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Cinema

Peter Loehr

Made in China

Martina Palaskov (MP): Come ci si trova ad essere un produttore occidentale in Cina (Peter è americano, ndr)?

Peter Loehr (PL): Credo sia strano, visto che sono l’unico. Ho vissuto in Asia per tredici anni, quindi credo di essere abituato alla società orientale. Il mercato cinese è molto diverso da tutti gli altri mercati cinematografici. Le vicissitudini attraverso le quali deve passare una pellicola per essere prodotta sono molte e gli ostacoli da superare sono innumerevoli. Il sistema di produzione è molto diverso.

MP: Perché proprio la Cina?

PL: Ho vissuto in Giappone per sei anni. Mi sono poi trasferito a Pechino perché preferisco il cinema cinese, mi affascina molto. Ho lavorato per una grossa casa di produzione giapponese, ma ho deciso di trasferirmi in Cina e avviare una mia attività personale.

MP: Ho letto in uno dei Suoi articoli, che essere produttore in Cina non è un lavoro facile. Il produttore deve anche fungere da distributore, poiché le grosse case di distribuzione cinesi sono diffidenti nei confronti di piccoli film indipendenti.

PL: Sì, credo che si tratti della più grande differenza tra il sistema distributivo cinese e quello del resto del mondo. Le case distribuzione sono poche e poco affidabili. Il produttore deve quindi far conoscere il film, e curare la parte pubblicitaria a proprie spese. Tu produttore diventi anche distributore. Il lavoro è tanto e purtroppo ci metti un sacco di tempo per portare a termine un progetto.

MP: Ho sentito che Lei deve farsi chilometri in treno, attraverso tutta la Cina, con il film sotto braccio per presentarlo nelle sale?

PL: Sì, è vero. In tutte le regioni e province della Cina, il distributore locale ha il monopolio delle pellicole e delle sale cinematografiche. Si tratta di affrontare un’opera di convincimento, molto dialettica. Devi recarti dal distributore, ma non solo. Le copie del film che ti porti in giro sono copie che ha pagato la tua casa di produzione. L’unica cosa che il distributore fa è quello di portare la copia in sala. Solitamente i contratti sono parecchi, e debbono essere stipulati con ogni singolo distributore, che va precedentemente convinto. Bisogna puntare molto sulla qualità del film e sulle potenzialità del film. La fase successiva riguarda le sale cinematografiche: anche in questo caso è necessario recarsi personalmente dal proprietario, che non ama parlare con il distributore. Dopo di ché bisogna mettere insieme il pacchetto promozionale del film, le conferenze stampa e la pubblicità e recarsi in tutte le città della regione per promuovere il film.

MP: Questo avviene solo per film indipendenti o capita anche a promozioni statali?

PL: No, i film richiesti e sponsorizzati dallo Stato sono amministrati direttamente dallo Stato. Questi film sono chiamati “documento a lettere rosse”. Tutti i distributori devono far circolare il film e cercare di fare del loro meglio per invogliare la gente ad andare a vederlo. Il procedimento è più semplice perché vengono utilizzati i mezzi statali. Mass media come la TV, le reti statali e i canali radio, giornali e riviste. Quindi le due operazioni sono molto diverse. I film statali sono film che definirei di propaganda. è più facile in questo modo. Inoltre, se possiedi un’azienda che produce film di questo genere sei avvantaggiato perché hai a disposizione biglietti gratuiti per i dipendenti, quindi riesci ad accaparrati una fetta di pubblico in più senza bisogno di promozione. Automaticamente acquisti un box office notevole. Sfortunatamente la gente non va mai a vedere quel tipo di film, prendono il biglietto e se ne vanno a casa. I film di propaganda non sono mai dei film eccezionali. Non c’è il problema di piazzare il film, perché il film è già piazzato, la strategia non esiste.

MP: Crede che le cose cambieranno quando la Cina entrerà nel WTO (World Trade Organisation)?

PL: Non so quanto il sistema interno cambierà. Di una cosa sono sicuro: ci saranno un sacco di film americani nelle sale. L’apertura a occidente incrementerà una maggior produzione di film occidentali per il mercato asiatico, non credo che le case di produzione americane produrranno film indie cinesi. Per esempio, la Warner ha un ufficio amministrativo a Roma, ma non lanciano certamente film italiani. Lo usano per distribuire pellicole americane nelle sale italiane. Credo che succederà così anche in Cina.

MP: Ha dei rimpianti?

PL: No, affatto.

MP: Crede che questo festival a Udine spossa dare una mano al cinema cinese?

PL: Penso che qualsiasi festival sia d’aiuto a un film come quelli che produco io, a basso budget. Questo è il quarto film che porto a Udine e mi sono trovato molto bene. Il festival è organizzato bene. Ho inoltre l’occasione di vedere un film con un pubblico diverso… riesco anche a rilassarmi.

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