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Cinema

Federico Moccia

Tre metri sopra tutti

Federico MocciaFederico Moccia è uno scrittore ormai di fama internazionale. I suoi quattro romanzi Tre metri sopra il cielo, Ho voglia di te , Scusa ma ti chiamo amore, Cercasi Niki disperatamente — sono presenti nelle stanze da letto di milioni di teen-ager. Il successo sia dei romanzi sia dei tre film tratti hanno catapultato lo scrittore romano nell’olimpo della letteratura per ragazzi. Un fenomeno di tale portata in Italia non ha precedenti. In una nazione dove gli adulti leggono gossip e i venti-trentenni vanno di Gazzetta sportiva, i ragazzi in età scolare si sono affezionati alle vicende di Babi e Step, due ragazzi come loro: due ragazzi di diversa estrazione sociale che si innamorano e in questo amore trovano i motivi della loro crescita, del loro vivere per amare e amare per vivere, appunto, vivere lontano da tutti e tutto “tre metri sopra il cielo”. La storia finisce, perché l’amore non è eterno o è eterno solo finché cura, quindi il burbero Step (che nella trasposizione cinematografica è interpretato da Scamarcio — altro marchio di fabbrica) vola, realmente, più in alto, in America. Dopo due anni ritorna e si fidanza con Gin, in fin dei conti, simile a Step e segretamente innamorata di lui da anni. Step rivede Babi a una festa e non riesce a resisterle, nonostante sia fidanzato, ma non è la stessa timida Babi. Il tempo ha giocato contro trasformandola in moderna Lolita. Alla fine, inaspettatamente, Step dichiarerà il suo amore con un più che eloquente “Ho voglia di te”, scritto di fronte alla casa della ragazza tradita. A Verona, dove l’Adige lambisce il Teatro Romano, a Firenze, dove l’Arno accarezza le sponde del Ponte Vecchio, a Roma, dovunque lungo le rive del Tevere “io e te, Tre metri sopra il cielo”. Una frase semplice che coglie l’essenza di questo sentimento, perché amare significa un poco varcare una soglia, che Moccia individua nel cielo, un’entità senza spazio definito e tempo certo. Moccia è stato in grado di intercettare il cuore dei ragazzi. La sua prosa è limpida, semplice ma non banale, capace di esprimere in modo essenziale le difficoltà incontrate da un adolescente, stretto dalla voglia di esistere, quindi crescere, e la necessità di rappresentare qualcosa per qualcuno. Nei romanzi di Moccia l’amore è un sentire comune, un crescere assieme, un’isola difficile da raggiungere, ma facile da lasciare, quando dalle rive arrivano i rumori della festa.
In Scusa ma ti chiamo amore, l’amore invece è tra un uomo maturo ma un poco goffo e una ragazza liceale spregiudicata. L’uomo subisce il fascino del ritorno all’infanzia, attraverso un amore con una ragazzina assai maliziosa. Catapultato nel mondo delle Winx, ritorna bambino e, nonostante il pericolo di un ritorno alle relazioni pericolose con una coetanea, decide di raggiungere la ragazzina impertinente e giurarle eterno amore. Questi sono i temi del fenomeno Moccia, nonostante le critiche maligne di tanti superficiali colleghi o recensori repressi, abituati a un pubblico colto, perché incapaci di sognare e volare, appunto, “tre metri sopra il cielo”.

Ciack di Scusa ma ti chiamo amoreJimmy Milanese (JM): Salutiamo Federico Moccia, che conosciamo come sceneggiatore, regista e scrittore di grandissimo successo. La prima domanda è sulle origini di questo successo che viene proprio dal papà, Pipolo, che con Castellano, ha prodotto i film, tra gli anni Settanta e Ottanta, di più grande successo in Italia. Ecco, tu hai iniziato proprio da lì, come sceneggiatore, non cinematografico, ma televisivo. Puoi parlarci un po’ di quella esperienza da diciannovenne che si appresta ad aiutare il padre?

