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Cinema

Blade Runner (II)

Tentativi di analisi

Dopo aver sviluppato i diversi concetti teorici che il film propone, viene ora il momento della verifica concreta della loro efficacia da un punto di vista analitico. Si cercherà quindi di realizzare uno studio della vicenda ed in particolare dei personaggi che utilizzi il concetto di densità dell’audiovisione come principio guida. Nell’uso di questo assunto teorico va tenuto comunque presente come esso sia soprattutto un mezzo per realizzare un’osservazione più approfondita degli elementi presenti nel testo e le loro reciproche connessioni; esso non è in alcun modo proiettato alla formulazione di un qualunque tipo di interpretazione del film. La sua osservazione ha il compito di svelare la struttura con cui il testo è realizzato da un punto di vista tecnico; naturalmente la complessità di questo impianto si ripercuote inevitabilmente anche sugli aspetti non direttamente coinvolti, quale ad esempio può essere considerata l’interpretazione che si può dare della storia o della valutazione che si può attribuire alle azioni dei personaggi. Così la densità costituisce il metodo con cui mettere in luce tutta una serie di elementi tecnici, stilistici e narrativi, alcuni dei quali possono costituire un’ottima base per un’interpretazione del film, specialmente da un punto di vista incentrato sulla narrazione. Alla fine ci si accorge però di come questo fatto non sia che un aspetto della densità dell’audiovisione; allo stesso modo in cui attraverso di essa (grazie ai dati che mette in risalto) è possibile affrontare un discorso di teoria generale del cinema, come si può fare per l’aspetto tecnico, così essa può guidare un’analisi che si concentri sull’aspetto narrativo. Si rivela ancora una volta quello che è uno dei suoi tratti principali, vale a dire la sua natura composta. Se essa si manifesta in una sequenza attraverso la compresenza di elementi di origine differente, non si vede proprio per quale motivo l’aspetto narrativo non possa costituirsi come uno di questi.

La definizione del concetto si è sviluppata secondo un’impronta fondamentalmente teorica, chiamando in causa il film analizzato, nella misura in cui potesse fornire spunti o prove utili nell’identificazione della densità dell’audiovisione. Ora che si è raggiunta una definizione soddisfacente del concetto, si procederà all’operazione opposta: il film passerà dalla posizione di elemento propulsivo all’elaborazione teorica, a quella di concreto oggetto di analisi. La trattazione assumerà perciò un aspetto più discorsivo, cercando per quanto possibile, di restituire anche attraverso l’analisi del testo, quel senso di generale compattezza che la visione del film comunica. Per quanto si sia convinti dell’interpretazione data, ci si deve comunque confrontare con la possibilità che non sia l’unica possibile.

L’analisi che qui si propone, si basa sull’adozione, anche nella scelta degli elementi di cui sviluppare l’approfondimento, di quel principio di contrasto che si è rivelato essere uno dei fili conduttori del film. Si è voluto così scegliere di prendere in considerazione i due personaggi di Deckard e di Roy che costituiscono i nuclei delle due vicende che si svolgono parallelamente nel film. La trattazione comunque non si esaurirà con loro essendo presenti altri elementi che, pur non rientrando direttamente nel principio di opposizione citato precedentemente, possiedono un’importanza considerevole nell’economia della vicenda.

Deckard, modelli per un personaggio

La figura di Deckard ha subìto nel passaggio dal romanzo al film un cambiamento non indifferente: al poliziotto sposato, mediocre blade runner (almeno questa è l’impressione che suscita all’inizio del libro) interessato principalmente alla possibilità di guadagno offerta dal ritiro degli androidi (per poter così comprare una vera capra, al posto della sua pecora artificiale), travolto dall’esperienza mistica del Mercerianesimo ed infine tornato nelle rassicuranti pareti di casa, si è sostituita l’immagine di un investigatore che sembra richiamarsi più alla figura del Marlowe di Chandler (in particolare alla sua versione cinematografica), che al personaggio del romanzo di Dick. In realtà, anche l’aderenza al modello chandleriano è minore di quel che può apparire inizialmente; risulta basarsi infatti più su aspetti estetici (l’immancabile impermeabile e l’aspetto che si fa via via più malconcio, una certa propensione al bere) ed espedienti narrativi (il voiceover, assente peraltro nella “Director’s Cut”) piuttosto superficiali e legati allo stereotipo, che non ad elementi più profondi tipici del personaggio: se Marlowe incarna il “duro”, certamente non altrettanto si può dire di Deckard. Anzi, tutte le attese che sembrerebbero imposte dal suo ruolo di investigatore e soprattutto di protagonista del film, sono disattese sistematicamente (magari in modo non del tutto evidente), una dopo l’altra, lungo tutto l’arco della vicenda, fino ad arrivare addirittura a mettere in forse la centralità stessa della sua figura.

Deckard viene forzatamente convinto dal capitano Bryant a rientrare nei ranghi dell’unità Blade Runner per eseguire il ritiro di un gruppo di replicanti che vagano per Los Angeles; da questo momento, anche se con qualche reticenza che però non si tradurrà in nulla di concreto, riveste il ruolo di agente del sistema: è solamente in virtù di questa investitura che sarà in grado di fronteggiare i vari replicanti, con la sola eccezione di Roy Batty. Il confronto con il leader dei replicanti fuggiaschi sarà uno dei momenti chiave della vicenda, non tanto perché ne costituisce il termine, quanto piuttosto perché consente l’emergere tutte quelle tensioni e quelle contraddizioni che caratterizzano la figura del blade runner, che sono rimaste celate per tutto il film e che evidenziano come quello di Deckard sia un personaggio fondamentalmente passivo.

