// stai leggendo...

Cinema

New American Cinema

Il cinema indipendente degli anni '60

New American Cinema è quel movimento eterogeneo di registi indipendenti, nato negli Stati Uniti il 28 settembre 1960 su invito di Lewis Allen e Jonas Mekas (la data di nascita viene associata alla pubblicazione del Manifesto del New American Cinema Group).

New American Cinema

Grazie al generoso impegno dello stesso Mekas, che ne fu il principale animatore, il movimento tentò l’organizzazione di una produzione e distribuzione alternative, istituendo a New York la prima grande Film Makers’ Cooperative.

Sotto la denominazione New American Cinema si identificano due principali schieramenti: i “nuovi” indipendenti che, sia sul piano produttivo che su quello artistico, vogliono agire autonomamente rispetto alle strangolanti leggi del mercato, e i registi dalla tendenza più sperimentale, che concepiscono la realizzazione di un film in modo strettamente personale e poetico. Le opere dei primi — soprattutto Pull My Daisy (1959) di Robert Frank e Alfred Leslie, Shadows (1960) di John Cassavetes, The Connection (1962) di Shirley Clarke e Guns of the Trees (1962) di Jonas Mekas — hanno una matrice realistica, che ricorda la scuola di New York e il cinema-diretto, ma rivelano anche forti caratteri di incongruenza, improvvisazione, e immediate corrispondenze con i più importanti fenomeni dell’arte contemporanea americana.

I film del gruppo più sperimentale (ci si riferisce ad autori come Stan Brakhage, Stan Vanderbeek, James Broughton, Curtis Harrington, Robert Breer, Ron Rice e altri) muovono invece da motivi, temi e stili storicamente legati alle avanguardie cinematografiche e artistiche. Questo tipo di cinema, definito “underground”, si sviluppa come una sorta di contro-sistema, sia sul piano culturale sia sul piano estetico, rifacendosi alla tradizione cinematografica delle correnti avanguardistiche degli anni Venti, ma anche e soprattutto a quella che è stata definita la “seconda avanguardia americana”, formatasi negli Stati Uniti durante e dopo il secondo conflitto mondiale per merito di autori come Maya Deren.

Le prime due pellicole di Deren — Meshes of the Afternoon e At Land — sono già caratterizzate da un uso poetico delle immagini, collegate tra loro non secondo criteri (crono)logici, ma simbolici e associativi, lasciando intravedere l’influsso degli autori del Surrealismo, come Luis Buñuel e Jean Cocteau. Allo scopo di garantire la possibilità di fare cinema indipendente, Maya Deren creò nel 1954 la Creative Film Foundation (Stan Brakhage e Shirley Clarke ricevettero qui le prime sovvenzioni e vi trovarono i primi laboratori di idee); in seguito organizzò alla Provincetown Playhouse di New York le prime proiezioni pubbliche di film sperimentali.

New American Cinema

Il New American Cinema — legato ai fermenti della cultura giovanile della fine degli anni ’50 e dei primi anni ’60, e sviluppatosi più o meno parallelamente al cinema-diretto di Richard Leacock, Robert Drew, Arthur e David Maisles, Don Alan Pennebaker — ha origini riscontrabili anche in lavori come The Quiet One (1948) di Sidney Meyers, The Little Fugitive (1952) di Morris Engel e On the Bowery (1956) di Lionel Rogosin; ed è inaugurato dal già menzionato Shadows di John Cassavetes (benché quest’ultimo non accettò mai di aderire al manifesto costitutivo del New American cinema Group).

La formula estensiva del New American Cinema, abbandonata da Jonas Mekas nel 1960, fu assai efficace e portò alla massima diffusione internazionale i lavori di quella nuova generazione di film maker. Tuttavia va detto che, seppur in misura più limitata, esperienze di autonomia organizzativa erano già state avviate nel cinema sperimentale da Frank Stauffacher, con le sue esposizioni Art in Cinema al Museo d’Arte di San Francisco dal 1947 al 1955, e da Amos Vogel che, negli anni ’50, attraverso l’organizzazione Cinema 16 e la Cinema 16 Film Library, aveva contribuito notevolmente a divulgare negli Stati Uniti il cinema d’avanguardia europeo e americano. Gli aspetti comuni ai “nuovi” indipendenti e agli artisti underground consistono nella definizione dell’autore come film-maker (colui che riassume in sé i differenti ruoli di regista, tecnico del suono, produttore), nell’impiego di una strumentazione povera (cinepresa da 16mm o da 8mm), nell’anticonvenzionalismo, e in una sorta di antinarrazione capace di liberare nuovi significati.

