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Cinema

Alessandro Piva

LaCapaGira

Daniele Terzoli (DT): “LaCapaGira” si è imposto all’attenzione del pubblico italiano e della stampa nello scorso inverno, a Natale, grazie all’esorbitante successo delle proiezioni in una sala di Bari.

Alessandro Piva (AP): A contribuire all’interesse per il film a livello nazionale, hanno contribuito due fattori coincidenti. Il primo è stato quello dei dati relativi agli incassi del film. Mostravano una strana anomalia: questo film sconosciuto dal titolo “LaCapaGira” — etichettato con la dicitura “distributori indipendenti”, risultava ai vertici del box office in un periodo chiave come quello natalizio. La stampa si è svegliata quando è arrivata la notizia che il film era stato selezionato per il Festival di Berlino: questo è stato il secondo elemento chiave. L’unione di questi due elementi ha fatto sì che la critica intuisse che questo era un film diverso dagli altri. Diverso in quanto film indipendente — e questo era un fatto già noto ed evidente; ma diverso anche dagli altri precedenti di questo genere che ci sono stati in passato, soprattutto a Napoli. Mi riferisco a film prodotti esclusivamente ad uso e consumo del mercato locale o di quello televisivo: film pieni zeppi di star locali che devono solo prodursi in farse e far ridere, film che finiscono lì. C’era stato qualche articolo un po’ approssimativo e frettoloso nell’analisi. E poi, invece, il marchio di Berlino ha suggellato un tipo di operazione diversa da quella di stampo melodrammatico-napoletano: allora lì hanno detto, “oh cavolo, allora forse ce lo dobbiamo vedere questo film”… E quindi anche i distributori si sono resi conto che questo era un film su cui forse valeva la pena investire, anche perché solo a Bari aveva incassato in meno di un mese quasi duecento milioni.

DT: Avevate preventivato una risposta di questo tipo da parte del pubblico?

AP: Sì, devo rispondere francamente di sì: era un’operazione studiata abbastanza coscientemente da questo punto di vista. Ci sembrava molto probabile che una città da sempre vocata al traffico e al suo essere di frontiera come Bari — al di là del flusso dei clandestini è una città che ha nei cromosomi lo scambio con l’Est, dotata di strutture di accoglienza dal punto di vista mercantile — avrebbe recepito un film come “LaCapaGira” con grande entusiasmo.

DT: Alessandro Piva si è diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Quali sono stati i tuoi maestri?

AP: Mi sono diplomato con una specializzazione nel settore del montaggio. Ma aldilà degli studi, preferisco pensare che tutto il cinema importante, da Méliès ai giorni nostri, abbia influito sulla mia formazione. Ho divorato un bel po’ di cinema. Sul sito internet dedicato a “LaCapaGira”, nella mia scheda ho segnalato alcuni titoli: “Cane Randagio ” di Kurosawa, “Il Generale Della Rovere ” di Rossellini, “Veronika Voss ” di Fassbinder, “La Dolce Vita” di Fellini… Questi sono film che ho visto e rivisto con grandissima attenzione.

DT: La critica ha parlato di Martin Scorsese o Quentin Tarantino come esempi illustri per la tua opera Tullio Kezich, sul Corriere della sera, ha fatto riferimento anche all’opera di Pasolini.

AP: È molto lusinghiero ricevere paragoni di questo tipo. Sono paragoni nobili. Gli accostamenti a Pasolini e Scorsese sono forse quelli su cui la critica si è esercitata di più. Un italiano e un italo-americano. Mi piace questo doppio registro. Sono due maestri che ho apprezzato moltissimo, ognuno a modo suo ha cercato di fare cinema importante, un cinema che forasse la superficie e andasse più in profondità. Spero di avere ancora, in futuro, la possibilità di essere paragonato a dei maestri dei questo calibro, e con ancora maggior pertinenza.

DT: Quali erano le tue esperienze precedenti a questo esordio alla regia?

