visibile.

Il colpo d’occhio di Claire. Ci viene spontaneo pensare: ci vede chiaro, Claire. E ci fa vedere ancora più chiaro. È vero: il suo colpo di matita è una zampata: tocca in modo giusto perché vede in modo giusto.

E poi ci viene anche da pensare che questo colpo di matita-colpo d’occhio sia espressivo colpo dopo colpo. Che si tratti di un “carnet” o di un fumetto, di Claire o di Bretécher, prende di mira i suoi simili, i suoi fratelli, oh ipocriti lettori. Si tratta di un qualcosa di assai diverso da Reiser per esempio: lui disegna e non fa altro che parlare di stronzi; ed infatti, ha intitolato una delle sue opere Ils sont moches… E Bretécher invece? Perché i suoi simili, i suoi fratelli sono brutti? Lei che non lo è affatto… Sole, nel loro lontano passato in pratica, Cellulite e Thérèse d’Avila sono eroine positive… E se questa derisione stesse a significare una delusione?

Come dire? Evitare la parafrasi, cioè innanzitutto non cercare di far ridere. Ma soprattutto evitare di parlare di argomenti o di idee; cercare piuttosto di sottolineare l’effetto suscitato dai suoi disegni per mezzo del disegno. Col pretesto di scrivere, non occultare l’immagine, ma cercare di vedere cosa fa immagine nell’immagine, e trovare le parole per esprimerlo.

Lei. Ha gli occhi di Nicole, e i capelli e la bocca che suggeriscono vari piaceri. Soprattutto, di lei ha i seni, con quelle sue due punte che hanno trapanato la maglia lavorata in modo troppo molle, come due occhi che ci fissano dal basso. Fortissima questa complicità, tra “l’entraîneuse” da bar ed il seno materno…

I bambini e i vecchi. Fanciulli, bambini, adolescenti: le tre età della stupidaggine, sullo sfondo l’imbruttimento vittorioso. E la Nonnina, la vecchia, quella che torna sempre: la Nonnina di faccia, la Nonnina che ride, la Nonnina a tavola, la Nonnina pastello, la Nonnina che riesce persino ad infilare il suo occhio da ossifraga in un viso nel quale Claire non si piace affatto. Dio mio, si può mai essere così cattivi come quella vecchia che non fa altro che mettere in luce l’avidità della morte? E poi Dio mio, è mai sopportabile quella bruttezza di quegli altri? Tranne poi esorcizzarla per davvero in un ritratto intimo oppure offrirla agli altri come specchio, in pasto alle loro risate…

Le nature morte di Claire. In tutto il “carnet”, vi sono soltanto due nature morte, tratteggiate e senza personaggi. Per ricordo certamente e comunque disegnate su questo motivo con la massima elegante acuità. Ma quali nature morte? Tutto fa pensare ad un abitante del posto recentemente passato da lì: il disordine attorno ad un impianto stereofonico, una scala interna che probabilmente è stata percorsa negli ultimi tempi, con quei due cappotti buttati sulla rampa che, a prima vista, sembrano due personaggi di schiena intenti ad osservare una foto di matrimonio appesa al primo pianerottolo.

Una presenza ha lasciato le sue tracce. Il disegno di Claire fa sorgere l’eleganza del suo tratto soltanto dopo la partenza di colui che ha occupato quello spazio privato, riportandolo (finalmente?) alla quiete…

Sfera intima/pubblica. L’arte dei fumetti — arte del libro o del giornale — è un’arte del piacere privato, che si può tutto al più condividere in due. Molto di più dell’arte di un quadro che si può osservare e commentare in molti. Nel suo fumetto (pubblico), Bretécher gioca ammirevolmente su questo aspetto privato per insinuare nei suoi lettori (vittime) lo sguardo nella loro intimità.

