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Arte

Mariano Equizzi

Il richiamo della Syrena digitale

Fabio Bonetti (FB): Siamo qui con Mariano Equizzi, giovane autore di AgentZ, Syrena e Giubilaeum, ospite della Cappella Underground di Trieste nell’ambito di Science+Fiction, festival di fantascienza appena conclusosi e chiediamo a lui, pioniere del cinema in Rete, della grafica digitale quando ancora non se ne parlava, quando ancora non c’era questa esplosione del webcinema e del film in Rete, qual è stato il suo percorso. Hai realizzato Syrena in un’epoca insospettabile, quando ancora non si parlava di festival, del webcinema, quando la grafica digitale era appena agli esordi, quando anche i mezzi per realizzare grafica tridimensionale erano quelli che erano. Hai realizzato Syrena tra il ‘97 e il ‘98 e vedendola ora ci domandavamo chissà con quali mezzi ha lavorato e invece tu raccontavi che erano scarsi…

Mariano Equizzi (ME): Assolutamente, ricordo che quando andavo a fare le copie da Luciano Vittori da betacam a vhs mi chiedevano quasi sempre se avevo fatto la postproduzione a Milano. A un festival di arti elettroniche, e quindi non legato al cinema, mi chiesero un’altra volta se avevo fatto la postproduzione a Londra… l’avevo fatta nel garage di casa mia con un computer a 150 mhz e circa 64 di ram… se penso a tutto quello che ho fatto quasi non ci credo, tenuto conto che la versione di Syrena che gira adesso è una versione più corta di 15 minuti rispetto a quella che è nata allora… credo che una cosa che ho effettivamente fatto sia stata quella di legare dei mezzi piuttosto inadeguati, ma in una catena finalizzata a mettere in scena tutta l’ambientazione gibsoniana, e quindi non un riciclo di quello che si era visto al cinema e che già era comunque importante e più che decantato, parlo di Tron, parlo anche di Johnny Mnemonic che era già uscito e parlo anche di Nirvana che era uscito l’anno prima.

Io Syrena l’avevo messo in cantiere ancora qualche momento prima e quindi credo francamente di aver semplicemente legato fra loro più programmi inadeguati a fare quello che dovevano fare, però cercando di far sì che un limite di uno potesse essere non dico la sua forza, ma potesse essere superato dal limite di un altro programma: ad esempio, pensare ad un’immagine non come a una renderizzazione totale in 3D, ma fare le montagne con Bryce, le astronavi con 3D Studio 4, per esempio, che ancora si usava allora, e magari un certo effetto farlo con 3D Studio Max beta, che era la versione data in prova e che si impallava in continuazione, e poi fondere tutto con un programma di compositing, simulando poi tutti quei processi che erano utilizzati già al tempo di Fantasia per esempio, e cioè quello di dividere tutto in layout e di farli scorrere tra loro per simulare, per esempio, un effetto di penning facendo attenzione che l’oggetto che sta più vicino alla camera virtuale, e quindi all’occhio immaginario, si muovesse un po’ più veloce di quello che sta più lontano, analogamente all’effetto che abbiamo in autostrada quando andiamo in macchina e vediamo il guardrail che corre velocissimo, i cespugli a 50 metri che corrono più lenti e via via le montagne che si spostano lentamente, e quindi superare tutti questi limiti inventandosi letteralmente una catena produttiva che, ripeto, doveva simulare esattamente quello che nel cinema e nella produzione cinematografica allora si faceva tutto con l’ottico… che so, il chromakey di premiere fa schifo, allora era proprio tremendo anche perché Syrena era girato in video 8 ad alta banda con tutti i problemi del video 8 ad alta banda, e anche la fotografia ho cercato di curarla parecchio con luci sempre industriali però, non c’erano i soldi, e quindi s’è fatto con le luci industriali per esempio. Ecco, mettere insieme più applicazioni per superare i limiti che singolarmente hanno, raccontare qualcosa in modo corrente, realizzare, se credi, quella sorta di flusso che normalmente la videoarte ha nel suo linguaggio, applicato però alla narrativa di fantascienza e non al cinema di fantascienza. Perché fare cinema di fantascienza indipendente sul cinema di fantascienza è come scrivere dei metalibri, è come fare dei riassunti bignameschi dei libri scritti dagli altri. Credo di aver voluto assolutamente partire dal testo intonso, cioè non toccato, non sondato, non messo in scena, e ho avuto qualche difficoltà in questo perché sono passati quasi due anni prima che tutto l’immaginario del cyberpunk, anche grazie alla penetrazione di internet nelle case di tutti, facesse sì che i concetti di accesso alla Rete o di opening gate, di cyberspace, fossero qualcosa di popolare, quindi di accettato e di digeribile. Chi lo leggeva allora? Era una fetta veramente minima, anche di lettori della fantascienza; alcuni lo vedevano con sospetto enorme, gli stessi traduttori all’inizio non avevano saputo tradurlo, alcuni dissero che era intraducibile, fatto sta che poi l’Editrice Nord fece uscire un’altra edizione di Necromancer consapevole di questo: i traduttori non avevano gli strumenti mentali adeguati per poter affrontare la prosa di Gibson, che poi è una tecnica di decostruzione di un racconto che vede le sue sfumature nel noir, nell’hard-boiled, nel racconto violento e non solo nella fantascienza. Ho cercato di mettere tutto questo sullo schermo, con un occhio alla videoarte, nella prima versione anche troppo devo dire, e con un occhio soprattutto al non visto, non al già visto “ah, guarda questo mi ricorda…”, “ah guarda quest’altro sembra…”. Volevo fare una cosa non dico di profondamente originale, ma che affondasse un attimo di più nell’immaginario del testo fantascientifico che nell’immaginario già costruito e già popolare del cinema di fantascienza.

