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Fumetto

Batman e gli altri

Immagine articolo Fucine MuteAltri eroi nella tradizione letteraria

Sono tanti i personaggi, nei fumetti e nei romanzi, con i quali sarebbe possibile tracciare alcune linee di confronto con Batman. Intendo qui proporre due rapidi esempi tratti dalla letteratura, prima di rivolgermi definitivamente al mondo dei comix. Dopo aver tracciato una panoramica esauriente sulle caratteristiche psicologiche del personaggio e sulla rappresentazione della sua città, infatti, è possibile tentare un paragone con altre testate supereroistiche, per estrapolarne alcune logiche tipiche del fumetto.

Un primo termine di confronto, per me decisamente spontaneo e immediato, è 007. Le somiglianze tra James Bond, creato da Ian Fleming, e il Cavaliere Oscuro sono evidenti. Entrambi utilizzano armi improprie frutto di tecnologie avanguardistiche, guidano auto truccate e svolgono imprese fisiche al limite del credibile. Non è tuttavia possibile stabilire una relazione di dipendenza, per Batman, dal celebre personaggio letterario, poiché 007 fu creato nel 1952, quando il nostro già aveva (e li aveva fin dalle sue origini) una Batcaverna, una Batmobile, un Batboomerang e persino un Batplano. È semmai l’agente segreto, dunque, ad aver mutuato alcune idee dal mondo dei comics americani, da Batman probabilmente più che da altri.

Chi invece echeggia spesso tra le pagine del fumetto americano è Sir Arthur Conan Doyle. Non si può negare, infatti, che il metodo deduttivo di Sherlock Holmes e l’attenzione alle prove, anche ai segnali più minimi, siano stati ereditati da Batman. Quest’ultimo è descritto come il miglior detective del mondo: egli ottiene le informazioni (a modo suo…), raccoglie le prove, le analizza scientificamente, giunge alle conclusioni e interviene prevenendo i delitti. Tutto questo da solo e sempre anticipando la polizia. Al di là dell’iperbolica improbabilità di questo compito pantagruelico, rimane un dato importante: Batman pensa.
Non possedendo superpoteri, egli è obbligato a pensare. Non può semplicemente lanciarsi nell’azione, contando sulla propria superiorità fisica: ha bisogno dell’intelletto, ha bisogno di una mente lucida e acuta, come Holmes. Questo fatto non è scontato, al contrario, è unico, e ci introduce al paragrafo seguente.


Altri eroi nel fumetto d’azione americano

I supereroi generalmente non riflettono, o lo fanno nel bel mezzo dell’azione, cercando di elaborare, fra un colpo e l’altro, fra un pugno e una schivata, una tattica di combattimento che li renda vittoriosi. È questa, per esempio, la strategia dell’Uomo Ragno, che infatti ammette spesso di non essere una grande mente e di lasciarsi più che altro attrarre dall’azione. Gli X-Men e i Fantastici Quattro, agendo in squadra e annoverando scienziati nelle loro righe, concedono qualche spazio alla riflessione e alla pianificazione, anche se sembrerebbe che la loro abilità consista proprio nell’improvvisare in modo coordinato ed efficiente.
Esiste tuttavia un limite anche per il cogitus batmaniano. Egli, infatti, si limita a risolvere il caso singolo, a scongiurare il pericolo circostanziale, ma non elabora mai delle tecniche di prevenzione, dei piani di contenimento del crimine, né come Batman né come Bruce Wayne. Per dare un’idea del paradosso, è sufficiente notare come egli utilizzi abitualmente la Wayne Tech, la sua impresa, per la ricerca tecnologica che sta dietro alle sue attrezzature. La Wayne Corporation, tuttavia, è un colosso internazionale, ed egli potrebbe usare il potere economico e politico che ne deriva per indirizzare investimenti nelle aree depresse della città e lanciare politiche di allargamento dell’educazione e prevenzione della criminalità. Bruce, tuttavia, si limita a finanziare alcuni enti di beneficenza.
Vi sono almeno tre ragioni per spiegare questo paradosso, una psicologica, una sociologica, l’altra legata alla struttura dei fumetti.

La prima fa riferimento a quanto detto nel precedente articolo “Batman: la maschera”: Bruce Wayne non è una persona equilibrata, in quanto è totalmente dominato dall’ossessione per Batman. Bruce Wayne è Batman, e in quanto tale non è in grado di sfuggire alla propria ossessione, che lo obbliga a una costante attività di pattugliamento. Batman è un giustiziere, non un amministratore o un politico. Non è un caso se l’amministrazione della Wayne Corporation è affidata a un uomo di fiducia, Lucius Fox. E non è un caso nemmeno che Wayne, fin dalle sue origini negli anni ’30, non sia mai mostrato al lavoro: Bob Kane lo disegnava seduto in vestaglia da camera o in giacca di tweed, pipa in bocca, a leggere il quotidiano nella tranquillità del salone di Villa Wayne.

