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Arte

Musica e immagine (III)

Capitolo 2. Il rapporto musica/immagine nel videoclip

2.1 Gli antenati più recenti del videoclip

Dopo aver passato in rassegna quelle scoperte che possono essere considerate dei lontani predecessori del videoclip (Tonbilder, Théatre optique), si esamineranno in questo paragrafo dei fenomeni più recenti che per alcune loro caratteristiche rivelano una stretta parentela con il video musicale, nonché quelle forme d’arte che possono avere in qualche modo influenzato l’oggetto di questa tesi.
Secondo Bruno di Marino157 sono essenzialmente tre i parenti più stretti del videoclip: i soundie, gli scopitone e le esibizioni di gruppi per gli show televisivi. Anche Domenico Baldini nel suo testo dedicato a MTV158 conferma questa tesi, approfondendo il funzionamento di questi “pre-videoclip”.
I soundie ebbero la loro massima diffusione fra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta in America: si trattava di film di circa tre minuti che mostravano performance musicali attraverso il cosiddetto panorama soundie. Questa sorta di videojuke box che si trovava nei night club riusciva a contenere fino a dieci soundie. Baldini ci ricorda che artisti come Nat “King” Cole e Louis Armstrong potevano fare affidamento su questi cortometraggi per diffondere i loro brani di successo abbinati a piccole storie che potevano essere o meno associate al brano. Notiamo quindi una profonda parentela con il videoclip, non solo per l’associazione di immagini a un brano musicale già esistente, ma anche per il fine promozionale che stava alla base dei soundie: anch’esso, come il videoclip, aveva lo scopo far conoscere il brano musicale al pubblico tramite un mezzo alternativo alla radio. Baldini prosegue mettendo in luce la causa del loro rapido declino: i notevoli problemi di fruizione. Lo schermo era infatti molto piccolo e spesso la proiezione non era sincrona, un effetto tanto più sgradevole quando il film avrebbe voluto riportare a una dimensione live.
Tramontato in America, il soundie fu riscoperto da una compagnia francese negli anni Sessanta che produsse una macchina molto simile, chiamata scopitone. Lo scopitone conteneva una canzone filmata, girata in technicolor e retroproiettata in 16 mm. Lanciati nel 1964, questi cortometraggi, interpretati soprattutto da star francesi, dopo un periodo di buona diffusione non solo in Francia ma anche in tutta Europa, conobbero presto il declino.
Le esibizioni di cantanti per gli show televisivi, infine, costituiscono un fenomeno che ha preso l’avvio negli anni Sessanta: si trattava di performance che avevano lo scopo di sopperire all’assenza del gruppo nello studio.

