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Cinema

Stanley Kramer e i Grandi del Musical: l’evidenza dell’impossibile

Nella notte fra il 18 e il 19 febbraio, all’ospedale di Crétel, non lontano da Parigi, si è spento, per una recidiva di emorragia cerebrale, Charles Trenet. Lo abbiamo appreso da “Le Monde” dello stesso giorno, e subito dopo da tutti i giornali.

Il 21 febbraio Maurizio Porro, sul Corriere della Sera, ci rende noto che Stanley Kramer, il famoso regista americano, è morto a Los Angeles il giorno prima. In meno di ventiquattr’ore se ne sono andati due coetanei, poiché avevano entrambi ottantasette anni.

Charles Trenet, “le fou chantant” o anche “le Roi Soleil de la chanson” secondo le definizioni francesi iperboliche ma sinceramente commosse, meriterà che se ne parli lungamente, e lo faremo presto.

Vorremmo qui, in breve, parlare di alcune singolari coincidenze nella biografia professionale di Stanley Kramer e di alcuni altri nomi che gli si sono accostati nel corso del suo lungo lavoro.

Sulle coincidenze di nascita e morte del francese e dell’americano (1913-2001) non c’è altro da dire, tuttavia rimane ancora qualcosa che merita di sottolineare. Kramer ha avuto una lunga carriera, sulla quale sono stati espressi dei giudizi di vario genere. È fuori di dubbio che alcuni suoi film appartengono alla categoria dell’è sufficiente nominarli, perché tutti li abbiamo visti: pensiamo a “Vincitori e vinti” oppure a “Indovina chi viene a cena?” o a “Questo pazzo, pazzo mondo”.

Per quanto riguarda Trenet e la sua “Douce France” che lo piange insieme a noi, va subito detto che questi due uomini di spettacolo, per quanto in campi diversi, nati lo stesso anno e praticamente morti lo stesso giorno, non si erano verosimilmente mai incontrati.

Kramer, americano di New York, è una figura un po’ speciale nel cinema d’oltre oceano, uno dei tanti “self made men” , andato via da casa squattrinato e divenuto poi produttore nel cinema, con molti film importanti, come “II grande campione” di Robson, “Mezzogiorno di fuoco”, di Zinnemann, “L’ammutinamento del Caine” di Dmytryk.

Dal 1955 si dedica esclusivamente alla regìa, e fa un film interessante, “Nessuno resta solo”, con la De Havilland, Mitchum e Sinatra, e tanto di “Directed By” nei titoli di testa. Il lavoro prosegue senza soste, sempre al servizio di forti ideologie e con attori di prestigio, ed eccoci a “On the Beach” (L’ultima spiaggia) del 1959. La trama è pacatamente apocalittica, poiché ci porta in mezzo a una “fine del mondo” localizzata in Australia, unico paese in cui un’offensiva atomica non ha ancora raggiunto tutte le popolazioni. Le quali vengono però indotte a un suicidio collettivo programmato con relativa distribuzione di pillole letali.

Gregory Peck e Ava Gardner interpretano l’incredibile vicenda, ma c’è un personaggio che si distingue in quel sistematico orrore, ed è Fred Astaire, nel ruolo di un uomo di scienza che vede i risultati terrificanti del suo stesso lavoro. Appassionato di automobili, si toglierà la vita con il gas di scarico della sua macchina da corsa… In questo film altamente drammatico, Astaire porta avanti la fredda determinazione e la “nonchalance” molto inglese, che aveva sempre prediletto, e non è certamente quel “Song and Dance Man” che solo due anni prima aveva ancora interpretato “La Bella di Mosca” con la Charisse, per canto, danza, e “Humor” a profusione.

Pochi anni dopo, Astaire avrebbe interpretato il suo ultimo “Musical” con “Sulle ali dell’arcobaleno” di Francis F. Coppola.