Immagine articolo Fucine Mute

La seconda è legata al modello sociale da cui il nostro personaggio prende le mosse. Fra i Paesi occidentali, gli Stati Uniti sono probabilmente quello con il peggior sistema di assistenza pubblica, o welfare. Nelle metropoli americane interi quartieri sono abbandonati a se stessi e usati per lo stipamento della popolazione meno abbiente, per la maggior parte di colore. Non a caso si parla ancora di ghetti, una parola agghiacciante, se si pensa al suo significato storico. D’altra parte il ghetto, in tale ordinamento, è necessario, perché permette la separazione tra chi possiede e chi non possiede, tra chi è dotato di un’ampia proprietà privata e chi non lo è — e la proprietà privata è uno dei concetti cardine del sistema di stratificazione americano. Purtroppo questa separazione assume carattere spiccatamente manicheo, e finisce per coincidere in una divisione tra buoni e cattivi. Ora, poiché i poveri sono più spesso afroamericani o sudamericani e i ricchi sono generalmente bianchi, ecco che la separazione, già equivoca, tra buoni e cattivi diviene una distinzione razziale. I media lucrano sulla conferma di questo stereotipo e, dal momento che un altro pilastro della società americana è la paura (di un nemico, di un diverso, del vicino di casa, del criminale), ecco che il ghetto cessa di essere il simbolo di un sistema malfunzionante e primitivo e diviene una garanzia di sicurezza. Coloro che hanno la sfortuna di nascere nel ghetto devono dimostrare di non essere cattive persone, e l’unico modo che hanno di farlo è il successo economico, ovvero l’acquisizione della proprietà privata, secondo il modello americano, peraltro ingannevole, dell’uomo che si fa da solo. Nessun aiuto sociale va dunque rivolto alla parte svantaggiata della popolazione, primo perché, per quanto esposto, non lo meriterebbe, secondo perché ogni uomo in America ha virtualmente la possibilità di riuscire con le proprie forze (nella realtà questo non è affatto vero, né per i neri né per i bianchi).
Batman è un frutto di questa società, della società americana. Poiché si tratta di un fumetto commerciale, non di un fumetto d’autore, gli sceneggiatori non si preoccupano di compiere un’opera di profonda critica sociale, e si limitano a denunciare gli aspetti superficiali ed evidenti dei problemi sociali, senza proporre soluzioni. Gli sceneggiatori di Batman, in questo modo, fanno già molto più di quanto non facciano quelli delle altre testate — in fondo è solo un fumetto seriale, non un’opera d’arte come la produzione di Art Spiegelman o Will Eisner. Far compiere a Bruce Wayne imprese politiche di rilievo non solo andrebbe contro la logica della serie, ma ne danneggerebbe i possibili sviluppi futuri, snaturando il personaggio e sollevando il rischio di una chiusura della testata.

La DC Comics, tuttavia, si rende conto di come Batman sia imbrigliato in questa contraddizione e ha dedicato alcuni albi speciali a problemi di particolare rilievo, come la violenza sui minori.
In occasione dell’11 Settembre, inoltre, sia la DC sia la Marvel hanno opportunamente scelto di affrontare il problema, scrivendo storie in cui i supereroi aiutano le forze dell’ordine a rimediare ai danni e si chiedono, per la prima volta, “dove eravamo?, perché non abbiamo potuto prevenire l’accaduto?”. Ovviamente queste domande rimangono senza una risposta esauriente, per i limiti dettati dalla natura del fumetto stesso.