Le capacità investigative di Deckard, benché Bryant si riferisca a lui come al migliore, alla luce dei fatti risultano piuttosto scarse; tutto il percorso d’indagine da lui compiuto avviene grazie ai continui indizi che gli vengono di volta in volta forniti da altri: è il capitano Bryant che lo manda alla Tyrell Corporation, è il test Voigt-Kampff compiuto da Holden che gli fornisce l’indirizzo di Leon (quindi la possibilità di trovare Zhora), è nuovamente Bryant che, a seguito dell’identificazione del cadavere, gli fornisce il recapito di Sebastian. Ma non basta, Deckard non è in grado di agire da solo: per potersi affermare nei vari confronti cui viene a trovarsi necessita di aiuto. Poco importa se questo supporto venga fornito da un oggetto o da una persona, quello che conta è che lasciato a se stesso Deckard verrebbe inesorabilmente sconfitto.

Così, non è in grado di opporsi né a Gaff, quando questi lo preleva per condurlo alla centrale di polizia, e neppure a Bryant nel momento in cui gli affida l’incarico, nonostante Deckard si consideri oramai fuori dal giro dei blade runner. In questo caso il potere esercitato dai due poliziotti deriva direttamente dal loro ruolo di rappresentanti del sistema, nei confronti del quale il singolo individuo non ha alcuna possibilità di resistere (Bryant chiarisce subito ed in maniera molto efficace il concetto: “Se non sei della polizia non hai peso”). Sarà questo un potere che verrà attribuito anche a Deckard, pur se in forma ridotta rispetto ai due colleghi; nel momento in cui riassume le vesti del blade runner; grazie a questa investitura egli potrà imporre la propria volontà a tutta quella serie di personaggi umani che incontrerà nel corso della sua indagine.

Unico personaggio umano (non appartenente alla polizia) a non essere condizionato dal ruolo di Deckard è Tyrell; al contrario, al suo cospetto è il blade runner che deve sottostare alla sua volontà, assecondandone il desiderio di sottoporre Rachel al test di Voigt-Kampff. D’altra parte Tyrell possiede un ruolo centrale nel sistema; anzi è in grado di porsi al di fuori di esso senza tuttavia perdere il proprio potere. Questo è possibile poiché Tyrell è uno dei tasselli su cui si fonda il sistema stesso: infatti i suoi prodotti, i replicanti, costituiscono la base economica della società del futuro.

Quando tuttavia Deckard si trova a tu per tu con i replicanti, il potere derivante dal suo ruolo di poliziotto comincia a scricchiolare, fino a diventare del tutto inefficace nel momento in cui il suo avversario sarà Roy. Il primo approccio con un replicante Deckard lo ha alla Tyrell Corporation quando incontra Rachel: si tratta di un incontro che si potrebbe definire anomalo, in quanto basato inizialmente sul presupposto che la ragazza sia un essere umano (un “negativo”, come la definisce Tyrell), ma nel quale tuttavia Deckard non manca di far valere la propria autorità quando, durante il test, lei comincia a mostrare segni di insofferenza, replicando alle domande del poliziotto alle quali però non riesce a sottrarsi; autorità che però in forma più velata era stata precedentemente riconosciuta dalla replicante, nel momento in cui, subito dopo essersi presentata chiede il permesso di fargli una domanda (“Ha mai ritirato un essere umano per errore?”) ed in seguito, immediatamente prima di cominciare il test di Voigt-Kampff, quando chiede se può fumare. Nel momento in cui viene svelata la reale natura di Rachel, si rientra nella norma del confronto con i replicanti. Norma che è facilmente riscontrabile analizzando i successivi casi (Zhora, Leon, Pris); da questi si rileva quali siano le reali prerogative di Deckard e quali quelle fornitegli dal ruolo che riveste. Smentendo la fama attribuitagli da Bryant, egli è sempre colto di sorpresa in tutte le situazioni in cui si viene a trovare: si può trattare di situazioni che non costituiscono particolare pericolo, come ad esempio il presentarsi di Gaff al principio del film, o l’apparente desiderio di Tyrell di sottoporgli da analizzare un essere umano, o ancora il trovare Rachel davanti alla porta del suo appartamento; oppure essere fonte di reali pericoli, come avviene via via con Zhora, Leon, Pris, Roy.

Miopia e menzogna

Ma da dove deriva questa sua incapacità? Deckard è un personaggio che, a differenza di Roy, non sa vedere, o meglio vede poco; ad ogni passo della sua indagine deve ricorrere a strumenti ottici di vario tipo per svelare i diversi indizi che si trova davanti. Così per riconoscere i replicanti necessita della macchina per il test di Voigt-Kampff, quando altri personaggi come Chew, Sebastian e Tyrell, sono in grado di fare altrettanto senza alcuno strumento. Allo stesso modo per analizzare la fotografia ritrovata nell’appartamento di Leon, si serve dell’Esper (strumento che consente di muoversi all’interno di un’immagine bidimensionale come se si trattasse di uno spazio tridimensionale) con cui ottiene un’immagine di Zhora, la quale non appariva neppure nella fotografia di partenza. Anche l’analisi del frammento ritrovato nella vasca da bagno dell’abitazione di Leon, e che risulterà essere una squama di serpente, viene condotta grazie ad un microscopio. Come risulta da tutti questi esempi le capacità visive di Deckard sono limitate; ma il senso della vista ha un significato che va oltre la semplice percezione fisica, legato all’ambito delle capacità intellettive dell’individuo e perciò è chiaro come la miopia di Deckard risulti determinante anche a livello di conduzione delle indagini.

