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Arte

Il tocco del visibile (I)

Immagine articolo Fucine MuteRisulta difficile riassumere in poche pagine le conoscenze acquisite negli anni di studio universitario, le esperienze condivise, i sogni realizzati e quelli messi da parte, le speranze rimandate e quelle mai sopite, insomma la vita che ha circolato dentro tutto questo essere qui.
Parimenti difficile è tentare di lasciare un segno, una profondità, una traccia non casuale nell’essere giovani intellettuali, nel sentirsi in dovere di lavorare non per sé ma per tutti, credendonell’intelligenza e nella forza delle idee piuttosto che nel guadagno e nelle opportunità.
L’ambizione che mi si riconosce e che mi riconosco sfrenata nasce da tutto ciò. Nasce da stimoli puri. Nasce dentro un cuore che vuole dare e ricevere molto. Che crede ancora, di nuovo, nel prossimo. Questa tesi è stata concepita così. Aperta. Mi piacerebbe che tutti ci potessero entrare, trovarci qualcosa. Non voglio che ne rimangano solo i ringraziamenti e le fotografie e un po’ di soldi spesi in copisteria. Non l’ho mai voluto. Ecco il perché delle opere. La mia tesi è innanzitutto una tesi in opera. La scrittura e la presentazione vengono dopo. Molto dopo. Prima le opere. Opere particolari d’altronde, opere che richiedono il contatto, l’unione. Opere che sono concettuali ma che basano il loro essere opera sui sensi, sull’incontro, sul tocco. Nessuno è escluso. L’opera è l’armonia di chi tocca e di chi è toccato, è il circolo del trasmettere, è storia del tempo, tempo della storia. Ma credo dovremo procedere più lentamente per arrivare al punto. Cominciamo.

Architetti e psicoterapeuti, ingegneri e poeti sembrano vivere nella loro diversità una comunanza intrinseca, a prima vista inaspettata. Eppure presente.
Abitare il frammento è il nome che userò per indicare questa comunanza.
Frammento è innanzitutto il sapere specialistico. La cultura dell’iperspecializzazione di stampo statunitense è un fenomeno che comincia a riguardarci da vicino, e la reazione che ancora non abbiamo dovrà essere volta a sottolineare l’importanza della multidisciplinarietà, dell’interdisciplinarietà, della transdisciplinarietà (chissà perché, il computer sottolinea in rosso questi sostantivi…). Tutto ciò che ci salverà, a mio modo di vedere, è trans. Con pace dei benpensanti e dei cosiddetti sani. Può essere curioso notare come la stessa cultura della specializzazione conduca qui. L’ingegneria dei materiali serve alla medicina, tuttavia l’ingegnere nulla sa del lavoro del medico e il medico nulla di quello dell’ingegnere. A questo nulla dilagante noi reagiamo con la nostra struttura sociale, cioè il medico telefona all’ingegnere e viceversa. Anzi, abbiamo (?) internet. Rapido. Mi sembra però che in tutta questa rapidità qualcosa sia sfuggito: e se non ci fosse il telefono? Credo che pochi uomini oggi si possano ritenere completi. E sicuramente è scomparsa da anni la figura dell’intellettuale aperto, alla Göthe per intenderci. Non c’è più. Purtroppo, o per fortuna, dipende da dove la si guardi. Comunque, il frammento. Frammento è anche guerra. L’indifferenza con cui davanti alla televisione osserviamo il mondo. Il cinismo dei commentari su ciò che non ci sfiora. Non è nel nostro frammento. Non ci riguarda.
Il frammento regna sovrano nell’arte. Lo si nota immediatamente nella contaminazione, nel nascere di nuovi mezzi espressivi come l’happening, la performance, l’evento. Ed è in questa realtà evenementale che lo spirito del nostro essere si storicizza meglio. Sembra essere il suo.
Il frammento è pure nelle nostre deviazioni mentali, che deformano la percezione che abbiamo del reale, già minata di per sé dal relativismo, dall’indeterminazione, dall’incompletezza. Eppure il pensiero di sorvolo continua a creare nuove scienze: la scienza della pace, la scienza della comunicazione, la scienza dell’interculturalità (unico inter accettato, sembra, nel nome di qualche perversa globalizzazione), senza misurarsi con i suoi limiti, con i confini, le cornici.
Spero nessuno si stia perdendo. Di carne sul fuoco ne ho messa già tanta.

