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Scrittura

Angela Staude Terzani

I fantasmi di Tiziano Terzani

Dispacci dalla Cambogia

Conosciamo Angela Terzani Staude nel ritaglio di tempo concessoci, pochi minuti dopo il suo arrivo a Trieste. Mancano poche all’incontro che avverrà al Teatro Miela per chiacchierare, assieme a Gherardo Colombo, sul suo libro: Fantasmi edito da Bompiani.

AngelaTerzani Staude

La Terzani è il ritratto di una donna come poche, signorile e disponibile, dolce ma determinata, colta eppure molto semplice. Le esperienze vissute, una volontà incrollabile e un amore sempre vigoroso, l’hanno portata ad impegnarsi per prolungare e diffondere il messaggio, la memoria e l’esempio giornalistico di suo marito. In lei ritroviamo un araldo di quella cultura legata al “civile decoro” che ci piace.

Paolo Ghiotto Marin (PGM): Quest’oggi abbiamo il grande onore di avere con noi per Fucine Mute Angela Staude Terzani, moglie del mai poco compianto giornalista Tiziano Terzani. Approfitteremo della pubblicazione di Fantasmi — lavoro che raccoglie i lavori di Tiziano Terzani svolti nei venticinque anni passati in Cambogia — per un excursus sia sul libro, sia sulla figura di questo grande professionista. Il libro in sé può venir considerato un’operazione commerciale dal punto di vista editoriale, così come, a mio modo di vedere, una grande scuola giornalistica dal punto di vista dei contenuti — ma per lei che cosa significa? Lo considera un modo di prolungare il lavoro civile e culturale di suo marito?

Angela Staude Terzani (AST): Innanzi tutto devo dire che l’editore ha voluto questo libro perché Tiziano aveva pubblicato in Germania quattro articoli, mai usciti in Italia, con il titolo Olocausto in Cambogia. Questi articoli raccontavano uno degli episodi più importanti della sua vita: l’essere stato il primo a entrare in Cambogia, dopo la cacciata dei Khmer Rossi di Pol Pot per opera dei vietnamiti. Il paese aveva sperimentato il comunismo, e capire in che modo si sarebbe realizzato il comunismo era un argomento che a Tiziano interessava moltissimo. La Cambogia lo aveva certamente realizzato ma in maniera estrema. Ed era finita, appunto, dentro un olocausto, se si pensa che due milioni di persone su sei erano morte, un terzo dell’intera popolazione. Tiziano va lì e registra tutto nei quattro articoli scritti per Der Spiegel, il giornale tedesco per il quale lavorava. Lì fa una scoperta simile a quella di Auschwitz, dopo aver visitato non soltanto un campo, ma l’intero paese. Era quindi necessario pubblicare questi articoli; la gente chiedeva e voleva sapere di questo olocausto, desiderava leggerlo.

A quel punto mi sono resa conto che questo gruppo di quattro articoli era parte di un interesse che Tiziano aveva nutrito durante la sua intera esperienza asiatica, dal giorno in cui eravamo arrivati nel 1972 fino alla data del suo ultimo pezzo sulla Cambogia del 1995, quando smette l’attività di giornalista per dedicarsi solo alla scrittura. Questa figura che Tiziano era diventato, questa specie di guru in cui molti lo hanno identificato — anche se lui non si sentiva assolutamente un guru, in quanto sosteneva che ognuno dovesse cercare il proprio guru dentro di sé e non certo fuori — volevo capire che origine avesse. Il suo aspetto con la barba, i capelli lunghi e i vestiti bianchi che indossava in India, simile a un indiano — come in Cina si era vestito di blu similmente ai cinesi — volevo capire da dove nasceva. Veramente. Da dove nasceva questa sua posizione contro la guerra, diventata fortissima dopo l’11 settembre e resa esplicita nelle Lettere contro la guerra.

