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Scrittura

Badara Seck

Un Griot moderno nella nuova tradizione globale

Badara Seck è nato in Senegal da una famiglia di Griot, i cantastorie erranti che tramandano la saggezza e la cultura locali, e di questi prosegue la tradizione attraverso il suo grande carisma e talento musicale.

Badara Seck

Arrivato in Europa nei primi anni novanta con il suo gruppo musicale chiamato Penc, Seck ha potuto vantare numerose e prestigiose collaborazioni come quelle con Peter Brook, Andreas Vollenweider e Michel Petrucciani, sempre mantenendo intatta la sua forte identità Griot.
Abbiamo incontrato Badara Seck a Monfalcone prima della sua esibizione per AbsolutePoetry, accompagnata da Luigi Cinque e Rita Marcotulli, nella quale ha dato mostra dell’immediatezza del suo canto naturale combinato con una musicalità ipnotica ed affascinante.

Robin Luis Fernandez (RLF): Incontriamo Badara Seck, un poeta e musicista senegalese che proviene dalla tradizione dei Griot nordafricani. Come riesci a comunicare le tue radici tradizionali nella poesia moderna e nel mondo contemporaneo?

Badara Seck (BS): Secondo me il griotismo è un insieme di elementi: la musica, la poesia, i racconti, le favole, sono tutte storie collegate fra di loro. Da noi nella tradizione africana c’è sempre stato il cantastorie, il cui canto ha sempre avuto un forte collegamento con la poesia. Rispetto alle origini, abbiamo fatto tanti passi avanti. Oggi per esempio, la comunicazione viaggia anche attraverso il telefono, possiamo comunicare facilmente con posti lontani, tanto con l’Africa quanto con Monfalcone, mentre un tempo bisognava trovare un modo di comunicare senza telefono né energia elettrica. Comunicavamo attraverso la musica e la voce, che per noi sono una cosa sola.

Il griotismo è stato ed è come una televisione, completamente umana però. È un’arte che serve per comunicare ma che è sempre stata accompagnata dalla poesia per poter aprire l’anima delle persone e metterci dentro qualcosa di prezioso. Chi oggi manca di un’anima usa le parole ma senza arrivare alla loro anima, le usa per comunicare alla gente una determinata cosa.
Badara SeckPer me, invece, è normale comunicare l’anima delle parole, perché sono nato da questo mondo, come i miei genitori ed i miei nonni prima di me.
Abbiamo sempre una spontaneità di comunicazione all’interno di un rituale, un trance che permette di comunicare con tutte le persone del mondo senza nemmeno aver bisogno di capire la lingua. Forse faccio poesia africana, magari ci metto italiano ed inglese, ma è sempre il dire le parole con quella energia di comunicare che permette di entrare nel profondo e collegare le persone.

RLF: Quindi questo può sopravvivere nel mondo moderno anche indipendentemente dal mezzo di comunicazione? Che sia su disco o su libro o per telefono, come dicevi tu, la voce ed il modo in cui attuare questo canto sarà sempre uguale?

BS: Dipende da come la gente lo usa. Oggi la gente del Senegal sud-occidentale è troppo materialista, il pubblico ha perduto il rapporto con la natura e la spontaneità. Tutti corrono dietro ai meccanismi del mondo materiale che, qualche volta, ti ruba quell’essenzialità capace di farti capire cosa sentono gli altri. Al giorno d’oggi, nel mondo, ci sono ancora guerre, nessuno si capisce più l’uno con l’altro, tutti pensano a se stessi.
Il problema è che la comunicazione non passa nel modo giusto. La tecnologia si è sviluppata molto ma, secondo me, è avanzata troppo velocemente e la gente conserva troppe cose che non servono a niente. Siamo arrivati ad un punto di crisi e per vivere insieme dobbiamo capire che esiste questo problema.

Con questo, intendo dire che la logica delle persone è stata sviluppata in un modo troppo meccanico e l’uomo non ha più una mentalità che accolga altre idee ed altre persone. Dobbiamo trovare un equilibrio. La tecnologia creata dall’uomo ci serve molto ma non dobbiamo abbandonare lo spazio umano e la natura umana, altrimenti non faremmo più niente, non canteremmo e non scriveremmo. E questa secondo me è una cosa che si può vedere in Africa, le sensazioni del rapporto di comunicazione sono più sviluppate, non solo fra uomini ma anche con la natura, con gli alberi, gli animali e la foresta. I miei progenitori avevano sempre la possibilità di comunicare e di sapere il significato delle cose, di sapere cosa avevano di fronte.
Oggi si sta perdendo questo. In Occidente non si può dire ad un giovane di parlare con un griot, sarebbe come dirgli di parlare con un albero: ti dirà che sei matto!

RLF: In Senegal come continua la tradizione del griotismo? Si è modificata nell’incontro con il mondo moderno?