Une breccia può costare caro. Su carta oleata e traslucida, un autoritratto visto di profilo dà le spalle allo specchio: l’immagine basta per rimettere sottilmente in causa il tema dell’artista allo specchio. Un pastello viene impaginato secondo un taglio che unisce gli occhi fissi della nonna, i bottoni e la cravatta del corpo di un uomo che si trova lì soltanto per chiudere uno spazio dal quale ci fissano questi due occhi quasi ciechi, spalancati a tal punto da farci vedere oltre le stesse orbite: il ricordo dell’espressionismo tedesco (e delle Belle Arti) non è lontano. E poi c’è quel fascino nei confronti di quel viso fin troppo noto — quello della Nonna — dove si percepisce lo scorrimento verso la morte che Claire cerca di cogliere in diretta… Su l’acquerello, il pennello accarezza i passaggi e le sfumature verdastri dedicate all’immagine allungata di un’amica in depressione… Talvolta, i disegni lasciano intravedere un’espressione raffinata che l’efficacia del fumetto esclude. Questa sottigliezza, infatti, questa dolcezza quasi, aprono una breccia che può costare caro. Tanto vale ridere allora e sperare in qualche complicità.

Colpo di matita, colpo d’occhio. Nel “carnet” di Claire, emerge progressivamente il colpo di matita che è proprio di Bretécher. Non cronologicamente, ma tipologicamente: a seconda delle tecniche o dei momenti rappresentati. Questo colpo di matita segna il risveglio di uno degli sguardi di Claire che, in un sol colpo, restituisce una forma chiara del visibile ad una che prima era sbiadita (segnata soprattutto dal colore e da un uso mescolato). Fatto sta che questa forma chiara non è piacevole; per colpa di chi?…

Colpo di matita. Il colpo di matita dà il tratto del contorno che mostra l’idea. L’idea è spesso brutta.

Classicismo. Lo stile di Bretécher è un’invenzione controllata, progressivamente maturata e sempre in evoluzione. Per controllo, non voglio dire che ogni particolare viene calcolato o meditato: la rapidità grafica dell’immagine ci convince invece del contrario. Intendo dire che lo stile di Bretécher è una scelta di Claire (d’altronde, basterebbe osservare i suoi disegni personali, che sono firmati da Bretécher, e quali caratteristiche li distingue da quelli “senza il nome d’autore”). Dall’intimo al copyright, Claire procede a tutta una serie di esclusioni, rifiuta le tecniche che conosce, rinuncia ad alcune delle sue virtualità grafiche per dar spazio, secondo la coerenza che le è propria, ad uno stile.

L’interesse suscitato dai suoi disegni personali è anche legato alla testimonianza che questi forniscono, segno di quanto escluso dallo stile, del suo sostrato, di quanto nutre la concezione costantemente esposta dal fumetto. Ecco quindi che, immediatamente, l’opposizione tra i disegni personali ed il fumetto propone l’esclusione del colore, oltre che quella di qualsivoglia sottolineatura del savoir-faire accademico a vantaggio della riduzione del tratto apparentemente trascurato — negligenza privilegio di un ottimo disegnatore. Questa scelta vuole essere efficace: si tratta di andar velocemente pur facendo sentire-vedere il più possibile. Nel fumetto, Bretécher non “si preoccupa del particolare” — molto spesso, la scena è rappresentata solo dalla carta del foglio. Taglia in mezzo per andare dritto al cuore; quando il particolare c’è, viene messo in evidenza soltanto per necessità narrativa o per il valore espressivo che assume. Il ridimensionamento ai minimi termini necessari e utili tende ad evitare ogni tipo di pesantezza o di descrizione. Bretécher fa sfoggio di un’intelligenza ancor più brillante quando questa non viene spiegata, commentata. Disegno d’intelligenza e conoscenza della litote, insomma. Bretécher è un classico.

Come dire?”Leggere un fumetto”, un “lettore di fumetto”; linguisticamente non diciamo spesso “guardare un fumetto”, e non parliamo mai di uno “spettatore di fumetto”, anche se il fumetto non contiene parole, se non è scritto. Come se il fumetto fosse senza disegni, come se il disegno non fosse il supporto principale del messaggio trasmesso e di quel particolare piacere che procura. Cercare quindi di cogliere in che modo il disegno informa il tema.