Tiziano Terzani

Io ero vissuta in tutti questi anni accanto a Tiziano, lo avevo osservato, e sapevo che tutto ciò non nasceva dal nulla, non è che d’un tratto dicesse: Adesso mi vesto così e parlo in favore della pace. No, tutto questo aveva profonde radici, ben più profonde che dall’11 settembre, veniva da riflessioni lontane. Mi sono accorta che i reportage dalla Cambogia registravano il suo primo interesse per questo piccolo paese, governato in origine da un principe, una vera monarchia orientale, buddista, e lui naturalmente trovava affascinante questo mondo così diverso dal nostro, diventato una vittima della guerra che gli americani gestivano in Vietnam. Gli americani avevano fatto in modo che il principe perdesse il potere a favore di qualcuno che loro controllavano, coinvolgendo di fatto e di forza la Cambogia nella guerra in Vietnam. Era stato un classico caso, come poi si è ripetuto con l’Afghanistan e l’Iraq, di un coinvolgimento collaterale che trascina un’intera nazione nella catastrofe.

Allora ho voluto rileggere le origini di questo interesse per la Cambogia, per capire come l’interesse per la Cambogia e la fine atroce che ha fatto questo paese, dopo Pol Pot, ancora e a causa dell’intervento delle Nazioni Unite, definisse e desse una sorta di base a quest’ultima figura di Tiziano. E spiegarla, in modo che non venisse più identificata con quella di un Guru, ma come la conseguenza di una decisione molto razionale.

PGM: La seconda domanda riguarda in qualche modo il suo impegno odierno. Sappiamo che esiste un premio giornalistico dedicato al nome di suo marito, ma forse pochi sanno che esistono anche altri riconoscimenti per altre attività legate al nome di Terzani, mi piacerebbe che ce li raccontasse.

AST: Sì, quasi per proseguire dalla questione precedente, posso dire che mi premeva far capire come per Tiziano tutto era un tutt’uno (sorride lungamente, nda): il giornalismo, il lavoro e la vita, anzi, è proprio dal giornalismo che poi è nata l’ultima fase della sua esperienza. Lui non viveva in modo diverso, non è che parlasse o scrivesse con grande distacco, come fanno, peraltro, molti giornalisti: raccontano quello che vedono e poi fanno una vita che è, come dire, indipendente da ciò che hanno visto.

Ecco lui non riusciva a fare questo, lui viveva secondo quello che osservava, traendo ispirazione dal proprio lavoro: le dritte per la vita nascevano dal suo lavoro, ed è seguendo queste linee che si è deciso di riconoscere e premiare. Il premio di Udine, che si chiama premio Vicino e Lontano per la letteratura e il giornalismo dedito ad altri paesi, è una sorta di omaggio a questo suo interesse, a questo suo vivere secondo le proprie convinzioni. E infatti, quelli che cerchiamo sono personaggi che siano veramente convinti di quello che scrivono, che non esercitino soltanto un mestiere, ma facciano una vita.

L’altro è il premio per l’umanizzazione della medicina, nato da un’invenzione di Bra, da una USL di Bra che si era già interessata circa la necessità di umanizzare la medicina. L’ispirazione viene leggendo i libri di Tiziano, in particolar modo Un altro giro di giostra, dove racconta la propria malattia senza nemmeno raccontare tanto la malattia quanto l’occasione che la malattia gli aveva dato di cambiare vita, di vedere il mondo in un altro modo, di vedere la morte in un altro modo; lì è stato veramente uno che ha aperto molte porte.

Oggi in Italia si può parlare della morte perché lui l’ha fatto. Prima, mi ricordo, quando passava un’ambulanza o un carro mortuario, la gente faceva le corna: era una cosa da esorcizzare, mentre lui ha portato l’argomento dentro, come parte della vita. Al tempo stesso, quando uno vede la morte come parte della vita, vede anche la medicina come una cosa non esclusivamente tecnologica, e il malato non come un caso, ma in quanto persona, perché la malattia — diceva Tiziano — era la sua malattia, nata dalla sua storia, dalla stessa sua vita. Ecco, allora, che l’approccio di un infermiere, di un medico o della stessa famiglia del malato, cambia, o dovrebbe cambiare. Questo è proprio ciò che il premio di Bra riconosce e premia: quegli istituti di ricerca che, sul campo e in Italia, oltre alla ricerca facciano attenzione anche all’umanizzazione della medicina. Un modo di rispettare il malato in un modo nuovo.