BS: Sì, continua. É una cosa importante e ne facciamo ancora uso. Noi diciamo di avere una missione e, come uomo africano, oggi sono consapevole della sua funzione: il Griotismo è la coscienza del nostro popolo.
Se questo tipo di Griot dovesse cessare di esistere, l’uomo africano diventerebbe una persona priva della sua coscienza e della sua storia. L’uomo non può vivere senza la sua coscienza. La coscienza africana è sempre stata un collegamento fra individui e io ho sempre lavorato conservando in me la presenza ed anche il peso di tutta la coscienza del popolo africano.
Se non conservassimo la nostra coscienza, l’Africa culturalmente non esisterebbe più. É questa la mia missione ormai. Noi siamo qui perché dobbiamo far sviluppare il mondo culturalmente e l’Africa ha sempre bisogno di sviluppo. È l’unica cosa che serve nella vita.

Badara Seck
© foto di Giulio Donini

RLF: Nello spettacolo di oggi tu collaborerai con Luigi Cinque e Rita Marcotulli. C’è stato un cambio di programma perché in origine dovevi esibirti con Baba Sissoko. Come ti adatti a diversi tipi di spettacolo con diversi tipi di musicisti, considerando che vieni da una tradizione così forte?

BS: È stato normale per me, nella vita, ogni giorno proviamo sempre qualcosa di nuovo dal punto di vista artistico. Non siamo limitati ad una cosa sola. Io dico sempre che, indifferentemente da dove io mi trovi, gioco comunque con me stesso. Non dipende da chi suona con me, può essere un americano come un italiano o un africano. Anche il pubblico cambia, Monfalcone è diversa dal Senegal. Noi che intendiamo lavorare in un posto cerchiamo però di trovarne l’anima. Oggi cantiamo l’anima tipica di questo specifico posto. Tra le culture esiste comunque una comunicazione naturale: il griotismo è comunicazione, è una cosa che ho nel sangue. Sono convinto che la cosa importante sia che quando sento qualcosa in comune con gli altri artisti io possa sviluppare un certo tipo di trance. Questo mi consente di viaggiare all’interno di me stesso e di comunicare con gli altri. Qualche volta non funziona perfettamente, altre volte possiamo andare avanti per due o tre ore senza fermarci. Questo è un viaggio che cerco di creare ogni sera e di restituire al pubblico, entro in un mio trance e così posso cercare le altre persone. Se ci riusciamo, sarà stato un buon spettacolo per il pubblico. Se non lo troviamo, riproviamo la prossima volta. Non è una cosa che nasce da delle regole, nulla è calcolato.

RLF: Se ho capito bene, tu non sai cosa succederà, tu sai che farai una certa cosa e che devi raggiungere quello stato mentale…

BS: Esatto, è così.

RLF: È già da tempo che sei in Italia, so che hai collaborato con molti musicisti italiani. In relazione alla tua collaborazione con Mauro Pagani, che è un grande ricercatore di musiche tradizionali, vorrei sapere come ti sei trovato a lavorare con lui.

Badara SeckBS: Ho fatto molte cose con lui fra il ‘97 e il ’98. Mi aveva sentito suonare in una mia esibizione trasmessa su Radio Popolare, era interessato alla musica africana e mi ha contattato per poter fare delle nuove esperienze. In seguito, quando ha collaborato a una produzione per Massimo Ranieri, Mauro mi ha fatto conoscere la musica napoletana. Ho lavorato con loro per due dischi e a tutt’oggi la collaborazione continua. Lui è un uomo molto spontaneo, gli dico sempre che è come un dio africano! Così come lo sono Luigi Cinque ed altre persone con cui ho lavorato per molti anni, sono tutti un po’ africani dentro.
Adesso Mauro Pagani deve produrre anche un lavoro mio, inizieremo a lavorarci presto. Cerchiamo di unire la mia musica con una certa tradizione italiana, così da far sapere che esiste una bellezza nella musica africana riconosciuta nello spazio musicale italiano. Grazie a lui (ndr Pagani) ho collaborato con tante persone in Italia, vengo spesso chiamato e faccio semplicemente il mio mestiere.
La mia vita, il mio modo di vivere consiste nel dare agli altri la possibilità di dare qualcosa e di ricevere qualcosa in cambio. È questa la mia filosofia. La nostra collaborazione è stata questa, con molta spontaneità. Non si è trattato di cose ricercate, c’è stata grande naturalezza. Io vivo così anche quotidianamente. Non mi interessa cercare persone con una cultura straordinaria, quello che mi interessa è trovare persone disponibili con cui riuscire a fare le cose bene insieme. È da lì che crescono molte cose. E Mauro è uno che ha portato avanti numerose collaborazioni, so che può sempre nascere molto.

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