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Omnia

Doppio clic

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La notizia ha fatto sorridere, o più che altro ha prodotto uno di quei rumori che non si faranno sentire troppo, tanto sono relegati alla dimensione del gossip giornalistico. Né potrebbe essere altrimenti sui quotidiani nazionali, pena il passaggio inosservato in qualche trafiletto per addetti ai lavori.

Mi riferisco all’ottenimento da parte di Microsoft del brevetto di un sistema hardware per il lancio di applicazioni basato sul tempo o, più prosaicamente, “doppio clic”.

Bill Gates

Al di là dei dubbi che legittimamente sorgono sulla possibilità di stabilire la paternità di un sistema che da anni fa parte del patrimonio di base di un qualsiasi utente informatico (ma evidentemente vige la regola di chi prima arriva), cerco di capire, senza peraltro conoscere la risposta, a quanto potrebbe ammontare l’obolo che ogni sviluppatore di software dovrà, chissà quanto verosimilmente, versare alla compagnia di Redmond per implementare senza praticamente alcuna possibilità di scelta una tecnologia che di fatto non si soppianta dall’oggi al domani, poiché le modalità di utilizzo del mouse vanno anche al di là delle più solide nozioni di standard informatico. Perché non è nemmeno uno standard in senso stretto, e al tempo stesso è più che una prassi, come il tasto “Invio” o la barra spaziatrice.

Suona già più strano, ed abbasserei pertanto la soglia dell’allarmismo di quel tanto che basta, scoprire che Microsoft ha appena brevettato il corpo umano in virtù delle già verificate proprietà della pelle di semiconduttore naturale.

In attesa di approfondire la cosa, e di comprendere a quale punto si collocheranno le ricerche sulla scala tra Neuromante e la barzelletta dell’italiano che usa la carta igienica per inviare un fax, scopriamo di essere “un apparato per la trasmissione di energia ed informazioni”, mentre qualche perplessità la suscita sicuramente la regolamentezione dell’Ufficio Brevetti statunitense con le sue maglie apparentemente piuttosto larghe di permissivismo. Ci sarà da leggere, se la notizia non cadrà presto nel dimenticatorio, l’approfondimento delle riviste specializzate e il commento di Wired, che non credo si farà attendere.

Al tempo stesso, proseguendo nella logica dell’obolo, mi domando se la proprietà intellettuale si limiterà alle ricerche future o se, da oggi in poi, ogni donna che dovesse dare alle luce un pargolo contrarrà un debito con Bill Gates, ulteriore tassello alla scarsa simpatia che nel corso degli anni il presidente di Microsoft ha chiamato attorno a sé, dato che al momento siamo nella posizione di poter prendere la notizia con un po’ di ironia.

Neuromancer

Tutto questo mentre il Consiglio d’Europa mette in difficoltà la filosofia dell’Open Source per le proteste anche di chi del mondo open source non fa parte, e mentre prosegue lo scontro SCO-IBM (con la prima a rivendicare la paternità di Linux), senza contare le derive paradossali che ci danno la misura, ormai in ogni ambito, di un mercato fatto da avvocati, proprietà intellettuali e degenerazioni di vario ordine e grado. Come il novantenne fumettista che, autore di personaggi comprimari, tenta di vedersene attribuiti i diritti parecchi lustri dopo, ben consapevole che il cross-media, la trasversalità, l’integrazione digitale non costituiscono tanto l’oggetto di un approccio di studi analitici dei nuovi linguaggi della comunicazione, quanto un filone d’oro editoriale, cinematografico e di merchandising globale.

Tim Berners-LeeE intanto Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web nel 1989, viene premiato con una borsa da un milione di euro proprio perché un brevetto, lui, non l’hai mai depositato. Un riconoscimento al merito di chi ha permesso ad altri di arricchirsi, o perlomeno ha gettato le basi perché ciò accadesse, e che al tempo stesso prosegue nella ricerca di una rete libera da vincoli e da proprietà.

Perché vi dico tutto questo? Semplicemente perché di informatica viviamo, di software libero abbiamo avuto bisogno, e sull’open source si sono formate alcune delle nostre competenze, e perché in fin dei conti della gratuità – certo più “piccola”, con minori implicazioni – abbiamo sempre fatto un principio. Non che il dibattito di cui sopra si riduca ad una questione di costi, quanto di interoperabilità garantita dal dominio pubblico della fonte; ma non scendo in dettagli, o almeno non in questa sede, poiché non escludo ne riparleremo.

Più che altro mi ritorna alla mente in questo clima la nostra partecipazione al coro di voci indignate all’avvento della nuova legge sulla stampa, contro la quale giustamente ci schierammo. E in certe prese di posizione si configura anche indirettamente l’identità di chi le assume: oggi vorrei dire “sì” ad un certo tipo di assunzioni – il copyleft e l’interessante formula di licenza “Creative Commons”, ad esempio, ma non posso farlo, ora come allora, senza che la cosa ci coinvolga in termini non esauribili in un editoriale.

Coinvolgimento marginale? Non credo: si tratta di approcci, di filosofie, e delle relative implicazioni nei termini di restrizioni, libertà d’espressione, di produzione, di diffusione, per le grandi multinazionali fino all’utente domestico. È la cultura della fruizione informatica, in rete o off line, al cui cambiamento stiamo assistendo, e chi può farsi soggetto della ridefinizione in primo luogo normativa non manca all’appello, con l’interlocuzione o con la prepotenza. E l’informatica che conosciamo oggi scardina più di un concetto, quello del diritto d’autore in primo luogo, e quindi della proprietà intellettuale a monte. In poche parole, nel nostro ambito, ci stiamo forse giocando le definizioni possibili di editoria elettronica al di là della definizione giuridica di organo di stampa. Perché non siamo solo la rivista “Fucine Mute”, ma anche tutto ciò che la forma, che ne detta le regole, che la alimenta, che ne è veicolato, che collabora con materiale proprio, che si relaziona ai propri lettori. E la consapevolezza di dove si sta andando è necessaria per continuare ad essere l’osservatorio ed il terreno sperimentale di cui ci siamo sempre attribuiti il titolo. Lascio aperte mille parentesi che spero sollecitino qualche riflessione.

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