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Scrittura

Oscar Wilde nel centenario della morte

30 novembre 1900 - 30 novembre 2000

VI è SOLO UNA COSA AL MONDO PEGGIORE DEL PARLARE DI SE’, ED è IL NON FAR PARLARE DI SE’. (The Portrait of Dorian Gray)

Uno dei tantissimi aforismi di Oscar Wilde, forse il suo più famoso in assoluto, è anche quello che meglio si addice a quest’incredibile genio della letteratura mondiale che si spegneva esattamente un secolo fa, il 30 novembre 1900, a Parigi, per un attacco di meningite, aggravato dalla sifilide già presente ed ad una propensione all’alcool un po’ troppo autolesionista. Oscar Wilde, grande dandy e dominatore della scena “salottiera” londinese nella fine del secolo scorso, lasciava il grande palcoscenico della vita — forse il suo preferito — in un modo esattamente opposto a quello in cui era vissuto fino a qualche anno prima: in silenzio, senza il minimo clamore, e, peggio ancora, da solo.

Il suo funerale si svolse il 3 dicembre nella chiesa di Saint Germain des Près, con una cerimonia che assunse dei toni quasi clandestini. La salma venne deposta nel cimitero parigino di Bagneux, grazie al fedele amico di sempre, forse il più leale ed il più sincero, Robbie Ross, che aveva affittato un lotto lì per far riposare l’adorato Oscar, che se ne andava dopo aver tanto sofferto a causa di se stesso, della sua troppa generosità, dei suoi troppi slanci d’affetto e di prodigalità che gli si erano rivoltati contro come un boomerang.

Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde era nato a Dublino il 16 ottobre del 1854, in una famiglia decisamente stravagante, cosa questa che segnò il giovane Oscar più di quanto egli stesso potesse rendersene conto. Suo padre era un oculista famosissimo, ma dalla bizzarra corporatura fisica (era poco più di un nano) che non gli impedì però di tradire di sovente la moglie, al punto da finire anche in tribunale per una delle sue scappatelle extra-coniugali. La madre, Jane Francesca Elgee, era, al contrario, una donna alquanto corpulenta, che in gioventù si era data anche alla poesia assumendo il nome d’arte di “Speranza”. In seguito amava circondarsi di intellettuali, tenendo anche dei salotti letterari.

In questo peculiare ambiente crebbe il piccolo Oscar, segnato fin dall’infanzia dai capricci materni: la donna, infatti, amava vestirlo con abiti femminili. Inutile chiedersi quale influenza ebbero il viscerale amore materno e le strane tendenze di “Speranza” verso questo bimbo nella futura scoperta di Oscar Wilde d’essere omosessuale.

Allevato nella religione protestante, da adolescente studiò al Trinity College di Dublino, dove vinse una borsa di studio che gli permise di andare a studiare ad Oxford.

L’università fu fatale per la sua formazione comportamentale: fu qui che conobbe ed ebbe come insegnanti John Ruskin e Walter Pater, copiando quest’ultimo nel suo atteggiamento estetico. Ma Oxford fu anche fondamentale per la scoperta della sua omosessualità, un lato del suo carattere che successivamente lo portò alla più completa rovina.

La personalità di Oscar Wilde aveva molto in comune con l’altro, e più famoso, dandy dell’inizio del secolo diciannovesimo: George Gordon, Lord Byron. Entrambi persero la figura paterna quando erano ancora molto giovani, ed entrambi furono rovinati nella loro psiche da due madri dalla forte personalità. Se la madre di Byron lo portò ad una concezione completamente sbagliata dei rapporti tra uomo e donna, spingendolo verso gli uomini, con i quali riusciva ad avere relazioni molto meno travagliate rispetto al gentil sesso, perché era pazza e violenta con lui, ed amava torturarlo sia fisicamente che psicologicamente, la madre di Wilde dovette creare una grande confusione nella mente di Oscar bambino, coprendolo di un ossessivo amore, sopravvalutandolo in ogni occasione e, come già detto, vestendolo con abiti femminili.

