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Scrittura

L’importanza di chiamarsi John, con un doppio Furore (I)

Steinbeck, Ford e due loro capolavori: il romanzo e il film

Breve introduzione

Ritratto giovanile di John SteinbeckNell’estate del 1940, dopo un ben noto proclama che usciva da un altrettanto ben noto balcone di Piazza Venezia a Roma, l’Italia entrava in guerra alleandosi all’Asse.

Avevamo appena finito il liceo, ma è meglio dire che ci avevano chiuso il liceo dietro le spalle dopo averci messo in mano un attestato di promozione politica, senza il minimo esame di maturità. Ma la nostra “cena de matura” fu comunque d’obbligo, secondo tradizione.

Noi ragazzi “americanofili”, come dice Tullio Kezich in un suo articolo del “Corriere” datato 8 febbraio ‘90 facendoci anche presente che dai giorni di quel proclama è passato mezzo secolo (oggi più di sessant’anni), vedemmo crescere la nostra americanofilia quando l’editore Bompiani pubblicava, proprio in quei mesi, un romanzo di John Steinbeck dal titolo “Furore”. Nel libro, il paese al quale avevamo appena dichiarato guerra si rivelava come una nostra seconda Patria, tenuto conto che quella vera si trovava temporaneamente occupata “dai gagliardetti”, cioè in pieno regime fascista, sempre secondo l’amabile arguzia di Kezich.

The Grapes of WrathMa non è tutto. Sempre nella (troppo!) lontana America, ancora nello stesso 1940, il famoso regista John Ford affidava alla “20.th Century Fox”, una delle Case di produzione più qualificate, la realizzazione d’uno dei suoi tanti film, anzi uno dei più conosciuti in tutto il mondo: “The Grapes of Wrath” (I grappoli dell’ira) tratto proprio dal romanzo di John Steinbeck che era uscito da poco, e del quale il cinema si era immediatamente impadronito. Da noi il suo titolo definitivo sarebbe rimasto “Furore”: in Italia lo vedemmo soltanto nel 1952, e spiegheremo più avanti il motivo di questo grande ritardo.


Tanti romanzi verso la fama

John Steinbeck era nato il 27 febbraio del 1902 a Salinas, una città del “Golden State”, come si chiama ancora oggi con un certo orgoglio la California.

Il padre era venuto dalla Florida, ma discendeva da una famiglia di ebrei tedeschi, i Grossteinbeck, un cognome che in America era stato giustamente abbreviato. La madre Olive Hamilton era di origine irlandese e in gioventù aveva fatto l’insegnante. Dei tre figli, John era il solo maschio.

Da ragazzo cominciò a distinguersi come scrittore dilettante, e leggeva le sue storie brevi agli amici che lo ascoltavano divertiti: collaborava anche al giornalino della scuola. In seguito mandò qualche suo scritto alle riviste, ma siccome non metteva mai i dati del mittente non venne mai pubblicato.

I primi cinque anni del 1920 li trascorse frequentando in modo discontinuo l’università di Stanford, e non volle nemmeno laurearsi: il suo scopo era vivere da scrittore e non da studioso. A Salinas aveva anche provato a fare diversi lavori, ma con scarsi risultati. A diciotto anni va a San Francisco e tenta di imbarcarsi per l’Oriente, ma lo rimandano a casa perché non è in regola coi documenti.

Come inizio, dunque, abbiamo alcune sviste e qualche delusione, ma rimane intatta la sua volontà di proseguire.

John Steinbeck: Cup of Gold (1929)Ha ventisette anni quando gli pubblicano il suo primo romanzo, “Cup of Gold” (La coppa doro, 1929), che sarà, tradotto in italiano, “La santa rossa”. È un romanzo storico—fantastico sul pirata Morgan del Seicento, mentre questa “Santa Roja” dei Caraibi è una splendida cortigiana amata invano dall’avventuriero. Un biografo di Steinbeck, di nome Warren French, fa un sottile confronto fra la delusione amorosa di Morgan e quella del “Grande Gatsby” di Scott fitzgerald.: lo spunto è interessante e meriterebbe approfondirlo.