Secondo Baldini, la comparsa del formato videoclip è da situare in Inghilterra e risale alla metà degli anni Sessanta; più di preciso al 1963, quando ebbe inizio la beatlemania. Egli ci ricorda che in Europa la diffusione della “nuova” musica (il rock e il pop) non avveniva tramite le radio, in quanto la gestione e la regolazione dell’etere da parte dei governi aveva dato origine a un numero ristretto di emittente che non davano spazio alla programmazione di musica rock. Era la televisione il veicolo principale di trasmissione, «lo snodo centrale per introdurre il pubblico ad una nuova musica»159. Il pubblico cominciava a sentire in modo sempre più forte l’esigenza di vedere i propri idoli esibirsi in televisione, e richiedeva quindi di vederla soddisfatta. Le trasmissioni televisive che ospitavano i gruppi musicali per farli esibire davanti alle telecamere, però, dovettero presto affrontare il fatto che non sempre le band richieste, soprattutto quelle di maggior successo (fra tutti appunto i Beatles), potevano essere fisicamente presenti per esibirsi in studio. Le case discografiche cominciarono così a ovviare al problema inviando agli autori delle trasmissioni televisive dei brevi filmati che avevano come fine quello di sostituire l’assenza della band. Proprio per questo si trattava spesso di video che avevano come oggetto la performance del gruppo in playback, e che erano caratterizzati da riprese molto semplici160.
I Beatles possono essere considerati fondamentali nella storia del videoclip per aver dato un forte contributo all’aumento di interesse da parte delle reti televisive nei confronti della musica in televisione. Il gruppo inglese è stato senza dubbio uno fra i primi ad aver intuito le forti potenzialità del video come mezzo per promuovere un brano musicale. Come ci ricorda anche Di Marino161, il gruppo ha precorso l’invenzione del videoclip producendo un ampio numero di brevi filmati, destinati alla fruizione televisiva, che sono riusciti a distinguersi dagli altri per la creatività e l’originalità che li ha contraddistinti (si pensi a Strawberry Fields e a Penny Lane). Non solo, ma sono stati i primi a comprendere che il video poteva offrire un terreno fertile per sviluppare un immaginario fortemente onirico e fantastico, e a sfruttare questa caratteristica per la realizzazione dei propri promos e lungometraggi (fra questi ultimi ricordiamo Help!, 1965, e Hard Day’s Night, 1964, di Richard Lester, e Yellow Submarine — 1968 — di George Dunning)162. Nei loro lungometraggi i Beatles partivano sempre dalla musica: «il canto stesso offre l’occasione per la composizione, sia nelle inquadrature sia nelle sequenze, di immagini di grande sensibilità cinematografica. (…) La musica come protagonista, come specifico cinematografico, grazie e Richard Lester»163.

Queen, Bohemian RhapsodyI video che circolarono fino al 1975 furono comunque numericamente esigui ed ebbero come oggetto esclusivo la performance del gruppo; oltre ai Beatles possiamo citare i Rolling Stones, gli Who e David Bowie. Si è citato il 1975 poiché in questo anno i Queen realizzarono Bohemian Rhapsody: il video destinato ad accompagnare il brano musicale è considerato da molti il primo videoclip nel senso proprio del termine. Per la prima volta si investì una forte cifra per la realizzazione di un video, e la parte visiva non si limitò a una performance ripresa in modo semplice. Il video è citato da Baldini, il quale descrive come il regista Bruce Gowers, prendendo ispirazione dagli effetti di voce all’intero del brano musicale introdusse degli effetti visivi innovativi per un video (primi piani effettuati col prisma). Baldini ci ricorda come il brano, entrato in classifica al numero 30, dopo una settimana di trasmissione a Top of The Pops (il più importante programma musicale della Bbc) entrò nella Top Five per restarci dodici settimane164. Il successo del pezzo spinse un sempre maggior numero di case discografiche a realizzare questi video promozionali che inizialmente erano appunto denominati promo clips. Si può quindi notare che sin dalla sua nascita il videoclip è stato associato strettamente alla pubblicità e alla possibilità di incrementare ulteriormente le vendite del brano musicale.
Lo stesso brano musicale è ricordato anche da Sibilla, il quale, riportando nel suo testo i vari tentativi di fissare una data di nascita del videoclip, cita anch’egli Bohemian Rhapsody come un possibile primo videoclip, in quanto in esso si ebbe il primo tentativo di visualizzazione di ritmi e parole, al di là della semplice performance. Ma come ci ricorda Sibilla, in effetti non vi è una data precisa che sancisca ufficialmente la nascita del videoclip propriamente inteso. Anch’egli cita come esempi i video realizzati dai Beatles e gli scopitones tra le ipotesi di videoclip in nuce.

