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Palcoscenico

Sebastiano Lo Monaco

Mattatore suo malgrado

Radio Capodistria (RC): Dicono che la vita ci riservi sempre nuove esperienze, e le mie non vorrebbero essere delle congratulazioni “d’occasione”, nel giudicare lo spettacolo che è attualmente in scena alla Sala Tripcovich, per la Stagione di Prosa del “Rossetti”, stiamo parlando del “Cyrano Di Bergerac”, ma credo che sia uno spettacolo veramente emozionante, da far arrivare forse anche le lacrime agli occhi, quando si esce.

Abbiamo l’occasione di incontrare l’attore principale, “attore” con la “A” maiuscola, che dopo vent’anni di carriera debutta a Trieste: Sebastiano Lo Monaco.

Sebastiano Lo Monaco (SLM): Grazie. Dopo ventidue o ventitre anni, adesso non ricordo la data esatta… ho debuttato nell’estate del 1978 o del 1979… ventidue o ventitre anni di carriera, insomma, e pensi che con la mia Compagnia non mi era mai capitato di venire a Trieste, ma, cosa ancora più strana, neanche con Compagnie occasionali con cui ero stato in rapporti da “scritturato” come si dice. Teatro Stabile di Torino, Teatro Regionale Toscano… proprio non mi era mai capitato… È una spiacevole abitudine quella di non venire “mai” a Trieste.

Devo dire che mi sto trovando benissimo: una città favolosa, piena di fascino, adesso non vorrei essere banale a parlare della cultura Mitteleuropea… non volevo dirlo, m’è scappato… ma non se ne può fare a meno, però si “respira”. Soprattutto per un “terrone” come me, che arriva qua e crede di essere sì in Italia, ma forse anche con un piede un po’ fuori, perché c’è una cultura austroungarica molto forte, un certo tipo di architettura…

Oggi sono stato a vedere il Castello di Miramare, e ovviamente sei in un’altra epoca, in un’altra cultura; che ha poco a che fare con la cultura mediterranea alla quale sono abituato, e qua devo dire che c’è una grande passione teatrale, un popolo molto abituato al teatro, a tante forme di teatro diverse, un teatro…

RC: …e che promuove o boccia…

SLM: …e che promuove o boccia. E noi siamo stati promossi, ma devo dire la verità, adesso, e non per essere vanitoso, ma con questo spettacolo non avevo dubbi e abbiamo fatto 150 repliche nella passata stagione, da Cuneo a Siracusa e le reazioni del pubblico sono state sempre eclatanti. Devo dire che se vogliamo essere pignoli e notare una differenza, il vostro pubblico non si fa capire subito. Durante lo spettacolo le reazioni non sono molto evidenti, devi studiarlo, ma capisci però che c’è una grandissima attenzione, perché è uno dei pochi teatri, una delle poche città del mondo dove non vola una mosca, dove il pubblico trattiene perfino la tosse. E invece ci sono dei popoli un pochino più caciaroni, se vogliamo, che se hanno da tossire tossiscono e chi se ne frega. Devo dire che il triestino è educato fino alla sofferenza, fino al masochismo, ma poi alla fine si scioglie e, per esempio, il pubblico di domenica che era fatto di ragazze dell’età di Alida Valli, erano delle “putee”, no? (ride)

RC: Sì… delle mule…

SLM: …alla fine erano commosse, applaudivano con un vigore, un’energia difficili anche da trovare in un pubblico, come dire, grande di età.

RC: Cosa si prova in quel momento? Sentire il pubblico acclamare, soprattutto applaudire come abbiamo visto…

SLM: Ti ripaga. Perché questo spettacolo è molto piacevole da fare, ma è anche una fatica bestiale. Io mi rendo conto che è sempre meglio che andare in banca, lavorare in teatro, non vorrei dire che è come zappare la terra. Però, durante tre ore, dare l’anima e il corpo, perché è uno spettacolo anche molto fisico come avete visto, soprattutto per me, che in tre ore manco dal palcoscenico circa un quarto d’ora, ma per il resto delle due ore e tre quarti ci sono sempre. E facendo azione, saltando, duellando, devo dire che dopo quelle tre ore di fatica fisica e mentale, l’applauso così fragoroso, così dirompente del pubblico ti ripaga di tutto, ti dà un attimo, quell’attimo di emozione, quell’attimo di poesia che ti fa vivere bene, meglio.

