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Cinema

Simona Izzo

Autrice senza virgolette

Immagine articolo Fucine MuteJimmy Milanese (JM): Siamo in compagnia di Simona Izzo, alla regia assieme al marito Tognazzi di un film proiettato a Maremetraggio: Io no, molto apprezzato dal pubblico triestino. Simona, hai vinto il David come miglior regista esordiente nel 1994, ma per il pubblico sei più un’interprete. Va bene così? Ti soddisfa questa cosa?

Simona Izzo (SI): Essere una donna è più faticoso che essere un uomo. Non nella vita, perché nella vita probabilmente come donna hai più soddisfazioni, più emozioni; proprio perché il privato e gli affetti sono più sentiti. Ci si occupa più dell’amore: una donna ha più tempo per occuparsi dell’amore. Ma fare il regista è un lavoro molto duro, molto maschile e i produttori raramente pensano a una donna come regista, perché il capo — se vuoi tra virgolette — è un uomo: l’autorità è maschile. Quindi, avere avuto successo, aver vinto dei premi, aver fatto botteghino — perché io ho vinto dei premi, ma ho fatto anche film che hanno incassato molti soldi al cinema -, m’ha portato altro lavoro. È stata più dura, ma non me ne lamento troppo, nel senso che capisco la difficoltà di accettare il successo di una donna. Il fatto che mi vedano più come interprete non mi provoca dolore, anche perché io sono un’esibizionista: vado in televisione, sono un’intrattenitrice, ho avuto una carriera anche come personaggio televisivo; non sento la frustrazione di non essere considerata l’autore tra virgolette.

JM: A proposito di autorità paterna, tu hai iniziato come doppiatrice. Come nasce in te questa vocazione, visto il papà doppiatore di successo?

SI: Mi sono trovata a cinque anni in una sala di doppiaggio, con mio padre che m’insegnava più che a parlare a doppiare. E quindi è stato tutto semplice, fisiologico, come andare in bicicletta: mi hanno messo lì, e io ho lavorato. Il primo film l’ho fatto addirittura con De Sica: Giudizi Universali. Avevo cinque anni, era 45 anni fa ed è stata un’emozione forte, me la ricordo benissimo. Il grande De Sica m’ha chiesto di piangere e visto che io nel film ero un bambino maschio dissi: “Ma io sono una femmina!” E lui rispose: “Simona, la voce cambia a undici anni, tu ne hai solo cinque, quindi puoi doppiare un maschio”. Lo confesso, mi sono messa a piangere, perché non volevo mettermi a doppiare un maschio. De Sica ha registrato la mia voce che poi adesso è nel film e lo sarà per sempre.

JM: Oggi lavori dietro le quinte, però da un altro punto di vista appari molto in televisione. È un bel contrasto?

Immagine articolo Fucine MuteSI: Io sono vanitosa e quello di fare televisione è un modo per guadagnarmi la vita, diciamo così, per guadagnare soldi. L’autore scrive romanzi, libri, sceneggiature, ma questo dà meno soddisfazioni economiche. Quindi, per poter fare il regista e l’autore in modo “rilassato” mi mantengo andando in televisione. E poi, la popolarità che ho ed ho sempre avuto da quando avevo vent’anni in televisione, mi dà gioia, mi diverte. Mi dà la possibilità di comunicare di più: quando incontro una persona mi sembra già di conoscerla, rompo prima gli argini della discrezione. Questo mi dà molta gioia. Però all’estero, dove non mi conoscono, sento la fatica di dovermi far accettare, quindi dentro c’è anche una sorta di ansia dell’accettazione che è quella di fare un mestiere che ti porta ad avere dei contatti più stretti con una persona.

JM: In Io no tu curi sia la regia sia l’adattamento della sceneggiatura dal romanzo omonimo. E un piccolo cammeo, perché non è saltato fuori?