Avevo lavorato a un paio di film, qualche piccolo cortometraggio e parecchi reportage in formato video: alcuni di questi erano prodotti all’estero, altri avevano come soggetto realtà svantaggiate dell’Italia, come quartieri emarginati, industrie in crisi, eccetera. Spesso nella mia ricerca ho guardato al sociale, e forse qualcosa è rimasto anche ne “LaCapaGira”. Perché nel mio film c’è uno sguardo che non si può assolutamente definire di denuncia, ma sociologicamente abbastanza attento e veritiero. Sicché forse questo stesso sguardo costituisce la base del film: uno sguardo “antropologicamente corretto”. O anche uno sguardo “sociografico”, non di interpretazione ma semplicemente di rappresentazione — abbastanza aderente alla realtà — rispetto a uno spaccato sociale, un’enclave come quella di una certa Bari.

E poi nel film c’è una componente di interpretazione libera da parte degli attori, di libertà di tratteggio dei personaggi, un aspetto che mi sembra imprescindibile quando si voglia fare dell’intrattenimento. Fra le mie ambizioni c’è Scorsese e c’è Pasolini, ci sono tutte e due le componenti.

DT: Hai parlato di uno sguardo “antropologicamente corretto”; e viceversa, nel press-book, “LaCapaGira” è definito come un fim “politically uncorrect”…

AP: Per quanto riguarda un certo tipo di cliché, appartenenti alla forma del racconto classico — mi riferisco allo sviluppo dei personaggi, o alla morale della favola — tutto questo nel film non esiste. Ci piaceva l’idea di spiazzare un po’ lo spettatore e di non dargli necessariamente ciò che si aspetta da un film: cioè una tesi di partenza, un’esposizione, l’idea del bene e del male… e poi alla fine si cerca di salvare capra e cavoli, facendo morire l’eroe cattivo o facendolo redimere, o ancora meglio facendolo morire redento. Nel nostro caso non muore nessuno, e nessuno migliora. E questo, per gli addetti ai lavori, sulla carta è già un segno che il copione del film è un copione sbagliato. I fatti — ovvero il successo di pubblico e le lusinghiere considerazioni della stampa — ci dicono che c’è bisogno talvolta di fare qualcosa di scorretto, per ricordare a tutti noi che la realtà è più imprevedibile di quello che certo cinema ci vuole far pretendere.

Nel film i piani temporali sono incastrati tra loro in maniera contraddittoria, la notte e il giorno si avvicendano in maniera alle volte anche sconclusionata. “LaCapaGira” è un esperimento, che non abbiamo sviluppato fino in fondo: perché ci siamo resi conto che non è necessario spingere al massimo su tutti i pedali contemporaneamente. Di cose nuove nel film ce n’erano già abbastanza, e quindi abbiamo ridimensionato il progetto di partenza, soprattutto riguardo a un certo modo di estremizzare il racconto e di renderlo così impenetrabile allo spettatore. Ci siamo messi nei panni di chi poi avrebbe visto il film, e abbiamo cercato di fornire allo spettatore delle coordinate un po’ più stabili. Credo che il compito dei film indipendenti, delle opere prime, dei film non istituzionali e del cinema d’avanguardia — nel senso non pretenzioso della definizione — sia proprio quello di provare a percorrere delle strade: in certi casi si scopre che le strade non sono praticabili, e allora si tratta di prenderne di altre.

DT: Ti riferisci a scelte dovute in parte anche a un fatto di economia delle risorse?

AP: Mentirei dicendo il contrario. Questo è un film che sapeva in partenza di essere un film povero, e di questa necessità ha fatto una virtù. Di conseguenza, il copione era costretto in pochi ambienti, si è potuto sollecitare gli attori solo fino a un certo punto in quanto hanno lavorato gratis… Comunque, tornando al discorso del bilanciamento tra necessità di budget ed esigenze di racconto, io credo che il nostro sia un esempio felice. “LaCapaGira” sembra un film molto più ricco di quello che non è in verità. E questa è una fortuna. Nel nostro caso, l’operazione è riuscita anche grazie all’enorme contributo della città e delle persone che hanno lavorato al film: un sacco di gente, gli attori, i membri della troupe…Tutti si sono sacrificati, tutti hanno lavorato al meglio e solo su alcune cose, come per esempio sul suono, si sentono i limiti della piccola produzione. Ma tutto sommato non sono cose che rimpiango con disperazione, perché fanno parte del “look” finale de “LaCapaGira”.