Angela Terzani Staude

PGM: E la vicenda del Burkina Faso, ce la racconta?

AST: Quella del Burkina Faso è una cosa molto simpatica. Un gruppo di giovani, e in particolar modo uno, hanno fondato una scuola laggiù, ma non solo una scuola; sono riusciti a creare dei pozzi e a salvare un intero villaggio, irrigando la terra, producendo alimenti, sviluppando l’agricoltura. Un villaggio dove i bambini sono vestiti bene! Una cosa bellissima che non so nemmeno esattamente come questo giovane sia riuscito a finanziare, ma che comunque ha voluto dedicare a Tiziano, forse per una sorta di ispirazione. E lo stesso ha voluto fare Gino Strada in Afghanistan, dedicandogli uno dei suoi ospedali.

A dire il vero, in Italia, a Tiziano sono state dedicate tante cose: parchi, strade… (ride, nda). Sono cose che, in fondo, sono distanti dall’ufficialità, non è il premio Strega che non ha mai ricevuto, non è questo! È quel livello al quale lui pareva importante che si scendesse, o che si salisse: cioè quello della gente. Non certo quello di un’elite culturale che si frequenta a vicenda, e si piglia a vicenda.

PGM: Traspare una grande umanità sia dalla sua persona, sia dai libri di Tiziano che ho sempre letto. Lo ricollego a qualcosa che mi ha emozionato durante la premiazione del libro Bilal, il mio viaggio da clandestino nel nuovo mercato degli schiavi, di Fabrizio Gatti, avvenuta quest’anno a Udine. Lei, molto commossa, ha esordito in questo modo: Sarebbe piaciuto molto a Tiziano questo modo di vedere con occhi diversi pur mantenendo l’anima di un bambino, dote che spesso vale molto di più della stessa capacità di scrivere.

AST: L’immagine del bambino significa che non è un intellettuale, ma che rimane sempre impressionabile davanti al mondo, che reagisce con emozioni e non con la freddezza della testa, dell’intelletto. È una vecchia storia quella di conservare il cuore del bambino o del giovane. Voglio dire, si risale ai greci, non è che l’ha inventata Tiziano. C’è una grande verità in questo; per rimanere produttivi, per avere la possibilità di reagire con una mente fresca al mondo, bisogna in qualche modo non essere cinici, ma essere bambini, fiduciosi come bambini.

Tiziano Terzani

Tiziano, alla fine si è preso un po’ di premi — gli è stato assegnato il premio Barzini, ad esempio — ma ha ricevuto anche diverse proposte che ha rifiutato. Molte non gli interessavano, anche perché conosceva bene i meccanismi di quei premi, e non lo lusingava ottenere riconoscimenti attraverso quei meccanismi lì. Quando però gli fu offerto, da una signora che faceva parte della costituente, il “Premio per il bambino permanente”(si ferma cercando di ricordare, nda) — mi sembra si chiamasse così — lui accettò con entusiasmo. La premiazione era a San Giuliano Terme, vicino a Pisa, in un piccolo borgo. Lo aveva ricevuto Mandela, tra i pochi, perché questa signora aveva scelto solo grandi personaggi a cui dare questo premio, e a volte non veniva nemmeno assegnato perché non trovava nessuno a cui darlo. Passavano anni senza che lo ricevesse nessuno. Tiziano lo accettò, e come poi più avanti ripeté sempre, anche in pubblico, disse che questo era l’unico premio che veramente gli aveva fatto piacere ricevere.

PGM: Ritorniamo a Fantasmi. Sin dalla prefazione, molto accurata, molto sentita, si ritrae un Tiziano giornalista indipendente che si muoveva in scenari di guerra: mi ha colpito il fatto che la famiglia fosse sempre molto vicina, non dico nelle retrovie, ma certamente accanto. Mi piacerebbe rivolgerle una domanda più personale: con quale difficoltà viveva come madre, e come moglie, questo essere in giro per il mondo, non certo in situazioni facili?

