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Cinema

Kitano, Master of Puppets

Locandina di "Dolls", l'ultimo film di Kitano, presentato alla 59a mostra d'arte cinematografica di Venezia nel 2002Un personaggio eclettico come Takeshi Kitano è davvero difficilmente scovabile. Si può tranquillamente affermare che il regista nipponico più rappresentativo del momento abbia delle peculiarità artistiche e caratteriali che lo rendono compatibile con molteplici espressioni artistiche. Kitano infatti, ha dato prova di sapersi giostrare come attore, letterato, opinionista, giornalista, scrittore, comico televisivo e regista. Molti cineasti, direte voi, abbracciano interamente (molte) tutte le aree dello scibile culturale (ricordiamo con orgoglio nazionalistico il composito Nanni Moretti, il quale scrive, interpreta, dirige e proietta i suoi film… augurandoci che il fervore politico che lo ha colto all’improvviso ultimamente non limiti la sua dedizione artistica). Tuttavia, a differenza di Moretti, la cui arte e preparazione di messinscena, si sviluppa in maniera (prendiamo in prestito un termine squisitamente economico) verticale, Kitano preferisce svolgere il suo compito come fosse un’azienda moderna, ad assetto orizzontale; egli dirige il suo film, lo interpreta intensamente, poi però se ne stacca, optando per il genere comico, televisivo, dal quale si allontana eventualmente per darsi alla pittura.

Il Kitano che più ci interessa è il Kitano filmaker, narratore di storie del Giappone contemporaneo; uno stato colmo di contraddizioni ma tinto di intimismo metafisico che, a detta del regista, spinge i suoi personaggi verso una violenza sanguinosa.

Dopo aver vinto il Leone d’oro a Venezia nel 1997 con lo splendido Hana-bi, il Nostro si fa conoscere internazionalmente e quando il suo nome compare nel catalogo di altre rassegne cinematografiche, gl’addetti ai lavori affrontano volentieri la lunga fila per entrare in sala. Così accade alla 59a mostra d’arte cinematografica di Venezia, nel settembre del 2002, in occasione della proiezione dell’ultima fatica di Kitano, Dolls (Marionette, in italiano). La nostra analisi verterà soprattutto sulla comprensione e sulla descrizione artistica di Dolls, firmata K (sigla della casa di produzione del regista).

Matsumoto e Sakawa, i protagonisti della prima storia, interpretati Hidetoshi Nishijima e Miho KannoA grandi linee, la vicenda narra di tre diverse storie d’amore impossibile. La prima (la più affascinante forse e motivo conduttore del film) racconta dell’amore tra due giovani ragazzi giapponesi, costretti a separarsi poiché la famiglia di lui ha organizzato un matrimonio di convenienza con la figlia del suo ricco datore di lavoro; la seconda vede una pop star all’apice della sua carriera idolatrata da due fan. Solo uno dei due avrà la possibilità di incontrarla. La cantante, infatti, dopo un incidente automobilistico non desidera più essere vista da nessuno. Il fan Nukui farà l’impossibile per riuscire a stare accanto alla sua amata; e la terza, infine, la quale ci ricorda, forse, il Kitano che conosciamo, narra di un giovane lavoratore. Stufo di guadagnare troppo poco, egli decide di diventare un membro della yakuza giapponese. Ciò tuttavia lo obbliga ad abbandonare la donna amata, che, fiduciosa, lo aspetterà per tutta la vita seduta sulla panchina del parco dove quel giorno lui la lasciò. Kitano prende spunto dalla tradizione del teatro Bunraku (quello delle marionette, per intenderci) per sviluppare le tre vicende, inevitabilmente tinte del nero che preannuncia la morte certa.

Il Bunraku

Questa forma artistica nasce in Giappone nel periodo Hein (794-1185), ma si sviluppa nel diciassettesimo e diciottesimo secolo. Il Bunraku (nome moderno del teatro delle marionette joruri)è una tra le quattro forme artistiche teatrali della tradizione giapponese; le altre sono il kabuki, il noh e il kyogen. Nonostante l’uso delle marionette, il Bunraku non è un teatro per bambini. Infatti affronta delle tematiche che si sviluppano all’interno della cultura mercantile giapponese durante il periodo Edo (1600-1868). Inizialmente, l’argomento narrato attraverso le marionette era il poema epico militare Heike Monogatari. Appena nel 1703, il grande Chikamatsu, conosciuto anche come lo Shakespeare d’Oriente, trasforma la forma artistica in teatro domestico (sewamono). Partendo da un fatto di cronaca, il drammaturgo racconta della travagliata e sanguinosa storia d’amore adultero tra una cortigiana e un commesso. I due sono condizionati inevitabilmente dai rigidi costumi imposti dalla società del Sol Levante, che condanna la relazione tra i due a causa del conflitto tra i loro doveri sociali (giri). Quest’opera (I messi per l’inferno) divenne poi l’argomento principale del Bunraku.

