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Palcoscenico

Faraonica Aida

“Aida, come sei bella…Aida, le tue battaglie, i compromessi, la povertà” cantava Rino Gaetano, ormai più di trent’anni fa. E quando lo faceva, pensava a una donna che potesse rappresentare tutte le donne — la mamma, la nonna, la fidanzata o la figlia — pensava a una donna che avesse sostenuto con orgoglio ogni genere di sofferenza, umiliazione e offesa, proprio come dovette fare il soprano Antonietta Anastasi Pozzoni interpretando la prima Aida verdiana della storia, alla vigilia del Natale 1871.

Scena dell'Aida di De Bosio all'Arena di Verona 2008

Lo stesso anno in cui nacque il Reich Tedesco e Roma divenne capitale d’Italia, per festeggiare l’apertura del Canale di Suez — progettato dal trentino Luigi Negrelli — il sovrano/viceré d’Egitto Ismail Pasha commissionò a Giuseppe Verdi un’opera che doveva essere carica di quella verità drammatica già presente in Nabucodonosor e dell’intensità emotiva ammirata in La Traviata.

La genesi di Aida — la più amata tra le opere verdiane — è incerta ma si narra, con un discreto livello di documentazione, che Verdi ricevette dall’amico Camille Du Locle, direttore dell’Opéra Comique parigina, un soggetto ambientato in Egitto. Du Locle aveva sceneggiato il Don Carlos, ma da quel che è dato sapere ottenne dall’archeologo francese Auguste Mariette, già fondatore del Museo del Cairo, quel manoscritto di soggetto egiziano — si direbbe oggi — caldamente sponsorizzato dal viceré in persona. Il maestro rifiutò ripetutamente di impegnarsi su quelle quattro paginette, fino a quando non venne paventata l’ipotesi di coinvolgere Wilhelm RichardWagner nella stesura dell’opera.

Reduce da un quasi fiasco della prima del Don Carlos a Parigi, malignamente etichettata come opera wagneriana, Verdi non avrebbe mai sopportato una sostituzione con il grande riformatore del teatro musicale, quindi decise di portare a termine il dramma simbolo della lirica; quello più amato e rappresentato in tutti i teatri del mondo, dai più grandi cantanti lirici della storia.

Scena dell'Aida di De Bosio all'Arena di Verona 2008

Tra le opere verdiane, quest’opera monumentale — capace di coinvolgere un sontuoso coro di sacerdoti e sacerdotesse, ministri e funzionari, ballerini e decine di comparse, cavalli, elefanti, scimmie e altri animali — presenta un eccezionale e ineguagliato equilibrio fra cifra drammaturgica e musicale, spesso piegando quest’ultima alle necessità della prima. Ben sei personaggi principali si alternano in un suggestivo bilanciamento armonico di duetti, distribuiti in quattro atti in cui le ripetute alterazioni scenografiche hanno sempre messo alla prova i tecnici di palco.

Il contributo di Aida allo sviluppo dell’Opera italiana sta nel linguaggio verdiano, che si innesta nella grande tradizione letteraria nazionale, e che vede in Manzoni forse l’autore più affine a Verdi. In quest’opera emerge in modo definitivo la psicologia dei personaggi, lo spaccato di quel periodo storico che Verdi illustra non senza pronunciare un giudizio etico che mutatis mutandis esprime il risentimento contro la recente dominazione asburgica nel Lombardo-Veneto. Radames, capitano delle guardie egiziane, viene “tradito” dalla sua amata Aida, prigioniera etiope in mano al Re d’Egitto. Ella canta “O patria! O patria quanto mi costi” e rinuncia all’amore per Radames. Il combattente egiziano tradito e infine sacrificato, rappresenta per Verdi il simbolo della vittoria del nazionalismo sulle grandi dominazioni europee. Aida è un dramma epico senza spazio e senza tempo: le vicende narrate hanno luogo a Memfi e Tebe all’epoca della potenza dei Faraoni.

Come detto, l’opera rappresenta un unicum nel panorama operistico italiano. La struttura in quattro atti include una sontuosa scena del trionfo e un celebre balletto arricchito da un contorno scenografico che, nelle indicazioni di Verdi, doveva ricostruire il fasto dell’Antico Egitto al tempo dei Faraoni. A questi elementi scenici caratterizzanti l’intera opera si uniscono una serie di celebri duetti incastonati dentro una trama musicale continua, capace di donare realismo alla vocalità, in un magico integrarsi di tecniche vocali e tecniche drammaturgiche che fanno di Aida un perfetto connubio tra teatro e canto. Per questo motivo, tale modello ineguagliato di grand-opéra raggiunge una teatralità (espressamente richiesta dal maestro al librettista Ghislanzoni) e una cifra epica che necessita di grandi arene.

