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Palcoscenico

Il teatro nella formazione (I)

Perché l’arte non dovrebbe,
naturalmente coi mezzi a lei propri,
contribuire alla grande impresa
di rendere l’uomo padrone della vita?

Bertolt Brecht

il fascino del teatro

Aziende, oggi

Il baricentro dell’azienda si è spostato, ed è la formazione uno dei settori attraverso il quale il processo è avvenuto e continua ad evolversi. Non è più solo il “fuori” dell’azienda ad essere in gioco: l’attenzione per una strategia di crescita aziendale efficace si dirige da tempo al suo interno, al personale. Nella consapevolezza che se si tratta di imporsi sul mercato, è proprio da lì che bisogna attingere, dalle risorse delle risorse umane, dai “lavor-attori”, o comunque si voglia chiamarli, in opera tra le 9 e le 17. Questo spostamento, che poi finisce per assomigliare più ad un’oscillazione, ha il fine della produttività e mira al contempo alla partecipazione, al divertimento e alla crescita dei propri partecipanti, nell’ipotesi di creare un circolo virtuoso.

Una parola chiave, per inquadrare questo processo in atto, potrebbe essere quindi interazione: la ricerca di uno scambio tra l’azienda e il lavoratore, tra il lavoratore e i propri colleghi, e di un rapporto con l’esterno. Dove la scena esterna, il mercato, come sappiamo, cambia in continuazione, inducendo a sua volta un ripensamento continuo delle logiche aziendali — e si torna quindi all’interno dell’azienda.

Un altro termine importante è esperienza, che poi è il leitmotiv delle attuali metodologie formative finalizzate allo sviluppo del personale, proposte per favorire la coesione di gruppo, la flessibilità, lo sviluppo di risorse personali, la capacità di risoluzione dei problemi. Nel corso degli anni, solo per restare nell’ambito della formazione che “fa agire” la persona, manager e quadri di aziende si sono trovati in situazioni di confine: a calarsi per torrenti, a simulare azioni di guerra, a camminare su ponti sospesi.

Riguardo a questi metodi già molto si è detto ed è stato fatto; lo sviluppo della modalità esperienziale, e delle riflessioni in merito al suo utilizzo e ai suoi vantaggi, ha portato nel tempo ad una sempre maggiore complessità, alla commistione di più generi, da quello teatrale a quello televisivo, al web, trovando oggi una possibile collocazione all’interno del termine “edutainment

Tra tutte le possibili diramazioni sul tema, il teatro sembra essere un punto focale attraverso cui poter guardare questa scena, aziendale e formativa, nonché lo strumento operativo grazie al quale si attuano molte delle proposte di cui sopra. Prima di entrare nel dettaglio, data la diffusione su scala mondiale delle varianti teatrali a fini terapeutici e formativi, può servire tracciare una mappa orientativa di alcune tra le metodologie che si servono del teatro nella duplice veste di metafora e di strumento.

Un breve excursus che non ha la pretesa d’essere esaustivo, l’evolvere di proposte in questa direzione è continuo. Il concetto di teatro è di per sé multiforme: l’arte teatrale si presta alla condivisione dell’uno o dell’altro elemento che la compone, a seconda della finalità, senza per questo perdere la propria essenza. In particolare, nella panoramica delle diverse proposte formative, distinguo le funzioni del fare o del vedere teatro quali lenti d’osservazione e motori principali di un’esperienza di crescita e di cambiamento.

Flashback

Jacob Levi MorenoL’intersezione tra teatro e terapia, ossia l’avvio di una riflessione sui significati e sull’utilizzo del linguaggio teatrale in ambito terapeutico e formativo che continua tutt’oggi, si deve allo psichiatra Jacob Levi Moreno e al suo metodo dello Psicodramma, nato quasi un centinaio d’anni fa. Questa metodologia d’indagine psicologica si fonda sulla convinzione che agire una situazione, rappresentare un problema personale all’interno di una cornice scenica che consenta di esprimersi spontaneamente, permetta all’attore di liberarsi dai condizionamenti posti dalla sua storia privata.

Grazie alle proprie risorse creative, valorizzate nell’esperienza psicodrammatica, l’individuo si dà nuove possibilità di scelta, verifica l’opportunità di modificare comportamenti stereotipati, sperimentandone altri più adatti a soddisfare i propri bisogni e contemporaneamente ricercando un nuovo equilibrio con le richieste del reale.