Richiamando un altro tratto tipico di Marlowe, Deckard sembra nutrire un certo atteggiamento di ribellione nei confronti del sistema, che però non si trasforma mai in una reale azione di rifiuto e di rivolta, proseguendo così a fare la medesima cosa che fanno tutti gli altri personaggi umani del film: lavora. Coerentemente, il suo tentativo di salvare Rachel non è basato su di un intervento diretto, bensì sull’occultamento prima e sulla fuga in seguito, anche se in realtà questa sarà resa possibile da una concessione da parte di Gaff e non dalle capacità di Deckard. Il nascondersi (che non è altro che una forma di menzogna) e la fuga sono elementi che a ben vedere accomunano il blade runner ai replicanti (con l’eccezione di Roy): ciascuno di loro si nasconde per non essere trovato, ma una volta scoperto pensa esclusivamente alla fuga. Anche Deckard mente (a Gaff facendo finta di non capire, a Rachel riguardo i risultati del Voigt-Kampff, a Zhora spacciandosi per un ispettore della federazione americana artisti di varietà, a Pris dicendo di essere un amico di Sebastian e a Leon riguardo le date di immissione); ma così come accade ai replicanti, anche le sue menzogne sono scoperte immediatamente.

Deckard replicante?

Queste analogie con il comportamento dei replicanti non possono che alimentare, almeno apparentemente, quelle teorie che ritengono che lo stesso Deckard non sia un essere umano bensì un replicante, problema che trova la sua origine fin dalle prime stesure della sceneggiatura e nei riguardi del quale ognuno, durante le fasi di lavorazione del film, ha espresso la propria opinione. È tuttavia necessario chiarire che, nonostante l’idea originale di Scott, lo stesso regista finisse per realizzare una soluzione “intermedia”, lasciando all’interno del testo alcuni indizi che avrebbero potuto insinuare nello spettatore il sospetto che il blade runner fosse un replicante, senza che però questi elementi fossero così determinanti da rendere certa la natura di Deckard; a complicare ulteriormente la situazione, si aggiunge la presenza della seconda versione del film, la “Director’s Cut” del 1991, le cui principali differenze con la precedente, finiscono proprio per concentrarsi su questo problema.

L’analisi pone di fronte a tre tipi differenti di elementi su cui basare la scelta a favore dell’una o dell’altra ipotesi: quelli del tutto favorevoli alla natura umana, quelli del tutto contrari ed infine quegli elementi ambigui, che possono risultare a favore o contrari a seconda della prospettiva scelta per analizzare la questione, e che nonostante risultino essere il gruppo numericamente più consistente, tuttavia possiedono il peso specifico minore, proprio in virtù della loro ambivalenza.

Principale elemento a favore dell’umanità di Deckard è senza dubbio la sua inferiorità fisica: che senso avrebbe infatti usare un replicante per dare la caccia ad altri replicanti, se questo non può confrontarsi alla pari con loro? Inoltre questo fatto costituirebbe una violazione della norma che pone fuorilegge i replicanti sulla terra; ed ammettendo anche la possibile eccezione legata all’uso di replicanti da parte della polizia, ci si scontrerebbe nuovamente con la stupidità di usare uno strumento inadeguato al suo compito.

Assolutamente contrario, è invece il riflesso che per un attimo brilla nell’occhio di Deckard, nella scena in cui, nel suo appartamento, stando alle spalle di Rachel, le dice che anche se lui non le darà più la caccia (lei lo ha appena salvato da Leon), ci sarà comunque qualcun altro che lo farà. Questo riflesso giallo-arancio, era stato mostrato i precedenza negli occhi di Rachel, (in seguito apparirà anche in quelli di Pris e del gufo di Tyrell, la cui origine artificiale era stata subito dichiarata) rendendo inevitabile l’associazione di questa caratteristica con l’essere replicante.

Rientra nella categoria degli elementi suscettibili di essere interpretabili in maniera opposta a seconda della ipotesi di partenza, il fatto che in casa Deckard sia pieno di vecchie fotografie (ossessione riscontrata anche in Rachel e Leon): la lettura che vede queste immagini come indice della “necessità” di avere ricordi tipica dei replicanti, è altrettanto valida di quella che sottolinea come il possedere fotografie sia un’abitudine tipicamente umana e, proprio in virtù di questo fatto, imitata dai replicanti. Sempre all’interno della medesima categoria si trova la tematica legata alla capacità di provare emozioni propria di Deckard; secondo un’interpretazione che si rifaccia al romanzo di Dick, questo fatto escluderebbe senza possibilità di smentita l’eventualità che egli sia un replicante. Sammon, in un confronto con il regista, rileva come Deckard “con il proseguire della trama, approfondisce la sua riflessione sullo squallore della sua professione, per non parlare della sempre più crescente empatia che prova verso i replicanti. Queste per me sono caratteristiche unicamente umane. Ma se Deckard è un replicante, bene, ciò vanifica la sua rinascita spirituale”. “A meno che non sia un replicante con degli innesti di spiritualità. Vale a dire un modello Nexus 7”, è la risposta di Scott. Sembra tuttavia che relativamente a questo problema l’attenzione sia erroneamente incentrata su Deckard, quando sarebbe più corretto focalizzarsi sugli altri replicanti (per i quali non si pone alcun problema di definizione); ricollegandosi a quanto esposto riguardo le differenze fra androidi e replicanti, si deve necessariamente ammettere che questi ultimi possiedono capacità emotive ed empatiche. Conferma di questo fatto viene dalle parole di Bryant, quando fornisce chiarimenti a Deckard relativamente alle cause che hanno spinto i progettisti ad inserire quello che lui definisce come un “dispositivo autolimitante” (vale a dire una durata della vita di quattro anni) e successivamente dallo stesso Tyrell, quando motiva la necessità di fornire loro dei falsi ricordi. Se queste prove non fossero sufficienti, ad esse si aggiungerebbero gli atteggiamenti mostrati dai replicanti durante il film, in particolare quelli di Rachel e di Roy (del quale risulta impossibile, giunti al termine della vicenda, dire che non sia in grado di provare empatia verso un altro essere vivente, sia che si ritenga Deckard umano, sia che lo si ritenga un replicante). Così, il problema della crescita spirituale di Deckard si rivela privo di consistenza, almeno riguardo la definizione della sua natura, poiché il possesso di una interiorità, di una morale, di sentimenti, è una caratteristica che accomuna esseri umani e replicanti che, probabilmente proprio a causa di questo fatto, sono in grado di incutere un terrore così grande nell’uomo. D’altronde “più umano dell’umano” è il motto della Tyrell Corporation.

