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Cinema

Ettore Scola

Pessimismo attivo

Immagine articolo Fucine MuteTiziana Carpinelli (TC): È con una certa trepidazione che ci troviamo a Gorizia, in occasione del Premio Sergio Amidei,con un regista che ha reso e contribuisce a rendere illustre il cinema italiano: Ettore Scola. All’anteprima de La cena, lei ha definito i sui film dei “colabrodo”…

Ettore Scola (ES): All’anteprima de La cena? Ma lei non era neanche nata!

TC: …li ha definiti dei“colabrodo” perché non ha mai ambito a fare delle “opere definitive” ma ha sempre sperato di invitare il pubblico ad una riflessione. Secondo lei, ha senso una ricerca storica e una riflessione nell’attuale panorama politico italiano?

ES: Mah, la ricerca storica è sempre necessaria e in certi momenti politici è ancora più necessaria. Mi pare che l’attuale momento politico italiano esiga un’attenzione maggiore non so come la pensa lei ma bisogna essere vigili: vedere le proposte che vengono fatte e i valori che vengono messi da parte, ecco allora che l’approfondimento e il rapporto con la storia del passato diventano ancora più importanti.
E per quanto concerne quello che ho asserito lei diceva “colabrodo” -, sì, è vero, faccio delle pellicole piene di buchi, perché credo che il film sia un oggetto deperibile ma da offrire al pubblico perché possa riflettere o avere un’occasione di riflessione in più. E quindi, proprio per questo, nella Cena lascio sempre degli spazi dove il pubblico può inserirsi e lascio dei corridoi con delle stanze vuote perché il pubblico possa volare con i propri zii, i propri parenti: lascio degli spazi, degli interstizi dove l’esperienza personale possa sostituirsi a quella mia e a quella dell’autore e il film sia, così, più vicino a quello che è lo spettatore e sia in qualche modo a lui  più utile. Lo spero.

TC: Prima che esordisse alla regia e prima ancora che esordisse alla sceneggiatura, lei scriveva e si trovava a collaborare col Marc’Aurelio (in qualità di vignettista, ndr): forse è stato anche questo potere della vignetta, del bozzetto, che l’ha aiutata a sviluppare poi i suoi film e i suoi personaggi? E cosa significa per lei la satira, che ha caratterizzato, come ingrediente fondamentale, le sua pellicole?

ES: Di certo sono erede e vittima di quella scuola lì. Ho cominciato facendo i disegnetti, facendo le vignette, e quella col Marc’Aurelio è una scuola che ho intrapreso per vent’anni; poi, anche in seguito, ho continuato a disegnare per conto mio, perché penso che la sintesi dell’ironia sia efficace e sia importante. Credo che pure la tragedia più devastante abbia, proprio perché appartiene all’uomo, anche una dimensione di divertimento, una dimensione di gioco, di ironia, perché l’ironia può salvare dalle dittature, certo, però poi bisogna pensare che l’ironia deve corrispondere anche ad una certa ribellione.

Immagine articolo Fucine MuteTC: Nel ’64 avviene il suo esordio alla regia e poi segue una serie di film, degli autentici capolavori, che hanno fatto sì che la commedia dell’epoca, sul genere de Pane, amore e fantasia, che aveva glissato il neorealismo, tornasse a riflettere su se stessa, attraverso la sua critica verso ogni ordine costituito e nei confronti di un capitalismo imperante. Poi, la svolta su un altro tema, quello della disgregazione sociale e, in un certo senso sentimentale, con La cena, Gente di Roma, Concorrenza sleale: perché questa virata?

ES: Ioson contento che lei trovi questa virata, perché ho sempre l’impressione di fare lo stesso film da quarant’anni!

TC: Intanto con l’approdo al digitale…

ES: Mi pare che i temi siano sempre gli stessi. Il digitale è uno strumento: è come cambiare la penna con la quale si scrive; bisogna vedere poi cosa scrivi: non è importante che sia la macchina da scrivere o il computer.
Il digitale è uno strumento più agevole, più avanzato e che, quindi, è giusto sfruttare, ma i temi credo che siano rimasti quei tre o quattro che svolgo da quando ho cominciato.
Certo, ogni volta si cerca anche di avere un interesse in più, di avere una dimensione in più, però, in definitiva, i temi sono quelli.
Tante svolte non le ho viste: magari, ci vorrebbero qualche volta. Lei mi spinge ad avere una svolta.

TC: In che senso?

ES: A cambiare.

TC: A proposito di cambiamento, nella scena finale de Concorrenza sleale, nell’ultima inquadratura, al bambino interprete e narratore della vicenda lei volutamente nega il sorriso, cioè manca quel sorriso che aveva caratterizzato le pellicole precedenti. Cos’è che viene meno, nella sua visione attuale, per ritornare a quel sorriso?

ES: Intanto il sorriso, sì, ripeto, fa parte dell’uomo, è una forza dell’uomo, purché non sia un sorriso ebete: non è che si può sorridere anche di fronte alla deportazione, ad opera dei nazisti, degli ebrei o sorridere di fronte alla situazione italiana di oggi; il sorriso sì, va bene, ma sempre con una melanconia dentro e una forma di pessimismo che, in quanto attivo, possa diventare ottimismo.

TC: Ultima domanda: è in cantiere un progetto, un film ambientato a Parigi con Depardieu, dal titolo Un drago a forma di nuvola, ce ne può parlare?

ES: No, non parlo mai dei film prima di farli perché non li conosco: secondo me un film è finito quando lo conosce il pubblico e quindi parlarne in gestazione, no, non lo faccio mai e per quanto riguarda questo, è rinviato sine die perché, siccome il committente che era e che è la Medusa si interessa anche di altre cose e non soltanto di cinema (ma anche di politica e di tutto il resto), io aspetto che l’impresario torni ad essere impresario solo di cinema.

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