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Arte

Carmelo Vranich

Gli interrogativi dell’arte

Corrado Premuda (CP): Carmelo Vranich, lei è un pittore di professione. Al nostro primo incontro mi ha detto subito che la pittura, l’arte in generale, è meglio guardarla che parlarne e io sono d’accordo su questo. Ma siccome lei vive di pittura, per lei la pittura è più un piacere personale, un lavoro, una necessità o un veicolo per comunicare qualcosa agli altri?

Carmelo Vranich (CV): Sono tutte queste quattro cose messe assieme. Naturalmente lo stimolo è primordiale, primitivo, ti prende e da quel momento non puoi più farne a meno. Io ho avuto la fortuna che questa voglia mi ha preso da giovane. Per cui l’ho vissuta quasi tutta la mia vita, tranne un brevissimo periodo, una pausa molto breve quando sono nati i miei figli, tra l’altro ero molto giovane: tuttora, a cinquant’otto anni, sono a tu per tu con l’arte e non so cosa farò, devo vedere ancora cosa farò da grande!

CP: Questo è bello perché vuol dire che non si è fermato.

CV: L’arte è una cosa che non ti dà mai la soddisfazione ultima. Ti lascia sempre degli interrogativi e questi interrogativi vanno risolti. Poi a un certo punto ne intervengono altri che attecchiscono e ti permettono di andare avanti nella tua ricerca.

Immagine articolo Fucine Mute

CP: I suoi quadri rappresentano una contemporaneità elevata a mito, penso al cormorano che esce dal petrolio visto come un’araba fenice, un’immagine che l’ha colpita molto. Ed è come una visione del mito classico in chiave surreale, un avvicinamento al mondo fantasy. Ecco: come si mescolano per lei attualità, mito e fantasia?

CV: L’arte e l’artista dovrebbero andare parallelamente ai loro tempi. Un buon artista sente questo, ha l’istinto suo del vivere in contemporaneità ai propri tempi. Il genio anticipa un po’ questi tempi. Però almeno un minimo bisogna essere inseriti nel tempo in cui si vive, in cui si opera.

CP: Però questa commistione col fantasy, con la fantasia, con il mito, è un retaggio suo di studi personali, d’interessi personali? Questa rievocazione del mito in chiave moderna o postmoderna…

CV: Sì certo, questa è una necessità, è una curiosità personale. L’arte è una disciplina, se così la vogliamo chiamare, molto individuale. Per cui si può interpretare la stessa problematica in maniera diversa da artisti diversi. Io la interpreto così, forse sarà per la mia formazione, per le mie curiosità precedenti o curiosità che non hanno a che vedere con l’arte figurativa in sé, però sono estrapolate da questa mia voglia di rendere visibile il mio pensiero. E il pensiero non è solamente uno, è un bagaglio interiore che l’arte ti permette di visualizzare.

CP: Lei si definisce autodidatta, però ha avuto rapporti col mondo artistico austro-tedesco, ad esempio con l’accademia di Salisburgo di stampo espressionista. Per lei serve un’accademia? Quali affinità ci sono tra lei e l’arte viennese, austriaca?

CV: C’è un’affinità molto forte perché io sono di qua (Trieste, Istria, ndr) per cui, sia da un punto di vista umano che da un punto di vista artistico, la mia influenza è del tipo mitteleuropeo. Per cui è fatale che sia stato influenzato, da giovane artista negli anni ‘60-70, dall’arte psichedelica che andava molto di moda sia in musica che nelle arti figurative e fa parte della generazione degli anni ‘60-70, come stimolo. E in questo sta la mia base fantastica. Invece, come linguaggio penso di essere stato influenzato proprio dalla mia stessa natura e dall’essere nato qua. Per cui è stato più naturale per me andare a fare dei corsi estivi a Salisburgo piuttosto che da un’altra parte dell’Italia perché conoscevo già la problematica. A un certo punto tutte le persone, artisti o no, vanno alla ricerca delle proprie origini. Io ho fatto questo, come essere umano e come artista.

CP: E dell’accademia come istituzione cosa ne pensa? Serve?

CV: Sì, serve molto per imparare le tecniche, imparare il linguaggio. Non serve se credi a ciascun maestro, a ciascun professore che ti trovi davanti. Se lui ti vuole insegnare l’arte questo non va bene. Se vuole insegnarti come visualizzare il tuo pensiero attraverso dei linguaggi, delle tecniche, allora questo serve.

CP: I suoi primi approcci con l’arte sono avvenuti a Venezia. In questi giorni si svolge la Biennale: per lei cos’è oggi la Biennale? Più mostra, più mercato, ha ancora una funzione, è solo spettacolo?