Visi. Claire pensa agli altri. Dà loro un viso, fa loro il muso, un (brutto) muso. Al riquadro, alle proporzioni dei riquadri nei quali Bretécher racchiude i suoi frustrati nella loro noia (la loro e la sua, subita). Nasi rossi. Nel “carnet” ritroviamo spesso quel naso rosso, arrossato. Ignobile in quella donna invecchiata male, quasi patetico nel bambino perso nella sua poltrona, col pollice ancora conficcato in bocca — come se quel rosso stesse quasi già diventando sporco. Quel naso rosso, ovviamente, ci riporta con la mente al clown. Ma quel clown è triste: triste per il fatto che, sin dall’inizio, dovrà portarsi addosso quell’etichetta, sapendo che ogni sogno verrà spezzato. Ci torna in mente quell’italiano del Louvre, dal profilo perfetto, in cui un giovanotto affascinato contempla il naso gonfio di suo nonno: scambio di sguardi dove passa il tempo…

Tra fumetto e “carnet”. La differenza sostanziale tra il “carnet” di Claire ed i fumetti di Bretécher pone una serie di domande, suscita un interesse indubbiamente teorico. Ad esempio: se Bretécher rappresenta innanzitutto il suo fumetto, qual è il valore del suo disegno personale? Dato che il disegno intimo è così diverso dal disegno fumettistico, quali decisioni determinano le loro reciproche scelte stilistiche? Dove emerge maggiormente la vera personalità della disegnatrice? Nei suoi “carnet” o nelle sue opere destinate al pubblico, quelle in cui la scelta stilistica viene assunta come “propria”? La maggiore intimità corrisponde per forza alla scelta maggiormente personale?

Banco di prova. L’aspetto più personale del “carnet” è, indubbiamente, legato all’estrema varietà di tecniche provate? Tutto si svolge come se questo “carnet” fosse un banco di prova non tanto di questo disegno “in stile fumetto”, ma piuttosto della capacità stessa della disegnatrice. Negando la sclerosi, la ripetizione o la monotonia, il “carnet” funge da verifica della costante capacità di Claire di saper “cogliere il momento”. Una specie di esercizio quindi, ma anche forse un’indulgenza nei propri confronti per sfuggire, nell’arco di tempo di un disegno intimo, al vincolo pubblico dettato dallo stile del fumetto. Infatti, osservando il “carnet”, questo stile opera una scelta severa. Diventando Bretécher, Claire rinuncia ad un’ampia gamma del suo fascino a vantaggio del laconismo grafico. Il “carnet” ci dà quindi ragguagli sul lavoro che la facilità del fumetto oscura: lavoro tecnico e lavoro mentale, decisioni artistiche che orientano le scelte stilistiche.

Classicismo. Il fumetto è sempre racconto (anche senza parole); il “carnet” non lo è mai; durante la sua composizione, la sua grafica è proprio quella del fumetto. Conclusione: la grafica scelta per il fumetto è narrativa, è stata studiata in funzione di una concezione del racconto figurato, conciso, efficace, classico. Pensiamo in questo caso all’ammirazione iniziale di Claire per Tintin.

Classicismo e delusione. Il suo classicismo è travagliato dalla sua parodia, dalla volontà di colpirlo. Travagliato dall’interno, dagli argomenti trattati (momenti, situazioni, personaggi: morbosi); travagliato, aggredito dall’esterno quando il tratto sporca la faccia, la deforma per andare velocemente e far emergere la volgarità o lo smarrimento che lì si nascondono. Classicismo della delusione che diventa caricatura. I disegni intimi lo confermano ancora una volta. Il tipo di immagini (prevalentemente ritratti), l’acuta osservazione dei visi, del risultato, la precisione delle figure, la meticolosità della mano che, nei pastelli, copre l’intera pagina per far quadro:Claire considera seriamente anche tutto quello che non era previsto per il pubblico. Questa “probità dell’arte ” nella stessa intimità della sua pratica è anche classica.

