// stai leggendo...

Musica

U2: come disinnescare una bomba atomica

U2, How to dismantle an atomic bomb

Immagine articolo Fucine Mute“La notte è piena di buchi, come pallottole che segnano il cielo, d’inchiostro con oro, brillano quando i ragazzi suonano rock and roll. Loro sanno di non poter ballare, almeno lo sanno… Non possono tenere il ritmo. Sto chiedendo l’assegno. La ragazza con le unghie rosse ha Gesù intorno al collo. Oscillando alla musica. Oscillando alla musica. Ciao, sono in un posto chiamato Vertigine, è tutto ciò che speravo di non sapere”.

Sono le parole di Vertigo, la canzone che ha segnato il ritorno degli U2 sulle scene con un nuovo album, quattro anni dopo All that you can’t leave be’ind, il disco che ha riportato i nostri in bianco e nero dopo un decennio di colori, ad una musica fatta di strumenti dopo un’orgia di campionatori, sintetizzatori, pixel e megaschermi. Le parole di Vertigo, che parlano di una band che suona in luogo “alla fine del mondo”, in uno stato di confusione, sembrano riportarci alle mastodontiche produzioni degli U2 anni novanta, quelli del delirio mediatico dello ZooTv Tour, del supermarket futuristico e pop del Pop Mart Tour. Erano gli anni del limone viaggiante, e prima ancora di Bono vestito da diavolo, Mr. McPhisto. Molti non avevano apprezzato, non avevano colto l’ironia, ma erano stati anni di creatività, ispirazione, provocazioni quasi dadaiste.

Se ci pensate, la musica era cambiata con le loro copertine: dopo quelle in bianco e nero di War, The unforgettable fire e The Joshua tree, i colori si erano fatti accesi, e le foto moltiplicate, nella copertina di Achtung baby, a significare confusione, contaminazione. Il disco, registrato a Berlino durante la caduta del muro, voleva rompere con il suono tipico degli U2 ed il loro ruolo di rockstar impegnate, che rischiava di diventare un cliché: “Avrà il suono di quattro uomini impegnati a demolire l’albero di Joshua (cioè The Joshua tree)”, dichiarò Bono. Suoni ruvidi, distorti, industriali, influenzati da band come Nine Inch Nails, My Bloody Valentine, dai gruppi del filone Madchester come gli Stone Roses e gli Happy Mondays, ritmi contaminati dalla dance e dall’hip hop. Uniti a temi decadenti, cupi come la fine del mondo, la fine dell’amore, il tradimento, la tentazione e la redenzione. Il disco potrebbe essere la storia di un uomo che si perde nella città della notte, come il protagonista dell’Ulisse di Joyce, per poi tornare a casa e capire che l’amore è cieco (Love is blindness). Lo Zoo tv tour vedeva Bono inguainato in pelle nera con occhiali da mosca, come satira sui cliché delle rockstar da cui cercava di fuggire, ed era ambientato in una sorta di studio televisivo con i messaggi che si accavallavano, creando un vero e proprio bombardamento mediatico. Un po’ quello che accade ancora oggi: lo Zoo Tv Tour era, ed è ancora, un segno dei tempi. Zooropa, ispirato ad un terra immaginaria e futuristica, portava all’estremo la sperimentazione sonora di Achtung baby, che però con Pop diventava forse un po’ troppo fine a se stessa. Gli U2, fotografati in copertina in quattro colori diversi come le Marylin di Andy Warhol, seguivano le mode del momento, mescolando le loro carte rock con quelle di Prodigy , Underworld, Chemical Brothers, Massive Attack e la produzione del dj Howie B, che portava la band troppo verso un suono dance e breakbeat. Un peccato, perché travestite da canzoni modaiole c’erano riflessioni sulla morte (Gone), sulla situazione irlandese (Please) e invocazioni a Dio (Wake up dead man). Il Pop Mart Tour, quello del limone, usava il supermarket come simbolo della nostra cultura, e colorava con intelligenti citazioni dalla Pop Art nuovi pezzi e classici del repertorio.
All that you can’t leave be’ind era di nuovo un disco in bianco e nero, che riportava gli U2 alle origini, facendo riscoprire il loro suono classico, ma anche quello dei loro maestri, arricchendolo con venature soul, gospel e country.