Prima di giungere a “Furore” Steinbeck scriverà altri romanzi, tutti di notevole interesse. Ne parleremo brevemente, anche se per ciascuno di questi sarebbe utile una revisione molto più accurata.

Abbiamo appena detto di “Cup of Gold” e della sua storia d’amore infelice: e ora dobbiamo proseguire dando però la precedenza a qualche dato ulteriore su questo nostro primo “John”.

Nel 1930 Steinbeck sposa Carol Henning, una giovane appena conosciuta grazie ad un guasto della sua vecchia automobile. Ha pure delle difficoltà economiche, ma nella primavera del ‘32 riesce ugualmente a far pubblicare “I pascoli del cielo”, un insieme di dieci racconti dedicati a una splendida vallata californiana che ha questo nome, e collegati fra loro cronologicamente.

Subito dopo scrive e poi pubblica (1933) “Al Dio sconosciuto”, la storia triste d’una famiglia e del suo fatale disfacimento. Fra il ‘34 e il 35 gli muoiono i genitori, proprio nel periodo in cui è riuscito a far pubblicare uno dei suoi mig1iori romanzi, “Tortilla Flat” (Pian della Tortilla). È la storia tragicomica d’un gruppo di “paisanos” della California spagnola, e delle loro imprese da felici irresponsabili, al seguito d’un originale individuo di nome Danny.

Il libro ha un successo enorme: il pubblico va di proposito a Monterey in California per trovare questo luogo che è di pura fantasia. E la Paramount acquista subito i diritti cinematografici, pagando a Steinbeck una somma di quattromila dollari che lui corre in banca ad invertire in titoli sicuri.

Il 1936 è l’anno dei guadagni e del successo: si trasferisce con Carol a Los Gatos, una cittadina non lontana da Monterey, e pubblica “La Battaglia” (“In Dubious Battle”), un romanzo nel quale Steinbeck si allontana notevolmente dallo spirito di “Pian della Tortilla” per descrivere uno sciopero agricolo piuttosto serio, guidato da un giovane Jim Nolan che vi perde la vita, con il suo entusiasmo e i suoi ideali sociali.

John Steinbeck: Of Mice and Men (1937)“Uomini e topi” è del 1937, ed è considerato uno dei romanzi più originali di Steinbeck negli anni immediatamente precedenti a “Furore”. Nelle intenzioni dell’autore, dovrebbe aprire il periodo letterario delle sue “Play Novelettes”: un titolo che con quel diminutivo potrebbe far pensare a qualcosa di leggero e anche piacevole. Tutt’altro: questo temine si potrebbe tradurre come “brevi racconti da rappresentare”, tanto per rendere in qualche modo l’idea. In “Of Mice and Men” titolo inglese del nuovo romanzo, di leggero c’è ben poco; la storia è basata sul profondo legame d’amicizia fra George, giovane e volonteroso manovale di campagna, e Lennie, un gigante con un cervello da bambino, che lo segue e lo aiuta con la più devota energia fisica e il suo vuoto mentale. Trovano lavoro in una vasta fattoria, dove Lennie, inconsciamente brutale uccide, senza volerlo, la giovane moglie d’un altro lavorante. Ne consegue la fuga disperata dei due amici, e George si vedrà costretto a sparare su Lennie uccidendolo, prima che venga raggiunto dagli inseguitori che vogliono linciarlo. La tragedia avrà, in seguito :due versioni per il cinema. Nel 1938 viene pubblicato “La valle lunga”, un volume di racconti per l’editore Pascal Covici che ha già diffuso “Uomini e topi” con enorme successo.

Sono dieci racconti di vario genere , tutti interessanti e qualcuno molto originale, come “The Murder” che ha per protagonista una ragazza slava, o “Johnny l’orso” che ricorda un po’ il personaggio di “Uomini e topi”. C’è anche “The Red Pony” (Il cavallino rosso), che è composto a sua volta da vari episodi sulla evoluzione d’un ragazzo che scopre a sue spese i casi della vita.