Seduzione classica. Bretécher e Claire sono d’accordo su un punto: il desiderio di segnare una verità del visibile, una verità che si avvicini il più possibile al “carnet”, e al più presto possibile al fumetto. In entrambi i casi, si dice meno per esprimere di più: la litote classica. Quanto invocato dal classicismo, l’intelligenza (intesa in questo caso come quella capacità di andare al di là delle apparenze, collegandole), Claire la possiede mirabilmente, mentre Bretécher ci chiede di approfittare assieme a lei di tale intelligenza: “Dato che la vostra intelligenza vi consente di capire rapidamente quanto vi suggerisco.” Come resistere? Bretécher è forse una seduttrice, quindi? Certamente, ma la sua seduzione si nasconde dietro lo schermo del fumetto: il disegno intimo di Claire rischierebbe di non provocare lo stesso effetto sullo spettatore nel quale questi potrebbe riconoscersi… Il fumetto, come moneta di pubblico scambio: “Tu mi dai il tuo lato ridicolo, io te lo restituisco facendoti ridere, con il fumetto…”.

Caricatura/realismo. Dove agiscono queste due pratiche dell’immagine i cui effetti sono così diversi? Capire questo significa capire anche l’opposizione Claire/Bretécher. Perché Bretécher non è un caricaturista. La caricatura consiste in un disegno unico, in una vignetta che condensa una carica; Bretécher è sempre narrativa, lo è nel fumetto. È Claire, nel suo “carnet”, che copre una pagina con un solo disegno. Eppure, notiamo che in tutta una parte di questo “carnet” — quella che qui m’interessa —, il disegno non è caricaturale. La fedeltà del risultato lo fa propendere piuttosto per l’aspetto realista, nella sua variazione iperrealista. Il paradosso sta nel fatto che il disegno sarebbe caricaturale — ma non si può accostare il genere del fumetto a quello della caricatura -. I fogli del “carnet”, invece, potrebbero rappresentare il luogo in cui avviene una caricatura — ma, il disegno in questo caso, lungi dall’essere caricaturale, è quasi verista… Tutto si svolge come se il tratto avesse una funzione interpretativa (caricaturale), mentre qui il colore avrebbe una funzione di realtà.

Realismo/caricatura. Claire realista: il suo ideale è quello di sfigurare il reale. Bretécher caricaturista: la sua idea sfigura il reale. Punto in comune: la delusione delle apparenze.

Miopia. E se Claire fosse miope? Ad occhio nudo: fascino sfocato delle apparenze (colorate). Con gli occhiali: acuità deludente del (vero) contorno…

Sfera intima/sfera pubblica. Dal “carnet” (intimo) al fumetto (pubblico), si verifica tutta una serie di trasformazioni ma, al contempo anche, di passaggi, di osmosi. In questo “carnet”, è possibile a volte riconoscere la zampata di Bretécher. Siamo come spinti a voler prevedere, da qualche altra parte, questo modello che si trasformerà in seguito in fumetto. Tuttavia, nel fumetto, l’intimità della disegnatrice lascia anche le sue tracce: la sua scrittura innanzitutto che si presenta in quanto tale, l’irregolarità del riquadro che tuttavia è ristretta per ogni vignetta — Bretécher non traccia le sue linee con il righello, ma lascia vedere la mano di Claire che scorre… La negligenza contribuisce anche a dare un effetto d’insieme: ci spinge a cogliere la presenza di una mano che scorre, l’intelligenza che corre velocemente, siamo invitati a seguire lo sguardo di qualcuno man mano che si fa spazio: Bretécher procede ad un’operazione di seduzione per coinvolgere interamente i suoi lettori, per farli ridere dello specchio che forse sta porgendo loro. Perché le situazioni che descrive pubblicamente Bretécher fanno anche parte della sfera privata: è l’essenza intima dei personaggi che sono meno prigionieri delle convenzioni, ma maggiormente impigliati nei moderni stereotipi verosimilmente liberatori. L’oggetto di Bretécher: manifestare pubblicamente tale contraddizione in cui l’intimità si aliena nella trappola di una psicanalisi da stazione o dell’atteggiamento sinistro del femminismo.

