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Omnia

Giuseppe Della Monica

Excursus sulla danza

Giorgia Gelsi (GG): Siamo in compagnia di Giuseppe Della Monica, che attualmente dirige il corpo di ballo del Teatro Verdi di Trieste, il teatro lirico, e che si è formato come ballerino nella scuola di Mara Fusco, da cui è uscito negli anni Ottanta. Nel 1983 è stato chiamato anche dalla compagnia Aterballetto di Amedeo Amodio, uno dei coreografi da cui è stato diretto — tutti coreografi di fama mondiale, tra cui anche Rudolf Nurejev — ed è stato impegnato in moltissime tournée in giro per il mondo. Innanzitutto, ora che dirigi il corpo di ballo del Teatro Verdi, riesci ancora a dedicarti all’attività di ballerino? Riesci a coniugare gli impegni da direttore di corpo di ballo, con quelli di ballerino?

Giuseppe Della Monica (GDM): Per quanto riguarda il ballo, ho smesso: purtroppo ho dovuto smettere perché dirigere una compagnia non è facile. Poi nella compagnia del Teatro Verdi ricopro anche la carica di professore di ballo, quindi tutte le mattine ho la classe, poi sono anche coreografo e direttore. Dunque, mi devo occupare della programmazione, dei ballerini, della classe giornaliera e ho quindi deciso di dare fine alla mia carriera di danzatore.

GG: Cosa ricordi con più piacere della tua carriera di ballerino?

GDM: Con più piacere ricordo l’allenamento quotidiano delle prove, e la sensazione che avevo col pubblico, la gioia che provavo quando vedevo il pubblico in sala.

GG: Ma come ti sei avvicinato alla danza?

GDM: Mi sono avvicinato alla danza per caso, per puro caso. Conoscevo un ragazzo che faceva il ballerino e che frequentava una scuola di danza, la scuola di danza Mara Fusco dove ho iniziato. Mi ha detto: guarda che in questo momento di uomini ballerini in Italia ce ne sono pochissimi, tu stai studiando a scuola, ti stai diplomando, non ti interesserebbe fare il ballerino? A me piaceva la danza, perché comunque in quegli anni — intorno al 1975 — la televisione, il cinema, offrivano tanto di danza, e mi piaceva proprio vedere i balletti in televisione. Non sapevo però cos’era la danza classica vera, lo studio della danza classica. Mi ha offerto di andare a vedere la scuola, e io sono andato. Mi ha offerto di andare assieme a delle ragazzine di dieci anni: io avevo diciotto anni, ero grande, e meno male che con me c’erano anche dei ragazzini di quindici, sedici anni. Ho iniziato la danza così, per puro caso, e visto che è una disciplina molto impegnativa ho dovuto lavorarci tantissimo. Finché, a ventidue anni, sono entrato nella compagnia più importante d’Italia, che era in quel momento l’Aterballetto.

GG: Bella soddisfazione! Ecco, hai ricordato gli inizi, gli esordi: com’è cambiata la danza in Italia da quella volta, se è cambiata?

GDM: è cambiata, è cambiata molto. Io sono andato via dall’Italia nell’89-90. Sono andato via dall’Italia, ho lasciato l’Aterballetto, e sono andato a lavorare con Jorge Donn in Francia. Dopodiché ho conosciuto Paolo Bortoluzzi, e ho continuato con lui. Quando sono ritornato, nel ‘94, cominciavo a fare i primi stage di danza, cioè davo lezioni in Italia, e ho trovato una situazione particolare, nel senso che tanti ballerini che conoscevo, bravissimi, non lavoravano. E mi sembrava una cosa strana, perché avevo lasciato l’Italia fiorente, c’era danza dappertutto, c’erano moltissime compagnie. E ho visto che in Italia tante compagnie avevano smesso perché non c’erano soldi. Quindi tutti quei gruppi che davano lavoro a tanti ballerini, erano chiusi, erano rimaste pochissime compagnie. Più siamo andati avanti, più è peggiorata la situazione: diciamo che è arrivato un periodo in cui non c’erano soldi e i lavori che si facevano non erano di qualità, quindi il pubblico ha un po’ abbandonato la danza. Anche i ballerini hanno abbandonato, e siamo arrivati al punto oggi che veramente lavorare è un privilegio. Quindi la situazione è abbastanza critica in Italia per la danza.