Le similitudini tra i due grandi autori non finiscono però qui. Entrambi studiarono la civiltà, la storia e la letteratura greca e ne furono influenzati. Wilde subì l’influenza della civiltà ellenica ancora più di Byron, e fu addirittura ancora durante il suo soggiorno al Trinity College di Dublino che Wilde incluse l’amore greco nel suo edonismo pagano.

Ma fu frequentando l’università di Oxford che l’omosessualità di Wilde assunse un significato reale e tangibile. Presso la prestigiosa università egli era infatti parte di un ristretto circolo di amici, i quali avevano ciascuno un soprannome femminile. Tra questi c’erano David Hunter Blair, soprannominato “Dunskie”, ovvero “Brunetta”; Richard Reginald Harding, conosciuto tra loro come “Kitten”, “Micetta”, e Charles M. Tindall, chiamato “Julia”.

La prima volta in cui Oscar Wilde entrò in un entourage omosessuale fu grazie a Lord Roland Gower, duca di Sutherland, che in gioventù aveva studiato ad Oxford ed era solito tornarvi ancora per coltivare nuove “amicizie”, ma soprattutto per trovare nuove relazioni. L’incontro con il duca di Sutherland fu fondamentale per Wilde, che da quel momento ebbe le idee molto chiare sul suo orientamento sessuale. Non solo: fu da lui che Wilde prese l’abitudine di tornare ad Oxford anche dopo la laurea, e non certo perché la considerasse la sua Alma Mater.

Negli anni di Oxford cominciò anche la sua attività poetica. Nel 1874 iniziò a scrivere un poemetto decadente intitolato The Sphinx, che però venne completato solo nel 1894. La laurea arrivò, a pieni voti, nel 1878, dopo aver vinto il premio letterario Newdigate con il suo poemetto Ravenna, a dire il vero abbastanza modesto.

Dopo la laurea Wilde si trasferì a Londra, dove da subito si autoproclamò capo del movimento estetico, e dove ben presto si impose all’attenzione del pubblico grazie ai suoi atteggiamenti eccessivi e stravaganti. Amava circondarsi da un lusso sfrenato, e non era raro vederlo passeggiare per Piccadilly con in mano un girasole od un giglio. Spesso fu l’obiettivo di feroci satire sul settimanale “Punch” proprio per questi suoi atteggiamenti insoliti, e persino i grandissimi Gilbert e Sullivan lo presero di mira, parodiandolo, nel loro lavoro Patience; or, Bunthorne’s Bride. Fu proprio grazie al successo dell’opera di Gilbert e Sullivan, più ancora a quello, invero alquanto modesto, ottenuto dalla sua raccolta Poems del 1881, che Oscar Wilde venne scritturato da un impresario per una serie di conferenze da tenersi negli Stati Uniti. Wilde accettò, ed è passata alla storia la celebre frase pronunciata al suo arrivo negli USA, quando alla dogana gli chiesero se avesse qualcosa da dichiarare. “Nulla, fuorché il mio genio” fu la pungente risposta del terribile irlandese.

Le conferenze statunitensi ebbero da subito un enorme successo, e fu proprio a New York che Wilde fece rappresentare a teatro la sua opera Vera, or the Nihilists, scritta nel 1880.

Le consistenti entrate derivate da questa tournée americana gli permisero di passare alcuni mesi a Parigi, dove poté entrare a contatto con il mondo letterario francese che tanto lo aveva già influenzato (specie i soavi modelli di Gautier e Flaubert).

