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Cinema

Sulle Giornate del Cinema Muto 2007

I festival e le rassegne cinematografiche sono luoghi di incontri. Come avrebbero detto in Grand Hotel: “gente che va, gente che viene”. Quest’anno il popolo dei festivalieri ha ripreso a frequentare la kermesse di Pordenone, spostata temporaneamente a Sacile a causa del rifacimento dello storico Teatro Verdi.

Logo dell'edizione 2007 delle Giornate del Cinema Muto

Ma all’appello, per quanti hanno un po’ di dimestichezza con chi al cinema ha consacrato la propria vita, mancava un signore che tanto aveva dato alla decima musa. Il suo nome era Piero Tortolina. A chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo basta dire che Tortolina era, anche e soprattutto, un collezionista di pellicole. Uno che ha salvato dalla distruzione opere che hanno alimentato la programmazione dei cineclub di tutta Italia. E ora che quella stagione si è ridimensionata, le sue pellicole sono diventate patrimonio della cineteca di Bologna. Tortolina comunicava cinema in modo informale ma entusiastico. Ognuno, ovviamente, conserva il ricordo dei propri incontri, e i nostri si sono protratti per alcuni lustri. Il suo viaggio si è concluso alle soglie degli ottant’anni, ma la sua grande eredità culturale ha contagiato generazioni di critici. Ci mancherà la sua memoria storica, il suo humour caustico e il piacere di una conversazione sempre stimolante.

Pordenone, si diceva, quest’anno ha ritrovato l’abbraccio dei pellegrini cinofili che da 26 anni hanno come meta imprescindibile Le Giornate Del Cinema Muto. Il programma, aperto e concluso con due opere celebri di grande suggestione, come sempre, è stato ricco e sofisticato. Per l’inaugurazione è stato proposto di David W. Griffith Le due orfanelle (1921), che il grande genio americano aveva tratto dall’omonimo romanzo francese di Adolphe D’Ennery e Eugene Cormon, ma con la significativa modifica di aver sposato l’azione ai tempi della rivoluzione francese. Vi si narrano le disavventure delle orfanelle Henriette e Louise, adottate dalla perfida Madame Frochard e destinate ad essere separate. La prima, infatti, viene rapita da un aristocratico vizioso, l’altra finisce nelle mani di un mendicante che costringe al marciapiede per chiedere l’elemosina. Le sorelle si ricongiungono ma finiscono per essere travolte dai moti insurrezionali. Quando il loro destino di ghigliottinate sembra segnato, lo stesso Danton, con un’estenuante cavalcata, le salva all’ultimo minuto dal patibolo. Il film, costato un ingente capitale a causa della meticolosa ricostruzione della Parigi di fine ‘700, non riuscì a rifarsi delle spese di produzione. Ma venne apprezzato dalla critica e si fa ricordare soprattutto per l’avvincente finale nel classico stile griffithiano e per la presenza delle celebri sorelle Lilian e Dorothy Gish. Va ricordato che, nel 1942, Carmine Gallone diresse un remake con protagoniste Alida Valli e Maria Denis.

La conclusione delle giornate è toccata invece a Lulù (1929), di Georg Wilhelm Pabst, con la mitica Louise Brooks. Questo personaggio della letteratura tedesca trova nel dramma dello scrittore Frank Wedekind una personificazione molto intensa e, per l’epoca, piuttosto audace, tanto da procurare al suo autore qualche guaio con l’autorità giudiziaria. Lulù, ex fioraia, decide di provare ad esibirsi nel cabaret. La ragazza intrattiene una relazione con il ricco ed attempato Schoen, che però vorrebbe lasciarla per sposare la figlia del ministro degli interni. Lulù con il suo fascino e una notevole astuzia, fa naufragare i propositi matrimoniali dell’uomo che viene sorpreso dalla rivale in atteggiamenti inequivocabili. Il risultato è la rottura del fidanzamento e il matrimonio tra Lulù e l’anziano. Ma già alla festa che segue le nozze, la cabarettista civetta con Alwa, figlio dello sposo. Ne consegue un violento litigio, tanto che Lulù finisce per uccidere il consorte. La tappa successiva è una fuga per mezza Europa assieme ad Alwa e a due poco raccomandabili compagni di viaggio. La conclusione a Londra è tragica. La donna, che si vende per strada, viene trafitta dal coltello di Jack lo Squartatore. L’opera trova nell’americana Louise Brooks un’interprete raffinata e sensuale. Un critico arrivò a paragonarla ad una danza tra l’amore e la morte. Anche in questo caso la storia ispirò un remake italiano del 1953 realizzato da Fernando Cerchio e interpretato da Valentina Cortese. Sia il film d’apertura che quello di chiusura sono stati accompagnati dall’esecuzione dei musicisti dell’Orchestra sinfonica del Friuli Venezia Giulia, diretta rispettivamente da Timothy Brock e Paul Lewis.