Immagine articolo Fucine MuteIl bianco e nero della cover era piuttosto patinato, le fotografie fatte in un elegante aeroporto. Così anche il loro suono era diventato patinato, elegante, a tratti soft. Il bianco e nero di How to dismantle an atomic bomb è invece sporco, sgranato, low-fi. E anche il disco, che continua sulla strada intrapresa dal predecessore, suona più ruvido. Il perché è presto detto: a produrre c’è Steve Lillywhite, l’artefice del suono dei primi tre album Boy, October, War, i loro più essenziali e aggressivi. Dopo i primi tre dischi era subentrato Brian Eno, che aveva dato alla band un suono più suggestivo, particolare, ma anche molto “prodotto”.
Gli U2 quindi vanno avanti, ma senza più la paura di guardarsi indietro, di usare un suono “classico” e riconoscibile. Questo disco è quasi un greatest hits, una summa dei loro suoni e dei loro temi, ma anche della musica che li ha ispirati: i suoni discendono da quelli di Boy, October, The Joshua tree, ma anche da Achtung baby. Ma conta di più un suono collaudato e sicuramente efficace o un suono innovativo, sperimentale, ma a rischio? Vedremo se anche queste canzoni riusciranno ad essere un segno dei tempi, a rappresentare un’epoca, come hanno fatto fino a  qualche tempo fa le canzoni degli U2. Vedremo se le nuove canzoni diverranno inni. Ai grandi si chiede anche questo.
La “bomba atomica” a cui fa riferimento il titolo è Bono, un uomo uscito da un periodo di confusione dopo la morte del padre. Ma le bombe atomiche sono anche tante altre, in giro per il mondo, sono tutti i pericoli che minano la pace, la speranza e l’amore. How to dismantle an atomic bomb, è un disco di storie personali, ma anche uno sguardo sul mondo. Senza prese di posizione dirette, ma interpretando i sentimenti di sfiducia e le paure della gente.

Vertigo

Pezzo dal titolo hitchcockiano, è un rock ruvido ed essenziale, che si rifà agli Who e al punk, con “uno di quei riff che sembra sempre essere stato là” (The Edge), ma che si ricollega ai suoni di Boy, quelli che hanno imposto il suono della chitarra di Edge come un marchio di fabbrica. Alla serata di lancio del disco alla Fnac di Milano, dove hanno suonato gli Achtung Babies, cover band italiana, i fan hanno dimostrato di saperla a memoria, con i suoi cori (in spagnolo) che sembrano fatti apposta per essere cantati ai concerti. è uno di quei pezzi in cui i quattro irlandesi sembrano voler dire: “Sappiamo ancora fare rock, e guardate come lo facciamo”. Sembra essere il pezzo ideale per aprire i concerti, per far saltare la gente, come faceva Elevation (2000) nel tour precedente. “Questo disco è un’opera prima” ha più volte dichiarato Bono. “Il basso e la batteria suonano un po’ come Echo and the Bunnymen. Un piccolo omaggio alle nostre origini”, il commento del bassista Adam Clayton.