David Bowie, Heroes

Secondo Sibilla, però, più che tentare di scoprire il videoclip che è nato per primo, è produttivo ricercare le origini del video all’interno di un nuovo contesto economico, di una nuova situazione che si era andata creando fra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta165. Come è stato sopra ricordato, è grazie ai forti investimenti delle case discografiche che il videoclip, da fenomeno minoritario e poco conosciuto, si è espanso fino a diventare un elemento essenziale sul quale ogni artista che voglia farsi conoscere deve puntare. Ma le case discografiche non avrebbero investito se non fossero state sicure di trovare un terreno fertile. Come sottolinea anche Andrew Goodwin “I video musicali possono essere visti come un tentativo da parte dell’industria musicale di trovare un metodo più efficiente e funzionale per promuovere la musica pop internazionalmente. Deve anche essere visto nel contesto degli sviluppi relativi, come la sponsorizzazione delle industrie dei concerti pop (e gli spot tv e radio) e la crescita del merchandising pop (…). Un’ulteriore area di profitto è emersa nei video nati da performance dal vivo, distribuiti attraverso cassette, televisione via cavo e pay per view (…)”166. Non bisogna quindi ricercare una data precisa, ma conviene piuttosto parlare di una serie di cambiamenti nell’industria culturale musicale fra gli anni Settanta e Ottanta167 che hanno portato alla nascita del videoclip.
Nel 1981, da ultimo, è nata MTV, il canale che ha dedicato per primo il suo intero palinsesto alla messa in onda di video musicali. Con MTV, l’espansione dei videoclip ha ricevuto un’ulteriore e decisiva spinta, sancendo definitivamente l’entrata di questi “cortometraggi basati su una canzone” all’interno della cultura giovanile.

An american in Paris di Vincente MinnelliInfine, per quanto riguarda i fenomeni dai quali il videoclip ha attinto, si possono citare come esempi il disegno animato (e la rispettiva tecnica del mickeymousing168) e il cinema d’avanguardia169. A queste forme d’arte riteniamo si debba inoltre aggiungere il musical, importante anche per Di Marino, che sostiene sia “il modello determinante per la costituzione della grammatica videomusicale”170. Egli ricorda come questo genere abbia raggiunto la sua maturità negli anni Cinquanta con Vincente Minnelli e Stanley Donen, abbattendo qualsiasi tipo di divisione fra lo spazio del racconto e quello della performance musicale. Prosegue poi il suo discorso mettendo in luce l’interessante processo per il quale il momento coreografico è sempre stato vissuto in modo ambivalente dallo spettatore: questi percepisce gli stacchi musicali e danzati come contigui al flusso narrativo, e allo stesso tempo come decontestualizzabili dalla narrazione. Con il videoclip narrativo171 è come se questo segmento audiovisivo raggiungesse la sua piena autonomia; come se inglobasse dentro di sé un film172.
Per quanto riguarda invece il videoclip che non narra una storia, ma mostra l’esibizione, la performance dell’artista musicale, esso deve molto ai documentari rock tipici degli anni Settanta: Woodstock (1970, regia di Michael Wadleigh) è l’esempio più importante del genere. Esso inoltre presenta una novità rispetto agli altri rockumentary: non si limita a mostrare solamente le esibizioni dei cantanti, ma l’intero «universo Woodstock (…) giungendo anche a un modulo di riflessione linguistica come lo split screen (…) che da un lato si propone di contenere, frammentandola in tanti quadri nel quadro, la brulicante presenza “fisica” della gente, dei volti, della musica, e dall’altro riassume in toni sperimentali una sorta di caleidoscopìa del punto di vista, messo in comune e fatto rifrangere tra infinite angolature volte come a ricostituire un mosaico irripetibile di verità e sogno»173. Si è citato Woodstock come esempio, ma i film che documentano le esibizioni dei gruppi hanno tutti contribuito a creare il terreno sul quale si sarebbero basati in futuro i videoclip con le performance degli artisti.
Dopo aver passato rassegna i parenti più prossimi dell’oggetto di questo lavoro, nel paragrafo che segue si tenterà di spiegare in modo esauriente cosa sia il videoclip.

