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Cinema

Gong fu, la lenta invasione dall’Oriente

Immagine articolo Fucine MuteL’ultimo film del comico più conosciuto d’Oriente, Stephen Chow, è un trionfo! Un trionfo di colori, d’immagini, di referenze (sia di cliché della cinematografia internazionale che delle tradizioni tipicamente cinesi), un trionfo di magia e d’idiozia, un crogiuolo della contemporanea cultura mondiale dell’immagine.
Stephen Chow non è un nome del tutto oscuro per gli appassionati di cinema Orientale. E sicuramente il suo equivalente cinese risulta quasi inflazionato alla popolazione non solo hongkonghese ma panasiatica in generale. Star del cinema e re della commedia demenziale (Mo Lei Tao) Chow ha iniziato la sua carriera come attore per poi approdare alla direzione, alla scrittura e alla produzione (con God of Cookery nel 1996). Pur definendosi un fanatico di arti marziali ed un estimatore di Bruce Lee, piuttosto che un assiduo cinefilo, Chow ha dimostrato di non cavarsela affatto male dietro e davanti alla macchina da presa. Dopo l’enorme successo Asiatico dei film King of Commedy (anche co-diretto da Chow con Lik-Chi Lee) e God of Cookery, la conquista dell’universo occidentale sembrava un passo quasi d’obbligo. I fratelli Weinstein, pur coltivando la perspicacia degli scopritori di fenomeni (la Miramax ha fatto la fortuna di film e artisti a volte sottovalutati nel loro stesso paese d’origine, vedi il bellissimo La moglie del soldato (The Crying Game) di Jordan), in questo caso non hanno saputo sfruttare al meglio le (immense) potenziali della prima opera “esportabile” di Chow: l’esilarante ed originale Shaolin Soccer. Uscito in Asia nel Luglio del 2001, la pellicola uscita in distribuzione limitata in America solo nell’Aprile del 2004 (!). Inoltre… Il film è stato doppiato negli USA.

Nonostante la terribile reputazione che affligge il doppiaggio statunitense, lo scempio non è paragonabile a ciò che è accaduto in Italia. La vicenda narra di un gruppo di maestri del kung fu, disoccupati e sbeffeggiati, poiché la società contemporanea non riconosce più i valori intrinseci dell’arte. Frustrati e ridicolizzati, I monaci del kung fu decidono di iscriversi al campionato di calcio nazionale. Il connubio kung fu e gioco del pallone pare funzionare alla grande (!)… tranne che in Italia.
Il fatto che il campionato Italiano di calcio sia riconosciuto come “il campionato più bello del mondo” e che il settanta per cento della società italiana sia influenzata (frustrata, alimentata, alleggerita, supportata… e chi ne ha più ne metta) dallo sport che ci rende spesso famosi nel mondo, non autorizza, a nostro avviso, l’intervento diretto sulle pellicole cinematografiche. Trattandosi di calcio e di giocatori di calcio, la Buena Vista International — Disney ha ben pensato fosse una grande idea lasciare ai calciatori stessi (tra gli altri Cantona, Tommasi, Peruzzi, Pancaro… aaaahhh) il compito del doppiaggio. Il risultato? Un disastro. Ciò che maggiormente sconvolge è il fatto che l’Italia, nonostante l’anacronismo che impone — ancora — ai film stranieri di essere doppiati, è la nazione che meglio si distingue in tale pratica (che Resnais indicava come cabala del diavolo: sovrapporre un’anima ad un’altra…). Perché? Perché, perché…

Immagine articolo Fucine Mute

Kung Fu Hustle (Gong Fu) è il secondo film firmato Stephen Chow ed è anche il secondo tentativo da parte degli Americani di sconvolgere l’occidente introducendo questo fenomeno cinematografico e decisamente pop-culturale. Lo zampino della Sony Columbia c’entra non poco. In quanto compagnia, casa di produzione e archivio cinematografico (la Sony/Columbia ha appena acquisito la MGM/UA), la società giapponese è il vero ponte che attraversa il Pacifico e unisce le due culture cinematografiche. La Sony/Columbia (per essere precisi si tratta della Sony Pictures Classic) non ha solo distribuito il film ma ha anche co-prodotto il progetto con Star Overseas Limited. Purtroppo per L’Italia e gli italiani, il film (che dovrebbe uscire nelle sale il giorno 27 Maggio) sarà doppiato (Sony Pictures Releasing).
Gong Fu (letteralmente “Arte acquisita tramite l’efficienza”) è un fiume di pensieri, narrazioni, personaggi, avvenimenti, stili ed effetti che pare davvero strano che alla fine, poiché mancante di una narrazione del tutto lineare, tutto torni, tutto quagli e che tutto scorra.