Federico Moccia (FM): In realtà non è esattamente come dici, nel senso che ho iniziato scrivendo per conto mio, portando in giro i copioni nelle varie case di produzione. Ho lavorato poi portando dei progetti alla RAI e come autore e non sceneggiatore ho scritto dei primi progetti che sono andati a buon fine. Ho iniziato a lavorare a Milano, lavoravo in redazione a tempo determinato, e l’unica occasione bellissima che mi ha dato mio padre, insieme a tutto quello che ha fatto per me aiutandomi e insegnandomi questo mestiere — mi spiegava come si faceva una sceneggiatura — è stata quella di fare l’assistente ad Attila il flagello di Dio, il film con Abatantuono, prodotto da Rita Rusic, che ho ritrovato poi dopo tanti anni come produttrice di Scusa ma ti chiamo amore.

In realtà, la mia grande passione è scrivere. Scrivere per il cinema, scrivere per il teatro, scrivere libri, scrivere articoli… Anche se la televisione era l’occasione per guadagnare facendo un lavoro faticoso e abbastanza difficile, mi ha permesso di fare i primi passi, tanto da potermi, in qualche modo, rendere indipendente. E il primo romanzo che nessuno voleva, Tre metri sopra i cielo, è stato quello che poi ho pubblicato a spese mie proprio grazie ai primi soldi fatti in televisione.

JM: Diciamo è un vizio di famiglia: tuo padre grandissimo successo, e tu come scrittore e sceneggiatore hai ottenuto a tua volta un grandissimo successo. Quale è il pubblico che riuscite a raggiungere mentre magari molti altri fanno più fatica? Spesso al centro delle tavole rotonde si discute solo il problema della distribuzione o di come trovare i fondi, mai di come valutare buone idee, fondi che a voi non mancano con questa facilità di conquistare il pubblico. Quale è il segreto?

FM: Non saprei, sono tempi diversi, momenti diversi, quindi non credo che ci sia un vero e proprio segreto. Resta il fatto che molte cose me le ha trasmesse mio padre. Il piacere di raccontare una storia, la gente che ti sta a sentire, la gente che ha voglia di divertirsi. Anche lui, come me, ha sempre avuto delle grosse critiche da parte dei giornalisti. Insomma, la critica non è mai stata benevola nei suoi confronti, malgrado lui abbia avuto dei successi incredibili, diversi quando non era regista. Per esempio c’erano Il generale, La voglia matta, Il giovedì, il film di Dino Risi per il quale aveva scritto la sceneggiatura insieme a Castellano. Assieme a lui, come sceneggiatore, ha scritto tantissimi film di successo. Hanno fatto più di centoventi film. Credo che il successo sia una magia che si crea, una sintonia particolare con il pubblico che si diverte, soffre, si commuove a leggere un libro come a vedere un film, perché si sente in qualche modo attratto da quello che, con passione, sincerità, cuore, oltre che con la mente, legge o vede. Non c’è una ragione specifica, se no sarebbe troppo facile, è un’alchimia.

Federico MocciaJM: Tra i vari meriti, tu sei stato un precursore della fiction con i ragazzi della terza C. Non penso che fosse la prima fiction italiana, ma sicuramente una delle prime fiction di grandissimo successo. Come è stata quell’esperienza? Ci puoi dare un tuo punto di vista su come è cambiata la fiction in questi anni?

FM: Quella era una delle mie prime sceneggiature. Avevo collaborato con i fratelli Vanzina, Enrico e Carlo, che erano i produttori della serie. Ero uno degli sceneggiatori dei Ragazzi della terza C. Mi è piaciuto moltissimo lavorarci, ed era una delle primissime fiction in assoluto, fece dei risultati che oggi sono inimmaginabili — nove milioni di ascoltatori — ed era molto divertente e piacevole poter raccontare quelle storie. Da subito tutti si sono molto immedesimati con i personaggi che abbiamo raccontato. Le fiction sono cambiate semplicemente perché poi, nel tempo, se ne sono sviluppate tantissime, alcune che arrivano dall’estero, altre che invece vengono fatte qui in Italia. I cambiamenti ci sono naturalmente in tutta quella che è la forma di espressione, ma anche nel taglio, nel tipo di racconto cinematografico o televisivo che viene fatto. Oggi la formula prevede il seguire una società che cambia, mentre quando abbiamo fatto la fiction, per esempio, non esistevano i telefonini, non esisteva il web, quindi è naturale che le cose cambino, sarebbe sorprendente e anche leggermente assurdo che rimanessero come allora.