L’unicorno

Nella “Director’s Cut” è stata però aggiunta una scena che aumenta il peso della tesi favorevole ad un Deckard replicante: è la nota, breve, sequenza dell’unicorno, inserita tra due scene che mostrano Deckard seduto davanti al pianoforte; questa, aperta e chiusa da una dissolvenza incrociata, mostra (con un leggero effetto di rallentamento) un unicorno che galoppa in un bosco incontaminato. Anche se questo breve inserto viene comunemente definito come un sogno fatto da Deckard, ci sono alcuni elementi che inducono a pensare alla possibilità che non sia l’attività di un dormiente. Le due scene che si trovano prima e dopo infatti, si presentano come il perfetto proseguimento l’una dell’altra: in particolare è il gesto di Deckard di premere i tasti del pianoforte che viene spezzato, dando perciò una continuità all’azione che sembra escludere la possibilità che il blade runner si sia assopito. Inoltre grande rilievo assume il sonoro, precisamente la nota che viene suonata, dalla quale letteralmente emerge la sequenza dell’unicorno, che si dissolve allo stesso modo del suono prodotto dal piano.

Sono pochi i casi in cui all’interno di “Blade Runner” sia utilizzata musica da schermo; il primo, che rientra anche all’interno della definizione di suono on the air, riguarda la canzone “One more kiss, dear” che si sente trasmessa da una radio nella scena in cui Deckard compra una bottiglia di liquore. Gli altri, solo due in realtà, sono collegati alle note prodotte dal pianoforte che si trova nell’appartamento di Deckard che, a differenza del caso precedente, è in campo. La prima volta che si sente lo strumento è Deckard a premerne i tasti, continuando a suonare sempre la stessa nota. Proprio questa possiede nella “Director’s Cut” una importanza enorme, poiché genera la breve sequenza dell’unicorno che galoppa in un bosco, che tanta importanza risulterà avere al termine della vicenda; la seconda volta è invece Rachel a suonare, questa volta una vera partitura. Di nuovo, le note dello strumento generano un sogno nella mente di Deckard, assopitosi mentre la replicante suonava, che al suo risveglio dirà di aver sognato della musica. Anche in questo caso, benché non siano mostrate, e le parole di Deckard si riferiscano solamente all’elemento sonoro, sono evocate delle immagini, risultando difficile concepire l’attività onirica priva della componente visiva. Purtroppo il montaggio della versione del 1982 di fatto annulla il simbolismo che il pianoforte assumeva, diventando indice delle capacità del suono in generale di richiamare alla mente immagini che magari non possono essere viste.

Appare lecito identificare nella scena evocata nella mente di Deckard, non il prodotto di una mente assopita, quanto il pensiero, il sogno ad occhi aperti, la visione, di una persona assolutamente vigile, il che aumenta il senso di straniamento, di eccezionalità, della sequenza, poiché, se il sogno è ambito all’interno del quale il fantastico e l’inconsueto sono accettati, non altrettanto avviene per veglia.

L’importanza di questo animale fantastico, nell’architettura complessiva del film, si rivela solo nel finale, quando, mentre Deckard e Rachel stanno fuggendo, trovano a terra un origami di carta stagnola che, raccolto dall’uomo, si rivela essere appunto un unicorno; esattamente come nell’edizione del 1982, esso fornisce la prova che Gaff è stato lì ed ha deciso di lasciare in vita Rachel, ma a differenza della prima versione del film, costringe a riflettere su come possa Gaff aver realizzato un origami proprio dell’animale fantastico immaginato da Deckard. Allo stesso modo in cui Deckard è stato in grado di descrivere esattamente i ricordi d’infanzia di Rachel (l’episodio del ragno), per il fatto che lei era una replicante, così si deve ritenere che Gaff abbia potuto fare altrettanto poiché lo stesso Deckard è un replicante. La battuta di Gaff a Deckard: “You’ve done a man’s job”, pronunciata sotto una pioggia battente, sul tetto dell’edificio dove si è appena concluso lo scontro con Batty, assume così un peso maggiore, alla stessa stregua di tutti gli elementi definiti in precedenza come ambigui, che inevitabilmente divengono indizi a favore della tesi della natura replicante del blade runner, finendo per rendere la “Director’s Cut” una costruzione più coerente e precisa nella sua struttura.