Spaventati-bambini. Spesso, i personaggi che piacciono a Bretécher, I Frustrati, sono anche Personaggi Spaventati: spaventati per quanto accade loro, per una sensazione che proprio non riescono a capire, sgomenti nonostante tutte quelle protezioni che pur dovrebbero possedere grazie alla loro cultura di snob medi. Gli stessi personaggi li ritroviamo nel “carnet” di Claire: non più spaventati, ma spaventosi. Com’è mai possibile? E com’è possibile che siano così “veri”? Il “carnet” di Claire: “più veri della natura”. Il fumetto di Bretécher: “più stronzi della natura”.

Assurdo. Il rigore “microsociologico” dei Frustrati fa dimenticare l’aspetto assurdo del ridere in Bretécher. Ma Cellulite, Thérèse d’Avila, Le Bolot occidental e, adesso, Le Destin de Monique coltivano l‘insensatezza. E così, chi legge segue il racconto con una attenzione ancora maggiore, dato che consente di sviluppare meglio, e imperturbabilmente, le logiche conseguenze dell’ipotesi originale (basti pensare ai Monthy Python …). L’assurdo di Bretécher manda in corto circuito il reale, nell’accostare, il più delle volte, due ordini di realtà che in teoria si escludono a vicenda (dollari per il padre di Cellulite, un lavello smaltato nel convento di Thérèse…). L’effetto è di rado leggero, ma il piacere si fa henorme quando si gioca e si gode dell’annullamento di tali vincoli (del reale). Da questo punto di vista, la virulenza del gioco al massacro a cui si sottopongono Les Frustrés corrisponde ai vincoli ai quali sottostanno e ai quali fanno sottostare gli altri, sia nella loro rappresentazione (Bretécher) che nella loro frequentazione (Claire). Questa virulenza appare come una vendetta intima che è penetrata nella sfera pubblica. È possibile ritrovare tale virulenza nel “carnet”? In questo caso, il colpo di matita lascerebbe una traccia del vincolo che si subisce, oltre che una risposta: lo scandalo della forzata condivisione dello stesso spazio/tempo di questi personaggi spaventati, colti e presi in flagrante nella loro grottesca assurdità…

Caricatura/realismo. Salvo ritenere (troppo frettolosamente) che il fumetto sia l’artefice della nascita di un nuovo genere, la caricatura narrativa, è opportuno riconoscere che la storia raccontata rappresenta il supporto scelto da Claire quando lei si trasforma in Bretécher. Tuttavia, rinuncia all’eventuale caricatura annunciata dalla sua grafica a vantaggio di un racconto il cui stesso enunciato è portatore di significato e di comicità. Anche qui, il principio della scelta è quello dell’efficacia: l’effetto intelligente e comico si demoltiplica grazie alle tensioni provocate dal fumetto tra ciò che scrive e ciò che disegna. Disegno/discorso: i due messaggi raramente convergono, il disegno è una parodia del discorso nella misura in cui, attraverso la configurazione e le trasformazioni (minime) che subisce, il corpo commenta silenziosamente, graficamente il discorso, mostrandone il lato irreale. Possiamo notare poi che il corpo evidenzia il maggior grado di realtà. Sorprendente? È quel corpo che viene trattato in modo realistico nel “carnet” di Claire, mentre in Bretécher, sono questi stessi corpi che fanno di Cellulite e di Thérèse delle eroine personalizzate — le uniche a dare il proprio nome al fumetto, assieme a Monique (ma il corpo di Monique … ). Cellulite, eroina frustrata suo malgrado, Thérèse eroina trionfante perché è stata in grado di far convergere la sublimazione intima ed il potere sociale. La comicità singolare di Bretécher e l’effetto originale del “carnet” di Claire sono anch’essi legati a questo stesso scenario che Claire Bretécher assegna al corpo.

