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Cinema

52° Festival del cinema di San Sebastian

Immagine articolo Fucine MuteLa 52ª edizione di un festival dalla storia ormai ricchissima di eventi ha visto succedersi numerose buone pellicole, forse però la vera opera d’arte è mancata, almeno tra i film più visti dal grande pubblico. La cosa non deve stupire più di tanto, dal momento che si tratta di un festival poco commerciale e meno conosciuto (almeno in Italia) di quelli di Cannes, Venezia e Berlino. Si è puntato forse sui giovani, autori di molti lavori eccellenti, e sul cinema latinoamericano, in particolare argentino, fatto tipico per questi luoghi. Così alla fine non ha vinto una produzione di massa che passerà alla storia, come successe invece per esempio nel 1964 con la vittoria di America, America di Elia Kazan o nel 1969 con quella di The Rain People di Francis Ford Coppola. La “Concha d’oro” (letteralmente la “Conchiglia d’oro”: il massimo premio si chiama come la spiaggia della città, che ha la forma di una conchiglia) è andata stavolta a Turtles Can Fly del regista kurdo Bahman Ghobadi, decisione che ha messo d’accordo (raramente succede) critica, stampa e pubblico.
L’atmosfera di questo autunno, con le elezioni americane alle porte, la guerra in Iraq, la vittoria a Cannes di Michael Moore deve avere influito sulla decisione, come d’altra parte la sensibilità della gente del posto, dove certo non abbondano fascismi e xenofobie. Il film fotografa infatti la vita di un folto gruppo di bambini del Kurdistan irakeno, per i quali l’ultima guerra non ha poi mutato tanto le cose, perseguiti come sono da tutti i paesi che in parte occupano (a partire dalla “democratica” Turchia presto europea). Mutilati, feriti nella profondità, diventati “adulti” in pochi anni, i protagonisti non smettono di giocare, correre, volare. Ma non ci sono speranze. Il regista è chiaro in questo. Non passa un anno senza che qualcosa non capiti a questi piccoli villaggi dimenticati, e non è mai qualcosa di buono. Così la protagonista femminile riesce nel suo intento (del resto è la scena con cui si apre il sipario) di suicidarsi dopo aver ucciso suo figlio, nato da uno stupro. La poesia nel film è alta, meritava di vincere in effetti. Ma le giurie avevano abituato a sorprese da queste parti.

Farà discutere piuttosto Perseguidos, pellicola della sezione “Zabaltegi” a metà strada tra il film ed il documentario girata da Eterio Ortega Santillana, che tratta del problema delle minacce e a volte degli omicidi perpetrati dall’ETA a molti politici, imprenditori, giornalisti di questa città e del suo circondario. Già, perché la regione di Guipuzkoa è un bellissimo posto che nasconde orrori abbastanza gravi, sfruttando un’omertà di stampo pseudomafioso. Il pubblico la apprezzò, ma adesso si attendono ripercussioni, in particolare sui due consiglieri comunali che hanno interpretato se stessi. Rumori di fondo anche per Nine Songs di Michael Winterbottom, che in ogni caso si aggiudica il premio per la meravigliosa fotografia di Marcel Zyskind. Il film in effetti può sembrare provocatorio, mostrando solo sesso dal vivo, concerti rock e alcune vedute aeree dell’Antartide. Ma c’è qualcosa in più, se si guarda bene. C’è tutta una serie di atteggiamenti tipici della pornografia che qui invece fanno un effetto opposto, invitando lo spettatore ad entrare nell’intimità dell’amore di questa coppia di giovani che si vuole, ma che sa che finirà per perdersi. L’ultimo pompino ha così il sapore di un saluto, di un abbraccio, di qualsiasi altro gesto romantico tra chi si ama. Non è scandaloso. Scandaloso è nascondere la propria natura comune. I ghiacci dove si ritira il protagonista per raccontarci la sua storia assomigliano infatti agli spazi vuoti di pinkfloydiana memoria che andiamo inserendo sempre più nelle nostre vite cittadine e borghesi. Spazi vuoti dove si intrufolano quotidianamente le televisioni di Berlusconi, la letteratura spazzatura, il calcio, eccetera. Questo è pure scandaloso. Il regista di Wonderland meritava di più, irrita che la stampa si ostini a criticarlo fino al punto da ritenere eccessivo il premio conferito al suo direttore della fotografia, quando pochi filmano così, con telecamera a mano e inquadrature ravvicinate, studiando i colori e la qualità della luce degli ambienti per ottenere il voluto effetto psicologico. Ma sono sicuro che questi signori sanno molto meglio di me tutte queste cose (io sono solo uno studentello di luminotecnica, cosa volete farci). Fallisce clamorosamente Roma dell’argentino Adolfo Aristarain, fatto singolare per un festival che molte volte ha premiato “in casa”, per così dire. Qui vinsero infatti Manuel Gutierrez Aragon (più volte), Victor Erice (nel 1973 con il capolavoro El espiritu de la colmena), Imanol Uribe, Alejandro Agresti (argentino), Arturo Ripstein (messicano), lo stesso Aristarain nel 1992. La caduta del cinema latinoamericano è stata d’altra parte generale: si è salvato solo Carlos Sorin con Bonbon, il perro che ha ricevuto il premio FIPRESCI della critica. Forse avrebbe meritato di vincere la “Concha d’argento” per l’interpretazione (eccezionale) del debuttante Juan Villegas, meccanico di una stazione di servizio. Deludono anche i registi colombiani e spagnoli: Horas de luz viene totalmente trascurato, nonostante la spinta di certa stampa per un premio. Gli italiani? Assenti, il che la dice lunga sullo stato di salute del nostro cinema, dal momento che questo festival ci è sempre stato generoso (sette vittorie del massimo premio e vari premi minori).