Al contrario la versione del 1982 non possiede questa coerenza, da un lato per la mancanza dell’elemento rivelatore (la sequenza dell’unicorno), dall’altro per la presenza di indizi che, pur muovendo in una precisa direzione, non trovano tuttavia sufficienti conferme nel testo, non consentendo perciò di ritenere valida l’ipotesi della natura replicante di Deckard; quindi, questa versione mantiene un’ambiguità decisamente superiore alla successiva (dove però non si deve pensare che essa risulti assente solo per la possibilità di suffragare con un maggior numero di prove la natura artificiale di Deckard, perché questo non fa che rendere più ambiguo il suo comportamento che lo vede dare la caccia ai propri simili), proprio perché nessuna delle ipotesi è in grado di dare vita ad un testo completamente coerente e, se anche si accetta la versione di un Deckard umano, lo si deve fare non tanto per la forza delle argomentazioni a favore, quanto per il minore peso delle prove contrarie. Facendo riferimento alla versione del 1982, la citata analogia di comportamento fra Deckard ed i replicanti, non è stata inserita fra le prove contrarie all’umanità del blade runner, benché apparentemente sembrasse suffragare questa ipotesi; la scelta è determinata dalla convinzione che essa appaia più che altro destinata a costituire uno degli elementi fondanti il confronto tra Deckard e Roy Batty, dal quale questi due personaggi risultano essere opposti e complementari.

Come si è visto, se Deckard è un essere umano, il fatto che si comporti in maniera simile ad un replicante, non fa altro che assottigliare ulteriormente la linea di confine tra ciò che viene definito come umano e ciò che viene considerato artificiale, aumentando il generale senso di paranoia che percorre il film. Inoltre, il fatto che Roy, pur essendo un replicante, adotti un comportamento che si discosta in maniera radicale da quello che risulta comune a replicanti ed umani, non può che accrescere il rilievo di questo personaggio, che come si vedrà potrebbe rivelarsi l’autentico eroe della vicenda, relegando in un ruolo assolutamente antieroico Deckard, ribaltando completamente la situazione che sembrava profilarsi all’inizio del film, ma che tutto sommato riavvicina la figura di Deckard a Marlowe, anche se in quest’ultimo caso il personaggio mantiene quella pulsione attiva, di cui risulta privo (in linea generale) il personaggio del film di Scott.

Deckard e Rachel

Anche il rapporto amoroso che nasce fra Deckard e Rachel, fra il detective e la femme fatale, è un elemento tipico del genere noir — si pensi ad esempio a “Il grande sonno” (The Big Sleep, H. Hawks, 1946) —, e se osservato attentamente rivela delle tensioni nascoste, che dimostrano come anche in questo caso, Deckard mantenga un certo timore nei confronti della sua compagna. In tutta la vicenda, Deckard ha un atteggiamento di superiorità rispetto a Rachel, che avrà il suo culmine nella scena d’amore fra i due. Esiste un crescendo di tensione nel loro rapporto che, nonostante sembri risolversi nella scena appena citata, momento della loro unione, si manterrà, pur se ad un livello inferiore, anche in seguito; osservando attentamente Deckard, si noterà come egli, ogni volta che si trova a tu per tu con Rachel, sia armato, in senso letterale (la pistola), ed in senso lato (il test di Voigt-Kampff). Questo risulta comprensibile per tutta la prima parte del film, in cui il rapporto fra i due è basato fondamentalmente sul contrasto, ma non per la seconda parte, quando cioè cominciano la loro relazione; solo ritenendolo un segnale del timore latente di Deckard nei confronti di Rachel, questo atteggiamento è spiegabile. In precedenza si è notato come egli sia un personaggio fondamentalmente passivo, travolto da eventi cui non è in grado opporsi; ebbene la sua relazione con Rachel è l’unico ambito in cui gli è concesso di avere un atteggiamento attivo e poter imporre la propria volontà: è come se con lei potesse avere una rivalsa per quello che non può ottenere altrove.

Fin dal loro primo incontro alla Tyrell Corporation, facendosi forte dell’autorità di cui è investito, domina Rachel, nonostante i tentativi di ribellione della replicante; tuttavia sono più indicativi i successivi contatti fra i due: quando, poco dopo, se la trova di fronte sul pianerottolo di casa, la reazione immediata di Deckard è quella di puntarle addosso la pistola per difendersi da quella che sembra percepire come una seria minaccia; poi, all’interno dell’appartamento, come era stato nel caso del Voigt-Kampff sono le domande che le fa a costituire l’arma con cui fronteggiarla ed imporsi nuovamente. Qui ha inizio quello che si può definire l’annientamento della volontà di Rachel, basato sulla progressiva accettazione da parte sua di essere una replicante e che sarà in seguito definitivamente sancito dalle parole stesse di Rachel: “Io non sono nel business. Io sono il business”. Di questo il blade runner ha consapevolezza se, con una incredibile faccia tosta, dopo averla posta di fronte alla realtà dei fatti, nega la verità delle sue affermazioni sostenendo di averle fatto “un brutto scherzo”; egli mantiene lo stesso atteggiamento quando chiama con il videophone la replicante dallo “Snake Pit”, proponendole di raggiungerlo per bere qualcosa insieme. In apparenza Rachel ha un gesto di rifiuto (declina l’invito ed interrompe la comunicazione), ma in realtà asseconda la volontà di Deckard, poiché poco dopo si trova per strada, nelle vicinanze del locale. Il tentativo di Deckard di inseguirla sembra vanificato dall’intervento di Leon, che in realtà finisce per essere il motivo di incontro fra il poliziotto e la replicante, che gli salva la vita uccidendo il suo simile: anche questo fatto può a buon diritto rientrare negli elementi che manifestano l’assoggettamento di Rachel a Deckard24. La sequenza successiva, nella quale i due si sono rifugiati a casa di Deckard, si articola in due momenti distinti: il primo appare come una sorta di pausa, in cui il momento centrale è costituito dall’accettazione completa da parte di Rachel della sua  identità replicante; il secondo costituisce invece l’atto finale della prevaricazione di Deckard sulla donna, nel quale le tensioni accumulate fino a quel punto esplodono e proprio per questo, sembrano trovare una soluzione.