AST: L’andare in Asia è stata una decisione che abbiamo preso insieme, nel senso che Tiziano voleva andare a vedere la Cina, voleva andare a vedere i paesi che avevano realizzato il comunismo, e io non mi sono mai posta nessuna domanda. Ho sempre pensato che fosse interessante andare a vivere in Asia. Cominciammo ad andare quando in Cina non si poteva ancora entrare, quindi ci recammo a Singapore, da dove Tiziano partiva per “coprire” la guerra in Vietnam, in Cambogia e in Laos, questa grande e seconda guerra d’Indocina.

Le devo dire che la risposta a questa domanda è ovvia, naturalmente: lui è stato al fronte per molto tempo, gran parte d’ogni mese lo passava al fronte, e quei fronti non erano molto sicuri perché era una guerra anche civile; i vietcong, i comunisti vietnamiti erano presenti anche nella parte dei vietnamiti pro americani e si trovavano in tutti gli angoli. Difatti, appena i comunisti vinsero la guerra, venne fuori che l’interprete di Time magazine era una delle grandi spie dei comunisti del Vietnam del Nord. Tiziano ne conosceva vari che, in verità — ed erano stati suoi amici, come interpreti o camerieri d’albergo — erano state spie di Hanoi, del Vietnam del Nord. Questo al momento non lo si sapeva con chiarezza, mentre si sapeva benissimo che potevano piombar giù bombe molto facilmente. Ma in qualche modo uno da giovane è più incosciente. Ora mi rendo conto, anche rileggendo questi articoli che ho pubblicato in Fantasmi, che i pericoli erano maggiori di quanto in realtà sapessi, più frequenti. Sapevo anche, però, che Tiziano non era temerario; certo non era un vigliacco, non stava rintanato in albergo, andava, ma non si esponeva a pericoli assurdi. E poi avevo questa idea: che ognuno ha un suo destino, e questo destino non lo cambi se stai a casa. Se il suo fosse stato quello di morire a trentacinque o a trentasei anni, se anche lo avessi legato al letto, secondo me, gli sarebbe caduto il soffitto in testa. Non sarebbe cambiato nulla!

Il suo destino è stato quello di non prendersi nemmeno un graffio nei suoi trent’anni passati in Asia, di cui venticinque da giornalista, eppure di morire giovane, e di una malattia che tutti possono prendere. Di conseguenza sono contenta di non avergli rovinato la vita richiamandolo sempre a casa, chiedendolgi di farlo per me o per i bambini. Un modo con cui molte donne hanno tenuto i mariti presso di sé, ma poi alla fine, o sono finiti i matrimoni, oppure sono tornati alla base in patria, dove questi giornalisti erano obbligati a lavorare, come dicono gli inglesi al “desk”, a tavolino. Ma non potevo legare, io, uno come Tiziano al tavolino, era inutile volerlo, inutile cercare di farlo. E devo dire che non ho vissuto con angoscia, nonostante non esistessero telefonini, fax, o computer. Telefonare costava, e significava prenotare giorni prima; poi la linea me la passavano e quello non c’era, oppure chiamava lui e io non ero là, perché non si poteva vivere accanto al telefono; per cui non c’era, in verità, modo. Ogni tanto un telegramma mi rassicurava.

Angela Terzani Staude

All’inizio ho resistito bene, ma più tardi, dopo, quando fu espulso dalla Cina, la vissi come un’esperienza negativa. Fu un brutto modo di fare quello dei cinesi, orribile, e lì sì, mi sono preoccupata; ma quando ho iniziato a preoccuparmi troppo, Tiziano mi ha subito messo in guardia: “se cominci a fare così, io non cambio il mio modo di vivere”, e allora sono ritornata alla mia vecchia fiducia, e meno male! (ride, nda).

PGM: La figura di Tiziano Terzani, quale giornalista indipendente, osservando il panorama giornalistico odierno, sembra quasi perduta, se ne ha nostalgia, e nonostante sia un esempio di giornalista e di uomo etico, c’è difficoltà a ritrovare figure del genere tra i giovani, nel giornalismo. Lei cosa ne pensa?

