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Scrittura

Ursula Rucker

Spoken word cantato

La nuova tradizione

Ursula RuckerNata e cresciuta a Philadelphia, la carriera di Ursula Rucker inizia nel 1994 con una memorabile esibizione di Spoken Word sul palco dello Zanzibar Blue per una serata di open mic. Ursula, già laureata in giornalismo alla Temple University ed aspirante copywriter, diventa presto celebre sulla scena poetica di Philadelphia e viene paragonata ad altri autori contemporanei come Sonia Sanchez e Nikki Giovanni. Cominciano quasi subito anche le collaborazioni con il mondo della musica hip hop, che nella sua città d’origine è intrinsecamente legata alla tradizione della poesia e dello Spoken Word. Nascono così le sue prime partecipazioni nei dischi dei Roots, per i quali fornisce potenti letture di propri testi posti a chiusura degli album, e con queste arriva anche la fama internazionale. Forte di ulteriori collaborazioni con artisti del rango dei 4Hero, Jamaladeen Tacuma, Jazzanova ed altri, Ursula incide nel 2001 per la Sony il suo primo album solista, Supa Sista, seguito nel 2003 dalla sua seconda fatica, Silver Or Lead.

In entrambi Ursula fonde spontaneamente il suo spoken word ai ritmi ed al linguaggio tipico dell’hip hop. Nei suoi versi intelligenti e visionari, unisce un genuino e sincero impegno politico-sociale a una dolcezza accattivante. Grazie alla sua spontaneità, tra gli elementi fondamentali della sua poetica, e alla sua voce coinvolgente, riesce a mettere a nudo con autenticità le proprie sensazioni.
Scrivendo di forti realtà urbane, così come di amore, maternità e passione, Ursula Rucker cita apertamente fonti di ispirazione tanto vicine quanto diverse fra di loro, che vanno da Marcus Garvey a John Coltrane, da Georgia O’Keefe a Jam Master Jay.
Nel suo concerto-performance del 23 Marzo 2007, ad AbsolutePoetry al Teatro di Monfalcone, Ursula si è fatta accompagnare da un chitarrista e da un batterista per presentare il suo ultimo lavoro, Ma’at Mama.

Robin Luis Fernandez (RLF): Il curatore di questo festival dà grande importanza agli slam. Ho letto che a te, invece, non piacciono i poetry slam, che non ci vai molto d’accordo, e mi interessava molto sentire un’opinione diversa.

Ursula Rucker (UR): Be’, non so come siano qui i poetry slam, magari c’è una vibrazione completamente diversa. Probabilmente sono fondati sullo stesso principio. Non posso però giudicare il modo in cui viene fatto nel vostro paese, né in alcun altro luogo al di fuori dagli Stati Uniti. Sono i nostri slam quelli che io giudico. Non mi piacciono rispetto a quelle che sono le mie esigenze.

Ursula Rucker
© foto di Giulio Donini

Ne riconosco il valore perché molta gente viene a vedere gli slam senza sapere nulla della poesia. Noi la facciamo conoscere e loro rispondono dicendo “Be’ ok, questo non è male, mi piace!”. Quindi iniziative di questo tipo potrebbero far sì che persone di solito non interessate alla poesia la accettino e si interessino a saperne di più.
Allo stesso tempo, però, molte delle poesie che sono scritte per gli slam sono scritte specificamente per la competizione. È una cosa che io non faccio, mai. Non lo approvo perché personalmente scrivo sempre di cuore, non scrivo mai per far colpo o per competere con gli altri. In questo senso quindi non mi piace.
Per quanto mi riguarda non partecipo mai né vorrei mai fare parte della giuria in uno slam.

RLF: Quindi è una cosa che non ti interessa.

UR: Esatto, è solo una preferenza personale.

RLF: Nei tuoi lavori la poesia si mescola liberamente con la musica hip hop. Ti eri aspettata questa commistione fin dall’inizio o è semplicemente successo senza che tu lo pianificassi?

