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Musica

In forma di rosa

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Una premessa semiseria: è difficile che un disco dal titolo “In forma di rosa” non attragga la curiosità di una redazione che ha dedicato un numero speciale del suo webmagazine a Pier Paolo Pasolini.

La Sottosuono di Bari è nata con lo scopo iniziale di produrre Antonella “Rosapaeda” Di Domenico, dunque si presume che questo sia il fiore all’occhiello dell’etichetta, o quantomeno sia ciò che aiuti a comprendere meglio il tipo di musica che questa realtà indipendente è intenzionata a diffondere. Se si scorrono recensioni e interviste la definizione che compare più spesso è “world music”, e in ogni caso viene sottolineata la forte caratterizzazione mediterranea. Nell’album infatti vengono fuse diverse influenze etniche (arabe, spagnole, greche e balcaniche), inoltre la stessa lingua delle canzoni è una sorta di ibrido di vari dialetti del Meridione. è dunque apprezzabile vedere come Rosapaeda abbia progredito nel suo percorso artistico, fin dall’inizio aperto alla ricerca di sonorità di altri paesi, laddove ad esempio il reggae dei Different Stylee (il suo primo gruppo) incontrava i brani della tradizione mediterranea. Oggi, a dimostrazione dell’interesse per tutte le letture possibili della musica in levare, si è sfociati anche nel dub (il remix di “Ta Travudia”, ad opera del dj “The Rootsman), ed è proprio quest’ultimo l’episodio che più fa pensare del disco. Ne nasce infatti una riflessione sul grado di capacità critica di noi ascoltatori: è giusto osannare Thievery Corporation oppure Nitin Shawney per la fusione di elettronica più o meno “danzereccia” e musiche e strumenti asiatici, senza magari tenere conto di ciò che abbiamo in casa? La risposta è molto difficile, proprio perché bisognerebbe aver avuto la possibilità di approfondire la propria conoscenza di queste tradizioni per stabilire se ciò che si ha di fronte è una sapiente miscela o qualcosa di pacchiano. Proprio negli anni ’80 (che hanno visto esordire i Different Stylee) c’è stata ad esempio la moda delle percussioni africane, ma molti dei gruppi che se ne servivano lo facevano in maniera estremamente superficiale e opportunistica. Onestamente non sembra sia questo il caso di Rosapaeda: non risulterebbe difficile immaginare il passaggio di “Ta Travudia — The Rootsman remix” in qualche club di tendenza.

Un possibile paragone a livello di mentalità, e forse anche musicale, è quello coi salentini Sud Sound System, uno dei primi gruppi rap italiani. La similitudine sta nel fatto che entrambi i progetti hanno adottato stili come appunto il rap e il reggae senza copiare banalmente gli artisti di lingua inglese che per primi avevano portato avanti questi discorsi, bensì dando vita a un filone sincretico, piegando cioè qualcosa di “contemporaneo” alla lingua della tradizione popolare (le rime dei Sud Sound System sono infatti in dialetto). Un altro denominatore comune forse è la danza: i rappers pugliesi sono molto affascinati da quel tratto della loro cultura popolare che è stato proprio il punto di partenza di Rosapaeda per “Ta Travudia”: viene denominato “pizzico della tarantola”, e il motivo di tale fascinazione sta nella sua ripetitività, alla quale può essere agganciato il discorso del rap come litania, del dialetto come ritorno al primitivo, all’istintivo. è solo una supposizione, ma vi si può vedere la ricerca dell’irrazionalità nella musica propria delle culture antagoniste, di cui senza dubbio fanno parte i Sud Sound System, ma forse anche Antonella Di Domenico dell’epoca “Different Stylee”, quando pubblicava una fanzine dall’eloquente titolo “Rebel Soul”. A proposito di irrazionalità, ho letto un’intervista alla cantante nella quale afferma: “Ho visto, durante i miei concerti in Francia, gente piangere per dei brani di cui coglievano il sentimento e ne imparavano il ritornello pur senza conoscere la lingua. Ho maturato la convinzione che, al di là delle diversità culturali e geografiche, esiste un sentire profondo dell’animo che supera le appartenenze e si apre alle lingue ed ai suoni di chi soffre e ha bisogno di esorcizzare o diurlare il proprio dolore”. è proprio questa ricerca di essenzialità e di sentimenti primari a rendere così comunicativa la musica di Rosapaeda. Come nel caso di Giovanni Wurzburger, altra produzione della Sottosuono, quello che probabilmente è l’enorme sforzo compositivo di amalgama delle influenze, può anche venire ignorato o trascurato dall’ascoltatore, in favore di una sua adesione emotiva. Non è difficile infatti lasciarsi conquistare e ipnotizzare dai brani e dalla splendida voce di Antonella Di Domenico.

Forse è la quadratura del cerchio: grande ricerca e cultura musicale che non risultano fredde, calore e istinto che non per forza producono pezzi ottusi e tutti uguali.

Fucine Mute dà la possibilità ai suoi lettori di controllare di persona.

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