AST: Tiziano non era un giornalista indipendente. Tiziano lavorava per un giornale che era Der Spiegel, un settimanale di opposizione, ma certamente non di margine né alternativo. Era quello che è l’Espresso in Italia, anzi, molto più importante e veramente rappresentativo dell’establishment di sinistra. Ma il fattore cruciale fu che il giornale stesso era contento di avere un giornalista come Tiziano, lo ha sempre sostenuto in maniera incredibile, e lo ha sostenuto durante tutti gli anni trascorsi in Asia. Non gli è mai venuto in mente di dirgli: caro lei, adesso non si metta a scrivere a discapito della Toyota, perché altrimenti la Toyota non ci affida più i suoi annunci economici. Quindi eviti di dire che è un’azienda che sfrutta gli operai — mai detto! Esisteva una specie d’orgoglio anche da parte dei giornali, ed è proprio questo che oggi è venuto e viene a mancare. Il giornalista coraggioso non è che può vivere come un cane sciolto: ha bisogno di un giornale e del direttore di un giornale che lo sostenga; ha bisogno di un’intera redazione che lo sostenga; di un’etica, in verità, nei confronti della professione che sia riconosciuta anche dall’opinione pubblica.

Oggi il pubblico ricorda solo vagamente com’era il giornalismo di un tempo, e non osa nemmeno più pretenderlo; chiederebbe molto di più di quello che ottiene, mi sembra chiaro. Questo significa sottovalutare l’opinione pubblica, trattandola come viene trattata al momento, ma un giornalista non può farcela da solo.

Tiziano non era solo e non era l’unico; c’erano tanti bravi e coraggiosi giornalisti, e poi i giornali erano diversi, e non solo in Italia. Nella stessa Germania, il giornale non è più quello che era a quel tempo, e lo stesso accade in America, dappertutto. Si è assistito ad una sorta d’afflosciamento dell’etica nei confronti di una professione, nata come professione di sorveglianza dei politici, mentre ora sono mano nella mano: e allora? Da dove deve nascere questa autonomia, questa sorta di indipendenza?

PGM: Colpisce molto, anche in questi venticinque anni di dispacci dalla Cambogia e a proposito di etica, come Terzani abbia avuto la grande capacità di rivedere i suoi stessi credi; nel senso che attraverso il proprio lavoro di giornalista è stato in grado di rielaborare non solo il proprio pensiero politico, ma di ripensare alla sua stessa visione del mondo. Quanto ha sofferto suo marito, in tal senso, e come lo manifestava, se lo manifestava?

Tiziano TerzaniAST: Lui ha sofferto moltissimo, perché era veramente partito con una fede incrollabile nel marxismo e nei sistemi socialisti. Lui era partito con questa grande curiosità nei confronti di quelle società alternative a quella americana, che per noi era rimasta come unico modello. E devo dire, nemmeno tanto a torto, perché l’America era in effetti una democrazia — ed è una bella cosa una democrazia, non per niente l’America è stata un modello per tanti anni. Però lui ne vedeva già i difetti allora, noi tutti coglievamo i difetti dell’America sin dagli anni Sessanta: il modo di comportarsi nell’America del Sud, Cuba, la guerra in Vietnam stessa, era certamente quello di una democrazia, ma di una democrazia non poco aggressiva, capitalistica e imperialistica. Era ovvio cercare un altro sistema, e Tiziano sperava e aveva creduto molto nell’esistenza di un’alternativa. Ciò che, però, per lui contava più di ogni altra cosa erano l’uomo e la vita, avendo sempre in testa ben chiaro che la vita di un uomo è breve. Non è mai vissuto con l’illusione di poter vivere per sempre. Non si vive in eterno, è meglio saperlo, è meglio rendersi conto che gli anni che hai a disposizione, quegli anni centrali della vita in cui si può combinare qualcosa, li devi anche usare e non li devi sperperare. Ma devi anche poterli usare senza che nessuno stia lì a spiare ogni parola che dici, che ti metta in prigione, che ti metta nei campi di sterminio e ti elimini, solo perché la pensi diversamente.