La rassegnazione da parte di Rachel riguardo la realtà della sua natura replicante si manifesta prima, in maniera dolorosa, con la già citata battuta: “Io sono il business”, recitata con le lacrime che le rovinano il trucco, dandole un aspetto estremamente innaturale; poi, alla disperazione fa seguito l’accettazione della propria identità, mostrando la ragazza che, sedutasi al pianoforte, si scioglie i capelli, mutando radicalmente aspetto -anche il trucco che le deturpava il viso è scomparso-  con un gesto che simboleggia la sua rinascita come individuo25. Rinascita come replicante, comunque; non è casuale che il primo gesto da lei compiuto sia quello di suonare il pianoforte, richiamando quei prodigi della meccanica che sono gli automi, nei quali è possibile vedere i progenitori dei vari robot, androidi, cyborg e replicanti. Esattamente come un automa, Rachel sa suonare non perché ha imparato, ma perché è programmata per farlo26.

 È di fronte a questa nuova Rachel che Deckard si avvicina: indicativo appare il fatto che questa è l’unica scena in tutto il film in cui i due non si fronteggiano, ma vengono mostrati l’uno a fianco dell’altro, in primo piano, di profilo, rivolti con lo sguardo nella medesima direzione; sembra cambiato anche l’atteggiamento di Deckard, che appare ora gentile e galante; ma è solo un attimo. Non potendo accettare un rifiuto alle sue avances, fatto che costituirebbe una rinuncia all’unico ambito in cui gli è concesso un ruolo attivo, il poliziotto ha una reazione violenta, in cui insegue e cattura la replicante, esattamente ciò che imporrebbe il suo ruolo; è come se in questo momento si vedesse Deckard come avrebbe dovuto essere se fosse stato realmente quel gran blade runner che le prime parole di Bryant sembravano far presagire. La scena del bacio è una scena che ha poco a che spartire con l’amore e la passione27: è una scena di violenza, così come violenta è l’azione del ritiro dei replicanti. 

Rachel, da parte sua, perfettamente in linea con lo schema seguito dalle altre replicanti, tenta di resistere, ma non ha alcuna possibilità di sottrarsi a Deckard e non può fare altro che cedere alla sua volontà, ripetendo le frasi che lui le ordina di dire; solamente alla fine, pronuncerà una frase che non le è stata messa in bocca da Deckard e che potrebbe far pensare accetti volontariamente le attenzioni dell’uomo, quasi il suo precedente rifiuto dipendesse più dalla paura di provare sentimenti per un essere umano, lei, una replicante, che da un disinteresse per il poliziotto. La frase, nella versione italiana viene tradotta con: “Stringimi” che conferma, anche per l’intonazione, questa ipotesi; l’originale tuttavia recita: “Put your hands on me”. Non esiste evidentemente una grossa differenza di senso, ma è interessante notare l’esplicito riferimento alle mani.

Le mani come simbolo di morte

Nel film si può notare come le mani possiedano un valore simbolico preciso, che le identifica come portatrici di violenza e di morte (elemento che come si è già rilevato richiama un tratto tipico del genere horror), sia in maniera diretta, come nel caso dei pestaggi subiti da Deckard ad opera dei replicanti o nel caso dell’uccisione di Tyrell compiuta da Roy, sia in maniera indiretta, quando cioè la mano è armata, come nel caso, ad esempio, di Leon che spara a Holden28. Questa associazione mano-morte, dunque aggiunge un ulteriore senso alla frase di Rachel, trasformandola così in: “Uccidimi” consentendo perciò a Deckard, concludendo quella caccia simbolica che si svolge nell’appartamento del blade runner, di portare a compimento il ritiro della replicante29. Nonostante questo, al suo ritorno nell’appartamento, dopo lo scontro con Roy, Deckard mantiene un atteggiamento che rivela come il rapportarsi a Rachel sia ancora causa di tensione e di come egli continui a ritenere la replicante una possibile fonte di pericolo, tant’è che avvicinatosi al letto su cui è stesa Rachel, solleva il lenzuolo che la ricopre con la mano che impugna la pistola, con un gesto che avvicina l’arma al capo della donna quasi a voler prevenire qualsiasi possibile reazione: una volta sveglia Rachel, si sottomette nuovamente come in precedenza alla volontà del poliziotto, prima ripetendo le frasi dette dall’uomo, le cui mani le toccano il viso, poi eseguendone gli ordini nel tragitto verso l’ascensore.

Anche visivamente viene ripreso l’elemento dell’opposizione, che sembrava essersi risolta con l’inquadratura precedentemente citata dei due al pianoforte, mostrando lei che occupa la parte inferiore dello schermo, supina, con il corpo orientato verso destra e lui che incombe occupando la parte alta dello schermo con il viso chino su quello di lei e con il corpo disposto a sinistra.