Lo spettacolo Bunraku si svolge tramite la commistione di tre forme artistiche; il canto (katari-te, declamatori), la musica (tramite lo shamisen, chitarra giapponese a tre corde), e l’interpretazione dei burattini (ayatsuri-ningyo), manovrati da tre persone incappucciate e vestite di nero. Gli spettacoli Bunraku, nonostante il declino che hanno avuto rispetto alle altre espressioni teatrali, esistono ancora oggi. Il prologo dello splendido film di Takeshi mostra proprio una rappresentazione Bunraku al teatro nazionale di Tokyo.

Nonostante la cautela con cui Kitano ha deciso di avvicinarsi al Bunraku: egli, infatti sostiene di aver solamente ricevuto un’ispirazione dalle marionette, ma ci sono, a nostro avviso, molti punti in comune tra Dolls ed i burattini.

I vagabondi legati

Sottolineavamo prima come il regista ami la comicità e l’autoironia. Ciò non toglie che al giapponese piace prendere per i fondelli anche la stampa specializzata. Lui stesso, al Lido di Venezia, ha sostenuto di cambiare ogni volta la risposta, inventandone delle nuove, alle solite domande dei giornalisti curiosi. Matsumoto e Sawako (interpretati splendidamente dalle due star nipponiche Hidetoshi Nishijima e Miho Kanno) sono i protagonisti della storia trainante della pellicola. I due erano fidanzati ed avevano intenzione di sposarsi. Matsumoto cade vittima del cinismo che regola i matrimoni tra giovani ed accetta, dopo dure pressioni da parte della famiglia, di sposare la figlia del suo ricco datore di lavoro. Sawako, in perfetto stile giapponese, tenta il suicidio, ma viene salvata in tempo. Tuttavia, quando Matsumoto, venuto indirettamente a conoscenza dell’accaduto, abbandona le nozze per recarsi al ospedale, trova la donna in uno stato simile a quello di un vegetale. Colto dai sensi di colpa, egli decide di legarsi a lei per l’eternità; e lo fa fisicamente (cinge la donna con una grossa corda rossa alla sua vita per evitare che scappi, inconsapevole dei suoi gesti) sia metafisicamente (non l’abbandona mai, vagabondando per tutto i Giappone). Kitano, alla domanda, “come le è venuta in mente questa splendida immagine di due esseri umani legati assieme per tutta la vita?”, Beat, pseudonimo che il regista usa quando riveste i panni di attore o comico, risponde che ricorda di aver visto due personaggi strani, legati appunto, aggirarsi sotto casa sua, quand’era giovane… Sarà… Le risposte ed ispirazioni per un uomo di cultura possono essere molte, che non necessariamente abbiano a che fare con la tradizione esclusivamente orientale (vedi Paolo e Francesca). Lo stesso teatro bunraku offre un’interpretazione: quando, nell’ opera citata poc’anzi del giapponese Chikamatsu, i due amanti si recano nel bosco per porre fine alla loro vergognosa esistenza, sono legati assieme da una fusciacca, per essere belli durante la morte.

Il volto femminile

Il volto femminile in Dolls e nel Bunraku

Molto interessante è anche il lavoro pittorico che il regista propone per i volti, soprattutto femminili. I burattini Bunraku sono strutturati in maniera molto diversa a seconda del loro sesso e funzione sociale. Le marionette che rappresentano personaggi femminili hanno spesso volti statici, immobili, mentre i burattini ‘maschi’ hanno una varietà di corde e lacci legati agli occhi e alla bocca che permettono al burattinaio di modificare l’espressione del viso delle bambole.

I visi delle tre protagoniste del dramma di Kitano ricordano molto l’immobilità facciale del teatro dei burattini. Il più rappresentativo dei tre è il volto candido accompagnato da uno sguardo sempre assente di Sawako. Anche l’anziana donna che aspetta il suo amato nel parco, porta delle caratteristiche estetiche facciali tipiche del teatro e della tradizione orientale; il bianco candido della pelle del volto, il rosso fuoco delle labbra, i capelli raccolti…

La giovane pop star è forse l’unico personaggio che rappresenta la contemporaneità della società giapponese. Ricordiamo che i film di Kitano sono tutti affreschi che descrivono accuratamente il Giappone di oggi, e anzi più precisamente, la scelta temporale delle vicende dei personaggi di Takeshi, come sottolinea Michele Fadda in Epilogo: le forme dell’odio, saggio critico raccolto all’interno del volume Kitano ‘Beat’ Takeshi a cura del medesimo e Rinaldo Censi, ” non comprende il presente né il futuro, né nostalgia né speranza: solo la dimensione del presente prima della fine”. Oltre al fenomeno delle pop ‘starlettes’, tipico e ricalcato non solo in Oriente, ma fortemente presente anche in Europa e Stati Uniti, la vicenda sottolinea la determinazione guidata dall’amore che va ben oltre la mitomania patinata, del ragazzo. Quando abbiamo chiesto a Takeshi della determinazione che caratterizza i suoi personaggi e del fatto che questa peculiarità si inserisce bene nel contesto storico-culturale del Giappone, egli risponde: “provate ad immaginare se il sentimento trainante del film non fosse stato l’amore ma la religione…”

