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Cinema

Jan Nĕmec

La nostalgia nemica del cinema

Immagine articolo Fucine MuteJan Nĕmec protagonista di Alpe Adria Cinema 2004: al regista ceco costretto all’esilio dopo la repressione della primavera praghese è stata infatti dedicata un’ampia retrospettiva, corredata dal volume monografico a cura di Paolo Vecchi edito per l’occasione da Lindau. Diamanti della notte-Il cinema di Jan Nĕmec, questo iltitolo della rassegna, che si è inaugurata con la proiezione dell’ultimo lavoro del cineasta Conversazioni notturne con la madre (2001-2003), già premiato al festival di Locarno come miglior opera video, è proseguita nei giorni successivi con gli altri film, tra cui il lungometraggio d’esordio Diamanti della notte (1964), Sulla festa e gli invitati e I martiri dell’amore appartenenti al periodo della Nová vlna ceca. Un’iniziativa di successo che ha visto Jan Němec presente per tutta la durata del festival, e che, come anticipato sul catalogo dal direttore di Alpe Adria Cinema Annamaria Percavassi, “è solo l’inizio di un’indagine approfondita sul cinema radicato nella ricchezza della cultura praghese del Novecento”.

Sarah Gherbitz (SG): A proposito del finale del film Diamanti della notte che si sdoppia in modo ambiguo, nel primo i due giovani protagonisti vengono fucilati, nel secondo gli anziani li lasciano andare, mi piacerebbe che anche questa nostra intervista tenesse la stessa ambiguità. Ma tornando al film, il soggetto è tratto da un racconto dello scrittore ceco Arnošt Lustig: può dirci qualcosa di più preciso sul rapporto tra i suoi lavori risalenti al periodo della Nová vlna e la letteratura ceca?

Jan Němec (JN): Alla FAMU, che è l’Accademia del Cinema di Praga, sia io che altri colleghi, avevamo come insegnante di letteratura Milan Kundera, dunque sicuramente non una persona di secondo piano. Milan Kundera insegnava alla FAMU, non solo letteratura ceca, ma anche letteratura di altre parti del mondo, quindi faceva far conoscenza a noi registi del meglio che c’era in giro per il mondo, per cui nonostante non considerassimo necessario partire per forza da un testo scritto, non potevamo lasciare da parte la letteratura mondiale e neanche quella ceca, soprattutto quella ceca. A questo punto i fatti sono due: primo, per iniziare a girare film e iniziare la mia carriera cinematografica avevo bisogno di un tema molto forte e questo tema molto forte, invece di crearlo, preferii trovarlo in un buon supporto letterario, per l’appunto i bei racconti di Arnošt Lustig che uscirono nel ’58, mi diedero un buon input, un buon impulso. La letteratura non si poteva lasciare da parte, Kundera insegnava ad apprezzarla, Lustig era un tema forte, un ottimo punto di partenza. Poic’è il cortometraggio Perline sul fondo, che costituiva un film a episodi realizzato insieme a Menzel, la Chytilová… cinque grandi rappresentanti della nouvelle vague ceca e la cosa interessante e che ogni episodio è fatto in modo diverso, pur partendo dalle stessa base, Bohumil Hrabal, un grandissimo scrittorececo: in quell’occasione ciascuno dimostrò di avere un approccio diverso nei confronti del testo di partenza, i risultati sono differenti. Del gruppo solo Menzel è rimasto con Hrabal continuando a fare delle trasposizioni dai suoi scritti, gli altri hanno preso altre vie.

I diamanti della notte, 1964

SG: Ancora a proposito della Nová vlna e della situazione di gruppo che si creò in quel periodo, attualmente non esistono oppure stentano ad affermarsi delle situazioni di gruppo, forse è per questo che stentano ad affermarsi anche nuovi registi…

JN: Ora non si tratta solo della situazione cinematografica, e su questo buona parte delle persone ed anche i critici sono d’accordo sul fatto che gli anni ‘60 sono stati un periodo d’oro e forse il migliore decennio dello scorso secolo, sia per i rapporti fra la gente, sia per la possibilità di ottenere libertà creativa e anche nel campo cinematografico. Questo si è verificato anche nella Cecoslovacchia di allora. Ora non può andare così perché quei tempi sono passati…Il terrorismo, la mancanza di tranquillità sociale non permettono di avere questo stesso rapporto positivo, di rapporto aperto fra la gente, di interscambi, di cammino verso la libertà creativa, dunque la mia visione è che sia nella Repubblica Ceca che nel mondo in generale è che quel periodo è irripetibile perché è cambiata la base, il background e non ci si aspetta molto di buono a breve termine.