Immagine articolo Fucine MuteMale pure i francesi, presenti con Inguelezi di François Dupeyron (pure lui già vincitore), che non prolunga la lista iniziata da Eric Rohmer e Claude Chabrol. Ma riassumiamo rapidamente le sezioni presenti, dividendo innanzitutto tra le sezioni ufficiali e le retrospettive. Tre le sezioni di gara: quella dei massimi premi, la sezione “Zabaltegi” dedicata agli esordienti e alle perle degli altri festival, infine “Horizontes latinos”, riservata a film spagnoli e latinoamericani. Tre anche le retrospettive: Woody Allen, Anthony Mann e “Incorrectos”, dedicata ai film che fecero scandalo alla loro apparizzione. Accanto a queste sezioni si sono svolte poi le “Giornate del cinema basco”, le proiezioni delle Scuole di Cinema e la megalomane e commercialissima sezione “Velodromo”. La serata di apertura del festival è stata dedicata dedicata al grande regista newyorchese, vincitore di uno dei premi “Donostia” (nome basco di San Sebastian) alla carriera (gli altri vanno a Jeff Bridges e Annette Bening), con l’esterno mondiale di Melinda and Melinda. I film più premiati si fanno attendere qualche giorno e il vincitore compare solo all’ultima proiezione, quando già il Presidente della Giuria (nella quale figurava anche la nostra Laura Morante) Mario Vargas Llosa annunciava una probabile decisione “polemica”. Tra i più meritevoli di menzione compare sicuramente Yi feng mo sheng nu ren de lai xi — Letter from An Unknown Woman della cinese Xu Jinglei, regista, sceneggiatrice ed interprete che si avvale della prestigiosa collaborazione di Mark Lee PingBin (direttore della fotografia pluripremiato) e Cao JiuPing (art director già assistente di Zhang Yimou e Quentin Tarantino). La meravigliosa storia d’amore che vince spazio, tempo e memoria vince infatti la “Concha d’argento” per la regia. Un po’sotto le aspettative Omagh di Pete Travis, film documentale sopra l’attentato della cittadina irlandese omonima, che vince comunque il premio per la sceneggiatura di Guy Hibbert e Paul Greengrass (già premiato per Bloody Sunday).