Massive Attack, Protection

2.2 Cos’è il “videoclip musicale”

Il videoclip è una tipologia di testo audiovisivo relativamente giovane (come si è detto, nasce nel periodo a cavallo tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta) costituito dalla congiunzione di due elementi: un brano musicale preso nella sua interezza e un insieme di immagini unite a esso. La durata del videoclip è normalmente sancita dalla lunghezza della traccia musicale.
L’uso del termine “testo” non è risultato di una scelta casuale, poiché esso racchiude «nella sua stessa definizione la presenza di chi è incaricato di accogliere le immagini e i suoni»174: quella dello spettatore. Una presenza che in questo lavoro rivestirà una grande importanza, poiché verrà considerata come assolutamente necessaria per dare letteralmente vita e significato al videoclip. «Guardando il film lo aiuto a nascere, lo aiuto a vivere, perché è in me che vivrà e perché è fatto per questo: per esser guardato, cioè per non poter esistere se non sotto lo sguardo»: queste le parole di Christian Metz175. Se trasferiamo queste parole al videoclip, e agli elementi dai quali è costituito, si può considerare che il brano musicale esiste già sotto l’ascolto; i videoclip fanno in modo che la musica esista e possa esser fruita anche con lo sguardo: essa viene circondata da immagini. I videoclip, quindi, sono fatti per essere ascoltati e guardati, «per non poter esistere se non sotto lo sguardo e l’ascolto».
In questo senso il videoclip consente (e può esser considerato esso stesso) un modo nuovo, più ampio e ormai istituzionalizzato di fruire la musica: il destinatario non prende più contatto con il brano musicale attraverso il solo senso “auditivo” (e di conseguenza attraverso i media che coinvolgono solo questo senso), ma anche attraverso il senso visivo (di conseguenza attraverso media che coinvolgono, in aggiunta al senso uditivo, quello visivo): per questo si è definito il videoclip testo “audiovisivo”. Le immagini che accompagnano la traccia musicale, infatti, permettono a quest’ultima di mostrarsi, di “darsi a vedere”176, oltre che farsi sentire; di diventare musica per gli occhi oltre che per le orecchie177. Le immagini quindi costituiscono un valore aggiunto rispetto alla musica, la quale «bastava già a se stessa»178.

Massive Attack, Protection

La musica infatti, può nascere e vivere autonomamente, in modo indipendente — anche senza l’aggiunta delle immagini del videoclip nel quale è come se fosse, in un certo senso, immersa. Si ha un videoclip (e questa è la definizione che si propone) nel momento in cui le immagini vanno a unirsi alla traccia musicale e, congiunte a essa, danno vita a un testo percepibile dallo spettatore come perfettamente integrato, in quanto “cosa unica”. In questo senso il videoclip è un “quid” in più rispetto al brano musicale, che esisteva già, e che poteva continuare a vivere indipendentemente da esso. Questa caratteristica, “essere qualcosa in più”, è la condizione più appropriata per tentare una descrizione della natura specifica del videoclip.
Il dato di partenza è la traccia musicale; tenendo costantemente questa come punto di riferimento, si può sostenere che rispetto a essa esistono due diversi modi tramite i quali le immagini possono creare e aggiungere un qualcosa di più, un surplus. È come se, per poter definire cos’è un videoclip, si dovesse seguire un percorso composto da due “stadi teorici”: essi sono anche le due forme distinte nelle quali il surplus può manifestarsi. Nel primo stadio, alla traccia musicale originaria vengono associate delle immagini: queste immagini possono già esser considerate come una prima forma di plus rispetto a ciò che esisteva inizialmente. Le immagini in se stesse, però, prese in considerazione da sole, e contrapposte alla musica, non costituiscono il videoclip. L’oggetto del nostro studio si rintraccerà superando questo primo stadio teorico e arrivando a quello successivo. In esso si rintraccerà la seconda forma nella quale il surplus può incarnarsi, e dove le immagini e il musicale sono considerate come un tutt’uno e formano un unicum, un oggetto dato dall’associazione di due elementi che messi assieme offrono qualcosa di più rispetto alla loro semplice somma. Qualcosa di ben diverso, quindi, non solo rispetto al brano musicale originario, ma anche rispetto alle immagini che gli sono associate, laddove vengano considerate in modo isolato e distinto. Il videoclip sarebbe, cioè, quel testo che nasce dal rapporto di interdipendenza fra musica e immagini, quell’oggetto unico formato da musica e immagini, tappa ultima di un processo creativo che ha la traccia musicale alla sua origine.