In altre parole, per non tradire Verdi, l’Aida richiede l’Arena di Verona, quindi, dall’Arena di Verona e dall’Aida dell’86° Festival 2008, allestita da Gianfranco de Bosio, alle prese con le scene dell’edizione storica del 1913, incomincia il nostro viaggio attraverso l’Opera: un mondo spesso impenetrabile, fatto di ammiratori in là con gli anni e, per dirla con Verdi, “critici che la fanno da apostoli… maestri che sanno di musica soltanto quella che studiano… dilettantismo aristocratico che per moda si trasporta a quello che non capisce”.

Scena dell'Aida di De Bosio all'Arena di Verona 2008

Il colpo d’occhio è immediato e stupendo, mentre il sole brucia ancora sulle teste dei 20.000 innamorati di Aida, e di Verdi: la suggestione è per la ricostruzione storica di quell’epoca al tempo della potenza dei Faraoni e viaggia su un palcoscenico di 26 metri di boccascena e 30 di profondità. Il tentativo di riproduzione tridimensionale degli acquerelli del già citato Mariette sembra riuscito. La scenografia di De Bosio ha il pregio di esaltare la sacralità dell’epoca faraonica e non tradire il gusto egizio per le figure simmetriche. Convince l’utilizzo pieno da parte delle comparse dei tre ordini di gradinate. Di gran effetto per i numerosi turisti inglesi, tedeschi e olandesi gli spari pirotecnici dai cannoni posizionati sulla media cavea, come i romani chiamavano la parte di gradinata destinata alle categorie intermedie. La pregevole fusione tra sovrastruttura scenica e l’intera sezione di cavea non accessibile al pubblico dà quasi la sensazione d’un salto nel tempo. Rimane immutato il problema dei numerosi cambi di scena. In Aida i tempi morti sono difficili da diminuire. D’altronde Verdi è stato capace di operare una piccola rivoluzione nel suo genere: abbandonando la cosiddetta tradizione belcantista rossiniana, l’autore ha pian piano messo la vocalità al servizio della drammaturgia musicale. Per questo motivo, anche l’impianto scenico, che in Aida richiede almeno tre cambi, diventa centrale. È infatti con Verdi che la regia inizia a “rubare” oneri e onori alla direzione musicale.

Scena dell'Aida di De Bosio all'Arena di Verona 2008Nell’apprezzata Aida areniana, estremamente “fraonica”, per usare un eufemismo, anche i costumi di scena appaiono realistici; peccato che nei movimenti le numerosissime comparse si lascino trastullare, tradendo il loro fine meramente speculativo. Belli anche i vestiti di scena, in particolare la tunica bianca di Micaela Carosi (Aida), mentre appaiono un poco sovrabbondanti le vesti di Marco Berti (Radames) e dell’imponente Ambrogio Maestri (Amonasro). Insomma, detto più o meno con Verdi, sono da rilevare il fatto materiale d’una esecuzione e d’una mise en scène notevole. La cartolina dall’Italia, con il quarto d’Arena vestito da Egitto, sotto una luna quasi piena, è servito: “Viva Verdi, viva l’Italia”. La musica, quella non cambia mai, o quasi. Il tema che accompagna la maggior parte delle apparizioni di Aida è ricco di armonia e grazia e prelude al dramma di una giovane schiava combattuta tra l’amore per Radames e quello per suo padre, per la patria.

L’orchestra che anticipa sempre di un attimo l’entrata del guerriero egiziano è magistralmente diretta da Renato Palumbo che, ci dicono, ha dovuto fare i salti mortali per provare in condizioni meteo del tutto sfavorevoli. Palumbo ha il grande merito di gestire l’opera in modo sinfonico, con estremo rispetto nei confronti di vocalità spesso carenti nel panorama operistico attuale. Dopo il recente flop berlinese con un disastroso Il franco cacciatore di von Weber, Palumbo ha tirato fuori le sue capacità, guadagnandosi il plauso della critica per una direzione viva, fraseggiata ad arte e, per non correre rischi inutili, aderente allo spartito, seguito da una orchestra di eccezionale qualità musicale e da interpreti vivaci anche se non privi di quei difetti notoriamente poco notati dai non addetti ai lavori.