Menzione speciale della Giuria (significa che avrebbe potuto vincere) per San Zimske noci — Midwinter Night’s Dream del serbo Goran Paskaljevic. Fuori concorso Tod Williams con The Door in the Floor ed il noto ungherese Istvan Szabò con Beeing Julia, piace abbastanza ma non riceve premi il coreano Song Il-Gon per la psicologica Geo-mi-soon — Spider Forest (sospesa tra Cronenberg e Polanski). Deludono gli altri. Premi alle migliori interpretazioni dei danesi Ulrich Thomsen e Conie Nielsen per Brothers. Questo per quanto riguarda la Sezione Ufficiale. Veniamo a “Zabaltegi”. Due tipologie di gara: Premio del pubblico oppure Premio nuovi registi e sceneggiatori. Inoltre una selezione di film della Sezione Ufficiale e di “Zabaltegi” parteciparono al Premio della gioventù, assegnato da una giuria di giovani. Il premio del pubblico lo vince il romantico (e commerciale) Diarios de Motocicletta di Walter Salles, grazie al fascino ed alla notorietà del Che e, perché no, dello stesso Gael Garcia Bernal, attore sudamericano tra i più apprezzati degli ultimi anni. A bocca asciutta rimangono Joshua Marston per il pubblicizzatissimo Maria, llena eres de gracia, vincitore dello stesso premio a Berlino; il simpaticissimo Morgan Spurlock per l’anti Mac Donald’s Super Size Me; nomi eccellenti come Zhang Yimou (Shi mian maifu — The House of Flying Daggers) e Claude Chabrol (La demoisuelle d’honneur); il bellissimo (e durissimo) documentario sull’Africa Darwin’s Nightmare dell’austriaco Hubert Sauper, l’impegnato pentapartito En el mundo, a cada rato, patrocinato dall’UNESCO e addirittura il Gran Premio della Critica FIPRESCI dell’anno (arriva ultimo nella graduatoria del pubblico) Jean-Luc Godard (dici nessuno…) con il filosofico (e difficile da capire, evidentemente…) Notre Musique.
Fuori concorso Oliver Stone ci presenta un’ottima intervista al vecchio Castro (Looking for Fidel), il resto non è degno di nota. A partire dal vincitore del Premio della gioventù Brad McGann con In My Father’s Den, interessante giallo ma nulla più. Ben diverso il discorso per la francese Lucile Hadzihalilovic, vincitrice del Premio nuovi registi per il meraviglioso Innocence, forse l’unico vero capolavoro presentato (il pubblico abbandona la sala o lo fischia alla proiezione dei film premiati: chissà se queste persone condividono le opinioni di Jorge Oteiza sull’educazione spirituale dell’anima vasca, sempre che le conoscano). Il film merita di essere segnalato per l’incredibile padronanza di tutti gli aspetti del linguaggio cinematografico (ritmo, montaggio, inquadrature, sceneggiatura, personaggi, sospensioni, dialoghi), nonché per la grande poesia che la passione di questa giovane ragazza riesce a infondere. Il viaggio iniziatico delle ragazze rinchiuse nel collegio dove siamo trasportati assume molto presto lo sfondo di metafora dell’esistenza e della crescita, e la positività gioiosa del messaggio finale non può fare altro che commuovere. Assolutamente da non perdere. Premio nuovi sceneggiatori per Marc Gautron e Fanta Regina Nacro (La nuit de la veritè), meritato riconoscimento all’emergente cinema africano.

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Il premio della sezione “Horizontes Latinos” lo vince Mala leche del cileno Leon Errazuriz, ma globalmente la sezione delude. A dire il vero parte della stampa spagnola difende le produzioni sudamericane, in particolare quelle argentine, ma dal punto di vista europeo non si può astenersi dall’osservare che la semplicità ed il realismo di questo cinema offrono effettivamente troppo pochi stimoli intellettuali. Buoni film, leggeri e ironici su tematiche anche tragiche, ma non paragonabili ad ottimi lavori del passato. Bisogna sottolineare la prolificità cinematografica di paesi duramente in crisi economica, ma forse orientarsi sul cinema indiano, per esempio, avrebbe dato migliori risultati, in termini anche di visibilità internazionale del festival. Deludono anche le ultime grandi produzioni fuori concorso come La mala educacion di Pedro Almodovar e El abrazo partido di Daniel Barman. Ultime parole per la gradevole rassegna “Incorrectos”, dove spiccano film storici di Luis Buñuel (L’Age d’or, Simon del desierto), Jean Vigo (Zero de conduite), Pier Paolo Pasolini (Salò e le 120 giornate di Sodoma), Woody Allen (Don’t Drink the Water), David Cronenberg (Crash) misti a eccitanti esordi di contemporanei come Pedro Almodovar (Pepi, Luci, Bom y otras chicas del monton), Michael Moore (Roger and Me), Claude Chabrol (La cerimonie), Danny Boyle (Trainspotting), Lars Von Trier (Idioterne).

In conclusione, il festival si conferma occasione di incontro e anteprima di ottimi film d’essai, con qualche perla eccezionale. L’atmosfera di questa splendida città fa compagnia nei deliziosi giorni che si possono trascorrere dedicandosi, per una volta, ad una attività non manipolata in modo più o meno diretto. I nomi dei grandi passati qui non si contano, così come i sorrisi e la gradevole cordialità di tutti quelli che vi giungono ora. Da San Sebastian, perla dell’Europa, un saluto a tutti gli appassionati di cinema.

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