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Omnia

L’immaginazione, nonostante tutto

Mi sembra doveroso, introducendo il 4 di ottobre il numero di settembre, iniziare con le classiche scuse per un ritardo che, ad ogni modo, trova giustificazione nel tempo e nelle energie da tutti noi profuse per un Festival Internazionale della Fantascienza davvero ricco di soddisfazioni.

E se l’estratto dall’incontro con il pubblico di Neil Gaiman, accompagnato da Sergio Bonelli, Alfredo Castelli ed Enrico Fornaroli, costituisce solo un assaggio di tutto il materiale a seguire, non possiamo che annunciare un numero di ottobre (on line tra un paio di settimane) quanto mai ricco di sorprese ed esclusive.

A cominciare dalle interviste a Christiane Kubrick e Ian Harlan, rispettivamente moglie e cognato del maestro scomparso, ospiti a Trieste per la presentazione del documentario Stanley Kubrick: a Life in Pictures, ad opera dello stesso Harlan. Per proseguire poi con l’intervista a Neil Gaiman, che ho avuto l’onore e la fortuna di condurre (e vorrei ringraziare in modo particolare Lorenzo Bertuzzi), spero con merito, nonostante l’emozione – a detta di alcuni del tutto evidente: ma potrei giurare di non essere stato il solo – che ha preso il sopravvento su quell’aplomb professionale che ho cercato di mantenere, ma che in realtà avevo ormai lasciato a Venezia, al momento dell’incontro all’aeroporto con il comic-writer, verso il quale il mio approccio è stato talvolta quello del fan, prima che del giornalista e/o membro dell’organizzazione del Festival. Ma come farmene una colpa?

Tornando seri, il tema festivaliero si consoliderà con gli scritti dei nostri ospiti al convegno scientifico, e, di mese in mese, con la riproposizione dei loro interventi in video, analogamente alla forma con la quale gli studiosi dell’anno passato hanno accompagnato i lettori di Fucine Mute nei mesi scorsi.

Non voglio prolungarmi però in bilanci consuntivi o in manifesti programmatici della cui esposizione non ho pieno titolo; se lo vorrà, cederò volentieri la palla a Massimiliano Spanu in uno dei suoi prossimi interventi. Lascio solo uno spazio per esprimere la soddisfazione di tutti a conclusione della rassegna, per segnalare la notevole affluenza di pubblico al cinema, al convegno e alle due mostre (per tutti i dettagli il sito ufficiale www.sfx.it rimane a disposizione) che stimiamo attorno alle 18.500 persone, e per rivolgere le più sentite congratulazioni a Giovanni Boni, Lino Spadaro e al nostro Lorenzo Acquaviva per il successo ottenuto con “Zona 17”, coraggiosa e infine riuscitissima rivisitazione teatrale dello Stalker tarkovskiano. Segno che la science fiction è in grado di abbracciare le aree più vaste dell’immaginario nelle diverse manifestazioni con cui si può ad esso conferire forma ed espressione compiute.

Nel frattempo, lasciamoci traghettare in questo numero dal valido Carmine Amoroso, amico di recente acquisizione e collaboratore che ci auguriamo ci accompagni ancora per parecchi mesi. Se oggi presentiamo TAG 17, la sua prima prova da editore indipendente – in bocca al lupo, Carmine! -, tra due settimane leggerete il suo resoconto sulla mostra di Falconara, tra gli inediti di Hugo Pratt ed un’intervista a Franco Spiritelli, nome non certo nuovo agli appassionati di fumetti. A tal proposito, approfitto per ricordare che con Carmine divideremo uno stand a Romics, la manifestazione che si terrà alla Fiera di Roma dal 22 al 25 novembre 2001. Saremo allo stand 28, venite a trovarci! L’evento si preannuncia decisamente interessante, e la direzione di Luca Raffaelli dovrebbe costituire di per sé garanzia di successo, oltre che indice di qualità.