Film presentato alle Giornate del Cinema Muto

Le giornate hanno voluto omaggiare un artista famoso ma controverso come René Clair, con la presentazione dei suoi film muti. L’anno scorso era stato proposto Prix de Beauté (1930) che Clair aveva scritto assieme a Pabst, ma che era stato diretto da Augusto Genina. L’esordio di Clair avvenne con Paris qui dort (1924), una commedia fantascientifica di poco più di un’ora dove si ipotizza che, in seguito ad un incantesimo, tutti gli abitanti di Parigi siano immobilizzati. A questo incredibile destino sfuggono solo i viaggiatori di un aereo da poco arrivato da Marsiglia. Curiosamente, nel 1971, il registra volle ridurlo a metà della sua durata, ma la copia vista a Pordenone ricostruisce la versione originale. A seguire c’è stato il celeberrimo Entr’acte (1924), scritto da Francis Picabia per un suo balletto, e da Erik Satie, autore anche delle musiche. Si tratta di una sarabanda di invenzioni visive sviluppate in un’ottica surrealista. Celebri sequenze sono una partita di scacchi non conclusa, un prestigiatore che esce da una barba e soprattutto un funerale con dromedario, dove il corteo rincorre il carro funebre. A quest’opera si lega il successivo Un chapeau de paille d’Italie (1927), liberamente ispirato alla commedia di Eugene Labiche e Marc Michel. La storia si sviluppa su due piani: da una parte c’è un cappello di paglia che spinto dal vento nessuno riesce a raggiungere; dall’altra un matrimonio non facile da portare a compimento. In mezzo c’è lo sguardo ironico e beffardo sulla volubilità e l’inconsistenza della società parigina. L’ultimo lungometraggio muto di Clair è Le deux timides (1928), film meno noto dei precedenti, tratto nuovamente da una piece di Labiche, che ci descrive due individui assolutamente timidi: un giovane e maldestro avvocato e un maturo e agiato proprietario terriero. Il primo vorrebbe sposare la figlia del secondo che, però, è già stata promessa a un altro. Dopo una serie di complicazioni, finalmente, i due coroneranno il loro sogno d’amore.

La rassegna friulana ha poi voluto affrontare un’altra pagina di cinema muto poco indagata e sconosciuta. Sotto la denominazione de “L’altra Weimar”, si è gettato uno sguardo su un periodo prolifico e variegato al di là dei classici e rinomati Caligari, Metropolis, Nosferatu e Wachesfiguren. Ecco allora emergere autori più o meno dimenticati come il viennese Karl Grüne, che negli anni ’20 esercitò un certo influsso sul cinema tedesco e si distinse per un uso sofisticato e dinamico della macchina da presa. Oppure Harry Piel da Düsseldorf che, con una sterminata produzione di oltre 100 film, per lo più d’avventura e polizieschi, si è guadagnato l’appellativo di “regista dinamite”. E ancora Gerhard Lamprecht, personaggio poliedrico che nel corso di una lunghissima carriera, debuttò a diciassette anni come soggettista e poco prima di morire, a 77 anni, compilò un fondamentale catalogo del cinema muto in ben dieci volumi. Da ricordare una sua trasposizione de I Buddenbrock, del 1923. Altro autore che ebbe un momento di notorietà nel 1925 con Varieté fu Edvard André Dupont. Grazie a quel successo, il regista fu invitato a Hollywood ma il fiasco di Love me and the world is mine lo fece rientrare in Europa. A lui si deve anche Atlantic (1929), sulla tragedia del Titanic, girato in doppia versione inglese e tedesca, quest’ultima pubblicizzata come la prima pellicola tedesca interamente sonorizzata. Accomunato dallo stesso destino, Joe May nel 1934 tentò l’avventura americana con scarsi risultati. È giusto tuttavia ricordare che, nel decennio precedente, il suo nome era secondo, per fama e considerazione, solo a Lubitsch. Notevole nel 1921 fu l’accoglienza alle due parti de Il sepolcro indiano.