La tecnica psicodrammatica mira a incrementare la consapevolezza del proprio vissuto, a stimolare il cambiamento, e può essere finalizzata sia allo sviluppo personale, sia alla formazione professionale, per ampliare le competenze del professionista nel campo delle relazioni interpersonali. Durante le sessioni si sfruttano le componenti principali dell’azione teatrale, quella pratica, nella drammatizzazione fisica, quella visiva, grazie allo sguardo degli spettatori in cui l’attore si specchia, quella riflessiva, di auto osservazione dell’”attore”, a cui si aggiunge la successiva rielaborazione dell’esperienza in gruppo.

Basandosi sulle proprie esperienze in tema di apprendimento, a partire dallo psicodramma e attraverso le ricerche sulle dinamiche di gruppo, lo psicologo Kurt Lewin elabora la tecnica del Role-playing. Tra i concetti che stanno alla base di questa metodologia, e che trovano continua conferma nella pratica formativa, vi è il riconoscimento dell’importanza per il singolo di poter giocare un ruolo attivo nell’acquisire conoscenze e di un approccio educativo che includa attività cognitive, emotive e psicomotorie per favorire il cambiamento di atteggiamenti e comportamenti.

Il role-playing, come denota il nome, si basa su meccanismi teatrali di assunzione e scambio di ruoli: si sceglie una data circostanza, che può sia essere reale, proposta dai partecipanti, sia un caso da analizzare, magari riferito all’esperienza lavorativa del gruppo, e si invitano tutti o alcuni partecipanti ad assumersi un ruolo (gli altri fungono da osservatori) e ad agirlo, sulla base di una serie di informazioni sul background sia personale che professionale del ruolo scelto. Il caso viene rappresentato e successivamente analizzato: l’immedesimazione nel ruolo garantisce una comprensione emotiva, mentre la discussione porta a un approccio razionale dei vari elementi che compongono la situazione data, permettendo così di unire all’insight del singolo quello dell’intero gruppo e di rielaborare il problema iniziale alla luce dell’esperienza vissuta collettivamente, in un processo di feedback continuo.

Vale anche per il role-playing la contiguità con il teatro data dall’interazione dei tre elementi pratico, visivo e auto-riflessivo: l’analisi si sposta dal piano terapeutico a quello formativo e aiuta a evidenziare atteggiamenti ricorrenti in campo relazionale, a meglio percepire e gestire il proprio ruolo e i modelli d’interazione all’interno di una struttura organizzativa.

Dall’attività teatrale di messa in scena di temi improvvisati su indicazioni del pubblico condotta dallo stesso Moreno a partire dal 1922 con il nome di Teatro della Spontaneità, (o Teatro Improvvisato), ha avuto origine alla fine degli anni Settanta un altro indirizzo: il Playback Theatre.
Qui l’attenzione è focalizzata sull’aspetto del racconto e del rispecchiamento insito nella dinamica attore-spettatore: c’è un pubblico, i cui partecipanti possono ognuno raccontare la propria storia, e vi sono degli attori, dei narratori, un direttore e un musicista, che all’interno di una cornice da “teatro povero” — senza particolari artifici scenografici e illuminotecnici — hanno il compito di dare vita sulla scena a questi racconti.

Il playback theatre permette al pubblico di esprimersi narrando di sé e di rispecchiarsi poi nei gesti degli attori, in un clima di condivisione e partecipazione spontanea e creativa. Dalla prima compagnia, fondata nel 1975, ad oggi, questa metodologia si è diffusa in tutto il mondo, dall’Australia all’Europa. Le possibilità applicative vanno dall’animazione teatrale, al settore socioculturale, terapeutico e formativo, mirando, in quest’ultimo caso, allo sviluppo dell’espressività e delle capacità comunicative.

platea

Una piccola deviazione dalla performance “sulla scena”, restando però in tema di racconto e tenendo fermi i principi di Lewin[1], porta alla Narrativa interattiva . Questo strumento formativo di recente concezione, nato dall’intersezione tra l’esperienza del computer entertainment e dell’e-learning, sfrutta l’interattività data dalla possibilità per l’utente di agire e modificare gli scenari proposti, per favorirne e incentivarne l’immedesimazione, la partecipazione al narrato e quindi l’apprendimento. Sostanzialmente si propone come contraltare informatico del role-playing classico o della discussione di casi, centrato sulla sfera del ’saper essere’. Scegliendo la linea di condotta degli attori della storia, l’utente apprende i comportamenti o le strategie da utilizzare identificandosi con l’esperienza simulata del proprio alter ego informatico: l’applicazione va dallo sviluppo delle competenze comportamentali, al team-building, al problem-solving.