Massive Attack, Protection

Per fare un esempio: si parta dalla traccia musicale Protection dei Massive Attack. Un primo livello di surplus è dato dalle immagini (considerate in modo autonomo) che permettono alla traccia musicale di assumere dei connotati visivi. Un secondo livello di surplus è costituito da un unico oggetto: “il brano Protection più le immagini relative a Protection”. Si tratta di qualcosa di ben diverso dal solo Protection inteso come brano musicale sul quale si siano innestate le immagini che offrono spessore visivo al brano musicale. Le colonne audio e video vanno a integrarsi perfettamente, e danno vita a un unicum. Questo secondo livello di “quid in più” è il videoclip.
Le considerazioni esposte contribuiscono a evidenziare il fatto che il videoclip non deve essere considerato un semplice accostamento di immagini a della musica179.
Esistono altre accezioni di significato del termine surplus applicato al videoclip, per esempio in ambito economico (surplus inteso in chiave economica, quantificabile materialmente: il videoclip è in questo caso un mezzo tramite il quale aumentare la domanda nei confronti dell’offerta) e pubblicitario (in questo caso il videoclip è un mezzo creato per attirare maggiormente l’attenzione del target nei confronti del brano musicale, al fine di far aumentare le vendite del disco o del cd), oltre (cosa più pertinente ai fini di questa ricerca) all’accezione derivante da un’analisi del testo dal punto di vista della comunicazione audiovisiva, come è stato sopra esposto.
Ma perché si decide di ricercare e approntare un nuovo supporto atto alla fruizione della musica? Perché si è deciso di “aggiungere” delle immagini alla traccia musicale? Per due motivi principali, il primo dei quali è da ricollegare al periodo storico nel quale i videoclip sono nati.

In primo luogo, dunque, va fatta la legittima considerazione che i videoclip sono nati (non a caso) negli ultimi vent’anni, in un periodo nel quale non è concepibile per un qualsiasi prodotto multimediale l’assenza di immagini. Fausto Colombo, a questo proposito, parla di “spazi vuoti”, da colmare costantemente180. In quest’ottica l’esigenza di supportare il sonoro con il visivo deve essere considerata comprensibile e necessaria, soprattutto se si pensa che i videoclip sono indirizzati ai giovani nati dagli anni Settanta in poi — coloro che appartengono alle cosiddette videogenerazioni181 — cresciuti con e nell’immagine, della quale non riescono a fare a meno. È in quest’ottica che il videoclip deve essere considerato un’ulteriore opportunità di fruizione data alla musica.
È interessante rilevare come questa esigenza di immagini si sia fatta sentire anche in ambiti diversi rispetto a quello relativo ai videoclip: per dare un esempio, si pensi al numero crescente di gruppi musicali che hanno scelto di supportare con immagini le proprie performance live: anche in questo ambito ciò che si vede contribuisce a creare un valore aggiuntivo a ciò che si sente. In certi casi ci si trova davanti a ben meditati e realizzati spettacoli multimediali, come nel caso dei concerti “Zoo Tv” e “Pop Mart Tour” degli U2182.
Secondariamente, è d’obbligo rilevare la natura promozionale dei videoclip: essi — in quanto opportunità di fruizione aggiunta data alla musica — offrono al brano musicale, nell’ordine, l’opportunità di: mostrarsi, farsi vedere, farsi conoscere, farsi apprezzare e, da ultimo (e questo è il fine della maggior parte dei videoclip), farsi vendere.
In quest’ottica, per quanto riguarda il destinatario al quale è diretto il videoclip, è preferibile parlare di target, piuttosto che di spettatore. In questo modo si sceglie di mettere in rilievo sin dall’inizio, e tenere costantemente presente, la natura promozionale e pubblicitaria insita in questi “microflussi audiovisivi”, e ciò anche nell’ambito di una ricerca che, come questa, si dedichi all’esplorazione dell’oggetto videoclip da un punto di vista linguistico e della comunicazione visiva. È necessario tener presente in modo costante il fatto che per mezzo del videoclip si intende promuovere un prodotto musicale, al fine di incrementarne le vendite. Dalla natura promozionale del videoclip derivano molte caratteristiche che gli sono proprie, e sulla base della promozione queste caratteristiche possono essere spiegate; primo fra tutte il modo nel quale il videoclip viene fatto.