A Parigi seguì di nuovo Londra, dove scrisse ancora per il teatro The Duchess of Padua, di chiara ispirazione elisabettiana. Ma un’altra fondamentale svolta nella sua vita lo stava attendendo. Conobbe infatti Constance Lloyd, la dolce ed affettuosa figlia di un avvocato di Dublino. Nonostante la sua personalità omosessuale la sposò, andò a vivere con lei a Chelsea ed ebbe anche due figli, Cyril, nato nel 1885, e Vyvyan, nato l’anno seguente. La dote della moglie era certo consistente, ma aggiungendo anche i proventi derivati dall’attività giornalistica Wilde poteva condurre un tenore di vita dispendiosissimo. L’infaticabile Oscar continuava a scrivere quindi per vari giornali, ma anche racconti, poesie, teatro. Tra il 1887 ed il 1895 scrisse dei brevi racconti spiritosi, successivamente raccolti tutti nel volume intitolato Lord Arthur Sevile’s Crime and Other Stories. Cercò di essere un buon padre, e per i suoi due bimbi inventava sempre delle dolci favole, che poi pubblicò ne The Happy Prince and Other Tales e The House of Pomegranates del 1891.

L’anno clou della sua breve esistenza fu il 1891. Il movimento estetico, a cui egli aderiva, ebbe il suo top negli anni ‘90 del 1800. I suoi seguaci volevano shoccare il pubblico, ma anche, in un certo senso, indicare uno stile di vita che fosse identico allo stile dell’arte. La personale teoria sull’estetismo di Oscar Wilde fu derivata dallo studio dei pre-Raffaelliti, da William Morris e da Walter Pater. In essa Wilde sosteneva che la giustificazione della vita fosse l’apprezzamento della bellezza invece che uno stretto adempimento del dovere, e che la forma di bellezza migliore si trovasse nell’arte. In questo suo atteggiamento Wilde riporta ulteriori analogie con Lord Byron, poiché entrambi facevano sconfinare l’arte nella loro vita, concependo la stessa come se fosse un’opera d’arte in se stessa; allo stesso tempo, vedevano l’opera d’arte come se fosse un atto pratico. Una scelta che entrambi pagarono con un disastroso scandalo. Eppure, entrambi scrissero le loro cose migliori nei momenti di più cupa disperazione, o per lo meno di grande difficoltà.

Le difficoltà di Wilde ebbero il bel volto di Lord Alfred Douglas, un giovane aristocratico di ventun anni, secondogenito dell’ottavo marchese di Queensberry. L’attrazione tra i due fu immediata, e la rovina che ne seguì fu altrettanto veloce.

Wilde aveva già pubblicato il suo unico romanzo, il capolavoro decadente The Portrait of Dorian Gray, che fu un immediato successo, ma fece anche molto scandalo. La genesi dello scandalo era forse da rintracciare in un saggio che Oscar Wilde aveva scritto nel 1889, ovvero The Portrait of Mr W.H., una storia critica nel quale Wilde sosteneva che una parte (la più consistente, tra l’altro) dei sonetti di Shakespeare non fossero stati scritti per una dama, come si era creduto fino ad allora, ma per Walter Hughes, un attore che recitava le parti femminili nelle opere di Shakespeare (bisogna infatti ricordare che, nell’epoca elisabettiana, la recitazione fosse off-limits per le donne) e che il grande drammaturgo probabilmente amava. La critica successiva, più moderna ed a noi più vicina, ha effettivamente dimostrato che i sonetti shakespeariani siano stati scritti proprio per un giovane ragazzo, e non per una donna, ma probabilmente Wilde non sospettò nemmeno di essere così vicino alla verità quando fece queste audaci dichiarazioni. All’epoca tutta l’opera saggistica di Wilde fu fortemente influenzata dai ragazzi che egli frequentava, giovani intellettuali od ex studenti di Oxford e Cambridge.