Il 1939, l’anno di “Furore”

L’americano Peter Lisca ha pubblicato nel 1958, alcuni anni prima della scomparsa dell’interessato, una sua dettagliata biografia che è tuttora un classico: “The Wide World of John Steinbeck” (Il vasto mondo di J. S.). È il libro di testo per tutti coloro che vogliono essere ben informati su questa singolare figura della grande letteratura americana.

Tuttavia, parlando di “Furore” , vorrei cominciare con una citazione italiana. Un nostro studioso di cose d’America, Claudio Gorlier, nella sua “Storia della letteratura americana” del 1970 ci fa sapere che “Steinbeck è stato l’interprete più immediato d’una componente storicamente fondamentale della società americana, il contadino”. E poi definisce “Furore” un affresco di ampio respiro nel contesto d’un libro con delle ambizioni sociali.

Il titolo in inglese è “The Grapes of Wrath”, che tradotto letteralmente vuol dire “L’uva della collera”, e sembra che derivi da un vecchio inno di chiesa.

Immagine articolo Fucine Mute

“Furore” è la storia d’un viaggio, ma molto speciale: non turistico, non di avventure, non sentimentale. Forse sarebbe meglio definirlo un trasloco, o meglio ancora una fuga, che coinvolge una famiglia numerosa e povera dell’Oklahoma, diretta verso una meta poco conosciuta, nella speranza che qualcosa di migliore possa entrare nella loro vita di delusioni e miserie. Un viaggio verso una specie di fiabesco miraggio chiamato California, di cui sanno ben poco, salvo che è molto lontano, sulla riva del Pacifico.

Ma “Furore” è anche la conferma dell’enorme potere che hanno speranza e coraggio, i due fattori essenziali d’una impresa quasi pazzesca come questa.

Per di più, non sappiamo neppure se questo coraggio avrà un giusto premio e se potrà concludersi con un successo, perché non c’è “Happy End”: il romanzo termina lasciando il lettore in sospeso, legato anche lui alle speranze dei profughi.

Il gruppo degli “Okies” (soprannome di tutti gli abitanti dell’Oklahoma) che formano la famiglia Joad è composto di ben dodici membri che appartengono a varie generazioni, dai bambini fino agli anziani, buona gente di campagna che vive in uno Stato prevalentemente agricolo, nel centro-sud dell’Unione, con il Texas in alto e il Kansas in basso. Su loro incombe “The dust bowl”, la scatola di polvere, come viene chiamato uno strato di fine sabbia mosso dal vento durante una gravissima siccità che ha ormai ricoperto i loro fertili campi. E inoltre siamo nel periodo storico della “Grande depressione” economica, che cerca di affrontare il Presidente Delano Roosevelt con il suo programma detto “New Deal”, il nuovo sistema.

The Dust Bowl

Poco tempo prima è arrivato da lontano un altro componente dei Joad, di nome Tom, dimesso dal carcere dopo alcuni anni di prigione per un omicidio riconosciuto dai giudici come di “legittima difesa”. Su Tom farà affidamento tutto il gruppo, ma c’è anche sua madre, “Mà Joad”, una donna dolce, serena e straordinariamente energica, che sa provvedere a tutti: i vecchi, i bambini, una nuora incinta e i vari, altri figli che devono sopravvivere facendo ogni possibile mestiere. Erano tutti dei bravi contadini, e adesso, al posto della terra, c’è solo lo sterile “scatolone di polvere”, che vuol dire miseria.

Proseguendo la lettura del romanzo facciamo la conoscenza di altri personaggi che si sono aggregati al gruppo di famiglia. Qualcuno è veramente indimenticabile, come Casey il Predicatore, che afferma di aver smarrito la vocazione e che si unisce a questi Joad concedendo di malavoglia, se richiesto, qualche predica o benedizione. Poi c’è anche lo spiritato Muley, il primo personaggio che Tom, dirigendosi verso casa dopo la dimissione dal carcere, incontra rannicchiato come un topo nella sua tana, fra la terra sconvolta e il vento polveroso, ma felice perché il caro amico Tom Joad è “fuori”. E spiega che moglie e bambini sono già andati via in California, “perché qui non c’era più nulla da mangiare”. E lui è rimasto: “Non potevo, ecco tutto, c’era qualcosa che m’impediva, non potevo.”.