Immagine articolo Fucine MuteQui si inserisce la terza ragione dello scarso impegno sociale di Bruce Wayne e, in generale,di tutti i supereroi. La si capirà meglio prendendo in considerazione il più classico e inarrestabile tra loro: Superman.
Superman è invulnerabile e può fermare il movimento della Terra con una mano. Perché, in considerazione della sua empatia per il genere umano, non è impegnato a liberare il mondo dai suoi problemi maggiori, come la fame, la guerra, ecc? Allo stesso modo, perché Thor, che è un dio, non fa piovere sui deserti fino a renderli fertili? Perché il dottor Richardson dei Fantastici Quattro (una sorta di genio) non cerca la cura per le epidemie globali? Che cosa delimita il campo di azione dei personaggi?
Negli anni ’30 la risposta è semplice: non c’era bisogno di molto per stupire i ragazzini. Superman era una novità, come pure gli altri eroi, e qualunque azione compissero risultava strabiliante. Negli anni ’40, tuttavia, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, il problema comincia a manifestarsi. Viene aggirato in una direzione ideologica: da un lato i supereroi si impegnano in singole azioni, come se l’evento fosse troppo grande per loro e non potessero fare di più. Dall’altro viene creato l’unico eroe con una coscienza politica vera e propria: Captain America, che sarà veicolo per la propaganda americana fino agli anni ’60.
Negli anni ’50 la credibilità dei supereroi entra definitivamente in crisi, come pure le vendite delle varie testate. Ancora una volta la soluzione è trasversale: la DC crea nuovi personaggi e riunisce quelli esistenti nella Justice League of America, che in effetti difende il mondo da alieni e calamità di portata sovraumana; la Marvel crea invece la brillante formula dei “supereroi con superproblemi”, limitando di fatto le possibilità di azione dei personaggi. Si tratta comunque di espedienti narrativi, come il ricorso a nemici sempre più extraterrestri, dovuti, ancora una volta, a una certa visione propria del sistema sociale americano.
Dagli anni ’30 agli anni ’60, i supereroi non intervengono nella politica, non scongiurano o portano a compimento le guerre, non lottano per l’eguaglianza sociale e la parità dei diritti, non si impegnano in prima persona contro il razzismo, e via dicendo, semplicemente perché per loro questi problemi non esistono. Nei fumetti dell’epoca il male si presenta prevalentemente come distorsione del concetto di possesso, e da questo concetto deriva come corollario il fatto che il bene si manifesta solo come carità (infatti Bruce possiede la Fondazione Wayne, che veicola le sue iniziative di beneficenza). Più precisamente, il male si manifesta da un lato nei criminali, che compiono un attentato diretto alla proprietà privata, dall’altro nei nemici extraterrestri, che intendono dominare o distruggere il mondo e che quindi minacciano la libertà (di possedere e accumulare) del genere umano. Ogni altro elemento di crisi viene tralasciato, e questo semplicemente perché se i supereroi affrontassero i grandi problemi della società, li risolverebbero, creando una contraddizione tra il loro mondo e quello in cui viviamo noi lettori — una contraddizione insolubile.

Il buon Superman, quindi, viene costantemente impegnato in imprese per salvare il pianeta da minacce esterne ultramondane, extradimensionali o extratemporali, e per il resto lascia che giri per conto suo. La sua azione, inoltre, come quella di ogni altro eroe, viene circoscritta a uno specifico territorio urbano, allo spazio di una città. È nella città, infatti, che meglio si apprezza il fenomeno della violazione alla proprietà privata, e non nella campagna (non ci si dimentichi che le zone rurali degli Stati Uniti sono composte da molti centri abitati composti da poche migliaia di abitanti, ciò che noi chiameremmo “paesi” e che nei doppiaggi cinematografici è impropriamente tradotto con il termine “città”). Superman ha allora Metropolis, quelli della Marvel hanno New York e Batman ha Gotham City, che definisce “la mia città”. Batman abitualmente intima a ogni invasore esterno che possa rappresentare un pericolo di andarsene, come gli sceriffi del vecchio West facevano con gli stranieri. La sua azione anticrimine, non prevedendo alcuna pianificazione, non può che essere limitata a un territorio specifico che egli conosce perfettamente. La città, dunque, rappresenta un limite importante per l’azione del supereroe, che agisce in collaborazione con altri eroi fuori dallo spazio urbano (normalmente nello spazio cosmico o in un’altra dimensione) solo quando la minaccia (ovviamente superumana) è globale.

Negli anni ’70 iniziano i primi, timidi richiami da parte dei supereroi alla realtà sociale e politica del loro tempo. Il nuovo pensiero postmoderno, tuttavia, ne esalta contemporaneamente i limiti e la vulnerabilità: i supereroi sono vulnerabili, non sono invincibili, possono morire. Nel momento stesso in cui la loro azione potrebbe superare il confine dell’intervento singolo e reattivo a un pericolo, ecco che vengono posti di fronte a un problema nuovo: quello della loro incapacità a reagire. È questo il nuovo grande ostacolo che impedisce loro di fare il grande passo e che continua a legarli alle loro battaglie di sempre. Nel caso di Batman, si delinea sempre più la sua personalità insana, la sua volontà retta dalla pura ossessione, la sua incapacità di andare oltre la lotta esclusiva contro l’underworld.