Angela Terzani StaudeA questo punto — lui diceva — se è questo quello che fanno i regimi socialisti al potere, io sono contrario. E così, con grande delusione e con grande difficoltà, alla fine, nel 1985 — proprio perché di nuovo stimolato da ciò che aveva visto nel film Le urla nel silenzio e nel ripensare alla Cambogia — ha scritto: “C’eravamo sbagliati”.
Fu proprio questo il senso dell’articolo pubblicato da Repubblica con lo stesso titolo: C’eravamo sbagliati. E questo fatto di dirsi, all’età di quarantasette anni, che c’eravamo sbagliati a impostare la nostra vita su un ideale che una volta realizzato, delude, è triste… però l’ha fatto.

PGM: Un po’ si ritrova anche nel titolo Fantasmi, questo senso, no? Nel libro vi sono vari punti dove sembra davvero che le anime dei cambogiani, che hanno sofferto e hanno dovuto rendere la vita, lo tormentassero dal di dentro, a tal punto, e questo l’aspetto che vorrei approfondire, da indurre Tiziano Terzani ad abbandonare il giornalismo, per approdare a una maniera di scrivere, come poi si vedrà negli ultimi libri, più ampia.

AST: Certo, senz’altro. Il libro si doveva chiamare “Olocausto in Cambogia ”, ma evidentemente, trattando non solo l’Olocausto ma pure tutto quello che era avvenuto prima e tutto quello che era successo dopo, non poteva più intitolarsi così. Allora, cercando un nuovo titolo, in verità ci siamo resi conto che lui di fantasmi aveva parlato fin dal suo primo arrivo in Cambogia; li aveva sentiti e aveva sentito qualcosa alla quale, di solito, un uomo di sinistra non faceva attenzione: il prolungamento del mondo materiale in un mondo spirituale, che per i cambogiani — buddisti — era di grande importanza. Ecco, lui, effettivamente, con questi fantasmi e con questo mondo dello spirito aveva avuto un rapporto importante perché importante per i cambogiani; sapeva che li consolava, spiegando l’inspiegabile, dando un senso alla guerra stessa e ai morti.

Tiziano, sin dall’inizio, fin da quando era ancora un convinto socialista, ha sempre rispettato questo fatto, non l’ha eliminato senza prima prenderlo in considerazione, come se la religione fosse solo un impedimento, anzi. A questi fantasmi, che i cambogiani vedevano apparire tra le nuvole come premonizioni o come semplici superstizioni, si sono aggiunti poi i fantasmi dei morti, che Tiziano sentiva fortemente presenti nel numero: un terzo della popolazione accoppato, letteralmente accoppato, mica semplicemente morto di malattia, ma ucciso. Uno per forza di cose ne avverte il forte impatto. Tiziano li aveva visti, dappertutto, e fino alla fine sentiva che questi morti, questi fantasmi, impedivano una nuova rinascita del paese. Non è mai stata fatta giustizia, e ancor oggi i criminali, i polpottisti e i Khmer Rossi, o sono morti di vecchiaia, o sono lì ancora in attesa di un improbabile processo. Vi sono troppe connivenze tra la Cina e gli Stati Uniti per permettere che si faccia luce su quegli anni bui.

Copertina di Fantasmi Dispacci dalla Cambogia di Tiziano TerzaniQuesti fantasmi, che lui sentiva fortemente, sono stati proprio loro, in un qualche modo, a spingerlo a rinunciare alla sua professione — quella di documentare, in fondo ed esattamente, i fatti politici, le date, il reale e il concreto — per occuparsi più dell’uomo nella sua totalità, che non è solo quella di un essere che mangia, beve, dorme, e poi alla fine muore, ma è anche un essere che si aiuta moltissimo attraverso questo legame con il mondo dello spirito, della moralità, dell’eticità, e di tutto quello che normalmente non è completamente visibile. Per occuparsi dell’invisibile diciamo. In questo senso, anche attraverso Fantasmi si arriva proprio al giorno in cui lui dice: È inutile che io continui a sperare che attraverso il giornalismo si possano influenzare i politici affinché prendano decisioni più giuste ed umane nei confronti delle popolazioni. Forse, bisogna ricominciare dagli uomini. Fu lì che si iniziò ad occuparsi, anche attraverso la propria malattia, del senso della vita dell’uomo nel mondo.

PGM: Che rapporto aveva suo marito con internet?