Le abitazioni: da rifugio a luogo pericoloso

Riprendendo un tratto tipico del genere noir, la vicenda di “Blade Runner” si snoda alternando scene ambientate in strada a scene che si svolgono in interni. Proprio questi ultimi, al contrario delle prime, appaiono connotati come luoghi fondamentalmente sicuri, privi di qualunque minaccia; la stazione di polizia, la Tyrell Corporation, l’appartamento di Deckard e quello di Sebastian, sono tutti luoghi da cui il caos che regna per le strade sembra bandito30. Come però è già successo in altre occasioni, la sicurezza, il senso di protezione che questi luoghi sembrano possedere, non sono che una fragile apparenza. Visivamente, ne è un indizio il disordine che generalmente caratterizza questi ambienti: lo sporco della stazione di polizia, la confusione dell’appartamento del blade runner, il vero e proprio aspetto da magazzino della casa di Sebastian; l’unica eccezione sembrerebbe costituita dalla Tyrell, che invece si rivela un ottimo esempio per spiegare la trasformazione che avviene nel film, passando da luogo sicuro a fonte di pericolo. La prima sequenza all’interno della piramide, rivela un ambiente estremamente ordinato, in cui l’occhio è libero di muoversi senza ostacoli e che ricorda lo spazioso ufficio di Joh Fredersen in “Metropolis”; le colonne scandiscono simmetricamente lo spazio del salone, costruendo una specie di passerella per l’ingresso in campo di Rachel prima e di Tyrell in seguito.

L’enorme finestra che si apre sulla parete di fondo, rivela l’immagine dell’esterno della costruzione, anch’esso dominato dal linearismo e dalla simmetria . Le stesse inquadrature, finché si concentrano sull’ambiente, sono di preferenza frontali. Il ridotto numero degli elementi d’arredamento, non fa che aumentare il generale senso di ordine; siamo in un luogo di potere, al cospetto di Tyrell, il genio della biomeccanica e l’ambiente non fa che rispecchiare e descrivere le capacità di quest’uomo. La seconda ed ultima sequenza ambientata all’interno della gigantesca piramide, rivela invece la camera da letto di Tyrell, e subito appare evidente la differenza rispetto alla stanza mostrata precedentemente. Simmetrie e linearismo hanno lasciato il posto ad un ambiente ingombro di oggetti ed in cui, differentemente dall’altro, la scarsa e vibrante luce delle candele, rende difficoltoso allo sguardo spaziare senza ostacoli; anche le inquadrature sono mutate, prediligendo un approccio obliquo. Non è più l’ordine l’elemento che governa questo ambiente, rivelando come l’inaccessibile fortezza della Tyrell si sia trasformata in un luogo in cui il pericolo e la morte possono infiltrarsi senza difficoltà, divenendo teatro di un duplice omicidio. Il caos che era stato mantenuto al di fuori, nelle strade, è penetrato all’interno, consentendo ad un replicante di uccidere il proprio creatore.

Analogo discorso si può fare per tutti gli altri ambienti. L’appartamento di Deckard ha rappresentato per il personaggio il luogo della sicurezza, al cui interno essere protetto da ogni possibile minaccia. Per farsene un’idea basta osservare come cambia l’atteggiamento del blade runner dal momento in cui si trova improvvisamente Rachel sul pianerottolo all’uscita dall’ascensore a quando, una volta in casa, decide di farla entrare. Ad una paura forse esagerata si sostituisce, all’interno delle pareti domestiche, una tranquillità che gli consente rapidamente di rimettersi in una posizione di dominio sulla replicante (processo che avviene attraverso la descrizione dei ricordi di infanzia della donna). Quando però ritorna nel suo appartamento, dopo lo scontro con Roy, la situazione è cambiata: quello che era il rifugio sicuro da ogni minaccia, è diventato ora un luogo insicuro, al cui interno si cela il pericolo31. Anche questa abitazione appare in disordine, con un arredamento disposto in maniera tale da costruire una sorta di labirinto che evocato anche dal decoro dei blocchi di pietra delle pareti32. Nuovamente la luce costituisce un ostacolo allo sguardo dello spettatore, passando da un eccesso all’altro nel breve volgere di pochi secondi: dalla penombra degli interni, alla luce accecante che penetra dalle finestre e che annulla l’immagine in una specie di ciclica dissolvenza in bianco.

La confusione regna incontrastata nella casa di Sebastian fin dalla prima scena in cui viene mostrata; non si tratta però solamente di un generico disordine, che conferisce all’abitazione più che altro l’aspetto di un deposito, ma di una confusione che permea qualunque elemento, a partire dal suo stesso proprietario, che pur avendo venticinque anni ha l’aspetto di un anziano, o le creature ibride da lui costruite e che popolano la casa. Proprio questa confusione sembra il motivo per cui questo luogo diviene il rifugio ideale per i replicanti superstiti, come se in essa fosse possibile assimilarsi agli oggetti ed ai pupazzi che ne ingombrano le stanze: che è esattamente quello che farà Pris all’arrivo di Deckard. Se il caos costituisce l’unico possibile riparo per la replicante, contemporaneamente esso è la principale fonte di pericolo per il blade runner, che perciò è in grado di affrontare ed uccidere Pris solo nel momento in cui essa esce allo scoperto.