Eppure, se questo saggio ebbe un’accoglienza in un certo senso benevola, poiché era stato visto come un lavoro di ricerca, di studio, lo stesso, come già detto, nonaccadde con The Portrait of Dorian Gray. Immediatamente subito dopo la sua pubblicazione, la rivista Punch (sempre la stessa!) descrisse il romanzo come “perverso”, anche perché, a parte tutto il resto, il personaggio principale, Dorian Gray per l’appunto, possiede ogni possibile vizio, e specialmente il vizio “peggiore”, considerato così orribile che nessuno osava nemmeno nominarlo.

Il bellissimo Dorian ebbe la sua controparte reale in Douglas. Dal padre Bosie (così veniva affettuosamente chiamato) ereditò una forte dose di pazzia, che lo portò a tormentare Oscar Wilde per molti anni, nonostante il profondo amore che li legava. Costantemente in lotta con il padre che detestava, Bosie si appoggiò a Wilde succhiandone la linfa creativa, le energie, la fama ed i soldi. Soprattutto questi, visto che per anni si fece mantenere — e non solo lui — in un lusso sfrenato, senza farsi mancare nulla, ma anzi indulgendo in ogni costosissimo piacere incontrasse sulla sua strada, per cui Oscar Wilde doveva però pagare.

In quel periodo la fama di Oscar Wilde raggiunse il suo apice. Sempre in quel fatale 1891 Wilde aveva scritto una tragedia in francese, la Salomè, originariamente destinata alla più grande attrice dell’epoca, la divina Sarah Bernhardt. La tragedia è un perfetto esempio di decadentismo anglo-francese, e fu tradotta l’anno successivo in inglese dallo stesso Alfred Douglas. L’edizione inglese divenne un piccolo oggetto-capolavoro, grazie alle meravigliose illustrazioni di Aubrey Beardsley, un pittore giovanissimo che incarnava, sia per il suo stile di vita che per quello delle sue immagini il perfetto ideale dell’esteta decadente. Tra gli altri suoi lavori, sono rimaste famose le tavole che aveva fatto per il poemetto eroicomico The Rape of the Lock di Alexander Pope. La censura britannica proibì però la rappresentazione sulle scene inglesi della tragedia, adducendo come scusa il divieto per legge di portare sulle scene episodi tratti dalla Bibbia. Sarah Bernhardt perse ben presto l’interesse per l’opera, che venne comunque portata sulle scene francesi, a Parigi, per la precisione, nel 1896.

Oscar Wilde stava comunque conoscendo la sua stagione d’oro a teatro, con una serie di commedie, definite “society plays”, che sferzavano ferocemente l’aristocrazia inglese attraverso un cinico humour tipicamente britannico. Lady Windermere’s Fan, A Woman of No Importance e An Ideal Husband raccolsero un successo senza pari. Oscar Wilde era il personaggio del momento. Richiestissimo nelle più importanti occasioni mondane, ogni sua pubblica apparizione si trasformava in un happening ad uso e consumo degli spettatori più o meno casuali. E di certo Oscar Wilde non si risparmiava. Ormai provocava la società inglese apertamente con la sua sfrenata eccentricità, sebbene avesse perso quel senso di autoironia che l’aveva contraddistinto da giovane. Perché al di là del Wilde pubblico, c’era un Wilde privato che doveva subire i continui capricci e le pietose scenate, spesso anche pubbliche, del suo giovane amante Bosie.

Il top della sua attività come scrittore brillante per il teatro fu raggiunto con The Importance of Being Earnest, una commedia degli equivoci che annovera nel suo testo alcune delle migliori battute che siano mai state scritte. L’opera wildiana è generalmente riconosciuta come la migliore commedia moderna scritta in lingua inglese. Con essa Wilde coronava quello stile teatrale che era basato sul teatro francese, ma si rifaceva anche alla commedia della Restaurazione, che aveva visto in William Congreve il suo maggiore esponente. La commedia di costume iniziata da Wilde continuò successivamente, anche in epoca moderna, con autori come William Somerset Maugham o Noel Coward, drammaturghi rappresentati ancora oggi sulle scene mondiali per la loro incredibile modernità.

