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Musica

MonumentuM

“Ad Nauseam”

I MonumentuM sono un progetto musicale che esiste dal 1987. Nel 1989 compare un demotape dal titolo “Musaeum Hermeticum” e nel 1995 vede la luce il loro primo album, “In Absentia Christi”. Grazie a questo disco, il gruppo guadagna la stima del pubblico e della critica, nonostante si tratti di un lavoro piuttosto difficile, in virtù della sua inclassificabilità in un genere preciso. Si è parlato a questo proposito di doom metal, di darkwave, di avanguardia. Fino al 2002, quando la band, in seguito a diversi cambi di formazione, pubblica “Ad Nauseam”, album nel quale è l’elettronica a giocare un ruolo fondamentale. Va detto però che ciò che resta e ciò che conta  (per tutti) è la personalità con cui le possibili influenze musicali vengono assorbite, filtrate e riproposte.
L’occasione dell’incontro con Fucine nasce sia dall’interesse per il gruppo stesso sia dalla collaborazione con Alessandro Bavari, l’artista che si è occupato dell’artwork di “Ad Nauseam”, al quale il webmagazine ha dedicato una galleria nello speciale “digital art” di dicembre. Si presenta così la possibilità di affrontare una delle tematiche care alla rivista, che è quella del rapporto tra musica e immagine, grazie a un confronto tra quanto dettoci da Roberto Mammarella, chitarrista e “perversione digitale” dei MonumentuM, e le considerazioni — che pubblicheremo presto — di Alessandro Bavari.

Fabrizio Garau (FG): Due album differenti, pubblicati a una considerevole distanza di tempo l’uno dall’altro. Il senso è che bisogna parlare solo quando si ha veramente qualcosa da dire?

Roberto Mammarella (RM): Direi di sì, anche se la nostra è una posizione un po’ facile per asserirlo: quando un gruppo ha le fattezze del progetto dalle attività sporadiche, quando il gruppo non è fonte di sopravvivenza. Ergo, dischi ogni 4-5 anni li possono fare solo i gruppi enormi o quelli piccolissimi. Gli U2 o i Pink Floyd possono permettersi di fare un album ogni 5 anni, tanto hanno di che magnare… noi pure, come loro: non devo far uscire un album per pagare l’affitto altrimenti sarebbero amari…
Mi rendo conto però che esistono anche situazioni diverse: gruppi di taglio medio/alto che ogni volta che attivano il trenino “album + tour” ci campano, se si fermano invece per tre anni sono trombati… Mi riferisco a gruppi che vendono anche solo 30-40.000 copie: hanno bisogno di suonare e quindi di frequenza e visibilità costante. In questo contesto è però difficile rilasciare un bel disco, diverso, con un senso, ogni 18 mesi… io perlomeno non ne conosco…

FG: MonumentuM ha ricevuto nuova linfa dall’elettronica e dalla creatività di chi solo di recente ne fa parte. Ascoltando “Ad Nauseam” e leggendo le recensioni, questo fatto emerge insieme alla consapevolezza che è rimasto qualcosa che tutti chiamano “monumentum sound”, senza riuscire a descriverlo però. Tu sei il trait d’union tra “In Absentia Christi” e l’oggi: che aggettivi useresti per questa descrizione?

RM: Non saprei cosa rispondere. In realtà non c’è da parte mia la voglia esasperata di essere anarchici e inettichettabili. Anzi… la cosa ci dà dei problemi dal punto di vista prettamente commerciale. Il “monumentum sound” è un suono molto greve, pesante, anche quando il gruppo si sforza di fare brani più digeribili e luminosi. È un sound ereditato con conscia inconsapevolezza da tante esperienze, musicali e di vita. Non saprei davvero bene cosa risponderti: la chiave di lettura è puramente personale. Ritengo tuttavia che nemmeno noi abbiamo inventato nulla. “Ad Nauseam” a tratti è tutt’altro che un album ermetico o impossibile da decifrare. Dipende dai limiti della mente di colui che lo ascolta, né più né meno. C’è chi si angoscia ad immaginarsi perso nello spazio, c’è chi si angoscia ad immaginarsi su di un’isola di 100 metri quadri. Il finito è spaventoso quanto l’infinito se la nostra mente non lo concepisce; bando alla mia bassa filosofia, non c’è nulla di trascendentale in “Ad Nauseam”. Bisogna essere solo pronti ad ascoltare un album musicale creato per reazione di nausea verso la nostra stessa musica… Nessuna Redenzione.