Riccardo Visintin (RV): Io mi associo naturalmente alla collega nel farle i complimenti. Io ho visto lo spettacolo venerdì sera, quindi il debutto, ed è stato uno spettacolo bellissimo, uno spettacolo direi sopra e sotto il palcoscenico. Ho apprezzato moltissimo, e credo che anche il pubblico abbia apprezzato questo escamotage, chiamiamolo così, di comparire a un certo punto in mezzo alla gente. Ed eravamo attenti, la persona che mi accompagnava e il sottoscritto, con un occhio a Sebastiano Lo Monaco, a questa performance assolutamente bellissima, e con l’altro occhio alle reazioni della gente che vedeva avvicinarsi i protagonisti. Allora questa è proprio una curiosità che viene da me, così da spettatore: quest’idea è stata vostra, sua e del regista?

SLM: Sì, è del regista, condivisa da me e quasi contenuta nel testo, perché la prima scena del Cyrano de Bergerac si svolge in un teatro. Quindi, abbiamo già ricostruito in palcoscenico un altro palcoscenico, e  siamo al teatro nel teatro, anche in questo testo. Patroni Griffi ha un passato di teatro nel teatro, avendo messo in scena proprio qui a Trieste la trilogia pirandelliana, lei era forse troppo ragazzo, perché era dieci-quindici anni fa…

RV: …sì, sì, li ho visti, li ho visti…

SLM: Quindi, noi diciamo “artisti di teatro”, tra virgolette, perché non mi sento un artista, tra virgolette, perché soprattutto qui nel nord chiamate la gente di teatro artisti,  noi ci portiamo sempre nei nostri lavori una parte del nostro percorso passato. Quindi, il teatro di Pirandello noi ce lo siamo portati anche un po’ in Rostand che non ha niente a che fare con Pirandello, ma questo sconfinare fra palcoscenico e platea, questo mischiare un pochino le carte che è un po’ del teatro del Novecento, noi lo abbiamo adottato anche in Rostand e lo abbiamo in qualche modo, non dico attualizzato, che è una parola brutta, ma lo abbiamo reso contemporaneo. Abbiamo fatto l’invettiva che Cyrano fa contro il potere, contro il compromesso, il “no grazie”, che in Francia è famoso come la romanza d’opera perché lo chiamano il monologo del “no, merci”: ecco io l’ho fatto in mezzo al pubblico e ha un valore molto più grande perché la gente viene coinvolta in questa idiosincrasia di Cyrano verso il potere, verso l’asservimento ai potenti d’allora, la non accettazione del compromesso fino alla povertà, fino a pagarne le estreme conseguenze. Detto in mezzo al pubblico è un pezzo assolutamente contemporaneo, come se fosse stato scritto oggi.

RV: Che fa il paio con questo bellissimo gioco linguistico, con un frammento di impressione positiva che ho avuto, cioè questa capacità, a parte di reinventarsi un linguaggio, come si può definire? partenopeo francesizzato?, in cui c’è un grandissimo senso dell’ironia.

SLM: Lei è un critico teatrale?

RV: No, amo il teatro, però…

SLM: Io Le auguro di diventare un critico dei maggiori quotidiani perché quando lo si ama con modestia e senza secondi fini. Quando si ha la pulizia e l’onestà di comprendere, di capire e di apprezzare il lavoro che si è fatto.

Devo dire che con Cyrano ho avuto dei consensi unanimi, ma nel critico di teatro in genere, questo che Lei ha notato come un fatto positivo, questo che è poi il portare il mio modo d’essere, il mio mondo interiore, il mio passato, il mio percorso eccetera, è un lusso che qualcuno mi rimprovera, ma che io mi permetto oggi, dopo ventitré anni di carriera e quarantuno anni di età: quello di utilizzare un italiano che non esiste, un italiano convenzionale che è quello poi solo del teatro, che si studia solo nelle accademie, quelle accentazioni e le vocali chiuse, ma io prendo tutto il mio bagaglio culturale, la mia nascita siciliana, le mie frequentazioni che lei ha notato partenopee che sono con Patroni Griffi o con Carlo Giuffré, con cui ho cominciato a lavorare, e Le porto in un personaggio guascone che appartiene al meridione della Francia.

RV: E infatti, se mi consente, sennò non glielo dico e mi fa piacere dirlo, ho apprezzato moltissimo, nella prima parte dello spettacolo, questo suo bellissimo momento in cui esemplifica i modi di dire, e quindi i modi di recitare, e c’è questo omaggio, per esempio possiamo dirlo, a Gassman che ho apprezzato moltissimo e che è piaciuto moltissimo al pubblico…

SLM: Sì, è stato apprezzato dal pubblico?

