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Omnia

Epica Etica Etnica Pathos

Varcata la soglia del settantesimo “compleanno” (ché qui in redazione si festeggia l’uscita di ogni nuovo numero, se non altro per il fatto d’essere ancora vivi, noi che del no-profit abbiamo fatto quasi una questione di principio, pur in un mondo in cui il profitto regna imperante) e ritornando, cosa che spesso faccio, a ritroso nel tempo della memoria di Fucine Mute, mi accorgo, quando oltre non posso oggettivamente spingermi, che il numero zero di Fucine Mute è stato interessante per parecchi motivi.

Immagine editoriale Fucine Mute

Lo è stato innanzitutto per il suo aver rappresentato ciò che in matematica Giuseppe Peano avrebbe definito quella “condizione iniziale” che è alla base di ogni processo di induzione logica, non ultimo quello che porta alla costruzione assiomatica dei numeri naturali e, successivamente, alla definizione del concetto cantoriano di “potenza del numerabile”. Zero è un numero naturale, così come zero più uno, e poi zero più uno più uno… in una iterazione ricorsiva che tende all’infinito.
Quel numero zero ha inoltre rappresentato per Fucine Mute il suo stesso Atlante, la sua prima vertebra cervicale che avrebbe, di lì a breve e per tutto il tempo a venire, sorretto una testa pensante da una parte ed un mondo intero da esplorare dall’altra. Un mondo – quello dell’arcipelago web da costeggiare, atlante alla mano, in un rinnovato e mai stanco gioco di derive e approdi – che ci era apparso fin da subito, vista la portata delle nostre sfide, certamente non meno pesante di quello che Atlante, per l’appunto, figlio di Giapeto e Asia, fu condannato a sorreggere con propria testa e mani, ad espiare in eterno la sua pena per aver osato titanica impresa di sfidare Zeus, il più potente degli Dei.

C’è tuttavia un ulteriore elemento simbolico che, a mio dire, rende ancor più importante l’origine epigenetica della nostra storia, e che è chiave di volta di tutto il mio presente argomentare, ovvero la comparsa, fin da quel nostro zero iniziale, di tre nomi di giovani collaboratori – Luca Lorenzon, Luciano Dobrilovic e Sara De Mezzo – cui l’allora direttore editoriale Massimiliano Spanu aveva voluto dar voce, non differentemente da quella concessa ad altri nomi ben più noti e blasonati che ad essi facevano da traino in apertura di un sommario perso nell’alba dei tempi (era 1.1.1999) e quindi già proiettato in uno spazio virtuale ante litteram (spazio 111999). Tre giovani, giovanissimi studenti universitari ancora lontani dalla laurea che prima o poi sarebbe giunta, che tuttavia potevano, già allora, stare in bella compagnia di tali Enrico Ghezzi, Claude Lelouch, Emir Kusturica, Fernanda Pivano, Warren Ellis, Judith Malina e Hanon Reznicov.

Nei numeri a seguire fu poi la volta dei saggi di Riccardo Visintin, Claudio Montresor e Lorenzo Pinto, delle prime pubblicazioni delle tesi di laurea a firma di Fabio Bonetti, Gianluca Guerra, Paola Fallerin e Alessia Vecchies, che facevano comunque seguito a quelle già pubblicate di Chiara Barbo e dello stesso Massimiliano Spanu, entrambi a quei tempi cultori della materia per il compianto professor Alberto Farassino, che di quelle primigenie Fucine aveva di buon grado acconsentito d’essere il direttore responsabile.

In certi casi quelle prime, abbozzate collaborazioni sarebbero state il punto di partenza – la condizione iniziale – per successive, sempre più qualificate presenze redazionali, che si sarebbero infine concretizzate fino al punto tale da consentire a quei collaboratori l’ottenimento della meritata qualifica di giornalista pubblicista, dopo due anni almeno di altrettanto meritevoli e coraggiose presenze. Cosa che è avvenuta, oltre che per talune delle succitate comparse, anche per altri collaboratori storici quali Giorgia Gelsi, Corrado Premuda, Martina Palaskov Begov e Fabrizio Garau.
In certi altri casi quei nomi si son talvolta persi, chi strada facendo, chi subito poco dopo l’inizio del proprio percorso, salvo magari ricomparire in seguito o scomparire proprio del tutto. In certi altri casi ancora – e mi riferisco alle fondamentali esperienze di Fabio Bonetti, Massimiliano Spanu, Serena Smeragliuolo (attuale caporedattore) e Christian Sinicco (ex caporedattore e pubblicista a sua volta) – quei nomi hanno lasciato traccia indelebile nel tessuto editoriale della testata, significandone ricostruzioni a più riprese fondanti, mature ed autocoscienti, e comunque rappresentative di cuori generosi e corpi mai stanchi per la definizione di nuove anime editoriali via via rigenerate, o di menti tecnologiche sempre più complesse e consapevoli.

Resta comunque costante, in tutta la storia di Fucine Mute (basta scorrere un generico sommario trai quasi settanta disponibili per sincerarsene), la presenza dicotomica ma non stridente delle voci di giovani entusiasti da una parte, che a quel tipo di progetto editoriale hanno partecipato attraverso la pubblicazione dei loro lavori, voci di giovani studenti di fatto affiancate e compenetrate a quelle dei loro stessi docenti universitari dall’altra, per la costruzione di un progetto culturale, ancor prima che editoriale, che ha sempre difeso la sua necessità programmatica di proporre i ricercatori di domani accanto ai nomi più noti del sapere accademico di ieri e di oggi.