JM: La società è cambiata così tanto che Tre metri sopra il cielo è stato ripubblicato dodici o quattordici anni dopo la prima pubblicazione. Prima fu rifiutato, mentre ora viene accolto e diventa un successo che varca i confini, sia a livello editoriale sia a livello cinematografico. Ma perché nel 1992 ti viene rifiutato un progetto che poi si rivela un enorme successo, e che tu sei costretto a riadattare, ad attualizzare? Perché dopo quattordici anni un progetto diventa un successo?

FM: Tre metri sopra il cielo lo avevo scritto nel Novanta e avevo cercato in tutti i modi di pubblicarlo, ma nessuno lo voleva. Quindi a spese mie l’ho pubblicato con una piccola casa editrice romana: Il ventaglio. Questa è stata un po’ anche la fortuna di questo romanzo. Nell’arco di un anno aveva venduto millecinquecento copie, un buon risultato per una piccola casa editrice romana. I ragazzi che erano affezionati a questo libro ne parlavano e se lo passavano, facendo fotocopie. Dopo dodici anni, nel 2004, è stato rintracciato per caso in una copisteria da Riccardo Tozzi, produttore della Cattleya, ed è lui che leggendolo, guardandolo, e con il suggerimento della nipote Margherita che lo aveva letto, ha deciso di fare il film.

Moccia intervistato

Sull’idea del film sono tornate tutte le case editrici che allora lo avevano rifiutato e hanno deciso di pubblicare il libro. Io ho scelto la Feltrinelli, che mi sembrava la più adatta, anche perché era quella alla quale non lo avevo mandato. E da là è arrivato il successo, oggi addirittura internazionale. Il libro è pubblicato in Spagna, Francia, Germania, Russia e Giappone. Credo sia un po’ perché, oggi, quella storia, che allora era abbastanza comune rispetto alle cose che accadevano, è una rarità: è una storia romantica. Tre metri sopra il cielo è una bellissima storia d’amore, secondo me, tra un ragazzo e una ragazza, come se ne vivono tante, che purtroppo finiscono poi con una delusione, col dolore più grande del primo amore, quello che poi non dimenticherai. Quella tematica rimane costante nel tempo. Oggi, con una società come questa, che sente maggiormente la necessità di respirare un’aria sognante, un’aria romantica, quella c’è in nel romanzo, l’idea ha avuto successo.

JM: C’è anche un altro fatto abbastanza curioso: Feltrinelli ha operato un editing sul romanzo. Se io ti dicessi che preferisco la prima versione rispetto all’editing operato da Feltrinelli?

FM: Quella che poi io ho voluto che si pubblicasse, nel senso che era la mia prima versione. Quella degli anni Ottanta era quella più fedele al respiro, però era più lunga e loro pensavano che non ci fosse un pubblico, tra i giovani, pronto a leggere così tante pagine. E quindi mi hanno fatto tagliare, hanno voluto che fossi io a farlo, visto che quello che avevano fatto loro non era piaciuto. Io ho fatto un taglio della prima versione, quella che era molto più cinematografica, che aveva come copertina Riccardo Scamarcio e Katy Louis Saundersen, i due interpreti di Step e Babi nel film. Invece, quella che prediligo è quella vecchia del 1992 con la fragola e la bandana, che è poi quella più veritiera, quella che racconta tutto quello che accadeva proprio in quegli anni. Ci sono cento pagine in più. Per fortuna, poi, hanno capito. Alberto Rollo, il direttore della parte editoriale, è stato d’accordo con me — visto che tanta gente preferiva e chiedeva la vecchia edizione- e abbiamo deciso di ripubblicare l’edizione integrale, quella del 1992, che ancora si può trovare con quella fragola.

Copertina Tre metri sopra il cieloJM: Non voglio forzare le approssimazioni ma, se pensiamo un pochino al cinema moderno italiano, potremmo definirlo molto sentimental-romantico, mentre invece nel passato il cinema era molto più, diciamo, di protesta. Si faceva riferimento alla storia, alla ricostruzione, alla sofferenza dell’italiano medio, e attualmente è questo il tipo di cinema italiano che più va nel mondo, quello che ritorna un poco a quelle tematiche, cioè alla ricostruzione in Italia, all’arte del barcamenarsi nel dopoguerra. Perché il cinema sentimentale italiano non riesce a superare il confine, che cosa manca per riuscire ad avere uno spazio più internazionale?