FB: Hai parlato di internet, hai parlato di videoarte… il mondo, il panorama della Rete a volte è visto con sospetto, c’è ad esempio la paura che si rinunci al libro stampato, però è indubitabile che abbia rivoluzionato la concezione estetica legata al computer, legata al mondo del design, un nuovo mondo in cui è entrato anche il cinema: in questo senso, l’utilizzo della grafica digitale, del 3D, del rendering e di tutte queste nuove tecniche rese possibili dalle macchine più veloci in questi ultimi anni, quanto ha a che fare con il cinema tradizionale e quanto ha a che fare con la videoarte, cioè quando prevale l’aspetto narrativo e quando prevale quello puramente estetico che comunque è un elemento sicuramente degno di una profonda riflessione?

ME: è un elemento determinante, importantissimo. Ricordo che quando feci l’esame al Centro Sperimentale di Cinematografia dissero che avevano paura della mia visione, perché il contenitore superava d’importanza il contenuto. è tragicamente vero: internet è un visual entertainment, la gente tende a non leggere il contenuto di internet, tende a vedere il tutto, tende a vedere le icone… quasi una sorta di graffitismo digitale d’inizio secolo, insomma. è troppo importante, talvolta bisogna letteralmente prescindere dal contenuto testuale classico perché su internet non sarebbe fruito e il progetto next text per esempio con Interact di Roma ha proprio questa funzione, riuscire a far convivere l’invariante letteraria del testo, un progetto che ho fatto con Emiliano Farinella, l’importanza letteraria del testo, la classica lettura, però cercare di coordinarle con l’esperienza estetica importantissima determinante di internet che ha ultimamente fuso non solo il 2D ma anche il 3D, l’elemento vettoriale, l’idea del frame, anche con un recupero di quello che è stato fatto nel corso del tempo sull’immaginario virtuale. Non si può non pensare a un contenuto, ormai, più vario possibile… potremmo dire la verità più importante del mondo, ma se non la inscatoliamo nel webdesign giusto, non esiste, cioè non ha alcuna ragione di essere. Le persone vedono internet come un visual design, come un visual entertainment, al pari della televisione, diverso, perché uno può contemporaneamente leggere, vedere, osservare, sentire, ascoltare musica o altro, ma tutto questo senza interfaccia, senza il coagulante del webdesign che come non mai è legato alla videoarte, è legato alla sperimentazione grafica… cioè io vedo gran parte delle animazioni di flash, che volenti o nolenti c’è tutto Laszlo Molinaghi, il film bauhaus insomma. Sta tutto lì, addirittura credo che si sia inventato davvero poco, ma che si sia messo insieme in una catena estetica che crea un flusso, secondo me, validissimo, importante per il contenuto anche, tutto quello che è stato fatto, specialmente in epoca moderna e anche da quelle che fino a dieci anni fa erano considerate avanguardie e che invece adesso sono metabolizzate e addirittura ce le ritroviamo negli splash screen, negli screen saver, in quelle animazioni che vediamo quando sentiamo per esempio una traccia audio in Windows Media Player… cose che il pubblico, chi non è nel settore, non avrebbe visto mai, i flussi colorati di spettro che si muovono in continuazione… era tutto materiale veramente da … … di Los Angeles di epoca psichedelica, nessuno ne avrebbe fruito. Adesso invece viene fruito normalmente, anzi viene richiesto, fa parte dell’immaginario visivo della discoteca, del videoremix, è sulle magliette: è diventato come la Coca Cola, come la Marylin di Warhol, solo che è molto più importante, più vasto.