Non voglio commentare più di tanto, visto che pareri già sufficientemente lucidi sono stati espressi sulla questione, l’opportunità di far risorgere un apparentemente defunto Expocartoon e di darvi effettivamente luogo in concomitanza con Romics. Tale operazione non fa certo il bene del fumetto, che in questo momento non ha eccessivo bisogno di iniziative di ampia portata (in termini di dimensioni e di risorse, altra cosa è la qualità) poste in termini concorrenziali – quando non addirittura conflittuali -, soprattutto se il risultato consisterà nella peggiore delle ipotesi in una o due manifestazioni prive di editori, ospiti o distributori che avranno necessariamente operato una scelta forzata in rapporto alla loro partecipazione all’uno o all’altro evento. Ma mi fermo qui, pur a malincuore data la rilevanza dell’argomento, in quanto presentandomi a Romics – per giunta in un debutto assoluto di Fucine Mute ad una fiera – non voglio dare adito ad impressioni di malfidata parzialità. Ai nostri lettori la diatriba: non esitate a dirci la vostra.

A numero breve un editoriale in proporzione: spero che la conclusione non appaia fuori luogo, sia che la vediate inopportuna, sia che riteniate eccessivamente limitato lo spazio che ho inteso assegnare alla cosa. Non so, francamente, cosa il lettore ideale di Fucine Mute si attenda da noi quando l’attualità travalica prepotentemente i limiti dei tentativi di ricerca, dell’indagine conoscitiva, dell’ambito specifico di pertinenza della rivista. Non so, quindi, se rispetto ai fatti dell’11 settembre ci si attendesse da noi, se non una presa di posizione, almeno un segnale forte, una partecipazione più diretta. Se così fosse mi scuso e, in quanto estensore dell’editoriale, mi assumo tutte le responsabilità del caso.

Personalmente, tuttavia, possiedo solo un’opinione, una fra tante; ma, come credo la maggior parte di noi, non possiedo i mezzi per valutare la misura di un evento la cui tragicità oltrepassa, di primo acchito, le barriere dell’umana comprensione. Preferisco quindi fermarmi qui, alle stesse, non quantificabili sensazioni provate di fronte alla diretta televisiva e alle sue innumerevoli repliche, lasciando ad altri i commenti e le analisi del caso. Che ho ovviamente maturato nel corso di queste tre settimane, ma che ho tutta l’intenzione di mantenere entro la cerchia degli amici e dei collaboratori più stretti. Ritengo che a chi, come me, si occupa di questioni più gioiose, talvolta assolutamente e colpevolmente autoreferenziali, quali alcune forme dell’arte e della narrazione visiva (tralasciando, per ora, l’agghiacciante pensiero che, per involontariamente cinica deformazione professionale, si è rivolto al tragicamente profetico cavaliere oscuro milleriano), non resti altro che il momentaneo silenzio quale più autorevole forma di rispetto. Non che la cosa, di tanto in tanto, non mi faccia un po’ male.

“Nella mia solitudine ho visto cose chiarissime che non sono verità”. Con questo verso di Anton Machado, a me a tutt’oggi indecifrabile come la realtà di questi giorni, esprimo la mia inadeguatezza e vi do appuntamento per la metà di questo mese. Grazie nel frattempo a tutti coloro che, lettori compresi, mi consentono di occuparmi di cose ben più allegre. E chiudo qui, visto il confine fin troppo labile che intercorre tra l’accorato ed il patetico.

POSSO?

Mi permetto infine di utilizzare una minima porzione di questo spazio per motivi del tutto personali: ha lasciato Trieste Erika Tutzschky, la prima persona che a Fucine Mute ha dedicato una tesi di laurea, e con la quale ho condiviso occasionalmente, sebbene il più delle volte nell’ombra, alcune esperienze in seno alla rivista. In bocca al lupo, amore, ora che ti trovi nel cuore dell’Europa!

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