Il racconto si svolge nel periodo della Cina pre-rivoluzionaria degli anni ‘30 o ’40, a Shanghai, forse. Il conflitto, indispensabile all’intreccio, si presenta subito ben evidente e l’atmosfera (bellissima la fotografia di Poon Hang Sang e la scenografia di Oliver Wong) oscilla tra la suspense dei grandi western, la tensione eroica e drammatica dei film dei fratelli Shaw, la rivisitazione tarantiniana, gli intensi noir degli anni Cinquanta, le brutalità dei Scorsese e dei Coppola e ancora i grandi musical americani. Il racconto è decisamente corale. La banda dell’ascia, il povero quartiere detto “the pig sty alley”, i due vagabondi in cerca di fortuna e di fama, gli assassini più temibili del mondo e molto ancora. Il testo, pur prestandosi ad una lettura abbastanza semplice, riserba diverse sorprese… Nulla è quello che sembra. Chow nella cripticità e nella sorpresa (preparatevi a tutto…fino alla fine!) si è chiaramente ispirato ai racconti tradizionali e mitologici dell’Antica Cina (che l’occidente ha imparato a conoscere con le produzioni Shaw — One Armed Soldier, The Aveneging Eagle, Intimate Confession of a Chinese Courtesan) — negli anni Sessanta e Settanta e con fenomeni come La tigre ed il dragone — Ang Lee — e La casa dei coltelli volanti — Zhang Yimou più recentemente). Chow ha anche infuso la pellicola di tratti del genere melò hongkonghese (un genere che ha illustri rappresentanti nell’isola: Wilson Yip e Peter Chan per citarne due fra i più dotati), inframeggiando una breve parentesi drammatica, che, ironicamente, non ha nulla di parodistico.
Precisamente nel film, nulla è parodistico. A differenza dei film di Mel Brooks, Chow non fa sorridere ridicolizzando l’immagine scontata o conosciuta (lo fa brevemente citando The Shining di Kubrick, ma anche tale contesto parodistico potrebbe essere ridiscusso). Quello che Chow ricerca è la consapevolezza dello spettatore. Il pubblico deve ricalcare ed azzeccare le citazioni cinematografiche nel film come negli arcani della settimana enigmistica. Impone una transnavigazione dello scibile dell’immagine in movimento. Cita anche se stesso, quando il suo personaggio Sing, entrando in scena, funambola con un pallone da calcio per poi disintegrarlo a terra. La lucidità socio-culturale della pellicola sta anche alla base della narrazione stessa: il bene contro il male, il povero contro il ricco, la rivincita dei perdenti… Chow, inoltre, ammicca anche all’industria cinematografica, alla crisi che affligge i teatri un po’ ovunque. Nelle primissime sequenze del film il boss della banda del Coccodrillo nota che i cinema “la domenica sera sono vuoti!”

Immagine articolo Fucine Mute

La scrittura dei personaggi (la storia è stata scritta con Tsang Kan Cheong, Xin Huo e Chan Man Keung) si sostiene egregiamente e sebbene spesso enunciati con tratti molto caratteristici, a volte caricaturali, essi mantengono la loro integrità e la loro finalità. Il fatto, peraltro, che il regista si serva di nozioni ravvisabili dallo spettatore occidentale, non condiziona il contagio e la suggestione dell’ossessione del regista: il kung fu. Basti pensare che Yuen Qui (la padrona) torna sullo schermo dopo venticinque anni. Yuen Qui e Yuen Wa (che nel film interpreta il padrone) facevano parte del gruppo “Sette Piccole Fortune”, la famosa scuola di recitazione di Pechino della quale hanno fatto parte anche Jakie Chan e Sammo Hung. Inoltre i due hanno lavorato con Bruce Lee come stunts. Tutti gli altri maestri e monaci del Kung Fu sono professionisti del mestiere (Leung Siu Lung, Dong Zhi Hua, Chiu Chi Ling e Xing Yu).
Un progetto fresco, un film fiammante ed innovativo. Una brezza dall’Oriente che denota quelle che possono essere le capacità espressive di grandi “Block Buster” (il film è costato 20.000.000 di dollari) e della nuova tecnologia dell’immagine. L’uso del CGI (Computer Generated Immages — Immagini Ricreate con il Computer) è quasi strabordante ed imponente, ma, ironicamente giustamente eccessivo. Un film che non va assolutamente perso e soprattutto visto al cinema.

Kung Fusion (Kung Fu Hustle)


Regia: Stephen Chow
Intepreti: Tsang Kan Cheong, Xin Huo
Sceneggiatura: Tsang Kan Cheong
Genere: azione, commedia
Fotografia: Poon Hang Sang
Musiche: Raymond Wong

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