Per quel che riguarda la stazione di polizia, il tutto ha un aspetto meno appariscente, ma altrettanto preciso. Appena arrivato di fronte a Bryant, Deckard scopre che l’arresto, che sembrava costituire una minaccia nei suoi riguardi, era un pretesto per farlo andare li; così la centrale di polizia sembra possedere, a differenza della strada nella quale si era compiuto l’arresto, la caratterizzazione del luogo sicuro. È tuttavia una connotazione che non dura molto: nel momento in cui Deckard, rifiutando l’incarico, si alza per andarsene, la minaccia nascosta si rivela attraverso il diktat del capitano Bryant, costringendo il blade runner, per non diventare una vittima, ad accettare l’incarico. La minaccia che sembrava nuovamente scongiurata è però comunque presente, poiché il dare la caccia ai replicanti è un compito che costringe al continuo confronto con il pericolo e la morte.

Rick Deckard e Roy Batty: opposti a confronto

Quando giunge allo scontro con Roy Batty, Deckard non può più mascherarsi per quello che non è, trovandosi così improvvisamente a rivelare la sua autentica natura. Il confronto tra questi due personaggi mostra come siano profondamente legati l’uno all’altro, secondo un principio di opposizione che si manifesta ad ogni livello di analisi; Deckard è castano, con gli occhi scuri, fa il poliziotto, esegue gli ordini che gli vengono dati, uccide solo replicanti di sesso femminile, durante la vicenda trova una compagna, scappa, vive. Roy è invece biondo, con occhi azzurri, è un fuorilegge, dà ordini (è “il leader”), uccide solamente esseri umani maschi, perde i suoi compagni, sta compiendo una ricerca (non fugge), muore. A questo breve, incompleto elenco si dovrebbe aggiungere un’altra opposizione, che però può essere applicata unicamente alla prima versione del film (1982), la cui assenza tuttavia non modifica in maniera sostanziale il rapporto fra i due: Deckard è un umano, Roy è un replicante.

Nonostante il potere di cui è stato investito nel momento in cui gli è stato affidato l’incarico, Deckard non ha alcuna possibilità di sconfiggere Roy, per il semplice fatto che la sua autorità deriva dal sistema, che però non ha alcuna influenza sul replicante, poiché questi è stato in grado di ribellarsi, arrivando addirittura ad uccidere il proprio artefice: Deckard di fronte a lui è del tutto impotente33. Così è Roy a sorprendere il blade runner, che da cacciatore diviene preda, comportandosi di conseguenza: sentendo arrivare Roy, cerca un riparo dove nascondersi per poter tentare di tendere un agguato al replicante, che però, a differenza di quanto accadeva a Deckard nel ruolo di cacciatore, non si farà cogliere impreparato, riuscendo al contrario a prendere di sorpresa il poliziotto fratturandogli due dita, una per vittima (Zhora e Pris).

L’uso della pistola da parte di Deckard, con i due colpi esplosi contro Roy, rientra nello schema di comportamento dei replicanti fino ad ora incontrati, identificabile come il momento della reazione violenta che precede la fuga34. Si ribalta perciò rispetto all’impiego che precedentemente ne veniva fatto, quando cioè era Deckard a rivestire il ruolo di cacciatore: in questo caso la pistola viene persa o comunque non si riesce ad utilizzare, recuperata e poi usata. Ora invece, di fronte a Roy, avviene il contrario: essa viene usata, recuperata (quando il replicante, dopo avergli fratturato le dita, gliela rimette in mano) ed infine persa. Perdita che sancisce in maniera definitiva il cambiamento di ruolo di Deckard che si concentra esclusivamente sulla fuga; cambiamento sottolineato anche dall’abbigliamento dei due, l’uno vestito, l’altro “nudo” che si ricollega all’opposizione che lega questi due personaggi. Il fatto che sia Roy a cambiare abbigliamento, a spogliarsi e non Deckard, benché sia lui a mutare di ruolo, potrebbe essere un indizio che mostra come in realtà Deckard sia costantemente in fuga per tutto il film35. La spoliazione di Roy potrebbe essere allora interpretata come vera e propria messa a nudo dell’autentica essenza del replicante, che fino a questo momento è stato caratterizzato come un individuo spietato, ma che rivelerà come questo non sia che un aspetto del suo essere.

La fuga di Deckard è caratterizzata dalla difficoltà che ha nel muoversi all’interno di un ambiente sconosciuto ed ingombro di macerie e da una forte tensione verso l’alto; fin dal suo ingresso nel Bradbury Building sale le molte rampe di scale che portano all’appartamento di Sebastian, dove immobile si nasconde Pris. Quando poi Deckard scapperà da Roy, compirà un’ulteriore ascesa, prima all’interno dello stabile, arrampicandosi su di una specie di armadio (occasione in cui perderà la pistola, di cui, dopo una rapida occhiata, si disinteressa completamente) poi all’esterno, salendo con enorme fatica, lungo la facciata del palazzo, fino a giungere sul tetto dell’edificio. In precedenza Deckard era stato mostrato muoversi verso l’alto solamente in due occasioni: la prima volta quando viene prelevato da Gaff al banco del venditore di sushi e condotto alla torre della centrale della polizia, la seconda quando usa l’ascensore per salire fino al suo appartamento. In entrambe le situazioni il suo movimento era facile ed agevole perché derivava dal ruolo che gli era assegnato dal sistema; ora che, come si è visto, il potere di cui disponeva si è rivelato del tutto inutile, egli può contare sulle sue sole forze, senza mezzi che gli facilitino il cammino. Forze che però non sono sufficienti a consentirgli di riuscire nell’ultimo salto, di raggiungere la vetta, tant’è che cadrà: è infatti Roy ad issarlo sul tetto, evidenziando così l’incapacità di Deckard di compiere il passo finale.

(fine seconda parte)

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