Immagine articolo Fucine Mute

Miracle drug

Alla fine ha vinto The Edge. La “lotta” tra lui e Bono era sulla scaletta: il primo voleva mettere Miracle Drug in seconda posizione, subito dopo Vertigo, cioè dove la troviamo adesso. Bono pensava che mettere una ballata subito dopo l’inizio non sarebbe stata una scelta adatta, preferiva due pezzi veloci di seguito. Non ce ne voglia, ma diamo ragione a Edge. Miracle Drug deve arrivare subito: è il gioiello del disco, una di quelle canzoni d’amore incondizionato, in cui Bono canta col cuore in mano ed una voce struggente, tra chitarre prima dolcissime nei loro arpeggi, poi taglienti e distorte. Una canzone insieme tenera ed epica, sincera ma misteriosa, in un crescendo che ricorda l’incalzare di With or without you, ipnotico e sofferto (“Le mani legate, il corpo ferito, con lei non mi è rimasto niente da guadagnare e niente da perdere”) ma anche i suoni dei primissimi U2, quelli di October. “La libertà ha un profumo, come quello di un bambino appena nato. Le canzoni sono nei tuoi occhi, le vedo mentre sorridi” canta Bono, ma anche “ne ho avuto abbastanza dell’amore romantico, ci rinuncerò per una medicina miracolosa”. Che potrebbe essere quella per guarire l’Aids, l’ultima delle battaglie che il leader degli U2 sta combattendo. “Non riuscirei a parlarne direttamente senza sentirmi un idiota” ha affermato Bono. Il brano è dedicato a Christopher Nolan, uno scrittore loro compagno di scuola. I fan stanno già dimostrando di amarlo, diventerà un classico: sta qui a dimostrare che gli U2 sanno ancora a scrivere grandi pezzi. Grandi, e universali: una medicina miracolosa può servire a tutti noi, ognuno di noi può aver bisogno di una cura per qualcosa.

Immagine articolo Fucine Mute

Sometimes you can’t make it on your own

Bono e la morte. Un rapporto iniziato troppo presto, con la morte della madre quando era solo un ragazzo. Il ragazzo disperato e impaurito il giorno della morte della madre l’avevamo visto in Tomorrow (da October), un pezzo del 1981. “Qualcuno bussa alla porta, c’è un’auto nera parcheggiata a lato della strada. Non andare alla porta, non andare alla porta, esco io, esco io, mamma”. Ma anche in Mofo (da Pop), nel 1997, Bono dimostrava di non aver ancora superato il lutto. Forse è diventato una rockstar solo per colmare quel vuoto con l’amore di migliaia di persone: “Madre, sono ancora tuo figlio? Sai che ho aspettato a lungo per sentirtelo dire. Madre, mi hai lasciato e mi hai reso qualcuno. Ora sono ancora un bambino ma nessuno mi dice di no”. È dedicata invece alla morte del padre una delle canzoni più intense del disco, Sometimes you can’t make it on your own: “Ascoltami, devo farti sapere che non te ne puoi andare da solo. Sei tu quando mi guardo allo specchio, tu quando non rispondo al telefono, certe volte non puoi farcela da solo” canta Bono tra cori in falsetto e la chitarra di Edge a fare da controcanto, in un brano dal ritornello che sa di soul d’altri tempi, ma con il crescendo elettrico tipico della band irlandese, commovente quando arriva la frase: “Mi puoi sentire quando canto? Tu sei il motivo per cui canto, tu sei la ragione per cui ho l’opera dentro di me.” Il padre di Bono era un grande amante dell’opera lirica, tanto che Bono ha dichiarato di essere stato considerato un cantante dal suo vecchio solo dopo aver duettato con Luciano Pavarotti, in Miss Sarajevo. Questo brano è nato nel 2001, subito dopo la morte di Bob Hewson, e Bono l’aveva cantato al suo funerale. Era un pezzo dal sapore soul anche Stuck in a moment you can’t get out of, dedicata alla scomparsa di un’amica: “Devi stare dritta in piedi, portare il tuo fardello, queste lacrime non vanno da nessuna parte ragazza mia. Devi provare a essere te stessa, sei stata bloccata nell’attimo e non ne sai uscire”.