I plot delle “society plays” di Wilde erano spesso ridicoli, ed il confine tra commedia e farsa è talmente labile da essere spesso quasi impercettibile. La società aristocratica britannica dell’epoca vittoriana venne impietosamente descritta come un mondo frivolo, senza interessi né valori, dove l’occupazione principale erano le feste della stagione mondana ed il combinare fruttuosi matrimoni.

Eppure alcune delle battute degli scritti wildiani sono incredibilmente attuali, e ce ne sono per tutti i gusti. In un’epoca come la nostra, dove stiamo assistendo ad una crociata anti-fumo portata avanti a suon di divieti e battaglie legali, come non sorridere alla battuta tratta dal sesto capitolo di The Portrait of Dorian Gray, quando il protagonista dice: “Una sigaretta è il prototipo perfetto di un perfetto piacere. è squisita e lascia insoddisfatti. Che cosa si può volere di più?”

E quando ci lamentiamo di vivere in un’epoca basata solo ed esclusivamente sull’immagine, sull’essere di moda e sull’apparire più che sull’essere, pensiamo che lo stesso problema fosse già presente più di cento anni fa. La prova può essere rintracciata nel secondo atto di An Ideal Husband: “Nulla è pericoloso quanto l’essere troppo di moda. Si rischia di diventare improvvisamente fuori moda.” Ed ancora, tratto dal quarto atto de The Importance of Being Earnest: “I due punti più deboli della nostra epoca sono la mancanza di principi e la mancanza di immagine. “

Ma se nei teatri londinesi andavano in scena le commedie divertenti di Wilde che facevano tanto ridere il pubblico che veniva da esse sbeffeggiato, nella vita privata cominciava la tragedia reale per il grande genio di fine secolo. Il marchese di Queensberry, il padre di Alfred Douglas, non perdeva occasione per attaccarlo ed offenderlo pubblicamente, allo scopo di fargli interrompere la sua relazione con Bosie. Per un po’ Wilde si limitò a sentirsi infastidito dalle scenate dello squilibrato marchese, finché questi non passò il segno lasciando un biglietto, che chiunque poteva leggere, al club. Sul biglietto c’erano scritte poche parole, che diedero però il via alla rovina di Oscar: “Ad Oscar Wilde, che posa da sodomita”. Il primo istinto di Wilde fu quello di strappare il biglietto, ed ignorare la pesante offesa pubblica. Ma ad Alfred Douglas il padre non poteva offrire occasione migliore per sfogare l’inveterato odio che provava nei suoi confronti. Il giovane e vendicativo Bosie tanto fece che riuscì a convincere Wilde a querelare il padre, usando quel biglietto come prova contro di lui.

Oscar Wilde s’imbarcò così nell’impresa più disastrosa della sua vita. La denuncia fu fatta, venne indetto un processo contro il marchese di Queensberry ma ben presto il protagonista sul banco degli imputati cambiò. Per il marchese non fu difficile sguinzagliare detectives per tutta Londra allo scopo di racimolare quante più prove possibile in favore della sua accusa, e ci riuscì.

L’intera vita londinese degli ultimi anni di Wilde, così come le sue opere, finirono messe alla berlina. Il Ritratto di Dorian Gray divenne l’arma più efficace volta a dimostrare la veridicità dell’accusa del marchese di Queensberry. Infatti, l’omosessualità può essere rintracciata in almeno due dei personaggi del romanzo. C’è la relazione platonica tra Basil Hallward, il pittore che dipinse Dorian con tanta maestria, e Dorian Gray stesso. Ma anche Henry Wotton, grande amico di Basil ed ispiratore, per Dorian, di una nuova condotta di vita, non fa altro che adulare il giovane per la sua prorompente bellezza.