Videoclip e computer graphics: GorillazSecondo l’ottica promozionale, il destinatario è considerato come un bersaglio, da colpire e conquistare attraverso strategie comunicative audiovisive che debbono attrarre l’attenzione del target specifico e mantenerla viva per tutta la durata del brano musicale: nel caso del videoclip saranno le immagini ad avere il compito di conquistare l’attenzione del destinatario. Da ciò deriva l’uso di tecnologie sofisticate, di effetti speciali, di Computer Graphics, di movimenti particolari della macchina da presa, di trovate nuove e trucchi visivi innovativi e sperimentali che fungano da aggancio per l’occhio del target. Può essere interessante, a riprova di questa considerazione, rilevare il fatto che i videoclip da trasmettere su MTV vengano spesso visionati senza audio: è un’ulteriore riprova della importanza assoluta data alle immagini, alle quali è affidato il compito di stimolare l’attenzione del target183. La conferma all’importanza delle immagini si può trovare anche in una frase (che a chi scrive sembra avere uno scopo provocatorio) del giornalista Stefano Pistolini: «Il modo puro per guardare MTV è con il volume azzerato. Così si esclude la musica (che — nonostante il nome sia l’abbreviazione di Music Television — non è la sua vera materia prima) e si tengono le immagini e il montaggio, che sono il vero distillato stilistico»184.
Il videoclip dovrà inoltre essere costruito in modo da tenere occupato l’occhio di uno spettatore “particolare”, abituato ad affrontare un bombardamento continuo di immagini (non solo nel contesto televisivo), dovrà riuscire a attirare su di sé uno sguardo oramai assuefatto al flusso continuo di immagini. Partendo da questa considerazione sarà più semplice dunque capire l’uso di strategie visive sperimentali e innovative rispetto a quanto si è abituati a vedere al cinema. Paragonando infatti le tecniche usate in ambito cinematografico a quelle impiegate per creare dei videoclip, si può notare il modo diverso attraverso il quale sono confezionati questi “microflussi audiovisivi” i quali, a causa della loro natura promozionale, per la natura del loro supporto ma anche per la durata molto breve, tendono a sperimentare molto più ampiamente a livello di tecniche di regia e di montaggio185. Ciò che è importante è “riempire” e soddisfare appieno gli occhi degli spettatori. Questa esigenza porterà a dare la massima importanza al contatto da stabilire con il destinatario, a considerare come primaria la funzione fatica, molte volte a scapito di quella espressiva186.
I media tramite i quali la musica si può dare a vedere — per mezzo del videoclip — sono vari.
Il testo videoclip è stato originariamente e principalmente concepito per essere fruito tramite il mezzo televisivo, ma i canali alternativi si stanno espandendo e le occasioni di fruizione sono aumentate: consideriamo per esempio le potenzialità offerte da Internet, dai dvd, dai cd-rom e dalle videocassette(187).

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