Immagine articolo Fucine Mute

Love and peace or else

Anche se non c’è lui a produrre, lo zampino di Brian Eno c’è anche in questo disco. Questo brano nasce da una sua linea di tastiera, cupa ed elettrica, da fine del mondo incombente, che sembra uscita da Achtung Baby, come l’assolo di The Edge. Da questa base è nato un rock blues elettrico che viene dalla Roadhouse Blues dei Doors passando per i Led Zeppelin e per Bullet the blue sky, una canzone in cui “il fantasma di John Bonham dei Led Zeppelin si era impadronito di Larry Mullen jr.”, batterista degli U2, come aveva detto Bono. Era il 1987, e il brano condannava la politica americana e i suoi bombardamenti indiscriminati, a quei tempi in Nicaragua: “E vedo gli aerei da combattimento, in mezzo alle capanne di fango dove i bambini dormono. E in mezzo ai campi si vede un cielo squarciato, e la pioggia che cade attraverso una  ferita aperta, e colpisce le donne e i bambini che corrono verso le braccia aperte… dell’America.” Ora il messaggio di pace non è più diretto verso qualcuno, ma è più universale. “Deponete le vostre armi, tutte voi figlie di Zion, tutti voi figli di Abramo, abbiamo bisogno di pace e amore. Baby non combattere, possiamo parlarne, non è un grande problema, riguarda me e te, puoi chiamare o ti telefono io. La TV è ancora accesa, ma il volume è a zero, e le truppe sono sul campo, pronte ad entrare in azione. E io mi chiedo dov’è l’amore?”. Qualche anno fa in Sunday Bloody Sunday (da War, 1983), gli U2 cantavano: “Ed è vero che ci sentiamo immuni, quando la realtà è finzione e la TV è la realtà. E oggi sono milioni quelli che piangono, noi qui a mangiare e bere quando loro domani moriranno”. Ancora la guerra osservata alla televisione, con il senso d’impotenza, di non poter fare nulla. E oggi “Dammi pace e amore” è ancora un grido ingenuo ma immediato come quello di Sunday Bloody Sunday: “Per quanto ancora dovremo cantare questa canzone?”.

City of blinding lights

Un disco nato in questi anni non può non risentire di ciò che è accaduto. La New York dell’immediato dopo 11 settembre 2001 gli U2 l’hanno vissuta in prima persona. Erano in tour proprio nella grande mela e, nel mezzo di Where the streets have no name le luci hanno illuminato a giorno la platea: c’era gente in lacrime. La canzone, una cavalcata pop sostenuta da un riff di piano, assomiglia nella ritmica a Who’s gonna ride your wild horses, ma senza il pathos di quella canzone. “Sembrate così belli stanotte, nella città delle luci abbaglianti.” è un brano un po’ leggero accostato al repertorio degli U2, ma è bello pensare che la band abbia dedicato un’altra canzone alla città dopo New York (da ATYCLB, 2000): “A New York la libertà ha l’aspetto di troppe scelte. A New York ho sacrificato tutto a te e ai tuoi vizi. Eppure sono ancora qui a decifrare la mia crisi di mezza età.” Quasi un inno ad una donna seducente e tentatrice quella canzone del 2000; quasi una carezza ad un’amica ferita quella di oggi. Ma sempre di amore si tratta.

Immagine articolo Fucine Mute

All because of you

“It’s only rock’n’roll but I like it” cantavano gli Stones. Potrebbe essere il motto di questa canzone d’amore, che sembra fatta apposta per essere suonata dal vivo (e per uscire come singolo). è un pezzo rock essenziale, con le chitarre iniziali alla Achtung baby e l’incedere di  Desire, con un tocco di Stones: fresca e diretta, entra subito dentro e non lascia più. “Spesso con i brani di rock puro non andiamo da nessuna parte, continuiamo a girarci attorno. Con questa canzone ci sono volute solo due o tre sessioni.” ha dichiarato Adam Clayton. Bono canta: “Sono vivo, sono appena arrivato, sono alla porta del posto da dove sono partito.” Un ritorno a casa, alle origini.

A man and a woman

“Ha il suono di una giornata d’estate a New York seduti sui gradini. Volevo una canzone che unisse i Clash e Marvin Gaye.” ha detto Bono. Decisamente più Marvin Gaye, diciamo noi: è un pezzo leggero, sostenuto dalla chitarra acustica ed influenzato dal soul. Un esperimento rètro, come lo era il gospel elettrico e da post sbornia In a litte while (da ATYCLB, 2000), ma meno ispirato.