Rabelaisiana. Oltre all’assurdo, uno dei principi fondamentali dell’organizzazione de La Vie passionnée de Thérèse d’Avila corrisponde a quel che tra l’altro Mikhail Bakhtine, ricordando Rabelais, chiama il “deprezzamento”, che a suo parere costituisce uno degli strumenti basilari della cultura popolare. L’ultima pagina del racconto gioca su due aspetti: pur garantendo l’assurdo attraverso il cortocircuito del XV e del XX secolo, la pentola a pressione SEB (vignette 5-6-7) riporta in auge il quotidiano, le metafore dello stesso testo di Sainte Thérèse, deprezzandole (riportandole cioè a piè di pagina). Ma la sequenza estatica finisce per portare ad un’opposta citazione, coltivata molto accuratamente (vignette 10): La Transverberazione di santa Teresa scolpita dal Bernini a Roma. Nella sua stessa banalità (assunto che il lettore conosca molto bene la scultura), questo doppio riferimento opera un duplice deprezzamento, e porta al contempo al discorso intimo, figurato, della santa, oltre che a quell’immagine barocca ufficiale che ha fatto vivere quella grande messa in scena ideologica. Tra le due cose, questo doppio gioco fa emergere quella che è la loro comune sfida: il corpo reale dell’isterismo e del cattolicesimo. Quest’ultimo può esistere soltanto sotto forma invisibile: l’esplosione accecante (del godimento), nascosta nella scatola degli attrezzi (vignette 8 e 9). Il suo corpo viene manipolato da forze sociali ed immaginarie che la sovrastano, ma il potere femminile di Thérèse viene edificato in base a quella stessa manipolazione (vignetta 11: “deprezzamento” della vignetta 10). Pagina 6, una replica mostrava già questa sua scelta: “Te l’ho detto cento volte, Prouhèze, l’unica strada percorribile per una donna del XVI secolo è quella platonica”.

Quali conclusioni possiamo dunque trarre da questo discorso? Il deprezzamento di cui sopra ci riporta sicuramente con la mente a Rabelais, un po’ come accade per il Tiers Livre.- Thérèse ha trovato la soluzione alla quale Cellulite non riesce a piegarsi. E Bretécher non prende lucciole per lanterne: ci vede chiaro, Claire: le discussioni sul corpo reale/alienato rappresentano, indubbiamente, il cuore del suo lavoro.

Traduzione dal francese a cura di Jean-Claude Trovato

Il presente articolo è stato pubblicato in “Claire Bretécher: il disegno del fumetto”, a cura di:
La Cappella Underground / Comune di Trieste / Associazione Italo – Francese (1984).

Quella che segue è l’introduzione di Daniel Arasse, a pagina 2 del libro.

“Il titolo della mostra va inteso in un doppio senso: come si disegna un fumetto, quale lavoro richiede l’impostazione di una pagina o di una vignetta. Ma anche, come il disegno del fumetto sia una invenzione stilistica, originale, specifica, eventualmente assai diversa dallo stile dei disegni personali dell’autore. Sono stati quindi riuniti qui, oltre agli schizzi dell’ultimo fumetto di Claire Beretécher (Il destino di Monica), un numero notevole di fogli del suo quaderno personale, nei quali vediamo chiaramente, secondo il tipo d’immagine o di tecnica, lo stile trasformarsi e passare da ciò che sarebbe quasi un iperrealismo ironico ad un tratto caricaturale proprio dello stile Bretécher.
Desidero ringraziare Claire Bretécher che accetta, per la prima volta, di mostrare al pubblico i suoi disegni privati; Umberto Eco che ha “inventato” il tempo necessario per scrivere un testo in questa occasione; D. Barbieri e R. Giovannoli del DAMS di Bologna, che non hanno risparmiato lunghe discussioni per teorizzare un tantino questo lavoro. Ringrazio infine la Casa Editrice Denoel e, in particolar modo, il sig. Massin, i cui consigli, aiuto ed attività hanno reso possibile questo libro.”

Daniel Arasse
Direttore Istituto Francese
di Firenze

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