Immagine articolo Fucine Mute

Abitare il frammento dunque. Questo è un concetto che gli architetti dell’ultima generazione (Ghery e Tschumi [M. Argenti -Frammenti, in Labirinti della città contemporanea, Maltemi Ed.] su tutti) hanno posto in opera in maniera magistrale. Non è un caso che nei film di fantascienza una delle forme artistiche più rilevanti sia l’architettura. L’uomo si identifica nel suo habitat. Il frammento è il nostro. Mi vengono in mente le torri d’acciaio del museo Guggenheim di Bilbao, rivestite solo a metà, e per il resto nude, aperte, accoglienti e assieme inquietanti. Un esempio come altri.

Di abitazione del frammento parlano anche filosofi, indicando in questo il coraggio di pensare ai limiti delle potenzialità linguistiche, in un continuo movimento di ridefinizione, di spostamento, di scardinamento, di chiasma. Su questa parola occorrerà fermarsi a lungo, più avanti. Per adesso scivoliamo via, ma registriamo una presenza.
Il pensiero deve spingersi sui confini delle possibilità linguistiche dunque. Ma non oltrepassarli. Piuttosto abitarli. Abitare questo luogo oscuro che fonde memoria e predestinazione è la scommessa dell’uomo moderno.
Mi sembra che non ci si sia ancora resi conto del tutto di cosa comporti questo abitare. Non vedo un’adeguata assunzione di responsabilità nelle persone, particolarmente in quel ceto intellettualmente elevato che costituisce ormai la base del mondo occidentale. Se un sistema completo è diventato utopico, la reazione dovrebbe essere volta a creare tutta una serie di supporti sociali che permettano uno scambio discriminato di informazioni e conoscenze. Invece assistiamo ad un progressivo svilimento delle idee, all’aumento della sfiducia nei confronti della politica, dell’educazione, dell’arte. Le informazioni, quando circolano, creano solamente quel marasma che noi chiamiamo web. E tutti i significati si perdono in un mare di inutilità.
Il mio modesto contributo alla creazione del mondo che vorrei è stato fino ad ora in primo luogo il coraggio di prendere per mano altri uomini, uomini molto diversi tra loro ma tutti uniti dalla stessa voglia di ribellione al sentimento di impotenza che li pervade. Con questi uomini e donne vorrei cercare di lasciare una serie di segni. Segni che debordino dal tracciato istituito per loro, segni che indichino nuove vie. Che aprano porte.
Le sculture che propongo in questa tesi di laurea costituiscono un ulteriore tentativo in questo senso. Esse sono aperte nella loro apertura alla mano dell’uomo che le incontra. Davanti abbiamo un incontro, dietro il concetto che aspetta di emergere.

M. Merleau-Ponty Ma c’è anche un dentro, luogo impalpabile dove però tutto si riannoda. Il dentro di queste opere è la materia. Occorre capire bene questa scelta precisa, che poi è quella chegiustifica la scrittura di una tesi di laurea in ingegneria su questo argomento. La materia porta con séuna seriedi tratti. Tratti che sono associati ad essa, e che difficilmente divengono separabili. Annose discussioni vertono sulle proprietà della materia e sulla sua formabilità. A questo proposito rimando agli interessantissimi testi di M. Heidegger [M. Heidegger — L’ Origine dell’opera d’arte, in Sentieri Interrotti, La Nuova Italia Ed.] e M. Merleau-Ponty [M. Merleau-Ponty — Il visibile e l’invisibile, Bompiani Ed., M. Merleau-Ponty — L’occhio e lo spirito, SE Ed.].