Alla crescita di quello stesso progetto, originariamente ipotizzato proprio su Internet come luogo di dibattito forte e produttivo per la costruzione di un potente strumento di divulgazione mediato dai nuovi linguaggi della Rete, hanno contributo in sei anni i massimi rappresentanti della cultura e dello spettacolo internazionale (premi Nobel, editorialisti, saggisti, poeti, musicisti e artisti in genere) che hanno magari concesso interviste esclusive proprio a quegli stessi loro sostenitori che hanno avuto la possibilità di scrivere sulla loro arte, intesa in tutte le sue possibili manifestazioni o accezioni, attraverso il saggio critico, la recensione, l’approfondimento analitico, l’intervista per l’appunto.

Non so cosa pensino gli oltre cinque milioni di lettori che Fucine Mute ha collezionato in tutto il mondo nel corso dei suoi quasi sei anni di attività a proposito di quello che io oserei definire il valore rivoluzionario di una gioventù consapevole e propositiva – quella dei nostri giovani collaboratori tutti -, capace di costruire il proprio futuro con la forza di una fiducia sincera nelle sue evoluzioni e l’orgoglio di un coraggio indefesso nella sua definizione in itinere… Mi piacerebbe ottenere in tal senso qualche risposta, magari proprio in forma pubblica sul forum o sul libro degli ospiti, per capire se il progetto di Fucine Mute abbia tratto il proprio successo, che comunque esiste a prescindere in sé e per sé, proprio da questo rapporto sinergico di confronto tra i giovani ed i cosiddetti vecchi che li hanno preceduti e accompagnati.

Né so cosa pensino le pubbliche Istituzioni e gli stessi politici del Consiglio regionale di questo Friuli-Venezia Giulia in cui operiamo da sempre, a proposito di un Ente, il nostro, che attraverso il suo quotidiano agire richiama positivamente l’attenzione di altre Regioni italiane o Stati mondiali sulla nostra Regione e città, rispetto alle sue componenti sociali e culturali, promuovendo forme di ricerca, studio e di documentazione a piena  valorizzazione e tutela degli interessi del territorio e della popolazione amministrati, attraverso azioni di rilevanza sotto il profilo dei valori sociali, morali, culturali ed economici che sono presenti nella comunità alla quale l’Ente dell’amministrazione regionale è preposto…
Né so cosa essi pensino di un’attività con la quale siamo riusciti a creare dal nulla un archivio multimediale con cui rappresentare, ogni giorno ed in tutto il mondo, l’immagine del Friuli-Venezia Giulia al meglio delle sue valenze socio-culturali, valorizzando il lavoro di giovani uomini e donne che poi ottengono qualifiche professionali (chi giornalista, chi redattore multimediale, chi tecnico informatico), instaurando collaborazioni con l’Università degli Studi di Trieste e con centri di ricerca (cineteche nazionali, associazioni culturali, istituti di italianistica) nazionali ed internazionali.
Certamente da un loro pensare in un modo piuttosto che in un altro potrebbe dipendere il ritmo di una nostra crescita futura, se non il nostro stesso futuro tout court (che sappiamo essere comunque tutto lungo). Nel frattempo – noi che crediamo in quelle Istituzioni cui affidiamo il responso di un giudizio sul nostro operato silente – continueremo, come sempre, ad offrirci di fare bene cose belle per il bene dei luoghi in cui viviamo e siamo cresciuti. A riprova del fatto che il “media attivismo” dei nostri tanti giovani collaboratori non è solo una sincera dichiarazione d’intenti, ma anche una consolidata prassi quotidiana di crescita umana e professionale, oltre che di consapevole e cosciente confronto con il mondo che ci circonda.

So invece ciò che penso io a proposito di questi giovani, dei quali, se proprio vogliamo dirla tutta, faccio io stesso parte, pur dall’alto dei miei trent’anni suonati: so che alcuni di costoro, che da noi erano fino a qualche mese fa studenti-stageur più o meno sconosciuti, adesso firmano la prima di cultura in quotidiani locali; che altri prestano opera professionale in periodici a tiratura nazionale; che altri ancora sono chiamati a partecipare come relatori a convegni e seminari; che certi altri ancora esercitano la libera professione di comunicatori e web developer; che quasi tutti coloro che hanno contribuito continuativamente alla crescita di Fucine Mute sono adesso giornalisti pubblicisti che collaborano con uffici stampa, agenzie di comunicazione, e sono di fatto pronti per un tirocinio che possa traghettarli verso gli ambiti del giornalismo professionale.

A tutti costoro, come ulteriore motivo di incoraggiamento a fare sempre meglio e a fare sempre e comunque, valgano le mie parole di encomio ed ammirazione, oltre che il mio ringraziamento per quanto da essi compiuto. Sia per ciò che hanno saputo e voluto fare in passato per Fucine Mute, sia per ciò che potranno e sapranno fare in futuro per se stessi e per gli altri. Il loro coraggio (epica), la loro genuinità (etica), il loro respiro (etnica) e la loro umanità tutta (pathos) non cadranno mai in prescrizione.

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