DT: La produzione del film è frutto di un’operazione indipendente, nella quale avete rischiato in proprio. La tua casa di produzione si chiama “Munbut”…

AP: “LaCapaGira” è stato prodotto dalla Kubla Kahn, una casa di produzione indipendente. Avevano dei soldi in più, che derivavano da un’operazione come produttori esecutivi per un film di serie A, “Così è la vita”. Il loro merito è di aver creduto in un film di tutt’altro genere, di tutt’altro impianto come “LaCapaGira”: il che, tutto sommato, si è rivelato essere una scelta vincente. Il sottoscritto ha messo l’altro cinquanta per cento del denaro. Il nome “Munbut” fa riferimento agli stivali degli astronauti: l’immagine che ho io è quella di lasciare un’impronta sul suolo lunare o di marte con degli stivali adatti, in questo caso i “moonboots”.

DT: Il cast del film è composto interamente da attori pugliesi, e in alcuni casi si tratta di attori che vantano esperienze professionali di tutto rispetto. Come sono stati contattati, che tipo di adesione hanno dato al vostro progetto?

Immagine articolo Fucine Mute

AP: Per selezionare questi attori abbiamo pescato a piene mani nel serbatoio della provincia, tra il meglio che una città di provincia — però anche ricca culturalmente come Bari — può dare: l’attore di teatro, il non professionista, l’attore della televisione, l’interprete di teatro vernacolare. Sono quasi tutti attori sconosciuti, qualcuno ha fatto qualche esperienza di livello più alto in televisione o nel cinema indipendente. Ma nella grande maggioranza sono persone che poco hanno a che fare col cinema, e che si sono tuffate in un’esperienza che per la prima volta ha concesso loro di interpretare ruoli non prettamente comici e non di basso profilo. Si sono prestati di buon grado, e il risultato è bello e lusinghiero. Hanno vinto una scommessa, con se stessi e con il cinema: questo proprio perché si tratta di volti sconosciuti, che restituiscono uno spaccato, un affresco di un’enclave come Bari. È la coralità di questi attori, tutti bravissimi, uno degli elementi che più spiccano dopo la visione de “LaCapaGira”.

DT: “LaCapaGira” è stato distribuito in edizione sottotitolata. Una scelta strategica dettata dalla distribuzione?

AP: No, il film aveva un copione con il testo originale a destra in dialetto, il testo a fronte tradotto a sinistra, secondo il metodo antico. Siamo partiti con l’idea di un film sottotitolato fin dall’inizio, e il produttore mi ha raccontato che uno degli elementi che lo ha convinto della necessità di farlo questo film era proprio la presenza di un copione di questo tipo

DT: La sceneggiatura è stata scritta da tuo fratello Andrea. I fratelli Piva come i fratelli Coen?

AP: È un altro paragone che ci lusinga e ci onora, perché i fratelli Coen hanno fatto del grande cinema. Andrea ha questa prerogativa: non è un cineasta, un cinematografaro nel senso classico. Piuttosto, è un giovane scrittore che si è cimentato col cinema in maniera assolutamente libera, innovativa e fresca: con il vantaggio di non rimanere intrappolato dentro a dei cliché.

Già sul copione abbiamo lavorato con un grado di interazione molto forte. Ovviamente, quando io avvertivo un’esigenza, una mancanza, un personaggio da aggiungere o da integrare, Andrea era molto rapido ed efficace. Sul set poi sono intervenuti gli attori, abbiamo confrontato la parte dei dialoghi — forse una delle cose più interessanti del film — con loro, con la loro vita reale, il loro vissuto, le loro suggestioni. Tra parentesi, essendo tutti baresi puoi capire che questi attori avevano proprie molto delle caratterizzazioni che noi cercavamo di restituire all’interno del film, e quindi, lavorando con loro, partendo da una base di dialoghi non prevedibili come quasi sempre assistiamo nel nostro cinema, il risultato non poteva che essere particolarmente stimolante.

DT: La soundtrack del film è molto aggressiva, molto metropolitana…

AP: Nelle nostra città, nei vicoletti della città vecchia  — non solo a Bari, ovviamente — un suono martellante che esce da una macchina che passa è un classico. Siamo partiti da lì, da questo suono un po’ tribale ma molto metropolitano che è il basso ipnotico della techno: volevamo dei suoni che spezzassero il tono e facessero da contrappunto, così come contrappuntata è la vita nostra meridionale, fatta di grandi risate e di tragedia, di comico, ridicolo e amaro che si mischiano. E quindi abbiamo cercato questa via della commistione dei generi. La colonna sonora è stata scritta da Ivan Iusco, e il CD è da poco uscito per la Virgin. Abbiamo sentito giudizi molto positivi sulla musica, soprattutto su questo ritmo che è proprio di un capo tribù, di un boss. Ha conquistato molti spettatori.