FG: è sempre fastidioso e difficile parlare di influenze di altri artisti, anche se ho letto e pensato al progetto “Recoil” di Alan Wilder (ex Depeche Mode), aiutato dalla dichiarata ammirazione sul vostro sito (“He is God”).
Quello che mi ha molto colpito però, è che condividi con Wilder una sorta di attrazione/repulsione per i disastri aerei, alla quale viene dato sfogo in musica (“Black Box” per lui, “Angor Vacui” per te): cosa mi puoi raccontare in proposito?

RM: Ah ah! Be’, come Wilder anche io ho assistito a poche centinaia di metri alla caduta di un caccia militare… ma penso non sia questo il motivo che lega la nostra comune morbosità per le sciagure aeree… è una cosa di cui soffro da sempre, pur avendo preso l’aereo per necessità o “piacere” molte volte fino a qualche anno fa. Il problema serio è che speravo di esorcizzare questa cosa componendo e rilasciando dal mio sistema nervoso “angor vacui” ed invece, come spesso ripeto, la nostra musica per me è come il mare: mi restituisce sempre tutti gli orrori, le frustrazioni, le pene e i terribili ricordi anziché allontanarli. Quindi ora ho più paura di prima: non posso ascoltare Angor Vacui, non posso più prendere aerei, passo delle serate ad osservare aerei in fase di atterraggio (naturalmente ho DOVUTO cercar casa nei pressi dell’aeroporto!!!) cercando con lo sguardo un segno d’avaria…
E la cosa non mi diverte… comunque, Wilder/Recoil si diceva… lui ha firmato le cose più belle dei Depeche, aldilà del fatto che i brani siano tutti paternizzati da Martin Gore. La sua maestria in campo elettronico è ineguagliabile.

FG: L’interpretazione di Andrea Stefanelli, una sorta di “tensione nervosa” creata e indotta dai sample, il testo che sembra scritto da Rimbaud o da Campana, sono gli elementi che mi hanno fatto tornare spesso su “Perché il mio amore”, cover di Faust’O (Fausto Rossi). Lo senti particolarmente tuo? È anche un modo di attrarre l’attenzione dei vostri fan su qualcuno che in qualche modo si trova al di fuori del loro campo visivo?

RM: Sì. E vicendevolmente attirare la curiosità di qualcuno che conosce Fausto su di noi.

Il brano lo sento molto mio, l’originale intendo. Non ho mai dato importanza ai testi nei gruppi che ascolto o fanatizzavo. Per esempio gli stessi Depeche Mode, grandiosi e per me assoluti, malgrado testi a dir poco imbarazzanti e patetici. Ma questo brano di Fausto Rossi è davvero “fiato di mia bocca”… parole che lui “ha scritto per me”.

FG: Un album che comunica disillusione, desolazione. Come Fausto Rossi anche voi lasciate “fogli scritti nel silenzio per trovare un po’ di pace”?

RM: Esattamente. Questa pace non è arrivata comunque. Al momento provo solo il classico relax post rapporto sessuale, ma la preoccupazione che tra cinque minuti dovrò rivestirmi ed uscire mi rovina anche questo momento.

FG: Cosa ti ha dato a livello umano e artistico la collaborazione con Alessandro Bavari per l’artwork del disco?

RM: A livello artistico, tanto. Non conoscevo Alessandro, quasi per caso mi sono trovato nel suo sito ed ho bussato alla porta. Solo dopo ho scoperto quanto il suo lavoro fosse rispettato ed apprezzato, il profilo di cui gode ecc, per cui mi sono lucidato un po’ le piume anche io di luce riflessa… eh eh. Dal punto di vista umano ci siamo obbligatoriamente fermati all’approccio e frequentazione virtuale (e-mail generation!), la logistica avversa non ci consente al momento un incontro ed una frequentazione diversa. Ti posso solo dire che già attraverso qualche e-mail ho potuto intuire quanto profonda e interessante questa persona sicuramente è. Ne avessi la possibilità, credo parlerei con lui per delle ore…

FG: “Aula della Coprofilia” non è stata creata ad hoc per l’album, esisteva già e faceva parte di “Sodoma e Gomorra — Un reportage dalle città perdute”. Perché la tua/vostra scelta è caduta su questo particolare quadro, cosa ti/vi ha colpito?

