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Cinema

Sergio Castellitto

Il ritorno del passato

Immagine articolo Fucine MuteNon ti muovere, film scritto, diretto ed interpretato da Sergio Castellitto, è una storia che si apre a “cerniera” tra il passato ed il presente: protagonista è Timoteo, un medico chirurgo, marito e padre apparentemente esemplare. Nel prologo della vicenda, egli assiste all’incidente capitato alla figlia adolescente Angela. Durante le ore che si susseguono, Timoteo ripercorre il suo passato, da cui emerge l’incontro con Italia (Penelope Cruz), povera derelitta che si arrangia a vivere in una bidonville; ed è proprio con questo personaggio, così buffo che in certi momenti sfiora la caricatura, che Timoteo avvia una relazione parallela al suo matrimonio. La fragilità di certi equilibri sentimentali, la sottile linea che intercorre tra la vita e la morte sono le “chiavi” essenziali di questo film, che vanta ben dieci candidature all’edizione dei premi David di Donatello 2004, tra cui miglior film, miglior sceneggiatura e migliore attrice protagonista. In occasione della presentazione del film presso il multiplex Cinecity di Trieste, abbiamo rivolto alcune domande al suo artefice e protagonista, Sergio Castellitto.

Sarah Gherbitz (SG): Qual è stata la molla che l’ha spinto a portare il romanzo Non ti muovere sullo schermo?

Sergio Castellitto (SC): Quando ho letto il libro ho subito capito che dentro il romanzo c’era molto da leggere ma anche molto da guardare. Penso che la scrittura di Margaret Mazzantini (autrice del romanzo edito da Mondadori, nda) sia una scrittura molto visiva; così come la storia con i suoi personaggi, l’emozione che questi continuamente mi davano, danno ai lettori e così via… Non ti muovere è innanzitutto una grande storia d’amore e le storie d’amore sono sostanzialmente la cosa più “moderna” che si può ancora continuare a raccontare perché contengono quel serbatoio di emozioni dentro il quale tutti abbiamo bisogno di stare. Emozioni che sono fatte di cose dette, non dette, di cose raccontate, di cose non raccontate, di segreti. Penso che ognuno di noi abbia qualche segreto e questo film lo aiuterà anche a capirlo e forse anche a rivelarlo.

SG: Com’è avvenuta la scelta dell’attrice Penelope Cruz per il personaggio di Italia?

SC: Ho conosciuto Penelope Cruz a Parigi, lei aveva letto la sceneggiatura, era entusiasta del personaggio, ci siamo subito intesi, capiti, siamo diventati come due fratelli. Penelope ha recitato il personaggio di Italia con un’emozione, un’umiltà che è stata anche una grande emozione per me e per molti.

SG: In questo film è evidente il lavoro del cast, perché oltre alla Cruz, ci sono altri attori importanti, come Claudia Gerini nel ruolo della moglie Elsa e Angela Finocchiaro; come si è svolta la direzione degli attori?

SC: Penso che in un film come Non ti muovere il vero effetto speciale siano gli occhi degli attori, la carne, la polpa, l’emozione, la commozione che passa attraverso i personaggi ed attraverso i rapporti; per cui per me dirigere gli attori è sostanzialmente fare la regia di un film.

Immagine articolo Fucine Mute

SG: Ad un certo punto il protagonista Timoteo dice che Dio non esiste; però questo film, sia per come si susseguono i fatti sia per la scelta di alcune immagini, sembra decisamente dimostrare il contrario.

SC: C’è una bellissima frase di Alda Merini, la più grande poetessa italiana, che dice così: “Dio ogni tanto uccide gli amanti perché ha paura di essere superato in amore”. Questa è una bella risposta alla sua domanda!

SG: Sempre riferendomi a Timoteo, un chirurgo, quindi una persona che svolge un mestiere scientifico. In quale modo egli guarda a se stesso, e in generale alla sua vita?

SC: Timoteo è abituato a separare la parte buona dalla parte malata: in questo senso il mestiere del chirurgo assomiglia a quello del meccanico. Mentre aspetta l’esito l’operazione chirurgica sulla figlia, credo che il vero essere malato sia lui, ed il vero bisturi sta dentro la sua memoria, i suoi ricordi. Se egli vuole tentare una riconciliazione nell’amore e nella vicinanza con gli esseri umani che spesso ha ignorato, come sua moglie, come sua figlia, come la sua amante meravigliosa Italia, deve innanzitutto imparare a dire la verità.

SG: Nel film i due personaggi femminili vengono lasciati correre su due binari sempre perfettamente distinti. Non c’è mai stata la tentazione di farle incontrare alla fine del film?

SC: Neanche nel libro non si incontrano mai, e trovo che questa cosa sia eccezionale. In realtà è proprio Timoteo che in qualche misura le fa incontrare, le unisce, Timoteo porta gli odori, gli umori di Italia all’altra. C’è una scena che secondo me racconta questo rapporto in maniera molto forte: quando Timoteo in casa di Italia si fa cucinare gli amati supplì, gli arancini fritti. Siccome Italia ne ha cucinati tanti, glieli incarta e lui se li porta a casa, ma a questo punto la moglie li prende e se li mangia, senza sapere che li ha fatti la sua amante. E per un gioco di paradosso, quell’arancino fatto da Italia nutrirà Angela che è già nella pancia di Elsa; sicché, per un gioco di A su B, e B su C, Italia ha nutrito Angela. Questa è la vita, questo è il tradimento, questo è l’amore.

Immagine articolo Fucine Mute

SG: Per quanto riguarda il lavoro di trasposizione dal romanzo allo schermo, ci sono state delle modifiche rispetto al testo di base?

SC: Non ho mai voluto correre il rischio di usare la voce fuori campo, penso sia una cosa abbastanza evidente, anche se alcune frasi del libro sono così forti che sarebbe stato anche gratificante… Però io non volevo fare l’illustrazione del libro, volevo che il film avesse una sua indipendenza visiva per cui ho eliminato la voce fuori campo e ho cercato di far diventare quelle parole, quel monologo, quel lunghissimo monologo un dialogo, immagini, azione.

SG: Questo è il suo secondo lungometraggio. Che cosa cambia nel momento in cui si mette dietro alla macchina da presa? Qual è lo stimolo nei confronti della regia per un attore come lei che ha lavorato con grandissimi maestri in ruoli importanti?

SC: L’ambizione! Penso non ci sia mestiere più egocentrico del regista. Penso sia molto emozionante condurre la nave, decidere ogni cosa di quel lungo viaggio e poter costruire un mondo attraverso il talento degli altri. Quindi non soltanto il talento degli attori, ma anche degli scenografi, dei direttori della fotografia, di tutti i collaboratori. È un gioco straordinario, per questo credo bisogna farlo al massimo della propria emozione, del proprio trasporto, perché fare un film è innanzitutto un privilegio.

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