Il tratto che oggi si può aggiungere è però quello di una materia che rigenera continuamente la sua forma. Quasi fosse una proprietàintrinseca antecedente alle altre. Questa è la chiave di lettura privilegiata della mia opera. Il concetto rappresentato in realtà è già contenuto nella materia. Non ho scoperto nulla, ho solo indicato qualcosa. Ho aperto una porta su un mondo presente. La verità è già in opera nella sua materialità.
Che tutto ciò implichi una profonda revisione del concetto di forma non spetta a me dirlo, per quanto giudichi scontata tale conseguenza. Mi preme invece far notare come un primo intreccio si sia già reso evidente: la capacità tecnica che abbiamo raggiunto mi ha permesso di mettere in opera qualcosa che discuta su di essa, ritornando circolarmente all’origine e riproponendo il problema del confine. Dominiamo o no la natura? Conosciamo o no il mondo circostante? Possiamo ritenerci altro dal mondo? Interagiamo o no con i sistemi influenzandone i risultati? Dobbiamo per forza scegliere una parte e poi restarvi contro ogni tipo di evidenza?

Ho sempre trovato buffo l’atteggiamento determinista della maggior parte dei fisici. Anche quando si aprono inaspettatamente all’ignoto, come ad esempio F. Kapra [F. Kapra — Il tao della fisica, Adelphi Ed.], trovano sempre il modo per ricadere nella trappola. Così ad esempio, dopo aver constatato che non possiamo vedere cosa accade nella materia se non interagendo con il sistema e creando uno scarto, siamo andati a creare un livello fideistico di determinazione per cosi dire superiore: le particelle hanno realtà probabilistica (?). Ma che cosa vuole dire? Che cosa ne sappiamo della realtà? La descrizione probabilistica è una nostra costruzione di pensiero, e non è l’unica possibile. Faremmo bene a ricordarcelo più spesso.

Jacques DerridaAllo stesso modo chi può dire che cos’è un’opera d’arte? Quale il suo effetto? Quale il suo contenuto? Il senso? Teorie che nulla hanno compreso delle geniali intuizioni del filosofo francese Derrida [Jacques Derrida — La verità in pittura, Newton Compton Ed] sostengono che il senso circola nell’opera con continuità, e che il ruolo del critico è quello di rendere accessibili tutti questi infiniti sensi. Rendere accessibili gli infiniti sensi. Riducendosi spesso a considerarne due, tre, quattro. Creando delle equazioni su delle poesie. Tutto ciò è ridicolo. Lasciamo che le opere si collochino nel loro spazio e nel loro tempo. Il senso emerge nel circolo, il senso è l’incontro con l’opera, attraverso l’opera, nell’opera, in opera. Questo ciò che si svela dinnanzi a noi. Il resto è tanto gratuito quanto doveroso, ma solo una voltafissati i confini del discorso. Sono un sostenitore agguerrito della domanda “che cosa è un’opera d’arte?” proprio per questo. Dobbiamo specificare su che terreno ci incontreremo. Altrimenti rimane il silenzio. Se vogliamo comunicare ancora attraverso linguaggi, dobbiamo fissare i limiti del discorso, e continuamente tornarvici su per effettuare tutti gli scarti del caso. Il che in parole povere significa creare, ripartire da zero. Ritengo che questo passo filosofico sia fondamentale. Se non lo effettueremo vedremo via via aumentare a dismisura il già tragico effetto di svilimento della conoscenza. Non progrediremo più. Continueremo solo ad inventare e a consumare, a produrre e a consumare.

Lasciamo da parte il pensiero, adesso. Concentriamoci invece sulla materialità dell’opera d’arte.
Nel maggio del 2001 feci un viaggio a Londra. Nelle visite che ebbi modo di compiere alle gallerie d’arte venni colpito da quanto venisse trascurato un elemento a mio avviso fondamentale: la collocazione fisica dell’opera. Quasi fosse indifferente dove la si ponesse. Eppure a pensarci bene il contesto è forse metà dell’opera stessa. Guardavo un quadro, e pensavo che la mia visione era quella di un piccolo animale, non quella di un uomo. A quale altezza da terra va collocato un quadro? E perché qualcuno farebbe una scultura per guardarla solamente? Perché non ha fatto una pittura?
Compito dell’artista è anche la contestualizzazione dell’opera, la cornice. Questo è ciò che pensai.
Al ritorno da quel viaggio divenne desiderio sempre più pressante riuscire a mettere in pratica questo pensiero che ritenevo così importante. Mi vennero in mente i materiali intelligenti. Mi venne in mente che la natura già prevede di suo che la materia reagisca al tocco in un certo modo. La vista è un’interazione molto più debole, per così dire. Il percorso poi fu rapido. Volevo creare un oggetto formato ma formabile. Memore eppure stabile. Un idolo. Passo dopo passo cercai tra i molteplici materiali studiati quello che meglio si sarebbe adattato a mostrare il concetto che avevo in mente. Scelsi quasi subito i materiali a memoria di forma, non fosse altro che per i fasti linguistici che il loro nome evoca: materia, memoria e forma. Più difficoltoso fu scegliere la lega precisa con cui avrei operato. In un primo momento pensai a materiali a doppia memoria di forma e presi in considerazione soprattutto i bronzi e le leghe nichel-alluminio, che presentavano caratteristiche teoriche adeguate allo scopo: temperatura di transizione variabile in uno spettro molto ampio e ciclo isteretico praticamente assente.