FB: Hai introdotto l’argomento Flash che di per sé ha comunque rivoluzionato il panorama del web anche con una nuova impostazione non solo estetica, ma anche logica, di interpretare la fruizione del testo su rete. Io volevo anche parlarti di un altro aspetto della cultura informatica, un tempo snobbato, che adesso muove ingenti quantità di denaro, nonostante un suo rapporto molto profondo con il cinema già da molti anni, ovvero il videogioco. L’estetica del videogioco, sempre ritornando alle nuove tecnologie, alle nuove risorse dovute al 3D, agli effetti di luce, al realismo in generale, secondo me ha influenzato molto, adesso come adesso anche il lato estetico del cinema, ma anche l’evoluzione narrativa, al di là dei film confezionati forse anche per vendere i videogiochi, e ne parlavamo a riguardo di Guerre Stellari episodio 1, però sia dal punto di vista commerciale che dal punto di vista estetico credo che il videogioco abbia influenzato molto il cinema negli ultimi anni, che forse in qualche modo gli è debitore, e forse dovrebbe essere studiato di più. Sei d’accordo?

ME: Assolutamente, assolutamente. Ormai gran parte del mercato delle idee sui nuovi media, sulla convergenza, a parte che è molto più aperto del mercato del cinema tradizionale, soprattutto nel nostro paese, e l’ho detto anche al convegno, ma se guardiamo bene a Resident Evil, per esempio, parlo del Nemesis, in questo momento mi ricordo senz’altro di lui, i primi due minuti e mezzo sono il setup di un normalissimo blockbuster. C’è uno startup, la presentazione dei personaggi, comincia subito il “we have a problem”, noi abbiamo un problema, da lì in poi il film, con il finale … …, costruito esattamente con tutte le regole di un blockbuster cinematografico, però a differenza dei film, ed è questo il grande affare dei videogiochi, i videogiochi sono un mondo, perché la mitografia che invocano vale per il ragazzo del Ghana, speriamo che possa giocare con la playstation, ma vale anche per il thailandese, vale anche per il ragazzo di Rio de Janeiro, vale per l’americano come vale per noi, in una mitografia collettiva. Ma non solo questo: il film lo vedi un’ora e venti, è un investimento di tempo libero tutto sommato modesto, mentre un gioco perché ti piace, perché ti diverte, perché ti appassiona, perché ti spaventa anche adesso, può essere giocato per mesi interi. Il suo valore in termini di forza, in termini di evocazione è cento volte maggiore di quello del cinema. Cento volte più del cinema, cento volte più efficace, cento volte più forte, insomma, non per niente ormai il budget per un videogioco, parlo di livello americano, di mercato americano, di vita americana e altro, si aggira attorno ai 5 milioni di dollari, che è veramente tanto. E poi c’è un lancio pari a quello del cinema, né più e né meno. Abbiamo creato anche lo star system dei videogiochi, uno star system virtuale, svincolato da business, svincolato dai contratti, svincolato da tutto… Lara Croft su tutte… ma anche Apocalypse, quello con Bruce Willis per esempio, avevano scannerizzato Bruce Willis e piazzato lui e le sue battute all’interno di questo plot in 3D. Non va solo studiato, bisogna scrivere un contenuto che vada bene da subito per tutti i canali mediali possibili e per tutti i formati possibili, anche perché o si scrive così o non si vendono le idee. Uno deve pensare sia a un film, sia a una serie flash micragnosa, a basso costo, che poi magari è lo startup.

Penso ad esempio alle potenzialità che può avere Flash all’interno della cosiddetta “rotoscoping annession”, cioè uno filma, magari contrastatissimo per esempio, subito dopo trasforma in gif animata, in png, in una serie di png e poi la trasporta dentro Flash. 3 MB, 3 MB e mezzo e uno si scarica quattro minuti di prodotto che sembra uscito dalla penna di Frank Miller, e questo è forte, addirittura si superano i limiti dello streaming in questo modo, con delle accortezze in ripresa di luci, di sfondi e altro, ma credo che ormai bisogna smettere di studiare, perché più si cerca di razionalizzare il tutto, cioè più si cerca di avere un quadro generale più gli altri producono e mettono dentro. Quindi bisogna assolutamente buttarsi al più presto possibile all’interno dell’arena, ma pensare, proprio come prima legge, che un’idea dev’essere valida per tutto, dalla produzione di basso costo fino al mega film hollywoodiano o anche multieuropeo, cioè finanziato da più operatori europei, mettiamo per esempio Il quinto elemento, anche se non è che mi sia piaciuto, anzi volevo uscire alla fine del primo tempo, ma… però ecco, tornando al discorso flash, web e videogiochi, ci infilo dentro anche shockwave con le sue capacità di interattività, che anche flash comunque ha, è più che necessario smettere pure di pensarci, bisogna produrre, anche perché una delle cose che sappiamo tutti (e moltissime compagnie che hanno creduto che assumere degli esperti di televisione e degli esperti di mercato televisivo o cinematografico fosse la trovata geniale, si sono ritrovate poi a capirlo) è che il contenuto del web non è il contenuto della televisione perché il pubblico della televisione non è il pubblico del web. Il pubblico del web non è forse neanche il pubblico del cinema, è un pubblico completamente diverso, abituato a una fruizione mediale completamente diversa dal cinema, completamente diversa dalla televisione, controllata da un’imprevedibilità di fondo data dai limiti del mezzo tecnico, data dal fatto che io so quanti canali ci sono nel mio telecomando e alle sei del pomeriggio e io posso azzeccare con una precisione dell’80% che cosa c’è senza accendere il televisore, Quiz Show e Michele Cucuzza per esempio. Io non so cosa ci sia in questo momento sul web, non so neanche che formati ci sono sul web, posso lanciare un “www” e mi si aprono otto popup, posso lanciarne un altro e non si apre nessun popup, ma parte una musica… l’imprevedibilità è il concetto fondamentale della fruizione web, credo che sia l’appeal secondo me più piacevole della Rete, il fatto che non conosci i suoi confini, né puoi conoscerli.