Torniamo al teatro: la nascita del Teatro d’Impresa (Business Theatre) ovvero dell’applicazione del teatro alla realtà aziendale, in rapporto diretto con la tecnica dell’improvvisazione teatrale, nasce nel 1984, per opera di Christian Poissonneau, a Montreal e si diffonde successivamente anche negli USA e in Europa. All’inizio degli anni 90 viene ufficialmente istituito un Festival Internazionale del Teatro d’Impresa.
Il teatro d’impresa guarda alla persona in quanto risorsa prima e fondamentale dell’azienda e ad essa si riferisce tramite l’uso di tecniche legate al mondo dello spettacolo: nella sua evoluzione l’ambito di applicazione varia dall’entertainment alla formazione.

maschere

Vedere teatro

Un primo campo d’azione si avvicina maggiormente all’animazione, allo spettacolo inteso nell’accezione di intrattenimento; dalle convention, alla teatralizzazione di eventi di particolare rilevanza per l’azienda, come nomine, ecc., alla presentazione di un prodotto. La funzione è creare un evento d’impatto, che colpisca e intrattenga l’uditorio stimolando l’attenzione e puntando sull’effetto.

Nel secondo campo, finalizzato alla formazione, rientrano invece le rappresentazioni più propriamente teatrali di copioni prefissati o commissionati ad hoc per l’azienda e riguardanti temi formativi/educativi; così come la messa in scena di brevi situazioni teatralizzate, grazie all’uso di stereotipi e all’interazione col pubblico, per illustrare e rinforzare determinate temi o messaggi che l’azienda intende veicolare.
L’obiettivo di questo settore, nel sottolineare l’importanza formativa del vedere[2], più che quella dell’esperienza diretta, poggia sull’assunto che vivere un evento in diretta non lascia il tempo di ragionarci sopra, poiché presi dalle emozioni non si riesce a elaborare un corretto spirito critico che permetta di “mantenere le distanze”.

L’essere spettatori permetterebbe invece sia una presa di coscienza delle proprie emozioni e dei propri atteggiamenti, che una visione d’insieme delle relazioni interpersonali e del proprio ruolo nel microcosmo dell’impresa e in quello macro della collettività. Dell’evento teatrale viene risaltata la funzione di specchio, di situazioni e dei problemi quotidiani simili a quelli vissuti in azienda, per attirare l’attenzione delle persone parlando alle loro stesse emozioni, sdrammatizzando eventuali temi scottanti con l’ironia o rappresentandoli in luce comica o parodistica. L’impatto emozionale facilita l’immedesimazione e favorisce l’apprendimento, stimolando negli attori aziendali una riflessione verso il cambiamento di atteggiamenti e comportamenti, in particolare se associato a successivi interventi formativi.

Fare teatro

Un’altra applicazione pone invece l’accento sull’aspetto legato all’azione, al drammatizzare[3], al far fare teatro ai partecipanti. Come già detto, l’humus da cui è nato il teatro d’impresa è la tecnica dell’improvvisazione teatrale, ed è sui suoi concetti base che vertono i workshops di Corporate Training . In questo caso, i fondamenti della tecnica vengono applicati a situazioni aziendali, per potenziare competenze relative alla comunicazione interpersonale (reazione e ascolto, comprensione, public speaking), al pensiero creativo (brain storming, problem solving), al team building sia orizzontale che verticale, ecc.

Il panorama italiano

Il teatro d’impresa è una scoperta degli ultimi anni per l’Italia ma è andata diffondendosi velocemente tra le società di consulenza e formazione; per quel che riguarda lo spettacolo, i metodi e le applicazioni ricalcano sostanzialmente quelli già descritti e spaziano dall’animazione di convention o di eventi rilevanti per l’azienda, alle rappresentazioni formative condotte nei teatri, su grandi numeri, a soggetto fisso o concordato. Dalle figure nate dal connubio arte-formazione deriva il nostrano “formattore ”, a designare il moderno oratore da palcoscenico, l’esperto che intrattiene e al contempo insegna a gestire la comunicazione in pubblico.