È anche grazie alla felice influenza che ebbero su questi nuovi registi la Nouvelle Vague francese e il Free Cinema inglese, che Mekas cercò di dar vita a un vero e proprio cinema d’autore americano, trovando nella città di New York un terreno molto favorevole ai suoi intenti. Sempre a New York, Mekas aveva già fondato la rivista Film Culture, prefigurando l’affermazione di un nuovo modo di fare cinema, dove gli elementi di casualità, spontaneità, frammentarietà, impurità, divenissero veri strumenti di espressione e sostituissero le rigide norme dei comuni canoni cinematografici della bellezza. Un movimento definito da Mekas stesso come “primariamente etico”, che liberatosi dall’ipertecnicismo e dall’iperprofessionismo, si lascia guidare dall’intuizione e dall’improvvisazione, riuscendo “ad afferrare la vita dall’interno e non dall’esterno”.

Scena del film Pull My Daisy, New American CinemaUn cinema spontaneo, alogico, creato durante le riprese, senza una sceneggiatura prefissata e con i personaggi che si definiscono durante la realizzazione. Un cinema di rabbia e poesia che rifiuta sia la morale borghese, sia i codici formali dell’arte, per mostrare un’originale e graffiante ricerca espressiva nata nell’area di libertà creata dalla beat generation, con la quale, tra l’altro, presentava molti elementi in comune: la prevalenza del gesto sulla norma, del comportamento sullo stile, e dell’azione sull’arte; senza tralasciare un aspetto fondamentale come il “girovagare senza meta” dei suoi personaggi (tra i film già citati, Pull My Daisy è quello che meglio rappresenta questa congiunzione: si avvale della collaborazione del romanziere Jack Kerouac che elabora per il film un testo “improvvisato”, e della interpretazione dei poeti Allen Ginsberg, Gregory Corso e Peter Orlovsky).

In seguito, buona parte della produzione indipendente del New American Cinema accolse al suo interno una corrente cinematografica sperimentale denominata Expanded Cinema. Sostanzialmente, l’espansione cinematografica riguardava la superficie di proiezione del film, che venne notevolmente ampliata rispetto al tradizionale schermo frontale. I film maker che ne fecero parte inventarono nuovi modi di proiezione, utilizzando fantasiose superfici come schermi, e mutando in svariati modi il tradizionale processo tecnico di costruzione e di fruizione di un film.

Le prime sperimentazioni dell’Expanded Cinema risalgono al 1958, quando Kenneth Anger proiettò a Bruxelles il suo Inauguration of the pleasure dome contemporaneamente su tre schermi. La cattedrale dell’Expanded Cinema, realizzata nel 1966 da Stan VanDerBeek a New York, sarà il Movie Drome Theatre, un cinema sferico su cui un obiettivo fisheye proietterà film per spettatori sdraiati, in questo modo totalmente immersi e compenetrati dalle immagini in movimento. Nello stesso anno (1966) anche Andy Warhol presentò una sua pellicola (The Chelsea Girls) di sette ore divisa in due parti da proiettare simultaneamente su due schermi attigui.

L’influenza dell’Expanded Cinema sulla video-arte degli ultimi trent’anni è considerevole, essendo stata la prima corrente cinematografica a propugnare caparbiamente la contaminazione con altre arti, realizzando chimerici spettacoli di massa con luci stroboscopiche e fantasmagorici happening multimediali, come quelli di Robert Whitman, in cui i film venivano proiettati direttamente sui corpi dei performers (questa caleidoscopica esperienza è raccolta nel volume Expanded Cinema scritto da Gene Youngblood nel 1971).