CV: Venezia da quel punto di vista è sempre stata divertente. Anche se è stata molto criticata, ci sono state delle tendenze che hanno fatto scuola. Poi non me la sento di criticare fino in fondo una manifestazione come la Biennale perché… sì, uno può dire che ci sono delle cose estreme, come per la battuta di prima che il genio anticipa un po’ i tempi, fra questi che fanno delle cose estreme forse c’è qualcuno che effettivamente anticipa i tempi. E bisogna fare attenzione a questo tipo di cose in una manifestazione come la Biennale di Venezia.

CP: Lei tiene dei corsi di pittura per cui è anche un insegnante di pittura. Partendo da quello che mi ha detto, che non s’insegna l’arte, ma casomai la tecnica, cosa si sente di poter dare ai suoi allievi e che soddisfazione le dà insegnare?

CV: La soddisfazione me la danno loro. Perché quando vedo dei miglioramenti nel loro linguaggio, pur mantenendo le caratteristiche individuali loro (e io in queste non voglio interferire), per me è una grande soddisfazione. Naturalmente con l’esperienza che ho avuto in trent’anni di lavoro in diversi percorsi è chiaro che ho imparato delle tecniche abbastanza inusuali, e ai miei allievi, se ne hanno bisogno, cerco di comunicare questo linguaggio che magari a me non serve, ma io sono io e loro sono loro.

CP: Un tema che a me personalmente affascina è l’arte su commissione, la commissione ieri e oggi. Per Caravaggio, ad esempio, la commissione era uno stimolo. Spesso però si deve effettivamente raggiungere un compromesso. A lei che ha ricevuto delle commissioni importanti, penso al foyer del Museo di Mozart a Salisburgo, che tipo di commissioni affidano e come riesce a conciliare la sua intuizione, la sua idea, con le esigenze del committente?

Immagine articolo Fucine Mute

CV: Io penso che la commissione per un artista sia una cosa importante, a differenza di tanti colleghi miei che non sono tanto contenti. Io ho trovato stimoli nuovi, ho imparato queste tecniche che insegno ai miei allievi proprio con le commissioni. Io non sapevo usare dei materiali, le idee le avevo però per visualizzarle bisogna imparare modi nuovi per dipingere, per me è un’esperienza valida. Per cui anche per una questione pratica: anche se un artista non vende tanto i suoi quadri, lo dico per me che sono un pittore, sopravvive con i lavori su commissione e i suoi quadri se li tiene, li vende per un prezzo equo e non li svende!

CP: Una curiosità che ho: ad esempio, nel foyer del Museo di Mozart a Salisburgo le è stato indicato comunque un tema che lei doveva rappresentare o è stato libero di scegliere il soggetto?

CV: è stato presentato un progetto da un architetto amico mio. Non è il Museo di Mozart, ma è la casa dove abitava Mozart. Una parte è adibita a museo, una parte a ristorante. In questa divisione tra museo e ristorante è stato presentato un dipinto murale ispirato naturalmente alle sale blu del Settecento: io ho messo dentro elementi miei… peccato che non ho qui le fotografie…

CP: Quindi ha avuto qualche input, poi lei ha visto come realizzare la cosa…

Immagine articolo Fucine Mute

CV: Sì proprio così.

CP: Bene. Le nuove tecnologie, ad esempio videoclip o Internet, sono dei validi mezzi d’espressione? Possono essere utilizzati dall’arte per lei, devono entrare nel circuito dell’arte oppure no?

CV: Sì perché i tempi cambiano. Anch’io ho usato già nei ’70, i video, il bianco e nero, le diapositive a dissolvenza incrociata nel ’74-75, con due, tre, quattro proiettori, con commento musicale… è un supporto notevole.

CP: Però lei predilige pennelli, colori, mezzi tradizionali, vero?

CV: Eh, c’è un ritorno, dopo anni di sperimentazioni sono tornato al pennello, alla tela… con qualche difficoltà in qualche modo!

CP: E in tema di multimedialità, lei anni fa ha collaborato con il Festival del Film di Fantascienza, a cui sia “Fucine Mute” che “La Cappella Underground” sono particolarmente legati. Qual è stato il suo ruolo? Come si è trovato, qual è stata la sua esperienza?

CV: Con “La Cappella Underground” non ho avuto rapporti di lavoro. Invece, l’allora Azienda di Promozione Turistica di Trieste è stata la prima a organizzare un Festival di Fantascienza. Agli ultimi due o tre festival ho partecipato per il catalogo e per il manifesto. All’epoca il direttore era il dott. Stelio Rosolini e il presidente del consiglio d’amministrazione l’allora senatore Tombesi. Poi non so bene perché, verso l’inizio degli anni ’80 il festival non si è fatto più.

CP: Comunque la ricorda come un’esperienza positiva?

CV: Sì, come si diceva prima, tutte le cose fatte su commissione ti stimolano, ti fanno fare delle serie di lavori che precedentemente non verrebbero in mente!

Immagine articolo Fucine Mute

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