RM: La cosa davvero strana è che tutti hanno posto una seria attenzione alla copertina. In tutte le interviste ho ricevuto la rituale domanda relativa alla copertina, cosa che non sempre succede ai gruppi. L’aula della Coprofilia è fondamentalmente simile ad Ad Nasuseam. Lo trovo retrò e futurista allo stesso tempo. Decadenza con eleganza.

Anche la Nausea ha una sua dignità ed ho dovuto vestirla bene per questo party…

FG: Sodoma e Gomorra spesso vengono associate al presente. Tu sei di Milano — una metropoli — e parte del tuo background musicale si può collegare a un contesto urbano (il dark, l’elettronica); in più in “Ad Nauseam” si può leggere

FOUNDER OF THE CITY
I AM CAIN
CIVILISATION WITHOUT PITY

A parte il fatto che anche qui c’è un riferimento biblico, ti chiedo qual è il tuo rapporto con la città.

RM: Fondamentalmente mi piace l’idea di essere un ratto metropolitano… anche se ultimamente ho ripiegato nella borghese provincia, 15 anni di Gratosoglio (sorta di Testaccio milanese!) hanno lasciato un segno… Non faccio molte apparizioni nei cosiddetti posti trendy o che hanno un qualche appeal artistico / musicale / alternativo. Non mi interessa. Adoro pero’ camminare per il centro di Milano dopo le dieci di sera. Diventa stupenda, mentre di giorno è da vomito. Sono anche molto affascinanti, in periferia, tutte le aree dismesse dell’ex grandeur industriale: immensi capannoni abbandonati da 20 anni ora fatiscenti e a pezzi.

Davanzali che si sgretolano, muri scrostati… altro che panettoni…

FG: Alessandro Bavari ha spiegato che fotografa tutto ovunque vada e poi lo riutilizza nei suoi lavori grazie al digitale: forse e per quello che sono così ricchi di immagini eterogenee e carichi di simbologia. Secondo te un simile modus operandi è paragonabile alla vostra ricerca di campionamenti e di suoni? Parleresti di estetica del frammento o, più in generale di qual è la tua opinione a proposito dell’impatto del digitale sull’arte e la musica?

RM: È vero, c’è una grande similitudine nel modus operandi in tal senso. Io campiono tutto e uso tutto… il povero Stefanelli è stato pure costretto a cantare “Distance” nell’interfono notturno di mio figlio…
“estetica del frammento”: esatto. Diciamo che nel mio caso c’è voluto molto tempo prima che riuscissi anche a dare a tutti i frammenti un senso compiuto. Ho passato qualche anno (1998/2000) a creare frammenti digitali che poi erano assolutamente non omogenei e incorrelabili, senza arrivare a capo di nulla. Insomma è come se Alessandro ad un certo punto si trovasse un archivio di 3000 foto senza mettere insieme una singola opera collettiva. Io invece avevo ore di campionamenti ma nemmeno una canzone pronta… speriamo ora di avere imboccato la strada giusta…

FG: Ho letto che utilizzi il latino perché lo trovi evocativo e pieno di immaginario. So che “Monumentum” nasce come tributo ai Celtic Frost, ma la parola deriva da “moneo”, che vuol dire “avvisare”, “ammonire”: secondo te, di che cosa ci avverte — anche indirettamente o involontariamente — Monumentum?

RM: Che nulla è indispensabile e che ogni cosa serve a poco. Che siamo nella generazione delle inconsistenze. L’aria è leggera e non leggiadra. Relazioni sociali, amori, vite, dischi si fanno e si dimenticano così, sovrappensiero.

Buona non esistenza a tutti.

Ad Nauseam

Roberto Mammarella: chitarre, digitale
Andrea Stefanelli: voce, digitale
Alis Francesca Bos: voce
Daniele Bovo: piano, chitarre 
Diego Danelli: basso
Andrea Bellucci: digitale e drum programming
Elisa Carrera: batteria


“Ad Nauseam” esce per Tatra Records


In Italia è distribuito da Audioglobe


Sito ufficiale


www.monumentum.it


Link relativi all’intervista


Alessandro Bavari:
sito ufficiale;
galleria su Fucine Mute


Recoil


Fausto Rossi

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