Coppola, New American Cinema

Echi di tentativi di autonomia artistica e produttiva, collegati a un nuovo modo di concepire il cinema, li possiamo trovare nell’American Zoetrope di George Lucas, John Milius, Francis Ford Coppola o, ancora di più, nel new-wave american cinema di derivazione punk (Amos Poe, Erich Mitchell, Vivienne Dick, Beth e Scott B., Becky Johnson, Tom Otterness, James Nares), che costruisce giochi di autocitazioni e contaminazioni di differenti esperienze (arti visive, moda, poesia, letteratura, ecc.) sulla traccia del primo New American Cinema.

Commenti

Non ci sono ancora commenti

Lascia un commento

Fucine Mute newsletter

Resta aggiornato! Inserisci la tua e-mail:


Leggi la rubrica: Viator in fabula

Articoli recenti

Pen Lettori Trieste: Punto di fuga di Mikhail Shishkin

Pen Lettori Trieste: Punto di fuga di...

Doc nelle tue mani 3: che il flashback sia con voi (fino allo sfinimento)

Doc nelle tue mani 3: che il...

Trieste Film Festival 2024

Trieste Film Festival 2024

Lascia che la carne istruisca la mente: Intervista a Anne Rice (II)

Lascia che la carne istruisca la mente:...

Lascia che la carne istruisca la mente: Intervista a Anne Rice (I)

Lascia che la carne istruisca la mente:...

Nel castello di Giorgio Pressburger al Teatro Stabile Sloveno di Trieste

Nel castello di Giorgio Pressburger al Teatro...

Lucca Comics & Games 2023: Incontro con Pera Toons

Lucca Comics & Games 2023: Incontro con...

Lucca (meno) Comics & (più) Games 2023:...

Lucca Comics & Games: Intervista a Davide Barzi

Lucca Comics & Games: Intervista a Davide...

Lucca Comics & Games 2023: Intervista a Matteo Pollone

Lucca Comics & Games 2023: Intervista a...

Il futuro (forse) del fumetto: Martin Panchaud

Il futuro (forse) del fumetto: Martin Panchaud

Femminismo all’ombra dello Shogun: Camille Monceaux

Femminismo all’ombra dello Shogun: Camille Monceaux

Lucca Comics & Games 2023: Intervista ad Andrea Plazzi

Lucca Comics & Games 2023: Intervista ad...

I quarant’anni della “scatola rossa”

I quarant’anni della “scatola rossa”

Trieste Science + Fiction Festival 2023: River

Trieste Science + Fiction Festival 2023: River

Trieste Science + Fiction Festival 2023: cortometraggi

Trieste Science + Fiction Festival 2023: cortometraggi

Il fiore del mio segreto (Almodóvar, 1995): la letteratura come seduzione

Il fiore del mio segreto (Almodóvar, 1995):...

Good Omens 2: amore e altri disastri

Good Omens 2: amore e altri disastri

The Plant: il romanzo incompiuto di Stephen King

The Plant: il romanzo incompiuto di Stephen...

The Phantom of The Opera per la prima volta in Italia

The Phantom of The Opera per la...

Pélleas e Mélisande di Claude Debussy: parodia del 1907

Pélleas e Mélisande di Claude Debussy: parodia...

Prigionieri dell’oceano (Lifeboat) di Alfred Hitchcock

Prigionieri dell’oceano (Lifeboat) di Alfred Hitchcock

Tutto il mondo è un Disco

Tutto il mondo è un Disco

Il commissario Ricciardi 2: quattro puntate di noia profonda

Il commissario Ricciardi 2: quattro puntate di...

Sanremo anche no

Sanremo anche no

Casomai un’immagine

lor-8-big Campane, 2011 A.Guerzoni Dog Eat Dog Padiglione del Bangladesh Gaetano Pesce / Padiglione Italia 29 wendygall-06 wendygall-03 tsu-gal-big-02 esplosa-05 sla-gal-7 galleria06 murphy-24 murphy-17 tav2 pas-10 piccini_12 bon_03 bon_01 sepia biochemicalresearch kubrick-47 24_pm 04 02 th-45 th-03 viv-43 mar-38 sir-12
Privacy Policy Cookie Policy