Nel 1960, Kramer si dedica a un film più realistico che, quasi anticipando il successivo, ha per soggetto un processo, da un fatto realmente accaduto, nell’ambiente della provincia americana a Dayton, nel Tennessee. Un insegnante di biologia viene accusato di diffondere le teorie di Darwin, contrarie alla rigida morale di quello Stato: e abbiamo due grandi attori nelle parti rispettive di accusatore (Fredric March) e di difensore (Spencer Tracy): il titolo è “E l’uomo creò Satana”.

Ma c’è un terzo personaggio, un giornalista molto disinibito e senza troppi scrupoli: lo interpreta Gene Kelly, l’attore-ballerino di tante pellicole indimenticabili. Quarantottenne, non ha ancora lasciato del tutto la sua attività primaria, e lo dimostra qualche suo Musical recente come “E’ sempre bel tempo”, del 1955, il capolavoro di Stanley Donen dedicato all’amicizia, dove c’è anche l’intramontabile Cyd Charisse.

Molto persuasiva questa esibizione “no dancing” di Gene Kelly accanto a due mostri come Tracy e March: ed è convincente anche l’ambientazione nella provincia americana degli “States” di quei tempi.

Siamo nel 1961, ed ecco sugli schermi “Vincitori e vinti” (Judgement at Nuremberg), un film lungo e famoso di cui è vivo il ricordo, perché in quegli anni era ancora palpitante il tema dell’Olocausto. Notevole l’afflusso di attori famosi nei due settori di cui al titolo italiano, e fra i “vinti” si fa avanti, al processo, una figura del tutto inaspettata, perché l’attrice è Judy Garland.

Dai tempi felici del “Mago di Oz” con relativo Arcobaleno sono passati molti anni, e qui Judy è una povera e indifesa casalinga tedesca che è sotto processo per motivi del tutto fuori dalla sua volontà e che infatti verrà assolta. Un’interpretazione memorabile della Garland, con una “nomination” all’Oscar.

Judy aveva lasciato temporaneamente il Musical, e la sua salute, come ben sappiamo, si manteneva precaria per molte ragioni personali.

Ma sarebbe ancora tornata alle sue canzoni per l’ultimo film, “Ombre sul Palcoscenico”, in cui, davanti a un Dirk Bogarde col nodo in gola, cantava “Hello Bluebirds”, il suo definitivo congedo.

E, ascoltandola, il nodo in gola l’avevamo anche noi: immortale Judy, e bravo il regista inglese, Ronald Neame.

In conclusione: se esiste un regista americano, che non si sia mai interessato al Musical, questo è proprio Stanley Kramer.

Tutto l’orientamento dei suoi film è rivolto ad una continua avversione al conformismo e alle iniquità, fossero la tragedia nazista o quella atomica o ancora quella del razzismo, dolorosamente vissuto in America: e quest’ultimo gli avrebbe poi ispirato il grande esito del “buonismo” progressista di “Indovina chi viene a cena?” del ’69.

Proprio su questo regista tutto d’un pezzo, che aveva diretto diciotto film e prodotti il doppio, tipica figura di “intellettuale americano capace di scuotere 1′establishment”, come dice giustamente Maurizio Porro, dovevano concentrarsi alcuni elementi, cronologici e professionali, che richiamano al cinema musicale, da lui quanto meno ignorato (non ci risulta però che lo odiasse).

E poi questi tre nomi, sicuramente fra i più grandi di tutta la storia del Musical: Astaire, Kelly, Garland…

Siamo d’accordo sul fatto che erano già molto avanti nelle rispettive carriere e che avevano già fatto qualche altra prestazione “no musical”. Ma l’incredibile vitalità e leggerezza di Astaire, la drammaticità esistenziale di Judy, tanto infelice quanto adorata dal pubblico, e infine l’inimitabile e vigorosa versatilità di Kelly, non si sarebbero fermate anche dopo queste loro esperienze con il bravo e diligente Mister Kramer.

Noi crediamo che la sua memoria si sia portata dietro anche quella di un incomparabile e irripetibile terzetto…

22 febbraio 2001

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