FM: Non so, forse la credibilità che l’Italia un pochino, in questo campo, ha perso nel tempo. I film che oltrepassano il confine, come Gomorra o Il divo, rivalutano l’Italia, sperando che venga ripresa in considerazione. Non saprei spiegarmi queste ragioni. Penso che, quando un prodotto viene fatto veramente bene, alla fine può diventare anche un successo internazionale. Scusa ma ti chiamo amore è stato un incasso così alto e così grosso che è stato guardato dagli americani. L’America si è interessata, si è incuriosita, anche perché in contemporanea era uscito America Gangster che si è trovato a essere superato da Scusa ma ti chiamo amore. E, siccome gli americani sono attenti a questi fenomeni, hanno preso in considerazione il film. Se si lavora bene, come nel caso della mia passione per Tre metri sopra il cielo poi, il tempo, come si dice, è galantuomo. In qualche modo, piano, piano forse, si arriva. Il fatto che Tre metri sopra il cielo sia stato rifiutato da tante case editrici allora, permette oggi a tanti giovani autori di essere considerati con più attenzione nella lettura che allora veniva fatta senza il giusto approfondimento.

JM: Un’ultima domanda. Uno sguardo verso il futuro. È chiaro che tu sei incredibilmente capace di intercettare, come dicevamo, il sentimento, il battito del cuore dei giovani, delle generazioni più giovani. Sei attento alla cronaca, all’attualità, alle dinamiche che si sviluppano attraverso l’utilizzo del web e internet, per poi trovare uno spunto per un nuovo romanzo, o per un nuovo prodotto cinematografico? In che misura ti rifai alla realtà, e anche alla cronaca intendo, tipo la ragazzina di dodici anni che vende il proprio corpo attraverso il telefonino?

Locandina di Ho voglia di teFM: Sì, questo esempio l’ho guardato. È un esempio che mi dispiace, presente nella nostra società. Ma non è su questo che vertono e girano i miei libri. Mi fa piacere raccontare in maniera che ci sia sempre un contatto con la realtà, con queste difficoltà, con il desiderio di queste ragazze, oggi più che mai, di apparire, di farsi conoscere. Viviamo in una realtà nella quale genitori, scuole e società stessa non ti creano quel giusto terreno dove costruire, dove esser considerato con attenzione. Quindi, hai bisogno, per forza magari, di andare in televisione o sul web per apparire, per essere filmato, e per essere presente. Ciò va oltre a quelle che possono essere le singole difficoltà di una ragazza che purtroppo arriva a questi estremi per soldi o per comprarsi qualcosa. Però io racconto una storia, quasi sempre romantica, che va in una direzione diversa, che faccia sognare. Mi piace l’ottimismo, non mi piace il vittimismo. Anzi esorto i ragazzi quando li incontro si a leggere i miei libri, ma anche ad andare avanti. Ci sono molti libri migliori dei miei che loro devono leggere. Si devono fare una loro cultura. Io non posso raccontare in Tre metri sopra il cielo, o in Ho voglia di te, o in Scusa ma ti chiamo amore tutto ciò che questa generazione rappresenta, non basterebbero enciclopedie. Ogni storia è una storia a sé. Quindi è vero, qualcosa, inevitabilmente, leggendo il blog dove scrivono, mi arriva, sento. Ma alla fine mi stacco da tutto e decido di raccontare la mia storia.

JM: E ti riesce bene. Se frequenti i treni con ragazzi pendolari, ad esempio, ti accorgi che ogni due o tre vagoni c’è uno dei tuoi libri in mano a uno di loro! Per il futuro, hai qualche progetto del quale puoi parlare?

FM: Adesso sto un po’ ragionando… intanto mi sono goduto, e mi piace moltissimo essere presente come giovane autore con un’opera prima, Maremetraggio con il film Scusa ma ti chiamo amore. Poi ho pubblicato con Rizzoli Diario di un sogno, secondo me bellissimo perché racconta proprio la difficoltà che c’è sempre nel portare un libro sullo schermo. Ci sono le foto, c’è tutto ciò che succede sul set, e quelle che sono state proprio le mie indicazioni di regia a Raoul Bova e a Michela Quattrociocche per interpretare al meglio Alex e Niki. Ora mi sto occupando soprattutto di questo, sto seguendo un po’ questo libro.

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