RV: Sì, almeno dal pubblico era presente alla serata in cui ero presente io. è bello, no? In qualche modo rappresenta anche una sorta, lo diceva all’inizio, di aggancio di teatro nel teatro, una scelta in qualche modo… Gassman non aveva fatto Cirano…

SLM: No, ma è come se l’avesse fatto. è un personaggio che stranamente Gassman non ha affrontato, ma è un personaggio talmente mattatoriale, talmente eclatante… Patroni Griffi durante le prove, quando vedeva che facevo un po’ fatica a sopportare il ruolo, ma poi credo di esserci riuscito, ma insomma durante le prove i duelli, le scene d’amore, la morte, il delirio, i tanti personaggi, perché ogni atto è un personaggio diverso, uno stato d’animo diverso, durante le prove Patroni Griffi diceva: “ti sei scelto un personaggio non enorme, ma ‘abnorme’, è disumano poterlo fare tutto Cirano, poterlo comprendere dentro di sé in un modo totale”. E mi fa piacere che a queste cose che io faccio con istinto e senza calcolo, mi creda, perché forse sono molto meno colto e più ignorante di quanto non possa sembrare da una lettura critica di quello che io poi do in scena, venga dato tutto questo valore. è un omaggio al teatro. Tutti quei dialetti usati, quei modi di dire i nasi, no? Rostand mi dà solo la possibilità di sfaccettare dodici, tredici modi di definire il naso di Cirano. E io per ogni modo ho trovato un modo teatrale possibile: l’accento siciliano, l’accento toscano eccetera, certi snobismi culturali sul vezzoso e poi ovviamente l’omaggio a Gassman che è il mattatore per eccellenza della storia del nostro teatro e Cirano non è altro che un mattatore, un personaggio mattatore.

RC: è un testo, dunque, questo di Rostand, che dà libertà all’attore di esprimersi, a differenza delle didascalie di Pirandello…

SLM: Credo di sì.

RV: Penso sia il suo grande amore.

SLM: Credo di sì. Pirandello ovviamente contiene più regia, come lei diceva, nelle didascalie: c’è già una regia…

RC: Lui quando scriveva metteva proprio: punto, virgola…

SLM: Benissimo. E il nostro grande Patroni Griffi dice di Pirandello che è facile per un regista fare Pirandello. Ha già scritto l’interpretazione, Pirandello, appunto nei punti, nelle virgole… basta rispettarli. è talmente un immenso teatrante che non si lasciava sfuggire nulla.

RC: Anche perché pensava di non essere capito in quel periodo, a differenza di Rostand naturalmente.

SLM: Per esempio, io sto preparando per la fine di questa stagione, e poi lo porterò in giro nella prossima, e speriamo di capitare anche a Trieste e che non passino altri vent’anni perché sennò vi arriva un vecchietto…

RC: La mettiamo su Chi l’ha visto?…

SLM: …l’Enrico IV di Pirandello. E sarebbe banale attualizzarlo, dato che è pazzo, trasportandolo in un manicomio, in un lettino d’ospedale, oggi… no! La regia di Enrico IV è talmente meravigliosa, talmente pronta… puoi farla bene, più o meno bene, ma noi abbiamo pensato, io e il regista, che sarà Roberto Guicciardini, che ha pure lui un passato con Trieste visto che ha fatto delle cose in passato con questo vostro Teatro Stabile, abbiamo pensato con un leggero arbitrio, ma ovviamente avvalorato dall’epoca, di mettere in questa sua reggia pseudo-medievale che gli hanno costruito intorno, un’orchestra che suona il tango, il tango argentino. Pirandello negli anni Venti era a Buenos Aires con le sue compagnie italiane. Da Buenos Aires ha scritto una lettera a Ruggero Ruggeri dicendo: “ho immaginato un personaggio molto adatto per lei: Enrico IV un giovane che cade da cavallo e resta chiuso pazzo eccetera”. Abbiamo pensato che Pirandello in quelle serate, siccome era un uomo abbastanza mondano, esiste una fotografia di Pirandello e Marlene Dietrich in un cabaret di Berlino, che è una cosa abbastanza bizzarra e insolita, dicevo che probabilmente a Buenos Aires frequentava dei caffè dove si ballava il tango, avrà sentito sicuramente questa musica. Lui era un uomo curioso, quella era una musica che allora nasceva e di conseguenza noi pensiamo che ne sarà stato in qualche modo colpito. E nel tango che cosa c’è? C’è malinconia, c’è depressione, ci sono amori non vissuti, ci sono amori strazianti. Non parla mai di felicità né di gioia, il tango, e l’Enrico IV è malinconia, è depressione, è una vita compressa, vent’anni di vita non vissuta perché chiuso in una stanza, un amore non vissuto, una vita privata che non è mai accaduta. E allora abbiamo fatto questo parallelo, ma poi per il resto ci saranno i costumi classici, una scenografia classica.