Immagine articolo Fucine MutePurtroppo dovetti scontrarmi con alcune problematiche come la fragilità delle leghe nichel-alluminio, il difficile reperimento delle leghe con le dovute percentuali di elementi presenti (non sono infatti leghe binarie ma contengono altri elementi spesso pregiati) e le difficoltà stesse del processo di fusione per l’ottenimento dei pezzi che desideravo (per quanto fossero forme semplici). Tutto ciò lo appresi un po’ per volta grazie anche all’interessamento di alcuni docenti e ricercatoriesperti in materiacome la Professoressa Airoldi dell’Università Bicocca e l’Ingegnere Bassani del Politecnico di Milano che cogliendo l’occasione ringrazio per l’attenzione che mi prestarono. Così operai uno spostamento di sguardo e mi concentrai sui materiali che vengono prodotti in relativa abbondanza. Tra tutti i materiali a memoria di forma l’unico con tali caratteristiche di reperibilità commerciale è il Nitinol. Comunque anche entrare in contatto con i produttori e gli importatori di Nitinol non fu molto agevole e ci vollero settimane e settimane prima di riuscire ad ottenere un po’ di filo superelastico. La scelta delle forme da imporgli e dei titoli delle opere fu più realizzante. Essa sarà discussa approfonditamente nel capitolo conclusivo della presente tesi. La scelta delle basi di onice fu dettata da necessità contingenti ma devo dire che ne sono soddisfatto data la bellezza dei colori di questo marmo e la loro ottima compenetrazione con quello scuro dei fili metallici.

Le opere sono, come già anticipato, fortemente concettuali. La scarsa disponibilità di tempo e soprattutto di fondi non mi ha impedito però di idearne delle altre che spero di poter realizzare in un futuro quanto mai prossimo. Accennerò anche a queste idee nel capitolo conclusivo. Terrei però a fare ancora qualche considerazione sull’arte prima di concludere questa introduzione. Il frammento che ci caratterizza non ci deve spaventare. Abitare questo mondo è il nostro compito, pensarlo migliore è il minimo che possiamo fare. La creatività artistica e filosofica potrà essere una delle ancore di salvezza della nostra società. Sempre che non ci si dimentichi di adoperarla, che non ci si isterilisca nei consumi e nel denaro, che non si dia importanza solo alle questioni imprenditoriali, che non si consideri l’arte come subordinata al commercio, che non ci si arrocchi da intellettuali umanisti nel castello dei circoli letterari. Vorrei vedere la speranza e la creazione espandersi nelle nostre città (impestarle, direbbe A. Artaud [A. Artaud — Il teatro e il suo doppio, Einaudi Ed.]), giovani uscire da ogni porta per prendersi il pezzo di mondo che gli spetta e assieme per donare loro stessi alla vita ed ai loro simili.

Vorrei essere sempre soggetto a critiche, perché fanno crescere. Ma non vorrei vedere invidia e cattiveria attorno a me. Vorrei incuriosire e colpire le emozioni degli altri con ogni mezzo. Arte è soprattutto questo: trasmettere contenuti sottesi a se stessi tramite le emozioni, tramite il condensatore delle emozioni. Non sono certo di essere riuscito a farlo con queste sculture. D’altra parte non è da molto che mi sono inoltrato in questa forma artistica, dopo aver lavorato nel teatro, nella fotografia e soprattutto nella poesia. Alla mia commissione lascio il giudizio tecnico e a chi avrà modo di incontrare i miei lavori quello estetico. Non voglio tediare oltre, le pagine da leggere sono ancora numerose.