Crumbs from your table

Si parla ancora di Aids e di quei cristiani bravi solo a parole: “Parlate di segnali e meraviglie, ma ho bisogno di altro” dice la canzone. Bono racconta: “Sono andato in America a parlare con i gruppi fondamentalisti cristiani per convincerli a donare soldi per combattere l’Aids in Africa. È stato come tirar fuori sangue da un sasso”. La rabbia di Bono si riversa su una canzone piuttosto piatta e convenzionale a livello musicale, ma importante per il suo significato. Il Bono del Live Aid (a proposito, nella versione 2004 di Do they know it’s Christmas è l’unico della vecchia guardia ad essere stato confermato, a cantare lo stesso verso “Tonight thank God it’s them instead of you”) è ancora tra noi, più agguerrito di prima.

One step closer

La morte del padre torna in questa canzone, nata da un discorso di Bono con Noel Gallagher degli Oasis: “Stavo raccontando a Noel che mio padre aveva perso la fede e che non sapeva dove sarebbe andato a finire e Noel disse semplicemente: È un passo più vicino a saperlo, no? ”. La canzone ha un tono sommesso, quasi da torch-song, senza il crescendo e l’epica di Sometimes you can’t make it on your own. Ricorda vagamente The first time.

Original of the species

Insieme a A man and a woman è l’altro tocco rètro dell’album: anche qui il sapore è sixties, ma ricorda i Beatles con il suo arrangiamento orchestrale, ed è ricca di enfasi, dopo l’inizio con le tastiere che sembrano un carillon. Bono ha iniziato a scrivere la canzone pensando alla figlia di The Edge; poi è diventata qualcosa di universale, sull’avere vent’anni e molti dubbi su se stessi.

Jahweh

Il disco si chiude con una preghiera, Jahweh (il nome ebraico di Dio). La preghiera ricorre spesso nelle canzoni degli U2. Fin dal 1981 e da quella Gloria (da October) che era un vero e proprio inno a Dio: “Cerco di aprire bocca, ma solo in te trovo completezza. Gloria nei cieli. Gloria, esultate!” Bono ha detto spesso che una canzone dedicata a Dio è come una canzone d’amore, basta pensare a Dio al posto della persona amata. Ed è proprio così per I still haven’t found what I’m looking for (da The Joshua Tree): “Ho corso e strisciato, ho scalato le mura di questa città, solo per stare con te. Ma non ho ancora trovato quello che sto cercando. Credo nell’aldilà, quando tutti i colori scorreranno in uno solo. Ma corro, corro ancora. Hai rotto i lacci, hai spezzato le catene, hai portato la croce e la mia vergogna. Lo sai che ci credo”. Era un’invocazione più disperata invece quella di Wake up dead man (da Pop) un chiedere a Gesù di tornare a salvarci: “Gesù, Gesù aiutami, sono solo in questo mondo, ed è pure un mondo incasinato. Raccontami, raccontami una storia, quella che riguarda l’eternità. e dimmi quello che sarà. Alzati, alzati e cammina. Gesù, capo, sono qui che aspetto, so che ti stai prendendo cura di noi, ma forse le tue mani nono sono libere”.
Jahweh è una canzone epica che sembra uscita da Joshua Tree, con un suono ed un crescendo tra Where the streets have no name, I still haven’t found what I’m looking for e In God’s country, con la voce di Bono che si staglia alta tra le chitarre lancinanti: “Prendi questa camicia e rendila pulita, prendi quest’anima e falla cantare. Prendi queste mani e non farne un pugno, prendi questa bocca, così veloce a criticare, e dalle un bacio. Yahweh, sto ancora aspettando l’alba”. Come dire: non ho ancora trovato quello che stavo cercando.

Fast cars

Registrata l’ultimo giorno in studio, è nata solo per gioco, ed è stata inclusa in alcune versioni speciali dell’album. Curiosamente nel brano c’è la frase che dà il titolo all’album. È qualcosa di unico nel repertorio degli U2, una canzone dal sapore arabeggiante ed esotico, ritmata e sostenuta dalla chitarra acustica.

Quattro uomini che hanno superato i quarant’anni, hanno avuto il successo, la fama. Ma ancora non si danno pace. I loro cuori tremano, per le persone amate, per quelle che non conoscono, ma che sanno in pericolo. Da questi tormenti nascono ancora canzoni sincere. E preghiere per un mondo alla deriva.