AST: Ah, lui era un uomo modernissimo. Essendo fiorentino, gli piacevano le innovazioni. I fiorentini sono sempre stati degli innovatori nella loro storia, basti pensare che sono gli inventori della cambiale e del sistema bancario, per cui appena è comparso all’orizzonte il computer, Tiziano è stato il primo ad averlo tra i giornalisti di Hong-Kong. Il primo tra i corrispondenti stranieri, nonostante ci fosse molta resistenza. Di conseguenza, internet lo interessava moltissimo.

Lui si sentiva molto a suo agio in questo mondo… come si chiama? Virtuale. Sì, davvero molto a suo agio, e non che per questo si comprasse meno libri, questo era un altro mondo, un’altra cosa. Internet era un mondo che lo affascinava per le possibilità che offriva.

PGM: Quali sono stati i maestri o colleghi che Tiziano Terzani amava particolarmente? Non le chiedo di eventuali miti, perché mi sembra quasi assurdo.

AST: Lui ha molto apprezzato, all’epoca, il giornalismo anglosassone. Ha imparato da loro la precisione, la cura di ogni dettaglio nei numeri, nelle cifre e nelle parole. Insomma l’assoluto contrario di quello che si fa oggi, dove si racconta più o meno in termini soggettivi ciò che succede, con impressioni e dettagli spesso falsi e parole sbagliate. Questa precisione, che tra l’altro era pretesa dal suo giornale, lui l’aveva imparata, senz’altro, dagli anglosassoni. Da loro ha appreso, in quanto molto competitivi, l’andare a vedere con i propri occhi senza starsene in albergo e farsi raccontare le storie dalla radio o dalla televisione. Ha imparato a di rischiare la pelle, non certo in modo banale, bensì nell’esporsi per sentire l’odore di un mondo, ascoltandone le voci per coglierne l’atmosfera; il tutto per rendere il paese interessante a chi legge, altrimenti rimangono solo i fatti. Se lei sa che in Afghanistan, oggi, sono morte nove persone, si chiederà sicuramente cos’altro è successo, no? Se, invece, la cosa l’ha vista in prima persona, è la sua partecipazione che diventa diversa.

PGM: Il giornalista era anche molto più rispettato. In Vietnam, ad esempio, riceveva il grado di maggiore; fatto che già la dice lunga su quanto venivano presi in considerazione, in questo caso, i giornalisti americani, mentre oggi la figura del giornalista sta perdendo tale rispetto.

AST: Sì, e tanto anche, soprattutto per colpa dei giornali, dei giornalisti, dei direttori dei giornali, e del fatto che le testate ormai non sono più proprietà, come un tempo, di una famiglia — come ad esempio la famiglia Crespi che possedeva il Corriere della Sera. Il proprietario, ora, è il gruppo RCS, la Rizzoli, in sostanza e non è più la stessa cosa se un giornale è in mano a un grande gruppo che deve fare soldi. Questo è il nuovo scopo. Un tempo il giornalismo non veniva creato con lo scopo del lucro, ma con l’obiettivo di informare. E chi meglio informava, meglio vendeva, anche — perché no — ma soltanto come conseguenza di un’informazione di qualità, non come conseguenza del fatto che il tuo “padrone” voleva “investire” in certi articoli piuttosto che in altri.

PGM: Dov’è Tiziano Terzani, adesso, e qual è la sua eredità?

AST: Io spero che sia nei suoi libri e nei ricordi di molta gente. Stranamente, pur essendo passati quattro anni da quando è morto, non mi sembra scomparso. Rimane questa sorta di bisogno, che ci sia uno così… (sorride commossa, nda). Uno… ce ne sono tanti, no? Ma lui ha avuto una forza particolare nell’uscire fuori, anche nell’11 settembre.
La sua eredità? La sua eredità, secondo me c’è, chiunque può raccoglierla e credo che avvenga; anche lei, oggi, per esempio, la sta raccogliendo.

Tiziano Terzani

Commenti

2 commenti a “I fantasmi di Tiziano Terzani”

  1. è il primo articolo che leggo di fucinemute. sono contento di iniziare da questa tua intervista a Staude. molto interessante!

    Di andrea | 21 Aprile 2012, 22:45

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