UR: Ecco, ti sei appena risposto da solo!(ride)
No, non avevo mai pianificato di fare poesia con musica. È stata una cosa che è praticamente successa da sola. Stai percorrendo una certa strada, ti si presenta l’occasione e dici “Ok, sembra divertente, facciamolo!”. È tutto lì. Dopo la prima volta non ho più smesso di farlo!

RLF: Pensi che pubblicare i tuoi lavori in formato audio ti aiuti a raggiungere un pubblico più vasto?

UR: In America penso che funzioni meglio perché gli americani non leggono quanto gli europei! (ride) Comunque penso che avere i propri testi pubblicati su carta sia molto importante per un autore mentre io ancora non l’ho fatto, da quel punto di vista sono rimasta indietro. Ho fatto tantissime registrazioni ma non ho libri pubblicati, è una cosa che devo ancora fare.
Penso che entrambe le forme abbiano uguale valore, molta gente che leggerebbe le poesie non necessariamente potrebbe volerle ascoltare. Ognuno è libero di farlo a modo proprio, anche in entrambi i modi.

RLF: È interessante perché in Italia o in Europa si pensa piuttosto al processo contrario: un poeta si fa prima pubblicare lavori scritti e poi con il tempo riesce a farsi registrare qualcosa…

UR: È vero ma io sono tutta al contrario! (ride) Con un po’ di fortuna però funzionerà.

RLF: È difficile per te avere a che fare con l’industria discografica negli Stati Uniti? So che hai avuto qualche problema nel pubblicare il tuo primo disco.

Ursula RuckerUR: Ho avuto una buona pubblicità da parte della stampa ma il problema è stata la distribuzione. Quanto all’etichetta, mi hanno sostenuto moltissimo per il primo album, in questo senso è stato fantastico. Il disco era segnalato su ogni tipo di rivista, era in copertina di qua e di là. Era meraviglioso ed emozionante. Sarà però difficile mantenere una spinta del genere in modo costante, soprattutto quando stai ancora cercando di promuovere l’accoppiata tra poesia e musica. Molta gente non è ancora pronta ad accogliere l’idea in generale e, in particolare, alcune delle cose che dico.
Puoi solo continuare a provarci, in ogni modo possibile, anche se l’etichetta dovesse avere problemi di distribuzione o cose del genere, devi comunque spingere un po’ per abbattere il muro, per poter andare avanti.

RLF: Sei la madre di quattro figli. La vita di famiglia è di ispirazione per i tuoi lavori? Avere una famiglia così ti fa mai sentire separata dal resto della scena della poesia e dell’hip-hop di Philadelphia?

UR: È un’ispirazione ed è una sfida. Mi spinge ad andare avanti però è difficile conciliare tutto questo con una famiglia così grande, soprattutto quando vai in tournée o devi passare molto tempo ad incidere. È dura ma i bambini mi ispirano continuamente. Non saprei nemmeno definire quanti e quali siano i modi in cui mi ispirano. Sono molto vicina a loro e passiamo tutte le nostre giornate insieme. Una cosa che fai ogni giorno per tutto il giorno è a tal punto parte della tua vita che, per riflettere veramente sul modo in cui influisce su di te, dovresti isolarti completamente a riflettere. Ancora non mi è capitato di analizzare la questione, né penso di farlo perché è una cosa del tutto naturale, che non ha bisogno di essere analizzata. Scrivo sempre poesie per i miei figli, sono sempre presenti da qualche parte nei miei lavori.

RLF: Il tuo nuovo disco, che ci presenterai nello spettacolo di stasera, s’intitola Ma’at Mama. Cosa vuol dire il titolo? Che cosa significa per te e cosa puoi dirci dell’album?

UR: Ma’at Mama è un principio vitale egiziano che nella sua definizione più rudimentale significa verità. Esiste anche la dea Ma’at che lavora per mantenere la verità e l’equilibrio universale. In questo momento ne abbiamo tutti un gran bisogno e questa credo sia la ragione per la quale ho intitolato il mio disco Ma’at Mama. Sento la necessità di mantenere un equilibrio personale in ogni momento della mia vita. Mantenere la verità dovrebbe essere un impegno comune, perché è fonte di amore, di pace, è un ottimo punto di partenza.

Ursula Rucker
© foto di Giulio Donini

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