U2 – How To Dismantle An Atomic Bomb   
 
Track Listing
Vertigo
Miracle Drug
Sometimes You Can’t Make it On Your Own
Love And Peace Or Else
City Of Blinding Lights
All Because Of You
A Man and A Woman
Crumbs From Your Table
One Step Closer
Orignal Of The Species
Yahweh


Produced by Steve Lillywhite.
Additional production: Chris Thomas, Jacknife Lee, Nellee Hooper, Flood, Daniel Lanois, Brian Eno, Carl Glanville.

Commenti

Non ci sono ancora commenti

Lascia un commento

Fucine Mute newsletter

Resta aggiornato! Inserisci la tua e-mail:


Leggi la rubrica: Viator in fabula

Articoli recenti

Pen Lettori Trieste: Punto di fuga di Mikhail Shishkin

Pen Lettori Trieste: Punto di fuga di...

Doc nelle tue mani 3: che il flashback sia con voi (fino allo sfinimento)

Doc nelle tue mani 3: che il...

Trieste Film Festival 2024

Trieste Film Festival 2024

Lascia che la carne istruisca la mente: Intervista a Anne Rice (II)

Lascia che la carne istruisca la mente:...

Lascia che la carne istruisca la mente: Intervista a Anne Rice (I)

Lascia che la carne istruisca la mente:...

Nel castello di Giorgio Pressburger al Teatro Stabile Sloveno di Trieste

Nel castello di Giorgio Pressburger al Teatro...

Lucca Comics & Games 2023: Incontro con Pera Toons

Lucca Comics & Games 2023: Incontro con...

Lucca (meno) Comics & (più) Games 2023:...

Lucca Comics & Games: Intervista a Davide Barzi

Lucca Comics & Games: Intervista a Davide...

Lucca Comics & Games 2023: Intervista a Matteo Pollone

Lucca Comics & Games 2023: Intervista a...

Il futuro (forse) del fumetto: Martin Panchaud

Il futuro (forse) del fumetto: Martin Panchaud

Femminismo all’ombra dello Shogun: Camille Monceaux

Femminismo all’ombra dello Shogun: Camille Monceaux

Lucca Comics & Games 2023: Intervista ad Andrea Plazzi

Lucca Comics & Games 2023: Intervista ad...

I quarant’anni della “scatola rossa”

I quarant’anni della “scatola rossa”

Trieste Science + Fiction Festival 2023: River

Trieste Science + Fiction Festival 2023: River

Trieste Science + Fiction Festival 2023: cortometraggi

Trieste Science + Fiction Festival 2023: cortometraggi

Il fiore del mio segreto (Almodóvar, 1995): la letteratura come seduzione

Il fiore del mio segreto (Almodóvar, 1995):...

Good Omens 2: amore e altri disastri

Good Omens 2: amore e altri disastri

The Plant: il romanzo incompiuto di Stephen King

The Plant: il romanzo incompiuto di Stephen...

The Phantom of The Opera per la prima volta in Italia

The Phantom of The Opera per la...

Pélleas e Mélisande di Claude Debussy: parodia del 1907

Pélleas e Mélisande di Claude Debussy: parodia...

Prigionieri dell’oceano (Lifeboat) di Alfred Hitchcock

Prigionieri dell’oceano (Lifeboat) di Alfred Hitchcock

Tutto il mondo è un Disco

Tutto il mondo è un Disco

Il commissario Ricciardi 2: quattro puntate di noia profonda

Il commissario Ricciardi 2: quattro puntate di...

Sanremo anche no

Sanremo anche no

Casomai un’immagine

bon_sculture_16 vivi-07 vivi-05 sla-gal-4 pugh-03 galleria05 murphy-07 pm-21 Otrok08 lor-4-big tyc sim3 notte h mccarroll01 pas-11 bon_12 006 petkovsek_23 petkovsek_03 ruz-02 02_pm 10 09 th-67 th-63 th-28 viv-24 viv-09 mar-23
Privacy Policy Cookie Policy