FB: Dicevi del fatto che nell’arco produttivo di un contenuto, di un’idea devi poter prevedere tutto. Lucas l’ha capito prima degli altri con la Lucas Film, che poi è diventata Lucas Art inglobando il famoso Skywalker ranch dove si producono i videogiochi, ma anche dove c’è l’Industrial Light and Magic, dove c’è tutto quello che gira intorno a questi prodotti. C’è chi invece non l’ha capito. Raccontavi di gente della televisione che credeva di poter replicare la televisione sul web, ma parliamo anche di chi pur con una maggior consapevolezza dei mezzi, dei tipi di contenuti da mostrare però ha fallito … … i film, Spielberg ne parlavi ieri… quali sono i motivi? Il pubblico non è pronto? C’è stato un errore nell’investimento o un eccessivo entusiasmo? O semplicemente dobbiamo aspettare la tecnologia adeguata perché certi progetti siano realizzabili?

ME: Credo che uno dei grossi problemi è che anche se uno pensa al miglior contenuto di atom films possibile, credo che si Bikini Bandits, rimane il playback, solo che è peggiore del videoregistratore. Credo che non basti neanche aumentare la risoluzione, Real Network 8 dovrebbe consentire addirittura il vhs. Il problema non è questo: il problema è dare un contenuto che sia consapevole dei caratteri della fruizione web. La fruizione web non è la fruizione televisiva e neanche quella cinematografica. O uno si inventa i contenuti che sono adattati alla realtà fruitiva, all’esperienza mediale del web, o uno non fa altro che mettere dei corti sul web. Poi ci sono dei corti che possono essere più o meno peculiari alla realtà della Rete, io sostengo, e mi danno ragione anche gli investitori, che la SF e i suoi panorami, la fantascienza e i suoi panorami, sono più di altri interessanti per il web. Chi ha il web in genere gioca con i videogiochi e il 99,9% dei videogiochi, anche quando non sono propriamente di fantascienza, utilizzano un linguaggio pesantemente fantascientifico. Quindi da un lato è stupido mettere il corto d’essai o il corto autoriale in Rete, e infatti i corti che hanno avuto più successo sono dei corti che presentano un certo numero di effetti speciali, vediamo per esempio questo…., io faccio l’esempio di Syrena, che è stato diviso in sette episodi da Kataweb e anche trasmesso su SFX. Credo che ci siano dei contenuti per il web, peculiari al web, perché interessanti per il pubblico del web, il pubblico che vive il web che coltiva i suoi interessi e le sue passioni nel web, anche perché può farlo gratis, a pochi soldi, perché paga solo la telefonata, e ormai si paga sempre meno. Dall’altro lato però bisogna inventarsi dei contenuti che siano imprevedibili, contenuti interattivi… io auspico che si finirà in una sorta di arena, e uno dei miei progetti è proprio questo, un qualcosa che ibridi e che fonda l’esperienza dell’Advanced Dungeons and Dragons praticamente con lo scenario webcam, però tutto vero, però imprevedibile, questa è la cosa fondamentale, un passo successivo al Grande Fratello,… l’imprevedibilità. Che poi si decanti, va bene, ma il Grande Fratello, questa specie di entità abbastanza idiota, inserisce degli elementi di imprevedibilità e la gente aspetta quelli. Il successo è dato da questo, è imprevedibile.

FB: Hai introdotto tutti i temi del web, della fantascienza che erano uno dei motivi per cui questo festival è ripartito: da un certo punto rievocare il passato, da un certo punto guardare al futuro e tu mi sembri una di quelle persone che lo rappresenta sicuramente, per cui ti facciamo tutti i nostri complimenti, un grosso in bocca al lupo per il tuo futuro per i tuoi progetti e ti ringraziamo.

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