“Inter-capitoli” di Steinbeck e viaggio dei Joad

John Steinbeck riceve il Nobel, 1962 Di qualche altro componente del gruppo, e del loro avventuroso trasferimento verso l’Ovest, dovremo parlare ancora. Ma adesso è necessario segnalare ai lettori di “Furore” la particolare impostazione che Steinbeck ha voluto dare al suo romanzo, che ancora oggi viene giudicato come “il frutto migliore della sua maturità”.

Mi riferisco ad un accorgimento, che lo scrittore definisce “capitoli intercalati” o “inter-capitoli”: ogni 15-20 pagine (ma non c’è una regola) viene interrotto il flusso del racconto con dei pezzi molto brevi, una o poche pagine, che sono estranei alla vicenda in corso ma che, nella loro autonomia, ne chiariscono qualche particolare attraverso un paragone o magari esponendo qualche giudizio. E in qualche inter-capitolo, come quello felicissimo dedicato a una tartaruga, sembra quasi al lettore di sentire una parabola.

I preparativi per la partenza impegnano molte pagine. I Joad, mettendo insieme i loro pochi risparmi, hanno comperato un camion Hudson malandato e scricchiolante, una autentica “vecchia carretta” come si chiamano oggi le povere imbarcazioni dei profughi nel nostro mare. Comunque il veicolo funziona, e forse ce la farà fino al termine del lungo viaggio.

Vedremo in seguito, visionando le sequenze sullo schermo di John Ford, l’esatta sistemazione di tutto il gruppo a bordo del povero Hudson stracarico, ma possiamo anche anticipare alcune cose. Al volante c’è Al, il fratello più giovane di Tom, molto impegnato e responsabile: “Era diventato parte integrante della macchina” ci racconta Steinbeck, e ogni tanto si alterna con lo stesso Tom.

Furore: edizione del centenario di SteinbeckL’altro fratello Noah è un po’ sgraziato nel fisico (sembra che fosse nato da un parto anomalo), ma aiuta di buona lena. Rose, incinta, ha un posto al centro: parla pochissimo e non dà alcun fastidio. I vecchi sono tranquilli, Mamma Joad li tiene d’occhio: c’è solo il nonno che strepita perché non vuole andar via e vuole morire nella sua casa. Viene addormentato con una dose abbondante d’un calmante che prendono i bambini. I quali, naturalmente, vedono tutto il trambusto come un gioco molto piacevole.

Appena iniziato il viaggio il nonno cessa di agitarsi, e poi passa dal sonno al decesso: forse il sonnifero, forse la grave agitazione precedente, o entrambe le cose. Non sono possibili né il funerale né la tomba, il denaro è strettamente contato: viene scavata la fossa un po’ discosta dalla strada, Tom depone sulla salma una breve scritta, e Casey si presta per una breve orazione: “Questo vecchio ha vissuto la sua vita e ora è morto”. Poi conclude con una frase importante: “Tutto nella vita è sacro”. Per una singolare coincidenza, il vecchio cane fedele muore anche lui, sotto una veloce automobile dell’Autostrada 66.

E il viaggio procede fra alti e bassi: ne seguiamo i particolari, soffermandoci ogni tanto su qualche “intercapitolo” piacevole. Anche la traversata della zona desertica che precede l’arrivo in California è compiuta: c’è stato qualche intoppo, qualche riparazione al veicolo, qualche poliziotto più rigido che vuole sapere e ispezionare, ma i Joad stanno quasi arrivando.

Purtroppo, durante la traversata del deserto, muore anche la nonna. Queste scomparse degli anziani sono quasi previste, e non disturbano più di tanto la famiglia rassegnata: qualche lacrima, una sepoltura alla meglio, e si va avanti.

Col proseguire del viaggio, i Joad e gli altri loro compagni si rendono conto che questa fuga verso la libertà e il lavoro sta prendendo l’aspetto di un vero esodo: le strade sono piene di automezzi d’ogni specie, e tutti vanno in una sola direzione. Le soste nelle varie città, che dovrebbero dare ristoro ai profughi, si trasformano ben presto in uno spiacevole contatto con altri disgraziati nelle loro stesse condizioni, con un salario da fame e dei sorveglianti malevoli. Sono anche frequenti le risse che provocano l’intervento dei poliziotti, a loro volta sempre più esasperati e pronti ad arrestare chiunque.