DT: La “campagna di lancio” del film ha utilizzato molto bene le potenzialità della Rete…

AP: Il sito internet è andato piuttosto bene, ha avuto più di dodicimila accessi, ma se pensiamo al caso di “The Blair Witch Project”, allora cadiamo nel ridicolo. La Rete, nel caso dell’Italia e soprattutto nel settore specifico del cinema, è uno strumento interessante più dal lato della qualità che da quello della quantità: mi riferisco alla tipologia del rapporto con un pubblico potenziale e reale, che attraverso il sito può misurarsi con il regista, con gli autori. Sul sito abbiamo aperto un forum, ci sono delle lettere veramente toccanti. E una cosa che fa sempre piacere a un regista è quello di capire che effetto ha avuto il suo film sul pubblico.

Questo è un film che ha risvegliato una sorta di “Puglia Pride”: moltissime persone ci hanno scritto dagli Stati Uniti, dal Canada, o anche da Milano e da Trieste, dicendo “non vediamo l’ora di vederlo questo film, e portarci i nostri amici che non sono pugliesi e che non hanno l’idea di cosa sia vivere a Bari”… Che non significa vivere male, ma vivere in un mondo che ha delle regole un po’ diverse da quelle globali, globalizzanti: perché Bari, essendo città di frontiera, ha dei codici un po’ particolari rispetto al vivere collettivo. Codici che non sempre sono migliorativi, ma che nel complesso danno un’idea — se non altro — di un mondo fatto di una complessità che questo film ha cercato solo in parte di raccontare. Bari non è Lino Banfi. Questo un bel po’ di gente oggi lo ha capito.

LACAPAGIRA

film di Alessandro Piva

CAST & CREDITS

Una produzione
KUBLA KHAN
MUNBUT

Dino Abbrescia
Mino Barbarese
Mimmo Mancini
Dante Marmone
Paolo Sassanelli
Teodosio Barresi
Nicola Pignataro
Tiziana Schiavarelli
Manrico Gammarota
Rosalba Partipilo
Pinuccio Sinisi
Lucio Zagaria

Soggetto e sceneggiatura
Andrea Piva

Costumi
Francesca Leondeff

Scenografia
Maria Teresa Padula

Suono in presa diretta
Marco Fiumara

Musiche originali
Ivan Iusco
con la collaborazione di
nicola cipriani e russolo

Montaggio
Thomas Woschitz
Alessandro Piva

Fotografia
Gianenrico Bianchi

Aiuto regia
Federico Marsicano
Francesco Lopez

Direttore di produzione
Paolo Lucarini

Prodotto da
Umberto Massa
Alessandro Piva
Valerio Bariletti

Diretto da
Alesandro Piva

Sinossi

Bari, gli ultimi brividi di un inverno molto freddo. Una banda della piccola malavita fruga nel giorno e nella notte della periferia, alla ricerca di un prezioso pacchetto spedito dai Balcani e destinato a non giungere mai alla sua ultima meta. Cosa contiene il pacchetto? Un materiale importante per i nostri personaggi; per lo spettatore, un passe-partout che apre le porte di un sottobosco cittadino frastagliato e sorprendente.

Note sul regista

Nato nel ’66 a Salerno, Alessandro Piva vive a Roma. Ha vissuto a Bari, dove è ambientato LaCapaGira, negli anni del liceo.

Diplomatosi in montaggio al Centro Sperimentale di Cinematografia, ha lavorato come montatore per alcuni anni. Si è cimentato anche nella scrittura, conseguendo nel ’92 e nel ’93 la menzione speciale al Premio Solinas per sceneggiature. Ha girato diversi reportage e qualche cortometraggio.

Alcuni dei film che ha visto più di una volta: io la conoscevo bene di pietrangeli, cane randagio di kurosawa, il generale della rovere di rossellini, veronika voss di fassbinder, la dolce vita di fellini, point blank di boorman. LaCapaGira è il suo esordio nella regia di lungometraggio.

(dal pressbook del film LACAPAGIRA)



www.lacapagira.com


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