SG: L’anno scorso dapprima il film La meglio gioventù e poi alla Mostra del cinema di Venezia i film di Bertolucci e Bellocchio hanno suscitato numerose critiche, sia positive che negative; lei non è tentato dal girare qualcosa di simile?

JN: Assolutamente mai, credo che non farei mai un’operazione di questo genere, di ripensamento cosciente e quasi furbesco. Questo momento è chiuso, non è assolutamente pensabile un recupero totale di quel tipo di situazione, specie attraverso un film. Anche lo stile è cambiato radicalmente, per cui non farei mai un film coscientemente, costruito a tavolino per ricreare quello stile o cercare di acchiappare quell’atmosfera. È chiusa, non ci si può fare niente, è irrimediabilmente chiusa. Facciamo un esempio, senza dover fare confronti con la grandezza di Picasso, comunque prendiamolo pure come esempio: aveva i suoi periodi, il periodo sintetico, il periodo blu, il periodo cubistico puro e lui volontariamente, coscientemente li chiudeva senza esserne costretto a farlo da altri e andava altrove, in altre direzioni, andava oltre creando un altro itinerario senza che nessun altro lo costringesse. Dunque ogni tempo ha il suo stile, è contro il cammino della storia forzarsi ad andare indietro, voler recuperare cose che sono chiuse, bisogna andare avanti, farlo coscientemente senza esserne costretti. Per fare un esempio, molto semplice, semplicistico, in un altro campo, mi ricordo benissimo delle stupende ragazze degli anni ‘60 che erano… della mia stessa età, bellissime, stupende, non le vorrei incontrare ora, sarebbero delle vecchie molto brutte.

I diamanti della notte, 1964

SG: Altri film da lei realizzati, Sulla festa e gli invitati e I martiri dell’amore trattano dell’uomo in mancanza di libertà, esperienza che lei ha vissuto in prima persona…

JN: Al contrario, in realtà la censura io ce l’ho cara, perché è una limitazione esterna che costringe l’individuo a essere più furbo, a trovare delle linee più intelligenti, delle vie più nascoste. Ad esempio, c’è il caso particolare del film Viridiana di Luis Buñuel… Franco censurò, vietò chiaramente il finale che Buñuel aveva pensato in cui l’educanda, la futura monaca, Viridiana, che stava per diventare suora avrebbe dovuto avere un rapporto sessuale con questo giovane, abbandonando tutti i tentativi religiosi. Franco lo vietò e Buñuel si inventò una via ancora più furba. Durante la scena finale, in cui fa una specie di patto col diavolo, si vedono delle immagini delle mani sulle carte. Fatto sta che questo finale è più profondo, più scardinante che un semplice fare l’amore di questa Viridiana con questo ragazzo. Franco lo vietò e Buñuel trovò una via più esplosiva ancora. La particolarità della censura fino al ’68 consisteva proprio in questo, di non essere cioè una censura preventiva che interveniva sulle scene dicendo “devi cambiare questo, devi cambiare quest’altro”, come nel caso per esempio di Buñuel o nel caso per esempio più vicino all’esperienza italiana. Il film veniva fatto, portato a termine dal suo autore e soltanto in un secondo momento non veniva mostrato oppure non veniva distribuito. Una volta che una commissione ristretta valutava il risultato finale, i vari film potevano essere modificati con qualche intervento; ma non c’era una censura che andasse a cambiare la struttura, il film veniva scritto e portato a compimento. Per quanto riguarda l’autocensura, non è quello l’importante, l’importante è che non ci sia un semplice urlare al vento le prime cose che ti vengono in mente; si rende dunque necessaria una specie di limitazione, di autolimitazione formale nel montaggio, nel materiale scelto affinché non risulti una cosa buttata lì. Naturalmente non si tratta di una censura morale ma di una limitazione che garantisce compattezza a quello che si sta facendo in quel momento, una limitazione giusta.

Mucednici lasky, 1966

Si ringrazia Massimo Tria per la traduzione e Paolo Vecchi per la gentile collaborazione.

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