Film presentato alle Giornate del Cinema Muto

A Pordenone, complice una piccola ma deliziosa mostra allestita al Teatro Verdi, si è familiarizzato con un autore come Ladislav Starewitch (1882-1965) che, in virtù dei suoi tanti interessi, si è dedicato al disegno, alla pittura, all’entomologia e, in relazione al periodo muto (1910-1928), alle opere realizzate con il passo uno dell’animazione. Dalla natia Russia, dove ha debuttato con opere tradizionali, si è trasferito nel 1920 in Francia specializzandosi nella costruzione di pupazzi articolati, la cui visione, nonostante il tanto tempo trascorso, rimane sempre affascinante.
A settant’anni dalla fondazione del Nederlands Filmsmuseum, da segnalare anche l’omaggio ad Annie Bos (1886-1975), stella del muto olandese. E l’undicesima e penultima parte del progetto Griffith, che ha mostrato le opere dal 1921 al 1924. Una di quelle imprese che solo una direzione seria e lungimirante è in grado di mettere in cantiere e portare a termine con rigore filologico.

Presentazione di Livio Jacob e David Robinson, tratta dal sito GCM


Il 2007 segna un’altra tappa fondamentale nella storia delle Giornate. Superato il primo quarto di secolo, inauguriamo il secondo tornando a casa. Gli otto anni trascorsi a Sacile sono stati un bellissimo periodo della nostra storia, a cui ripenseremo sempre con gratitudine e nostalgia. L’eredità che lasciamo è la Sacile School for Film Music, che nasce dalla collaborazione tra le Giornate del Cinema Muto e l’Università di Udine e che perpetuerà e amplierà il lavoro che abbiamo messo a frutto negli anni sacilesi.
Come accade quando si rientra dalle vacanze, ritroveremo con piacere le consuetudini di casa e l’ininterrotto sostegno di Pordenone, anche se, naturalmente, è un posto diverso da quello che conoscevamo, con un teatro nuovo e non ancora familiare. Sono noti i problemi che la nuova struttura aveva incontrato inizialmente, ma l’interno è stato in larga misura rinnovato e confidiamo che diventerà per noi il centro permanente che così a lungo abbiamo atteso. La seconda, piccola sala del Teatro Verdi, il Ridotto, e l’Aula Magna di Cinemazero forniranno ulteriori spazi per le proiezioni, mentre Palazzo Badini ospiterà tutti gli uffici e le zone riservate all’accoglienza.
Il programma del “ritorno” mantiene l’usuale combinazione di scoperte e riscoperte. “L’altra Weimar” getta nuova luce sul cinema muto tedesco, sbaragliando giudizi preconcetti tradizionalmente basati su una manciata di grandi auteurs e le loro opere, piuttosto che sulla vasta e feconda produzione popolare degli anni di Weimar.
Una retrospettiva completa dei film muti di René Clair riunisce opere ben note ma presentate insieme, nel loro contesto, nelle migliori copie conservate e i migliori restauri. I film di Clair hanno anche ispirato diverse iniziative musicali. Paris qui dort sarà accompagnato dalla recente partitura di Antonio Coppola, che dirigerà l’Octuor de France nell’esecuzione. Grazie alla collaborazione di Ornella Volta, presidente degli Archives de la Fondation Erik Satie di Parigi, Entr’acte sarà accompagnato dalle musiche originali del compositore francese eseguite dal duo pianistico Barbara Rizzi e Antonio Nimis, mentre Angela Annese, per l’accompagnamento al pianoforte di Un Chapeau de paille d’Italie, utilizza musiche scritte da Nino Rota per la trasposizione teatrale del 1955 di Eugène Labiche e Marc Michel.
Avremo due presentazioni con l’orchestra: Lulù, con il nuovo score composto e diretto da Paul Lewis e prodotto dalle Giornate con il Bristol Watershed e il BFI, e Orphans of the Storm – il clou dell’undicesima e penultima puntata del Griffith Project – con la grande partitura composta dal compianto John Lanchbery ed eseguita per la prima volta in pubblico. A dirigere l’orchestra sarà Timothy Brock. L’inimitabile ensemble Prima Vista Social Club eseguirà un accompagnamento orchestrale improvvisato per l’appena restaurato Chicago. Per ricordare il bicentenario della nascita di Garibaldi, presentiamo due dei primi tributi cinematografici, da poco riscoperti; per uno di questi, I Mille, Francesca Badalini ha composto una nuova partitura orchestrale. Il programma “A colpi di note” vedrà giovani studenti di Pordenone cimentarsi in un nuovo accompagnamento orchestrale a due classiche commedie hollywoodiane. Dulcis in fundo, Michael Nyman eseguirà al pianoforte l’accompagnamento da lui composto per À propos de Nice di Jean Vigo, un suo generoso dono personale alle Giornate, profondamente apprezzato.
