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Palcoscenico

Alessandro Haber

Genio e sregolatezza

Riccardo Visintin (RV): Siamo in compagnia di Alessandro Haber, che a Trieste sta ottenendo un eccellente successo con questo ruolo molìeriano de “L’Avaro”; siamo verso la fine di questa replica, e io voglio partire dal passato… Si ricorda la prima volta che è venuto a Trieste?

Alessandro Haber (AH): Oddio, che domanda… non mi ricordo con che spettacolo, ma c’è stata una coproduzione con Trieste: abbiamo fatto lo “Scacco pazzo” con l’Arena Del Sole di Bologna e “NuovaScena”… abbiamo fatto due spettacoli con Trieste, anche “Jack lo Sventratore”, dieci anni fa… però ci sono venuto prima, dieci o undici anni prima, durante le prove di “Rosa Luxembourg”.

Ecco, di quello ho un’immagine precisa: si parla di ventidue o ventitré anni fa, un testo di Enrico Faggi con la regia di Squarzina, c’era Eros Pagni… anzi no Pagni non c’era, c’era Omero Antonutti… fu uno degli ultimi spettacoli qui di Omero Antonutti, che è tra l’altro un amico mio, un attore triestino, avevamo la stessa agenzia per attori, la Fratelli Ferzetti…

E quando incontro Omero glielo chiedo spesso: “ma perché non torni a fare teatro?”. Sì, fa delle cose qui a Cividale, ma il Teatro quello con la T maiuscola…

E mi ricordo che seguivo una Compagnia con Albertazzi. Stavamo facendo “Il fu Mattia Pascal”. Io dovevo provare quelle due o tre ore lo spettacolo successivo, che era appunto “Rosa Luxembourg”, la protagonista era Adriana Asti, mi ricordo.

Allora seguivo la Compagnia e per la prima volta venni qua per tre settimane, e mi piacque subito: una città mitteleuropea si sa, poi c’è questo mare, questo porto, poi si mangia bene…

Ci vengo sempre molto volentieri, c’è un pubblico che ama molto il teatro, la musica, che ha una grande preparazione culturale, per cui segue sempre con grande attenzione… ormai mi sento un po’ di casa perché mi hanno visto in tante versioni, e questa è una versione completamente nuova, per cui ne sono felice ed orgoglioso.

RV: Naturalmente Haber sempre con personaggi molto forti: Scacco Pazzo, Jack lo Sventratore, il personaggio de “Aria di Famiglia”, finché arriviamo a questo Arpagone, che è un personaggio che — possiamo dirlo credo, visto che Haber è uno che sta al gioco — è stato rappresentato da altri suoi colleghi, qualcuno è vivente, qualcuno non c’è più, da Tognazzi a Bosetti a molti altri…

Allora, domanda forse scontata: Alessandro Haber si è posto in qualche modo rispetto alle edizioni precedenti, oppure ha detto “tabula rasa” e faccio un Arpagone che sia completamente con un mio “copyright”?

AH: Assolutamente sì, io non ho visto nessun “Avaro” nella mia vita, e non ho visto neanche quella francese di Sàvary, fatta con un attore che ha più di settant’anni, per cui…

Viene fatto appunto da attori molto vecchi, che fanno questo Avaro molto “avaro”, classico. Invece il mio “Avaro” è completamente diverso, spiazzante, ho cercato di dargli una vitalità… sensuale, sessuale, forte… e poi questo discorso dell’ accumulo del “Dio Denaro”, è molto attuale, molto moderno: “non ci sarà altro denaro all’infuori di te”…, per cui tutto viene visto attraverso i soldi, lui “respira” i soldi… è come un cleptomane… la verità qual è? Qual è l’impressione che ho avuto? Lui ha proprio una malattia cronica, e non sa di averla, perché è come un cleptomane che ruba ma senza saperlo.

Per cui, quando Mastro Giacomo gli rivela ciò che la gente pensa di lui, questo cade dalle nuvole.

Ma è un “Avaro” infame, molto tragico, ma anche molto comico, ridicolo, ma molto comico, e alla fine fa anche pena a mio avviso, alla fine resterà molto solo e non a caso dice: “i miei soldi, i miei soldi, i miei unici amici”…

Se uno ha per amici il denaro e nient’altro è una persona molto arida, e io ne ho fatto un personaggio arido, squallido, molto tetro, molto “despota”, che ha un rapporto acerrimo con i figli, potrebbe anche ammazzare, e dice ai figli: “se non dai retta a me io sono capace di tutto…”, tra l’altro questa è una battuta che aggiungo io…

Quindi è un “Avaro” che piace molto anche ai giovani, perché io credo che sia giusto fare anche dei classici e riproporli come fa Savary e come ho fatto anch’io, perché sono un attore attivo e non passivo, perché ci metto del mio anche nella regia, collaboro, mi piace collaborare…

Così come nell'”Arlecchino”, nelle altre cose che avevo fatto lascio il segno. Sono autore di quello che faccio e questa è la cosa che mi interessa di più.