Immagine articolo Fucine MuteIn questa lotta, Batman sembra proporre una forma di stratificazione sociale in cui non contano tanto le differenze economiche, ma quelle morali. Il mondo non è diviso tra ricchi/sfruttatori e poveri/sfruttati, ma tra buoni e cattivi. Ora, seguendo una chiara prospettiva sociologica, i ricchi/buoni sono quelli che erano già ricchi prima, i ricchi/cattivi sono quelli che sono diventati ricchi grazie al crimine; i poveri si dividono in buoni se si sottomettono all’ordine sociale, e in cattivi se ad esso si ribellano. Di fatto la società di Batman è ultraconservatice, perché ogni tentativo di scalare la piramide sociale, di avanzare dei cambiamenti nell’ordine sociale, di modificare lo status convenzionale è castrato. Chi ci prova viene immediatamente bloccato in modo definitivo e violento, diventando automaticamente un cattivo. È il caso dell’avvocato Harvey Dent, che diventa Due Facce, o di Poison Ivy, che rappresenta una povera/sfruttata la cui unica ribellione può attuarsi tramite il crimine. Ed è il caso di Bane, dello Spaventapasseri e di tanti altri.

Il mondo dei supereroi è dunque caratterizzato da un basilare immobilismo, il quale, per la natura stessa del fumetto, si riflette anche nella rappresentazione del tempo. In generale nei comics si vive in un eterno presente. In epoca moderna, tuttavia, nemmeno i fumetti possono evitare di rendere conto del passato degli eroi. Al presente si somma l’idea del passato, ma si tratta di un passato aneddotico, come squarci di memoria che emergono all’improvviso: Batman non mostra mai una reale consapevolezza della propria storia, non evolve psicologicamente, non impara. Forse per questo continua a mancargli la coscienza del futuro, che è una dimensione progettuale e potenziale; come molti eroi, si limita a sventare i tentativi dei prepotenti di negare un futuro ai più deboli; la sua azione di configura quindi come negazione, come contrapposizione al male, in una lotta senza fine e senza tregua.
È per questo che Batman teme un nemico come Rhas al Ghul: perché quest’ultimo segue un progetto, per quanto pazzesco (l’eliminazione dell’intero genere umano per realizzare una razza migliore, priva di difetti morali). Tutto ciò che Batman può opporgli è la forza dei suoi ideali, che acquisiscono dunque una funzione storica e sostituiscono la progettualità. Le idee di cui Batman è portatore valicano il presente, sono radicate nel passato e dureranno nel futuro. Difendendo tali ideali Batman interviene sul futuro dando continuità al passato. Si tratta, come si vede, di un conservatorismo profondo e senza uscita.

Questo immobilismo sconforta persino gli eroi, per due ragioni. Da un lato l’assenza di progettualità nega loro la possibilità di una vita vera e completa. Batman non si può sposare, non può avere figli da crescere, non si può nemmeno innamorare, perché se lo facesse si ritroverebbe immediatamente inserito in un progetto da costruire giorno per giorno e da difendere. L’Uomo Ragno, che ci ha provato, ha fallito completamente, perché in nessun momento può dedicarsi a tale progetto, in nessun momento può dedicare energie a tale costruzione. Dall’altro gli eroi sanno che nulla cambierà mai: questo li rende eroi, e questo rende la loro battaglia persa in partenza. Lottano contro un sistema senza cercare di cambiarlo, limitandosi a dare il buon esempio e vegliando sul genere umano senza mai mancare al proprio dovere. In questo senso sono eterni perdenti che combattono da vincenti battaglie perse in partenza; tengono viva la speranza, ma di fatto sono sconfitti dalla natura sisifica del loro stesso compito. Costituiscono un modello di virtù, riprendendo in questo la tradizione fiabesca e, ancor prima, quella della parabola. Il fumetto è dunque una parabola, un racconto esemplare con finale a morale.

Il parallelismo con la tradizione cristiana è notevole: Superman sarebbe Cristo, che si dedica a compiere miracoli, ma pur sempre miracoli circostanziali, e non risolve mai il male del mondo, affidandone le sorti all’arbitrio individuale. Il mondo, come nella tradizione cristiana medioevale, è testimone di un continuo scontro di forze, e i supereroi non possono che indirizzare l’azione del genere umano attraverso l’esempio e l’insegnamento della rettitudine, come già fece Gesù. Con una differenza non trascurabile: Gesù porgeva l’altra guancia, mentre Superman e tutti gli altri colpiscono con tutta la forza dei loro superpoteri. In cosa consiste, dunque, la loro grande virtù, la loro rettitudine? Nel loro altruismo, certamente; nel loro rispetto per la vita umana, che (con alcune rare eccezioni, come quella del Punitore) non viene mai meno e salvaguarda i cattivi tanto quanto i buoni; soprattutto, però, nella loro totale dedizione a uno scopo, nella loro volontà di perseverare, ciecamente, follemente.
Paradossalmente, il loro merito è di essere quello che sono, di non cambiare.

Bibliografia


Eco U., Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1964
Restano F., Storia del fumetto, Torino, Utet, 2004

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