Tra le specialità del programma 2007, anche la più completa retrospettiva realizzata finora sulle produzioni francesi dell’animatore e pioniere degli effetti speciali Ladislas Starewitch, di cui vedremo anche alcune delle prime opere realizzate in Russia. Grazie alla generosa collaborazione della nipote dell’artista, abbiamo inoltre la possibilità di presentare una mostra che comprende le marionette originali e alcune fotografie di Starewitch al lavoro.
Con nuove, eccezionali scoperte celebreremo il sessantesimo anniversario del Nederlands Filmmuseum e il cinquantesimo dell’Hungarian National Film Archive. Da tempo Amsterdam (grazie soprattutto all’opera di Geoffrey Donaldson) sta riscoprendo il lavoro di una talentuosa star degli albori del cinema,Annie Bos. Budapest propone una sorprendente versione, tra i primi dei molti adattamenti, di A Pál-utcai fíuk (I ragazzi della via Pal) e l’ultimo film muto ungherese, Csak egy kislány van a világon (Solo una ragazza al mondo), interpretato dall’incantevole Marta Eggerth, che a 95 anni ancora insegna e dà concerti.
Fra gli incunaboli di quest’anno, abbiamo il tesoro ritrovato recentemente dalla Lobster Films, un intero programma di film dei paesi biblici che risalgono ai primissimi anni del cinema e sono ancora in ottime condizioni, e la collezione Corrick, che preserva il repertorio di un intrattenitore itinerante australiano dei primi anni del secolo scorso.
Ogni anno presentiamo film di Méliès ritrovati: nel 2007 ne abbiamo ben quattro, rinvenuti nella Filmoteca de Catalunya, dove sono stati amorevolmente restaurati. Sempre alla Filmoteca sono state ritrovate varie comiche italiane considerate perdute. Restaurate in collaborazione da alcuni archivi italiani, figurano anch’esse nel programma.
Di un periodo più tardo è la collezione, eccellente come sempre, dei “Tesori degli archivi americani”, che proponiamo in occasione della pubblicazione del terzo set di DVD della National Film Preservation Foundation, dedicato ai film a sfondo sociale. E ancora, nuoviritrovamenti con Mabel Normand e un capolavoro britannico finora sconosciuto. Ma forse la scoperta più significativa è All at Sea di Alistair Cooke, personalissimo e divertente reportage di un weekend del 1933 sullo yacht con Charles Chaplin e Paulette Goddard. Mai presentato in precedenza e, anzi, ritenuto perduto per gli ultimi tre decenni, il film propone, per un sorprendente quarto d’ora, un Chaplin insolitamente rilassato che si esibisce in una serie di numeri comici improvvisati.
La nostra musa abituale, Diana Serra Cary (Baby Peggy), non potrà essere con noi quest’anno, ma promette di ritornare nel 2008. Nel frattempo, la nostra ospite d’onore sarà Jean Darling, la piccola sex symbol bionda della serie Our Gang, che in seguito avrebbe trovato fama a Broadway per la sua interpretazione di “When I Marry Mr. Snow” nella produzione originale di Carousel.
Quest’anno la Jonathan Dennis Memorial Lecture sarà tenuta da John Canemaker, animatore oltre che eminente storico dei cartoons. Rick Prelinger proporrà infine una selezione dei film muti presenti nella sua nuova Field Guide to Sponsored Films.
Ci sono poi gli abituali eventi collaterali. FilmFair, ospitata quest’anno nel Convento di San Francesco, presenta gli ultimissimi libri di cinema, DVD, articoli per collezionisti e memorabilia, e quotidianamente offre l’occasione di incontri personali con gli autori. Il Collegium, alla nona edizione, promette di attrarre ancora una volta giovani che già lavorano o ambiscono a lavorare nel mondo degli archivi, riunendoli allo scopo di discutere i veloci cambiamenti nelle tecniche e nelle politiche della conservazione cinematografica. Le Pordenone Masterclasses vedranno due giovani pianisti di talento lavorare quotidianamente con i nostri musicisti e, negli ultimi giorni del festival, proporre le loro esibizioni al pubblico. Il “Weimar CineSalon” darà l’opportunità di discutere in modo specialistico sulle scoperte dell’“altra Weimar”.
Ancora una volta, dunque, siamo certi che il rischio per gli ospiti sarà di soccombere allo sfinimento piuttosto che alla noia. Sappiamo anche che si uniranno a noi nel rinnovare la nostra gratitudine agli amici della FIAF e degli archivi pubblici e privati sparsi per il mondo, perché solo col loro generoso sostegno si possono realizzare le Giornate del Cinema Muto.

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