La parte d’una grande anima

Malgrado tutto ciò, la vecchia carretta dei Joad continua il suo percorso verso Ovest con il suo carico di speranze. Non c’è più Connie, il marito di Rose, che ha voluto precederli alla ricerca di qualche lavoro meno umiliante. Non farà più ritorno, e la povera ragazza, ormai prossima al parto, può fare assegnamento sempre e soltanto sull’aiuto della sua famiglia.

Manoscritto di Furore: dalla Biblioteca del Congresso USAA un certo punto hanno l’occasione di sostare in un “campo governativo che è quasi un sogno a occhi aperti: personale cortese con sistemazioni confortevoli. Ma la festa dura poco, perché il campo è al centro d’una zona nella quale si stanno esaurendo le occasioni di lavoro: siccità e polvere, come al solito. Resterà solamente un fugace ricordo.

Non è raro l’incontro con gruppi di scioperanti. E un giorno viene preso di mira il povero Casey con il suo tono da predicatore, che scambiano per un sovversivo: colpito da una violenta bastonata alla testa, muore sul colpo. Tom ha assistito alla scena, raccoglie quel bastone e percuote a morte l’omicida, riuscendo anche a fuggire. E la tragedia è compiuta, in una lugubre atmosfera notturna. Tutta a scena si è svolta rapidamente. Tom ha pure una ferita al viso: si nasconde nella boscaglia osservando in lontananza le luci dei suoi inseguitori che lo cercano sotto la pioggia. Bagnato e col viso sanguinante, riesce a raggiungere i suoi, che sono alloggiati alla meglio in un gruppo di vagoni ferrioviarî fuori uso.

Rimarrà nascosto fino al miglioramento della ferita sul viso, che potrebbe tradirlo, ma ha una grande premura di fuggire, perché la sua presenza è un pericolo molto serio per tutta la famiglia. Alla sua partenza c’è un commovente congedo tra madre e figlio. Lei gli dice che d’ora in poi non saprà più nulla di lui, e Tom le risponde: “Forse è vero quel che diceva Casey, che un uomo non ha un’anima per conto suo, ma solo la parte d’una grande anima”. Non è ancora possibile riprendere il viaggio: è un periodo di piogge continue con molti allagamenti. I giorni passano e arriva il momento del parto di Rose, che dà alla luce un bambino morto. Ancora una sepoltura, la più triste, con una piccola tomba improvvisata a lato della strada.

Il gruppo dei Joad si ripara in un locale abbastanza spazioso, forse una grande stalla fuori uso. In un angolo, nella penombra, scoprono due estranei: un uomo sdraiato sulla schiena e accanto a lui un ragazzo, suo figlio. L’uomo sta molto male, ha la febbre, è da sei giorni rifiuta di mangiare: per lui sarebbe necessario qualche alimento liquido. Il ragazzo grida: “Ma muore, vi dico, muore di fame!”. Mamma Joad e Rose si intendono con un semplice sguardo, e la giovane fa cenno di sì. Tutti debbono uscire, restano solo le due donne e il malato. Rose si sdraia accanto a lui e gli porge il seno, ancora turgido per il parto recente, ignorando un suo debole diniego. E qui merita citare direttamente l’Autore:

“Su, prendete” disse, gli si fece più vicino e gli passò una mano sotto la testa. “Qui, qui, così”. Con la mano gli sosteneva la testa e le sue dite lo carezzavano delicatamente tra i capelli. Ella si guardava attorno e le sue labbra sorridevano, misteriosamente”

Questa è precisamente la frase che conclude il più famoso romanzo di Steinbeck.

Autografo di Steinbeck a Los Gatos

Un congedo con qualche osservazione

Il finale improvviso e il crudo realismo della scena non piacquero a parecchi critici. “La fine del romanzo è falsamente simbolica e del peggiore gusto”, si poteva leggere sul New-yorker. Non tutti, però, diedero un giudizio così duramente negativo. Il biografo Warren French, per esempio, ci fa presente: “La famiglia che non possiede più nulla, per mezzo di Rose ci dà la sola cosa che ha da offrire”.