Memoria di forma e superelasticità

Il tempo interno alla materia, reticoli cristallini e cambiamenti di fase

Gli atomi nei metalli si dispongono in un modo particolare, estremamente geometrico ed ordinato (a dire la verità alcuni elettroni scappano da questo ordinamento e vagano liberamente o quasi all’interno della struttura, il che è alla base tra l’altro della loro ottima conducibilità termica ed elettrica), detto reticolo cristallino. Un metallo può “scegliere” tra più reticoli differenti a sua disposizione, e lo fa in modo da mantenere la sua energia il più bassa possibile. Se variano però alcuni fattori esterni, come ad esempio la temperatura, anche reticoli per così dire più energetici (spesso si tratta di reticoli meno compatti e densi) possono diventare accessibili al metallo. In definitiva è abbastanza frequente che le leghe cambino il proprio reticolo cristallino a seconda delle condizioni ambientali a cui si trovano. Trasformazioni di questo tipo sono dette trasformazioni di fase allo stato solido e vengono solitamente suddivise in due grandi classi: le trasformazioni diffusive (quando gli atomi si muovono singolarmente nel passare da una struttura all’altra) e quelle non diffusive (quando gli atomi si muovono in modo cooperativo scivolando su piani detti “di scorrimento”.

La trasformazione martensitica

Le leghe a memoria di forma sono una delle più recenti scoperte dell’ingegneria dei materiali in campo metallurgico. Si tratta di leghe che presentano la speciale proprietà di “ricordare” la posizione spaziale occupata prima di subire una deformazione e che quindi possono ritornarvi in seguito ad uno stimolo o anche in maniera automatica.
Il segreto di questo processo è celato all’interno della materia, o meglio ancora nel suo tempo interno, cioè nelle trasformazioni che vi avvengono. La trasformazione in oggetto ha nome e cognome ben noti in metallurgia: si tratta della trasformazione martensitica, presente negli acciai ed in moltissime altre leghe. Si tratta di una trasformazione di fase di tipo non diffusivo che causa una modifica nelle geometria reticolare del metallo. Non tutte le trasformazioni martensitiche sono però tali da permettere il meccanismo del ricordo, che dipende dalle modalità microstrutturali con cui la stessa trasformazione avviene.

Immagine articolo Fucine Mute

Geminazione e scorrimento

Genericamente le leghe che presentano il cambiamento di fase di cui sopra possono comportarsi in due modi affatto differenti: lo scorrimento e la geminazione.
Nel primo caso i piani di atomi del reticolo scorrono gli uni sugli altri, provocando la rottura dei legami atomici tra un piano e l’altro. Tale meccanismo è di gran lunga il più frequente, è favorito dalla presenza di difetti nel reticolo e non consente mai il recupero della forma.
Nel secondo invece si ha un piegamento del reticolo tipo “a soffietto”, che non causa la rottura di alcun legame atomico e che proprio per questo permette il recupero della struttura precedentemente deformata. La condizione appena enunciata è fortemente restrittiva: non solo per quanto riguarda le composizioni (non tutte le leghe che presentano trasformazione martensitica sono leghe a memoria di forma), ma anche per quanto riguarda le dimensioni dei pezzi realizzabili (se sono elevate sale il numero di difetti presenti e il meccanismo sarà quello dello scorrimento). Questo è il limite applicativo di questi materiali più evidente, in pratica si trovano in commercio solamente fili, lamine sottili ed attuatori che su questi basano il loro funzionamento.