Ma, oltre a queste relazioni già di per sé molto chiare, nel romanzo ci sono alcuni accenni che permettono al lettore di indovinare come Dorian abbia aggiunto l’omosessualità ai suoi segreti: nell’undicesimo capitolo, per esempio, si scopre che la casa che Dorian possiede nel Nottinghamshire sia sempre piena di giovani ed eleganti ragazzi che Dorian intrattiene nel lusso; ma, allo stesso tempo, ancora nello stesso capitolo, si scopre come, dopo un po’ di tempo, alcuni degli amici più intimi di Dorian preferiscano evitarlo. Più avanti ancora, Wilde racconta come Dorian ami trascorrere il tempo osservando i ritratti dei suoi antenati, tra i quali si annovera un certo George Willoughby, che, oltre ad avere una perversa espressione dipinta sul volto, era molto effeminato, poiché era stato un famoso dandy del diciottesimo secolo, ed inoltre era stato l’amico di Lord Ferrars in gioventù.

C’è un accenno ancora più esplicito nel capitolo successivo, quando Basil, poco prima di venir ucciso da Dorian, gli ricorda ciò che fosse stato prima di diventare una persona malvagia, e lo rimprovera dicendogli:

“Perché la tua amicizia è così fatale ai giovani uomini? C’era quel disgraziato ragazzo delle Guardie che si è suicidato. Tu eri il suo grande amico. C’era Sir Henry Ashton, che dovette lasciare l’Inghilterra con un nome infangato. Tu e lui eravate inseparabili. “

Poi, Basil continua ricordandogli Adrian Singleton, che fece una fine terribile; l’unico figlio di Lord Kent ebbe la carriera completamente rovinata, e suo padre fu schiacciato dalla vergogna e dal dolore; e nessuno osava venir visto assieme al giovane duca di Perth.

Come possiamo vedere, l’omosessualità, naturalmente, non viene mai nominata, ma non è difficile indovinare di che cosa si parlasse tra le righe.

Il romanzo fu un’arma davvero letale ai fini del processo. Riconosciuto colpevole, Oscar Wilde venne condannato a due anni di lavori forzati. E, tutto sommato, fu ancora fortunato: all’epoca, infatti, in Gran Bretagna vigeva ancora la pena di morte per omosessualità.

Wilde fu rovinato sia socialmente che moralmente ed economicamente. I figli non furono più sotto la sua tutela, i suoi beni vennero venduti all’asta e la moglie chiese il divorzio.

Dal carcere di Reading, nei primi mesi del 1897, Oscar Wilde scrisse una lunghissima epistola ad Alfred Douglas, che, alla fine della detenzione, ovvero il 19 maggio del 1897, consegnò a Robbie Ross, il suo futuro curatore letterario. Robbie la fece recapitare a Bosie, ma questi, forse nella speranza che si trattasse dell’unica copia, la bruciò. In essa, infatti, Wilde rievocava tutti i particolari della loro relazione. In realtà, Robbie ne conservava ancora una copia, che consegnò al British Museum alcuni anni dopo la morte dell’autore, precisamente nel 1909, con la richiesta che non venisse pubblicata prima di cinquant’anni. Il testo integrale dell’opera fu pubblicato solo nel 1959, con il titolo di De Profundis.

Quando Oscar Wilde uscì dal carcere si auto esiliò sul continente. Ormai solo, povero e con un nome infangato, assunse lo pseudonimo di Sebastian Melmoth, un nome denso di significati: infatti, Sebastian si riferisce al nome del primo martire cristiano, mentre Melmoth deriva dal romanzo Melmoth the Wanderer, scritto da un prozio di Wilde, Charles Robert Maturin.

Dall’esperienza del carcere trasse un poema, The Ballad of Reading Gaol, che fu firmato come C.3.3., ovvero la sigla con cui Wilde veniva appellato in carcere.

Il 30 novembre del 1900 moriva a Parigi, in completa solitudine. Solo la posterità seppe chiedergli perdono per le ingiustizie da lui subite, consegnandolo all’immortalità.

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