SI: Be’, perché mi sembrava troppo. La mamma del film avrei dovuta farla io, invece ho scelto un’attrice che mi piaceva molto (Patrizia Sianca, ndr) e ho pensato che in questa occasione era meglio restare dietro le quinte davvero. Detto questo, io faccio molto raramente l’attrice: mi dà meno soddisfazione. Adesso ho voglia di mettere in scena i miei fantasmi, le mie paure, quindi le mie storie. Non sempre ci riesco, faccio tanta fatica. In questo momento sto scrivendo un altro film che s’intitola Il matriarca, e mi permetto questa trasgressione linguistica, perché è la storia di un uomo che in realtà ha un rapporto molto femminile con le donne ed è forse un uomo che io avrei voluto incontrare.

JM: Curare la regia, la sceneggiatura, forse fa vedere un film sotto un’altra luce, da una dimensione diametralmente opposta, rispetto allo spettatore o addirittura rispetto a chi lo interpreta in prima persona. Quali sono i difetti o i pregi che hai visto o che vedi da questa posizione in Io no?

SI: Rivedere un film dopo un anno che l’hai fatto è sempre un confronto con te stesso, discronico rispetto a quello che sei, quindi tendi a vederne solo i difetti. Nonostante questo nel film ci sono momenti di grande felicità dal punto di vista della recitazione degli attori. Gli attori sono bravi tutti e quattro, da Gianmarco Tognazzi a Francesco Venditti, da Myriam Catania a Inés Sastre — che ha recitato in italiano con un accento spagnolo e ha dato una prova d’attrice, in realtà lei è una modella, ma ha lavorato molto come attrice -. Ci sono sempre tanti difetti in un film. È un’opera aperta. È un’opera che, quando arriva lo spettatore, la fa sua e la migliora a volte o la peggiora, dipende dal momento in cui la vede. Nella critica ad un film bisogna capire anche come lo spettatore si pone in quel momento — ad esempio io ho visto un film che amo molto La grande guerra, l’ho visto da ragazzina e mi sono divertita; l’ho visto in età più matura e ne ho colto invece il dolore, la drammaticità. Io quando vedo un mio film sono sempre molto critica e rifarei tutto, ma credo che qualsiasi autore, rivedendo una propria opera sente l’esigenza di cambiarla, ma anche perché lui stesso è cambiato.

Immagine articolo Fucine Mute

JM: Quindi, proprio su questo argomento, secondo te dove si vede l’usura da successo in un attore o magari anche in un regista?

SI: Quando si accontenta, quando non ha più energia, quando sceglie temi semplici e il successo. Ma non è una cosa che tu avverti sempre, te ne rendi conto quando hai difficoltà con un produttore. Ma quando tu sei davvero solo con te stesso non pensi mai di essere una persona di successo. Assolutamente, almeno per quanto mi riguarda, soffro di depressione, soffro di inadeguatezza, mi sento inadeguata nelle cose che faccio e scrivo e butto via. Quindi, io non ho la percezione del mio successo. Ho, invece, la percezione della mia fatica di vivere e anche di comporre. Perché la composizione ti obbliga anche ad occuparti di te stesso. Oggi (non ricordo dove) c’è un bell’articolo di Moretti intervistato ad un festival dove spiegava come in Caro diario — secondo me un film molto autobiografico — lui non abbia raccontato se stesso. Ma non è vero, in realtà alla fine si racconta sempre se stessi, anche quando si sceglie di trasportare sullo schermo un romanzo scritto da altri.

JM: Per concludere, come dicevi prima, i tuoi progetti futuri. Puoi anticiparceli?

SI: Ho scritto un’opera, e la musica la sta componendo il maestro Tarantino. Il 27 esce un librino, uno scherzo che si chiama Sms, che in realtà sta per Sesso, Matrimonio, Sofferenza: dei motti più o meno di spirito, più o meno divertenti o dolenti che sono pubblicati da Gallo e Calzati. Dentro ci sono molti momenti della mia vita sintetizzati in un aforisma o in una battuta.

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