Per quel che riguarda l’esperienza diretta dei partecipanti, le proposte sono articolate: accanto alle sessioni di improvvisazione teatrale vengono proposti interventi formativi finalizzati alla creatività, svolti in teatro con partecipanti non solo “aziendali”, oppure eventi in cui si trovano a recitare sia attori che normali partecipanti. Viene offerta la possibilità di realizzare uno spettacolo con il personale dell’azienda, magari in loco, per facilitare la coesione e la collaborazione tra le persone (e la riflessione sulle dinamiche intercorse) nel costruire quel famoso spazio di creatività e spontaneità che è l’azione teatrale.

Perché il teatro?

Copertina del capolavoro di GoffmanTutto il mondo è un palcoscenico
e gli uomini e le donne sono soltanto degli attori
che hanno le loro entrate e loro uscite.
E ognuno, nel tempo che gli è dato, recita molte parti.

William Shakespeare

La verità scenica è sicuramente altra cosa rispetto alla realtà della vita, ma la linea di demarcazione tra palco e platea è talmente sottile che a volte non si distingue.

Anche nella vita si recita. Attenzione a non attribuire alla parola “recita” una valenza negativa di contraffazione, dissimulazione, inganno; non si tratta di questo ma del costante gioco sociale di maschere e ruoli che ognuno di noi quotidianamente interpreta. La complessità e la differenziazione della società ci forniscono molteplici pubblici e tipologie di spettatori; noi attori sociali reagiamo interpretando diversi self in diverse occasioni. Questo continuo scambio tra ribalta e retroscena potrebbe dare l’impressione che “…dietro tutte le immagini di se stesso che l’individuo mostra, vi sia un’identità ultima e definitiva che organizza e gestisce tutte le altre”[4]. In realtà le diverse sfaccettature della nostra identità convivono tutte sullo stesso piano e calcano il proscenio di volta in volta a seconda della platea e del contesto.

Il sostantivo “persona”, nel suo significato originario, significa proprio maschera. Gestire l’interazione sociale rimanda alla capacità di assumersi diversi ruoli, diverse maschere — sul lavoro, in famiglia, nel gioco ecc. — e di saperle mantenere e orchestrare in un contesto e secondo determinate regole. Questo “gioco” sociale è serio, perché ne va di noi stessi, della nostra personalità ma anche di quella degli altri; i ruoli che ognuno inscena ogni giorno riguardano, infatti, non solo il singolo ma tutto il “pubblico”, coloro che prestano fede a tale ruolo e a loro volta propongono il proprio, chiedendone implicitamente il riconoscimento.

Anche sul palcoscenico si vive. Fare teatro per mestiere, per hobby, in un corso di formazione, davanti ad una platea o durante le prove e le esercitazioni, significa inevitabilmente mettersi in gioco, significa esporre e rendere permeabile una parte di sé, dare e ricevere emozioni.

StanislavskijCulmine di questo processo è la relazione che si instaura tra attore e personaggio. “Di chi sono i sentimenti che portate in scena?”, chiedeva Stanislavskij agli allievi del suo studio. La risposta è: né dell’attore, né del personaggio. La persona che, per due ore o per cinque minuti, vive sul palcoscenico o nel breve lasso di tempo di un esercizio, altro non è che una sintesi, diversa dai due elementi sintetizzati, tra attore e personaggio.

Nel prendere parte a un’esercitazione teatrale, un compito essenziale è sempre quello di ragionare sulle analogie tra le emozioni suscitate da tale esperienza e le proprie. Prima di interpretare un personaggio è di fondamentale importanza ricostruirne o inventarne la vita interiore, dotarlo di un passato, di una storia, di una linea di pensiero. Questo sforzo creativo mette l’attore in contatto con la propria vita interiore, con la propria storia ed i propri pensieri e sentimenti, favorendo il recupero, a volte la scoperta, di emozioni e risorse personali. Da queste correlazioni emotive prende vita la simbiosi attore-personaggio, diversa dalla persona che recita e dal carattere descritto nel copione, ma portatrice di una parte del sé di entrambi: le due vite parallele di attore e personaggio a un certo punto si intersecano e si mescolano dando vita ad una nuova realtà.