E io condivido in pino questo punto di vista, solo apparentemente rude e semplicistico. La frase tanto discussa contiene due avverbi ravvicinati: “Delicatamente” e, poco dopo, “Misteriosamente”: delicatezza e mistero.

Perché non dire allora che ci troviamo davanti ad un raffinato omaggio alla femminilità, e per di più nel pieno d’una scena tutt’altro che delicata?

Il “misterioso” sorriso di Rose a seno scoperto, insieme alla severa solidarietà di mamma Joad, riescono a riscattare, con la loro persuasiva dolcezza, le lacrime e la morte che incombono su questo gruppo di gente misera e infelice.

A queste due donne è d’obbligo il più affettuoso omaggio. Grazie a loro, pensiamo, questi “Grapes of Wrath” saranno molto più dolci. Anche per il lettore.

(fine prima parte)

Bibliografia e iconografia
(le fonti iconografiche hanno il contrassegno
)


Jean Mitry, John Ford, Paris, Ed. Universitaires, 1954


Peter Lisca, The Wide World of John Steinbeck, New Brunnswick / New Jersey, Rutger University Press, 1958


Carlo Izzo, La letteratura nord-americana, Firenze, Sansoni, 1967


Peter Bogdanovich, John Ford, London, Studio Vista, 1968


Warren French, Steinbeck, Firenze, Nuova Italia – Il Castoro, 1969


Marcus Cunliffe, Storia della letteratura americana, Torino, Einaudi, 1970


Agostino Lombardo, Prefazione a John Steinbeck, le opere, Torino, Utet, 1970


Claudio Gorlier, Storia della letteratura nordamericana, Milano, F.lli Fabbri Ed., 1970


Georges Sadoul, Storia del cinema mondiale, Milano, Feltrinelli, 1972


Franco Ferrini, John Ford, Firenze, Il Castoro Cinema – Nuova Italia, 1974


Fernanda Pivano, “John Steinbeck”, in America rossa e nera, Milano, Ed. Formichiere, 1977


Lindsay Anderson, About John Ford, London, Ed. Plexus, 1981


Antonio Costa e Leonardo Quaresima, “John Ford, l’amico americano”, in Cinema & Cinema, n. 31, aprile-giugno 1982


Stefano Della Casa, “The Grapes of Wrath (Furore)”, in Dizionario Universale del Cinema, a cura di F. Di Giammatteo, Roma, Editori Riuniti, 1984


John Steinbeck, The Grapes of Wrath (Furore), Milano, Bompiani, 1985


Tag Gallagher, John Ford: the Man and his Films, Los Angeles, University California Press, 1986


Carl Vincent, Storia dei cinema, vol. 1°, Milano, Garzanti, 1988



Tullio Kezich, Storia di Furore, Steinbeck e Ford,
Corriere della sera, 8 febbraio 1990


Tullio Kezich, John Ford, Parma, Ed. Guanda, 1958



Jean Loup Bourget, John Ford, Paris, Editions Rivages, 1990



Carlo Gaberscek, Il West di John Ford, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1994


Carlo Gaberscek, Sentieri del Western: dove il cinema ha creato il West, voll. 1 e 2, Gemona (UD), La Cineteca del Friuli, 1994-1995



Aldo Viganò, Western in cento film, Genova, Le Mani, 1994


Jay Parini, John Steinbeck, a biography, London, Heinemann LTD, 1994


Franco Garnero, Invito alla lettura di Steinbeck, Milano, Mursia, 1999


Emanuela Martini, “Omaggio a John Ford. Cavalcata nel mito americano”, Il Sole – 24 ore, 24 agosto 2003

Filmografia

John Ford: The Grapes of Wrath (Furore), 20th
Century-Fox, 1940 (tratto dal romanzo omonimo di J. Steinbeck). Interpreti:
Henry Fonda, Jane Darwell, John Corradine. Fotografia: Gregg Toland.
Sceneggiatura: Nunnally Johnson.

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