GG: Ma credi sia anche un problema di formazione degli insegnanti? Ci sono degli insegnanti validi in giro?

GDM: Prima erano più di qualità, erano insegnanti migliori: oggi trovo che siano pochissimi gli insegnanti bravi, però non è tanto questo, quanto la situazione culturale ed economica in Italia che non dà più spazio alla danza.

GG: Ma attualmente in Italia ci sono accademie che formano danzatori…

GDM: Sì, ce n’è una, quella di Roma, che è l’unica accademia di danza in Italia. Poi abbiamo la scuola del Teatro San Carlo e la scuola della Scala. E basta. Questo è tutto quello che c’è in Italia. In Francia, invece, ho trovato un’altra situazione: lì ogni città ha un suo conservatorio, che sarebbe come per noi una accademia di danza. Tutti possono quindi andare liberamente a studiare danza. In Italia ci sono tantissime scuole private, ma bisogna vedere che insegnanti ci sono, qual è il livello degli insegnanti.

GG: A proposito di questo: tu hai fatto delle tournée che ti hanno portato in giro per il mondo. Volevo chiederti cos’hai trovato di simile nella danza in tutto il mondo, se c’è un denominatore comune, e che cosa invece c’è di assolutamente strano e contraddittorio rispetto all’Italia.

GDM: Il denominatore comune è il pubblico, il pubblico è uguale dappertutto, è il giudice, sta là, non per giudicare, ma per vedere uno spettacolo buono. è quindi uguale a Tokyo, a Sidney, come è uguale in Africa e in Giordania. Quello di differente dall’Italia, è che sono popoli con cultura diversa, posso dire che sono un po’ più freddi di noi… Posso dire che l’Italia è la nazione che apprezzo di più e non perché sono nato qui, ma perché trovo che siano molto caldi. In Italia e in Argentina ho trovato la stessa situazione.

GG: Sempre continuando questo excursus sulla danza in Italia e non solo, come ti immagini il futuro della danza?

GDM: Come me lo immagino? Personalmente vorrei che fosse più roseo di adesso. Vorrei che ci fossero più fondazioni, più enti lirici, più istituzioni che danno lavoro ai ballerini. Vorrei che ci fosse una situazione economica che possa aiutare l’artista a mettere in piedi lo spettacolo. Non lo so se ci riusciremo, comunque con tanti amici direttori — perché ho amici al Teatro San Carlo, all’Arena di Verona, all’Aterballetto — discutiamo di queste cose, e siamo tutti sulla stessa età, più o meno, sui quarant’anni. Siamo un po’ il futuro delle nuove generazioni, delle nuove leve, perché siamo noi che adesso diamo lavoro ai ballerini. Stiamo lottando perché la danza torni in auge come negli anni Ottanta.

GG: I luoghi della danza quali sono, secondo te, al di là del teatro? Dove può esprimersi la danza?

GDM: Per strada. In strada, per esempio a New York, c’è moltissima danza. Solo vedere sulla 50a Strada la gente di colore camminare, il loro modo di camminare… A Napoli, poi, ho trovato tanta danza, teatro e danza: nei gesti, nei movimenti, quando parlano si esprimono col corpo…

GG: Un’ultima domanda: personalmente che progetti hai?

GDM: Personalmente ho intenzione di sviluppare il corpo di ballo. Ho fatto venire qua Amodeo Amodio, Luciano Cannito del Teatro San Carlo. Voglio avere altre collaborazioni, in modo che a Trieste il corpo di ballo triestino possa esprimersi col pubblico triestino, e non soltanto avere i Bolscjoi, Bejart… Questi sono i miei progetti.

GG: Benissimo, grazie.

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