In questo nuovo “essere vivente”, però, l’Io-attore non viene dissolto e perso: mentre una parte del sé è impegnata a dare vita al personaggio, un’altra parte resta sempre distinta e vigile e, come un osservatore esterno, controlla lo svolgimento del processo creativo. Il bilanciamento di queste due prospettive, di questi due punti di vista contemporanei, è essenziale: se l’attore si appoggiasse troppo alla propria percezione, la sua creatività e spontaneità ne risentirebbero, invece, nel caso in cui fosse la prospettiva del personaggio a prendere il sopravvento, l’attore perderebbe il controllo delle proprie emozioni, della propria lucidità, del proprio gesto tecnico e, conseguentemente, della linea guida dell’intero spettacolo. In questo senso, oltre alla capacità di saper assumere diversi punti di osservazione simultanei, il fare teatro richiede, e allo stesso tempo sviluppa, l’esercizio del proprio autocontrollo e la gestione delle proprie emozioni.

Teatro e (è) comunicazione

“Abbiamo tutti, dentro, un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci se nelle parole che io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me, mentre chi le ascolta, inevitabilmente, le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo come egli ha dentro? Crediamo di intenderci… ma non ci intendiamo mai!”.

Luigi Pirandello

Pirandello, in questo monologo, parla di “parole” dette per esprimere il “mondo di cose” che abbiamo dentro; parole non intese dagli altri perché interpretate secondo la loro logica, il loro “mondo di cose”. Allo stesso modo però l’autore avrebbe potuto scrivere di sguardi, di gesti, di espressioni, di silenzi non intesi; più in generale, e meno poeticamente, di comportamenti comunicativi male interpretati.

Luigi Pirandello

Sembra paradossale che nell’era della comunicazione uno dei nostri principali problemi sia proprio come farci comprendere dagli altri, come essere certi che le altre persone colgano appieno le nostre azioni e le intenzioni che le muovono. La comunicazione, base dell’interazione sociale, presuppone l’essere in possesso di particolari abilità e competenze relazionali, alcune sul piano più strettamente espressivo, altre sul piano emotivo, fondamentali per il singolo individuo che deve gestire la fitta rete di relazioni sociali in cui è immerso. Se guardiamo alle richieste di formazione, emerge con prepotenza il bisogno di indagare e rinforzare queste capacità: la competenza comunicativa è infatti il tessuto connettivo senza il quale non può esserci una corretta integrazione e sincronia tra tutti gli ingranaggi che muovono la macchina aziendale.

Benché l’arte drammatica non presupponga un rapporto diretto con il pubblico (salvo che in determinati stili recitativi), il lavoro dell’attore è strettamente collegato al campo della comunicazione. Bisogna che la sua interpretazione arrivi chiara e nitida al pubblico, che chi siede in platea, dalla prima all’ultima fila, riesca a cogliere il più possibile le sfumature della sua interpretazione. Non basta, infatti, “sentire la parte”, cioè entrare in quel particolare stato di con-partecipazione con il proprio personaggio tale da evocare emozioni e sentimenti propri; l’opera teatrale si completa quando ciò che l’attore-personaggio sperimenta intimamente viene trasmesso e interiorizzato dal suo pubblico.

A monte di questa transazione risiede tutto il training teatrale. Lo spettacolo inizia ben prima del levarsi del sipario. L’attore deve prendere coscienza, governare e sviluppare tutte le sue potenzialità comunicative e relazionali, a partire da quelle più tecniche riguardanti il controllo della voce e del corpo quali strumenti che devono rispondere tempestivamente alle sollecitazioni dell’animo, per dare consistenza anche alle più piccole variazioni di interpretazione. Al di là di questi elementi, ne vanno coltivati molti altri che, oltre a essere indispensabili sulla scena, sconfinano nell’ambito dello sviluppo personale dell’individuo-attore e finiscono col sovrapporsi a quelle competenze che il mondo aziendale definisce soft skills. È da qui che parte la traduzione del training teatrale in una forma fruibile nel contesto formativo aziendale, mettendo a punto una serie di esercitazioni pratiche per lo sviluppo delle capacità comunicative ed espressive di persone che a tale metodologia non si sono mai accostate prima e mettendo in atto una riflessione su di sé — sulla propria persona sociale e aziendale.

Fine prima parte

Segue con Il teatro nella formazione (II)

Note


[1] Steven Stahl, Bringing old ideas to new times: learning principles of Kurt Lewin applied to distance education, Technology Source, March 1999. 
[2] Teatro deriva dal verbo greco Jeaomai, vedere.
[3] Dramma, drama, dal verbo greco draw, opero.
[4]
Pier Paolo Giglioli, nota introduttiva a La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, BO 1994.

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