Degeminazione e recupero

Una lega che abbia subito una trasformazione reticolare per geminazione può essere facilmente deformata mediante un carico esterno anche leggero. Si sfrutta il piegamento del reticolo avvenuto in precedenza ed in pratica lo si stira modificandone a piacimento la forma macroscopica. Tale fenomeno è detto di degeminazione. La deformazione che ne risulta è plastica, quindi il pezzo rimane nella configurazione deformata alla cessazione del carico applicato. Il recupero della forma interviene soltanto in un secondo momento ed in seguito all’intervento dell’esterno: deve avvenire un riscaldamento che innalza l’energia del sistema e permette la stabilità del reticolo originario. La trasformazione martensitica infatti avviene tra due fasi ben note e definite: quella in cui il reticolo è cubico a facce centrate (gli atomi si dispongono sui vertici ed al centro delle facce di un cubo), detta austenite e stabile a temperature superiori ad una temperatura di trasformazione, e quella in cui il reticolo è cubico a corpo centrato (gli atomi si dispongono sui vertici ed al centro di un cubo), detta invece martensite e stabile al di sotto della temperatura di trasformazione di cui sopra (o meglio di un’altra temperatura leggermente al di sotto di essa). La lega a temperatura ambiente si trova di solito in quest’ultima fase, e se vi è giunta tramite processo di geminazione può essere deformata come detto. Un riscaldamento al di sopra della temperatura di trasformazione però la porta nuovamente nella fase austenitica, rimuovendo la deformazione imposta in precedenza.

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Il tocco toccante della scultura

La superelasticità

La trasformazione da austenite a martensite può venir agevolata e a volte provocata integralmente dall’applicazione di un carico.Ciò avviene perché un carico esterno modifica la temperatura di trasformazione, nello specifico la innalza. Una legacon tale temperatura inferiore a quella ambientale (quindi in fase austenitica), sottoposta ad una forza passa a martensite e contemporaneamente si deforma secondo la forza stessa. Al cessare del carico il pezzo ritorna istantaneamente indietro nella configurazione indeformata, generando un effetto che globalmente sembra non solo elastico, ma anche lineare (cioè sembra che vi sia una proporzionalità diretta tra gli sforzi e le deformazioni). Da qui il nome di superelasticità dato al fenomeno, che risulta essere istantaneo e che inserisce nel discorso del tempo interno il concetto di istante, di infinitesimo e di sensorialità percettiva.

Memoria di forma a due vie

Se ad un pezzo viene invece applicato un ciclo termico forzato tra la configurazione austenitica ed una martensitica deformata a piacere nella quale esso viene bloccato, si presenterà un effetto ulteriore, detto “a due vie”. Ogni passaggio attraverso l’intervallo di trasformazione (ho già accennato al fatto che le due temperature di passaggio sono leggermente diverse, inoltre il cambiamento di fase necessita di un certo tempo) causa non solo una modifica interna nel reticolo cristallino, ma anche un cambiamento di forma macroscopica ben preciso. Il materiale possiede quindi la straordinaria proprietà di ricordarsi due configurazioni e di passare dall’una all’altra a seconda della temperatura. Chiaramente il limite tecnologico è quello imposto dalla presenza del ciclo di isteresi, cioè dell’intervallo di temperature di cui ho detto, che può anche essere abbastanza elevato.

Il tocco ed il calore dell’uomo

Entrambi i fenomeni appena descritti possono essere utilizzati in applicazioni tecniche (o estetiche, come abbiamo fatto io ed altri, come vedremo nella seconda parte di questa tesi) che coinvolgano l’uomo nella sua misura corporea. Intendo dire che possono avvenire cambiamenti di forma reversibili provocati dal tocco o dal calore di un corpo (ad esempio di una mano). L’effetto visibile è molto diverso nei due casi: un materiale superelastico reagisce con una velocità elevatissima ed indipendente in realtà dalla temperatura; un materiale con memoria di forma a due vie invece reagisce in maniera lenta e a volte si incontrano difficoltà dovute alla sua viceversa enorme dipendenza dalla temperatura.

Nichel e Titanio ovvero Nitinol

Leghe stechiometriche o quasi

Immagine articolo Fucine MuteUna lega si dice stechiometrica quando le percentuali degli elementi presenti sono tali da costituire rapporti semplici e precisi (1:2, 1:3, ecc…). Una lega quasi stechiometrica non presenta tale caratteristica, però vi si avvicina. La non stechiometricità è una caratteristica importante ai fini delle trasformazioni di fase, perché significa che sono presenti dei difetti che forniranno l’energia necessaria per innescare la deformazione reticolare. La quasi stechiometricità è poi una caratteristica indispensabile delle leghe a memoria di forma, perché garantisce che i difetti siano presenti, ma in numero limitato, di modo che il fenomeno atomico di deformazione sarà quello della geminazione piuttosto che quello dello scorrimento.