RC: Oggigiorno non si scrivono più lettere, si mandano messaggi via internet e io cercando Sebastiano Lo Monaco in internet ho trovato una bellissima lettera che lei deve aver scritto in occasione di “Questa sera si recita a soggetto”. Mi ha colpito e dice: “Ai miei vent’anni di palcoscenico, i risultati mi spingono a continuare, i risultati artistici, ma anche umani che hanno fatto nascere in me alcune considerazioni sia sulla funzione del teatro sia sui mestieri” e parla soprattutto dei giovani, di come il teatro potrebbe aiutare i giovani, mentre invece lo Stato sicuramente di questo…

SLM: Ma io sono uno di quelli. Nella mia primissima gioventù ho frequentato qualunque tipo di ambiente un po’ pericoloso, in una Sicilia che, da siciliano, non nascondo essere piena di contraddizioni e sfaccettature, patria di tutte le civiltà, patria della cultura contemporanea, duemila anni prima di Cristo da noi c’era il più grande teatro che sia mai stato scritto, cioè la tragedia greca. E oggi la Sicilia è una terra che conserva sicuramente quel grande bagaglio culturale, ma che poi ha anche quei disastri che si chiamano mafia, delinquenza eccetera, del resto, forse, come tanti altri paesi del mondo. Da noi tutto questo è stato messo un po’ più in folklore, in letteratura e anch’io potevo essere un giovane a rischio di delinquenza o di contaminazioni mafiose. La passione giovanile per il teatro, la freschezza di frequentazione — ho cominciato a frequentare il teatro credo ancora alle elementari, lei si immagini — il Teatro Greco di Siracusa, il liceo classico, un certo tipo di studi mi hanno attratto verso un mondo che sicuramente ti allontana da altri pericoli.

RV: Storicizzando un po’ una carriera, Sebastiano Lo Monaco, e quindi usciamo un attimo dall’ambito del Cirano, che peraltro è un ambito felicissimo, stavo leggendo stamattina una serie di esperienze iniziali di non poco conto, con Enrico Maria Salerno, Lupa nel 1979, nel 1980 con Salvo Randone, l’Edipo, poi con Paola Borboni…

SLM: …sei stagioni con Paola Borboni e tre stagioni con Alida Valli, che è una vostra quasi concittadina, ed è stato scritto addirittura un testo che porta questo titolo: “Quando Alida Valli iera una putea”…

RV: E quindi una domanda più o meno scontata, un inizio proprio, come si può dire, “sulle stelle”…

SLM: Be’, relativamente. Tanti nomi grandissimi, ma io facevo proprio la vera gavetta, io facevo i piccoli ruoli, dicevo le tre battute, poi dieci, poi… ero in queste grandi compagini, ma…

RV: …no, la mia domanda però è un’altra, mi aggancio poi a questa, volevo dire: si parlava con il suo collega, Giulio Bosetti, che ho intervistato poco tempo fa, ospite a Trieste, della difficoltà di un, chiamiamolo così, rimpasto, di un ricambio, nel senso che questi tre grandi attori che abbiamo nominato, che lei conosce benissimo, meglio di me e cioè Borboni, Valli e Salerno, purtroppo non ci sono più, così come non c’è più in qualche modo la generazione dei Gassman, dei Giancarlo Sbragia, dei Gianni Santuccio, degli Alberto Lionello, dei tantissimi che ci hanno lasciato…

SLM: Dovrò fare tutto io, lo so…

RC: C’è invece la scena femminile…

RV: La mia domanda quindi è questa: lei è un giovane attore…

SLM: Grazie per il giovane.

RV: …che questa generazione l’ha vista, ci ha lavorato, l’ha frequentata, però si è affacciato o si sta affacciando da tanti anni a un teatro che va avanti, che guarda al 2000. Ci sono delle differenze secondo Sebastiano Lo Monaco? E la generazione di attori che ha la sua età, e quindi queste esperienze, questa gavetta, di cui parlava anche Gassman, pesantissima, come si rapporta a questa situazione?

