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Cinema

Jean-Pascal Hattu

Ménage à trois

locandina del filmIntervista con Jean-Pascal Hattu, regista di 7ans, presentato alla 3° edizione delle Giornate degli Autori, 63° Mostra del Cinema di Venezia.
Il malessere di una vita privata dalle passioni è il tema del primo lungometraggio di Jean-Pascal Hattu, apprezzato documentarista francese, alla Mostra di Venezia con 7ans. Solo tre personaggi: un carcerato, una guardia e la moglie del detenuto. Dialoghi semplici e senza il minimo intento d’intrattenere il pubblico. 7ans vuole immedesimare gli spettatori nell’inquietudine dei protagonisti, e ci riesce nella misura in cui ognuno di noi è capace di scavare dentro al proprio disagio.
Tutta la vita di una giovane coppia costretta in due metri quadrati, concessi dal penitenziario per mezz’ora alla settimana, unico luogo di incontro tra i carcerati e il mondo esterno. In questa nuova dimensione, dove l’orgasmo dei sensi è attivato da un profumo lasciato sui vestiti, si consuma la lenta trasformazione dei protagonisti: un detenuto innamorato accetta di sapere la propria moglie in intimità con il suo secondino, a sua volta imprigionato da questo gioco erotico senza speranza, al quale partecipa una bella donna travolta dai sensi di colpa e dal desiderio di essere amata, toccata, eccitata dal contatto con la pelle umana.
Jean Pascal Hattu ci offre la parabola di tre creature incomplete e incapaci di sopravvivere l’una senza l’altra, nella metafora del carcere come luogo di privazione della libertà, porgendoci sul piatto delle nostre pene l’incapacità degli uomini di esistere al di fuori di meticolosi rituali sociali.

Jimmy Milanese (JM): Alle Giornate degli Autori, Jean-Pascal Hattu presenta il suo primo lungometraggio. Grazie Jean Pascal per avere accettato l’intervista. Più che per i dialoghi, questo film è toccante per l’incredibile suono dei profondi silenzi che sovrastano le vite degli interpreti. Si sente l’eco delle anime dei tre protagonisti. Dico bene?

Jean-Pascal Hattu (JPH): Sì, hai ragione, il film parla del silenzio, del silenzio e dell’anima delle persone.
Questa è la storia di una giovane ragazza, costretta nel corso della sua vita ad affrontare una serie di difficoltà, tra le quali la lontananza dal marito carcerato. Le difficoltà che incontra questa donna sono tutte incentrate sulla distanza fisica dal compagno, uomo che lei indubbiamente ama. È per questo che studia uno stratagemma molto particolare per sentirsi più vicina a lui, ovvero profumare gli abiti che indossa durante il corso della visita settimanale, unica occasione in cui la passione amorosa si trasforma in un contatto emotivo e olfattivo. Inoltre, spruzza lo stesso profumo sui vestiti che porta al marito, e che consegna alla guardia. In questo modo riesce a mantenere una specie di contatto, ma ciò non è ancora abbastanza. Infatti, ad un certo punto, da semplice intermediario il secondino diventa l’amante della ragazza. In questo modo si stabilisce una relazione a tre tra la guardia, la ragazza e il marito consenziente.

JM: Il tuo film ha tre ruoli fondamentali: il carcerato, sua moglie e la guardia. Alla fine sembra che l’unico a non essere imprigionato realmente sia proprio il carcerato, poiché è l’unico che cerca di uscire dalla noia e dalla monotonia della vita.

JPH: Sì, ad un certo punto la guardia inizia a familiarizzare con il carcerato, molto più grande di lui, quasi un padre o un fratello maggiore, e gradualmente viene manipolata, tanto da innamorarsi della ragazza. Il giovane incapace di gestire la situazione, nonostante viva al di fuori della prigione, diventa lentamente prigioniero di questa coppia. Infatti, il carcerato stipula fin dall’inizio un accordo con la guardia: “Vai, prenditi cura di mia moglie e fai sesso con lei, così io non la perderò per un altro e continuerò ad averla accanto. Se questo ti va bene, considererò la situazione del tutto regolare”. Alla fine del film è chiaro che il ragazzo è completamente sopraffatto da questa relazione, dalla quale non riceve amore, ma soltanto sesso. Lui  vuole ugualmente credere in questa fragile storia, convinto di poter fare innamorare la donna. Facendo questo dimentica che il suo non è altro che un amore sotto contratto, e che la coppia può decidere come e quando far finire il gioco.
La guardia è il vero prigioniero, questo emerge nella sua delusione e nella sua tristezza, tuttavia lui sa che la sua storia d’amore non poteva continuare.

scena del film

JM: Dal punto di vista femminile c’è un messaggio interessante. Per una donna non ci può essere sesso se non c’è amore, vero?

JPH: Penso che per questa donna l’amore sia un concetto complesso, inizialmente la sua relazione con la guardia nasce soltanto dal bisogno di essere toccata, di sentire la sua pelle vivere al contatto con un uomo. Lei non sa se è il caso d’intraprendere un simile rapporto, ma decide ugualmente di concedersi per continuare a sentirsi viva, immaginando che suo marito possa in qualche modo esserle accanto nel momento dell’orgasmo. Così si illude di soddisfare i desideri del consorte (la necessità da parte del carcerato di essere conscio del tradimento della moglie, per mitigare il senso di frustrazione, ndr)  e spera che la guardia sia più gentile e disponibile.
Certo, hai ragione, non c’è sesso senza amore, ma per questa donna la faccenda è resa complessa dal desiderio di esistere.

JM: Questa è una storia brillante, ma drammatica allo stesso tempo, con un certo humor di matrice chiaramente francese. Pensi che Mr. Chirac guarderà questo film, visto il trattamento ironico nei suoi confronti?

JPH: (ridendo, ndr) Sì, in un certo modo ho fatto morire Mr. Chirac, ma per soli cinque secondi. Quindi, non penso che se la prenderà troppo. In fondo, è morto soltanto cinque secondi.

JM: Come hai affermato nella conferenza stampa, per girare questo film sei stato in contatto con alcune mogli dei carcerati, e hai parlato con loro per capire cosa possa accadere nelle loro menti. Hai forse seguito un percorso di tipo documentaristico, almeno all’inizio?

JPH: Sì, ho fatto proprio un documentario, ho incontrato le mogli dei carcerati che erano disposte a parlare con me dei loro più reconditi problemi derivati dalla lontananza fisica con i mariti. Sicuramente, questo percorso ha arricchito e qualificato la mia storia. Mi hanno spiegato il valore degli odori sui vestiti e l’importanza che ha per loro la sala visite, unico luogo adibito all’incontro in cui è permesso avere un contatto fisico. Questo posto è poco più grande di due metri quadrati, per questo c’è bisogno di una fervida preparazione e immaginazione per capire cosa poter fare in soli trenta minuti alla settimana: come e dove toccarsi, come annusarsi e dare il massimo piacere possibile in trenta minuti.

JM: In un certo senso, come sopravvivere. E per sopravvivere, questa è l’ultima domanda, hai intenzione di distribuire il tuo film.

JPH: Sì, ci sarà una distribuzione a piramide, prima in Francia e poi spero in Italia e in altri paesi, ma non conosco ancora i dettagli.

Jean-Pascal Hattu

JM: Quali sono i progetti per il futuro?

JPH: Ancora sulla vita in prigione, un prigioniero e uno psichiatra, ma non vorrei dire altro.

JM: Bene, è una storia sulla prigione e non dalla prigione, questa è una bella notizia.

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