Micaela Carosi, l’Aida italiana, coraggiosa e sfortunata in replica, per via di un malanno che l’ha costretta a chiamare il cambio, non è più una giovane promessa. Canta in modo udibilissimo, anche se a tratti si percepiscono piccole forzature, forse dovute a una forma fisica precaria. Questo bel soprano ha raggiunto un livello di morbidezza d’emissione che purtroppo non è ancora supportato da una maggiore chiarezza vocale. Si nota un non ancora sufficiente impegno interpretativo, che in Aida equivale a “tradire” Verdi. Apprezzabili le sfumature dei suoni e il fraseggio; elementi caratterizzanti il personaggio lirico sentimentale. Bisogna ripeterlo fino alla nausea che l’Opera non è solo voce e fiato, ma anche dramma e passione. Aida soffre e Micaela dovrebbe comunicarcelo già dalla prima aria.

Amneris (Dolora Zajick) e Aida, invece, a tratti sembrano giocare a rimpiattino, non appaiono partecipi a un dramma che le accomuna, pur vedendole su fronti opposti. Marco Berti è un Radames, anche lui, troppo forzato sugli acuti, che spesso eccede nel portamento e a tratti risulta un guerriero poco credibile, anche perché infagottato fino all’inverosimile (il Cairo si trova a 31° 17′ di longitudine, con una temperatura media annuale superiore ai 20°…). Il celeberrimo duetto con Amneris (“Già i sacerdoti adunarsi”) non convince del tutto. Al limite della perfezione Ambrogio Maestri, un Amonarso dotato di eccezionale presenza scenica, non inferiore al miglior Pons. Efficace l’interpretazione di Amneris da parte del mezzosoprano Dolores Zajick. La Zajick spesso forza gli acuti e le intersezioni di scena con Aida sono talvolta confuse e chiaramente sacrificate alla prestazione vocale.

La direzione del coro di Faelli è apprezzabile in una situazione oggettivamente difficile come Aida, dove il coro è sottoposto a un tour de force tra entrate e uscite continue. Spesso il coro manca di compattezza e di vigore e forza, come nella scena del ritorno trionfante di Radames (II atto) dove, se di trionfo si deve parlare, il coro dovrebbe essere in grado di trasmettere l’estasi per una vittoria sullo storico nemico (forse qualche voce più giovane nel Coro dell’Arena non guasterebbe?). Infine, il balletto coreografato da Susanna Egri. Myrna Kamara, prima ballerina ospite, bella tanto quanto affascinante, è ormai diventata una stella fissa dell’Arena: precisa, sinuosa, delicata, capace — come forse nessun’altra al momento — di interpretare con maestria il balletto che Verdi volle inserire in Aida. Peccato che tanta grazia sia parzialmente oscurata da una coreografia d’insieme a tratti difficile da comprendere, perché disordinata.

Scena dell'Aida di De Bosio all'Arena di Verona 2008

L’86° Festival Lirico si è svolto quest’anno dal 20 giugno al 31 agosto 2008 nella suggestiva cornice dell’Arena di Verona. A inaugurare l’86° stagione del Festival Lirico è stata l’Aida, la schiava etiope regina dell’Arena. L’edizione 2008 ha proposto lo storico allestimento del 1913 dell’architetto Ettore Fagiuoli. Sul podio è salito il Maestro Renato Palumbo, mentre la regia è stata curata da Gianfranco De Bosio.
La seconda opera in cartellone è stata la Tosca di Giacomo Puccini, in scena il 21 giugno sotto la direzione di Giuliano Carella. Regia, scene e costumi di Hugo de Ana, che ha ripreso l’applaudito allestimento del 2006.
Il 22 giugno è stata la volta del Nabucco di Giuseppe Verdi, con la regia, le scene e i costumi di Denis Krief. L’opera è stata diretta da Daniel Oren.
Quarto titolo in cartellone, la Carmen di Georges Bizet, è andata in scena il 5 luglio nell’oramai celebre allestimento di Franco Zeffirelli. A dirigere c’era Daniel Oren.
L’ultima opera in cartellone, andato in scena dal 2 agosto, è stata il Rigoletto di Giuseppe Verdi, ripreso dall’edizione 2003 con la regia di Ivo Guerra e le scene di Raffaele Del Savio.

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