SLM: è un discorso molto complesso, perché potremmo arrivare a parlare perfino di chi crede che fare l’attore sia svegliarsi, trovarsi davanti allo specchio dei begli occhi azzurri, partire e fare la fiction. Credono di essere attori… Non sono attori, sono dei prodotti di un mercato economico che non ha niente a che fare con l’essere attore. Ahimè! Mi vergogno a doverlo dire, ma Pietro Taricone sarà un uomo di successo e un uomo che farà molti soldi se questo è il metro, ma, ahimè!, non sarà mai un attore, anche se gli faranno fare di tutto.

RV: Spieghiamo chi è Pietro Taricone per chi magari non lo sa…

SLM: No, no, no! Ho fatto già male a nominarlo… Carmelo Bene è molto meglio di me, essendo egli un genio, non si fa prendere in castagna, quando gli hanno chiesto in un’intervista: “Lei che ne pensa del Grande Fratello?”, ha risposto: “Dica?”… non ha capito! O se ha fatto finta di non capire meglio ancora. Ci sono pochi attori che hanno frequentato quei grandi attori e soprattutto pochi che hanno avuto, come dire, la coscienza che era importante legarsi a un passato, a una cultura di un nostro teatro che era quella, per poterla fare continuare e sul passato si può fare e inserire una ricerca e cercare un percorso per un futuro, per una linea di teatro che ricerca e va avanti. Se non c’è il rispetto, la conoscenza, la considerazione e la frequentazione di una tradizione, non c’è il futuro. Ora io penso, devo dire con una piccola punta di immodestia che spero mi sia consentita, di fare la tradizione. Non voglio darmi arie di uno che porta avanti un discorso teatrale, perché io faccio, credo decorosamente, Pirandello, Rostand, Moliere eccetera e una volta mi è capitato di fare anche un contemporaneo, Mario Luzi, ma come vede è stato un episodio limitato. Ecco, io credo che su questa grossa linea di tradizione si possa inserire poi il ricercatore che propone il nuovo, ma non si può e non si deve cancellare completamente, tout court, la tradizione del teatro, perché ci siamo resi conto che Eschilo, Sofocle ed Euripide, ancora dei contemporanei e quindi vanno rappresentati così come oggi Pirandello parla al cuore, alla mente del contemporaneo molto di più di quanto non parlasse quando scriveva… Pirandello oggi ha un tale linguaggio, una tale energia, una tale forza linguistica e mentale perché entra nell’animo dello spettatore in due modi: sia dal punto di vista linguistico, perché è una lingua assolutamente originale, inventata da lui, un italiano che non esisteva, che non lo precedeva e poi c’è anche quello stato psicologico, psicanalitico, e lui non aveva molta dimestichezza con la psicanalisi che come sapete nasceva in quegli anni, però in qualche modo le sue frequentazioni tedesche, i suoi studi a Bonn, le sue frequentazioni berlinesi in qualche modo gli avranno fatto sentire questi nuovi modi di ricerca della malattia dell’anima. (… …)Pirandello non è (fa)altro che (uno) scandagliare nella malattia dell’anima che , ahimè!, è talmente contemporanea: tutti siamo portatori di una malattia dell’anima, e allora ecco perché Pirandello arriva oggi prepotentemente. Chi non è malato?

RC: Possiamo dirle “alla prossima”?

SLM: Lo spero… qui a Trieste mi augurerei. Spero che possa diventare una piacevole abitudine… tra l’altro so che la prossima stagione forse sarà pronto “Il Rossetti”… mi piacerebbe molto portare qui, per la prossima stagione, “Enrico IV”, sarà veramente… be’, se sarà bello o non sarà bello non posso dirlo, ma richiede veramente un grande impegno.

RV: Un’ultima domanda: nel suo carnet oltre al teatro c’è anche del cinema, ho scoperto, e della “fiction”…

SLM: Sì, sto lavorando di nuovo con un regista, Giacomo Battiato, che quindici anni fa mi aveva chiamato per lo sceneggiato “Vita di Benvenuto Cellini”, per di più in un piccolissimo ruolo. Ho fatto con lui “La Piovra 8”, che non è importante come esperienza in sé, ma perché ho lavorato ancora con un regista con cui mi trovo splendidamente. Io fatto delle cose al cinema del tipo “buona la prima”, dove non gliene frega niente perché devono marciare, spendono soldi.

Con Giacomo Battiato è stato diverso, e ho avuto persino la possibilità di riadattare alcune battute in siciliano, il mio dialetto.

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