Perché si tratta di un’esigenza continua che parte prima da una ricerca interiore, così il pubblico, quello classico, che ne ha viste altre versioni resta un attimo perplesso e dice: “ma cos’è questa cosa?” Poi, invece, lentamente capisce e c’è una ricettività, un’attenzione molto forte.

E Sàvary è stato bravo, diciamo, a giocare, a proporre un Avaro contemporaneo, questo ecco… con una compagnia di attori tra l’altro molto bravi. È fondamentale, è come una squadra di calcio… se c’è un calciatore straordinario e gli altri non sono bravi, non c’è gioco, si perde… ma noi abbiamo vinto perché c’è questa situazione di grande amicizia, di complicità e di talento.

RV: Il teatro e il cinema: questa intervista andrà su Fucine Mute che è un magazine web sulle attività multimediali. Lei oltre ad aver fatto una “strage” di teatro ha fatto anche una “strage” di cinema. Quanti film ha fatto, Haber?

AH: Novantacinque o novanta, credo…

RV: Io tra i primi ricordo “Sotto il segno dello scorpione”, nel ’66…

AH: E non era neanche il primo. Il primo credo fosse “La Cina è vicina” di Bellocchio.

Poi Avati, Del Monte, Monicelli, Nanny Loy, insomma tanti…

Bertolucci, poi i giovani, Pieraccioni, Benvenuti, Giovanni Veronesi… insomma, ho lavorato con tanti.

Adesso sono due anni che mi sono preso una… non la chiamerei vacanza, perché il cinema che si fa non mi piace molto, e fanno poco cinema del tipo vorrei fare io, fanno un paio di film all’anno e magari non ci sei perché stai facendo teatro, per cui…

Sto aspettando che mi si offra una cosa che valga la pena di fare, perché voglio che la gente un po’ mi sorprenda. Sono stufo di sorprendere io, voglio qualcuno che mi ribalti il gioco. È inutile fare del cinema magari anche a basso costo, delle opere prime che vengono bistrattate da un cinema commerciale, invadente, superfluo, un cinema che non dà niente, fa ridere della gente stupida che dalla televisione passa al cinema televisivo.

Ci sono poi dei casi interessanti, per esempio quest’anno “I Cento passi”, un film fantastico, bravissimi gli attori; l’anno scorso “Pane e Tulipani”, e poi Piccioni con il film con Orlando e la Buy, come si chiama…

RV: “Fuori dal mondo”…

AH: La differenza è che in teatro controllo quello che faccio, perché sono io che cavalco la bestia, sono io che faccio il buono e il cattivo tempo, e in maniera molto semplice lo dico: in questi ultimi vent’anni non ho mai sbagliato, ho sempre fatto delle cose di grande livello, perché ero io diciamo il fautore, ho avuto il controllo completo.

Al cinema, il regista fa il buono e il cattivo tempo… magari c’è una bella sceneggiatura e questa viene raccontata male, viene filmata male. Oggi ci sono troppi autori, a mio avviso, non ci sono gli artigiani…

Uno si alza la mattina e fa il regista, è come se io domani volessi fare il dottore, ma se non ho i mezzi per farlo… Invece c’è questa mania, da dieci anni a questa parte: “prendiamo quello che fa un po’ ridere e gli facciamo fare la regia”… Mi sembra davvero una cosa brutta.

Alcuni, non lo nego, sono anche riusciti a fare delle cose discrete, ma non è che dev’essere una regola, questa…

Una volta c’era lo studio, prima si faceva l’assistente, poi l’aiuto regia, poi la regia…

Invece in America ci sono quelli che fanno una bella sceneggiatura e io… “te la racconto”…

Invece qui ci sono gli autori che devono scriverla, girarla e spesso anche interpretarla… che palle insomma!

Io quando faccio teatro, e poi ho finito, le cose che faccio è come se le avessi riscritte io… sennò questo Molìere diventa solo una “lettura”, ma io voglio renderla a modo mio, come se l’avessi riscritta.

Ma poi i discorsi sono tanti… saluti e baci a tutti…

RV: Grazie.

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