I laboratori navali di White Oak, Maryland

Fu qui che venne scoperta per la prima volta questa straordinaria lega: il Ni-Ti, proprio da essi detto Nitinol (Ni chel Ti tanium N aval O rdnance L aboratory). Le sue caratteristiche principali sono la non stechiometricità, la buona resistenza meccanica, la biocompatibilità (che ne ha favorito l’uso chirurgico e odontotecnico, oggi importantissimo), l’elevata resistenza alla corrosione, il ciclo isteretico ridotto, la possibilità di scelta della temperatura di trasformazione all’interno di una gamma molto vasta di valori, la possibilità di eseguire il trattamento a due vie.

Superficie ed interfaccia

Una caratteristica non trascurabile dal punto di vista estetico è la bellezza dell’ossido di cui il Ni-Ti si ricopre in continuazione, di colore ambrato. Altre possibili superfici molto belle sono comunque quella lucidata grigia argentea o quella nera di ossido artificiale. Le interfacce sono invece i punti in qualche modo critici del materiale: il punto dove inizia la trasformazione è proprio il punto di concentrazione degli sforzi che possono generare locali perdite dell’effetto recupero di forma. L’importanza dei fenomeni d’interfaccia d’altra parte è ben nota a che lavora nella materia e nelle sue trasformazioni, a livello microstrutturale quanto a quello macroscopico. Tralascio del tutto il campo ancora inesplorato delle possibilità di collegamenti tra più pezzi a memoria di forma attraverso processi come la saldatura (che evidentemente la proprietà del recupero la rimuove).

Applicazioni: techne o qualcosa oltre?

Principali usi del Ni-Ti

Dalle caratteristiche del nitinol si ricava in modo intuitivo l’utilità nei vari campi applicativi: la biocompatibilità è alla base delle importantissimo innovazioni fornite dalla comparsa del nitinol in campo odontoiatrico (apparecchi di correzione dentale, le comuni “macchinette”) e soprattutto chirurgico (fissaggi di protesi, stent per operazioni vascolari); l’elevata resistenza meccanica unita alla resistenza alla corrosione ne suggerisce impieghi civili (valvole di sicurezza per estintori, allarmi antincendio, “salvafusibili”); la buona conducibilità elettrica fornisce la chiave del funzionamento di attuatori, arti meccanici, robot; delle applicazioni estetiche avremo modo di parlare a lungo.

Altre leghe a memoria di forma

Interessanti ricerche sono state condotte su acciai e bronzi a memoria di forma. Le applicazioni potrebbero essere molteplici per entrambe queste tipologie di materiali. Da artista desidero soffermarmi maggiormente sugli ultimi, perché chiaramente la possibilità ottenere leghe a memoria di forma mediante fusioni semplici potrebbe significare il superamento del limite dettato dalla geometria attuale dei pezzi disponibili (fili e lamine sottili, come già accennato). Nella seconda parte scenderò nel dettaglio di alcuni progetti che desidero portare avanti nel tempo. Per ora faccio solamente notare come le entità produttrici si siano del tutto disinteressate a tali materiali, ritenendoli poco commercializzabili o prevedendo investimenti nel settore ricerca troppo elevati. Forse questo però è un errore di valutazione: sappiamo bene quanto sia difficile azzeccare previsioni future anche nel campo tecnico, e come se non bastasse viviamo in un epoca nella quale determinate idee hanno iniziato a circolare…(e vi rimando al capitolo su di Henry Bergson).

Spangold

Immagine articolo Fucine MuteHo deciso di accennare separatamente a questo materiale molto speciale, che è stato il capostipite dell’utilizzo estetico di questi fenomeni. Si tratta di una lega di oro, rame ed alluminio, che a seconda della temperatura modifica il suo colore e la disposizione superficiale dei suoi cristalli, creando varie riflessioni e giochi di luce. Viene da anni impiegata in gioielleria nella realizzazione dei più disparati (e costosi) oggetti di mercato. C’è pure chi su di essa ha iniziato a lavorare spinto da motivazioni simili alle mie, puntando quindi su percezione sensoriale, interazione, tocco, calore umano, ecc…

fine prima parte

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