L’ambiente e i colori

Le quattro stagioni fanno da sfondo alla narrazione. La ciclicità dell’intreccio diegetico è data dai colori stagionali splendidamente fotografati da Katsumi Yanagijima. Solo la vicenda dei due vagabondi, tuttavia, suggerisce il passare del tempo. I due viaggiano lungo il Giappone e per un anno. Kitano non inserisce didascalie esplicative, ma lo spettatore osserva le distese di neve, i peschi in fiore, le rose rosse e comprende immediatamente la scansione cronologica di questo viaggio senza meta.

L’ambiente, nell’arte pittorica giapponese, ha da sempre avuto un ruolo centrale. Nonostante il forte influsso dell’arte cinese, sono rintracciabili alcune caratteristiche tipiche della pittura giapponese alle quali anche Kitano fa riferimento esplicito. Il rapporto tra ambiente e natura, ad esempio. L’ambiente, infatti, solitamente risulta un’estrinsecazione dei sentimenti e delle emozioni più profonde dell’uomo senza alcun bisogno d’idealizzazione, bensì tramite una forte concretizzazione dell’emozione. Lo spazio del racconto, in Dolls, è uno spazio isolato, quasi una dead zone in cui si muovono i personaggi. Non ci sono influenze esterne che impediscono ai personaggi di agire (i due vagabondi potrebbero, a lungo andare, essere adocchiati da uno specialista psichiatrico che nota nel loro comportamento qualcosa di strano); i fan che attendono la pop star all’uscita della sala prove, sono pochi, si comportano bene, attendono con pazienza l’uscita della cantante; le strade sono deserte, raramente passa un’autovettura, non c’è traffico (a Tokyo?). I costumi, magnificamente concepiti da Yohji Yamamoto e dotati di una chiccheria da ‘prét a porter’, rendono i personaggi privi di identificazione sociale. Non ci viene neanche in mente di dire “che ricchi!” poiché non è quello che ci suggerisce il filmaker. Egli sublima le marionette in un cosmo a parte. L’ambiente, dunque, mostra allo spettatore che i personaggi del film sono appunto dolls, bambole, marionette manovrate da un’istanza narrante invisibile (forse Kitano, dall’alto). Il riferimento più esplicito di questa doppia natura dei protagonisti è il finale del film. I due viandanti penzolano da una rupe, agganciati ad un sottile ramo sul dirupo. Il campo lungo è chiaramente artificiale e le bambole sono quelle del teatro Bunraku.

Kitano poi, ha voluto inserire una novità nel film; l’uso esagerato di colori di molte tonalità. Spesso tacciato di essere un regista blu, grigio e nero, egli colma i piani delle inquadrature di colori bellissimi e sfavillanti. “Ho voluto inserire questi colori per cambiare, per non essere sempre il regista del nero” confessa Kitano, “ma il mio colore preferito è il viola”.

La morte e la violenza

“Questo è il mio film più violento”, ribadisce Takeshi Kitano “poiché, mentre i personaggi dei miei film precedenti avevano la cosiddetta licenza d’uccidere (gangster, membri della yakuza, poliziotti), in Dolls i Miei sono persone non violente, che subiscono la violenza della narrazione”. Le vicende dei tre, infatti, finiscono tutte male, proprio quando la felicità stava per soddisfarli… finalmente; uno sconosciuto spara al boss della yakuza proprio quando egli si trova nel parco, il fan viene investito da una macchina mentre si trova sulla strada del ritorno, dopo il primo incontro con la cantante; e i due amanti legati si trovano all’improvviso vicini al precipizio.

I colori non impediscono alla critica di apporre ancora al regista l’epiteto di regista nero.

Tutte le immagini del film sono copyright di “Office-Kitano”

Dolls

Sceneggiatura:
Takeshi Kitano 
Fotografia: Katsumi Yanagijima
Scenografia: Norihiro Isoda
Montaggio: Takeshi Kitano
Suono: Senji Horiuchi Musica: Joe Hisaishi Costumi: Yohji Yamamoto
Interpreti: Miko Kanno (Sawako), Hidetoshi Nishijima (Matsumoto), Tatsuya Mihashi (Hiro, il boss), Chieko Matsubara (donna nel parco), Kyoko Fukada (Haruna, la pop star), Tsutomu Tageshige (Nukui, il fan),
Produttori: Masayuki Mori Takio Yoshida 
Produzione: Giappone Office Kitano Distribuzione internazionale: Celluloid Dreams 
Distribuzione italiana: Mikado
Anno di produzione: 2002 35 mm (1:1,85), colore, 113’ sonoro Dolby SRD Digital versione originale giapponese 
Stagione 2002-3

Fonte
www.cinefestival.it


Leggi l’intervista a Kitano su Fucine Mute Web Magazine.

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